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Il giovedì di gara non era esattamente il massimo del divertimento, considerando che gli unici piloti che conoscessi fossero occupati e che non mi restasse altra alternativa che trascorrere tutto il pomeriggio con i meccanici di Pierre. E decisamente non era ciò a cui aspiravo, insomma. Ero seduta su uno degli sgabelli riservati agli ospiti e maneggiavo il mio cellulare, anche se non con un motivo ben preciso, quando avvertii il francese ritornare nel suo garage e iniziare a parlare con il suo ingegnere di pista, Pierre. Mi faceva ridere, perché potevo immaginare la perenne confusione quando qualcuno diceva solamente "Pierre". Non mi mossi, principalmente per non dare a vedere che stessi attendendo il ritorno del mio migliore amico con troppa ansia, e continuai a osservare la schermata di blocco come se ci fosse qualcosa che davvero mi interessasse. Anche se, a dire la verità, dopo pochi istanti che avevo finto di essere interessata alla fotografia, rimasi realmente a guardarla, accorgendomi solo allora che raffigurasse me e i miei due migliori amici. Alzai un sopracciglio, leggermente confusa, e Pierre, che si era avvicinato a me, subito se ne accorse.

«È successo qualcosa?». Alzai lo sguardo verso di lui e spensi il cellulare di scatto, abbozzando un sorriso che immaginai fosse imbarazzato, perché il francese mi guardò divertito. Aveva le mani sul tavolino di fronte a me ed eravamo estremamente vicini. Sapevo che Pierre lo stava facendo di proposito. Sapeva l'effetto che aveva su di me. Sapeva come persuadermi e costringermi a parlare. In un primo momento mi ero davvero dimostrata intenzionata a rimanere in silenzio e a non dargli la soddisfazione di avere la meglio su di me, ma quando si chinò ancora di più verso di me e abbassò leggermente il tono di voce, ripetendomi la domanda, mandai all'aria il mio tentativo di non farmi sedurre da lui. Lo detestavo, tremendamente. Mi faceva arrossire con velocità supersonica e, dopo averlo fatto, esattamente come era avvenuto quella volta, si ritirava soddisfatto e tornava il Pierre di sempre. «Non sapevo avessi noi tre come sfondo». Ringraziai la mia pelle leggermente scura che gli impediva di vedere quanto fossi arrossita.

«Neanche io». Sussurrai, con un tono di voce quasi impercettibile. Alle mie parole anche la sua espressione divenne confusa e si grattò il mento, mentre cercava di comprendere ciò che intendessi. Provai immediatamente a chiarirmi «Fino a ieri non avevo questo sfon-». All'improvviso mi ricordai che, quella stessa notte, dopo essere tornata dalla camera di Charles, per potermi addormentare, avevo iniziato a guardare le fotografie della galleria e poi avevo scelto di mettere come sfondo una in cui ci fossimo tutti e tre. Scossi freneticamente la testa e mi maledissi mentalmente. «L'ho impostata stanotte, ma non ricordavo di averlo fatto. Forse sono troppo stanca per ricordare di averlo fatto». Annuì, per poi prendere il cellulare tra le sue mani. Sorrise.

«È la foto che abbiamo scattato alla festa dei tuoi diciotto anni, giusto?». Non attese che parlassi, perché si corresse. «Non proprio alla festa tradizionale, direi più nel festeggiamento ufficiale». Ridacchiò, facendomi un occhiolino. Sì, Pierre è sempre stato un grande amante delle frasi ambigue.

«Non dire queste frasi che qualcuno potrebbe passare di qui e pensare male». Rise e mi lasciò un bacio sulla fronte. Era un gesto molto intimo che Pierre mi aveva sempre riservato, fin da quando eravamo piccoli. Era un gesto speciale ed ero convinta che il giorno che avesse smesso di farlo, avrei avuto la certezza di non essere più la donna più importante della sua vita. E il fatto che, nonostante nella sua vita ci fosse quella Désirée, avesse mantenuto quella dimostrazione di affetto, mi scaldava il cuore di gioia. «È molto bella». Esclamò dopo un po', riportandomi alla realtà, mentre continuava a osservare la fotografia dinanzi a sé. «Sai...». Si fermò, quasi a richiamare la mia attenzione. Come se ce ne fosse bisogno, poi. «Mi chiedo sempre come sarebbe andata la nostra vita se non avessimo coltivato la nostra amicizia». Puntò il suo sguardo verso di me e intravidi un rapido, e insolito, luccichio nei suoi occhi, che ben presto lasciò spazio alla solita luce di spensieratezza che notavo sempre nei suoi occhi azzurri e che li rendeva più chiari di quanto già non fossero. Pierre non continuò la frase, anche se dal movimento che fece con le labbra (le aveva dischiuse), potei immaginare che avesse fatto molti più pensieri di quanti avesse intenzione di riferirmi. Decisi di assecondare il suo silenzio, anche se una parte di me era curiosa di sapere cosa lo stesse turbando e cosa avesse mimato prima di tacere definitivamente. Nessuno dei due parlò più, lui troppo preso dai suoi pensieri e io troppo indecisa su come continuare la conversazione. «Inés». La sua voce giunse alle mie orecchie come un flebile sussurro, ma nonostante ciò subito rivolsi la mia attenzione al francese dinanzi a me, cercando di intercettare il suo sguardo, forse nella speranza di leggere, attraverso i suoi occhi, le sue preoccupazioni. Attesi che continuasse a parlare. «Io e Charles...». Si interruppe, per poi fissare un punto a fianco a me, forse capendo il mio intento. «...Abbiamo litigato diverso tempo fa. Direi qualche mese fa. È stato un litigio abbastanza serio, è per questo motivo che le acque sono ancora agitate tra di noi. Ci eravamo promessi di comportarci in maniera civile in tua presenza, perché non volevamo farti preoccupare, ma a quanto pare il nostro piano è andato a monte ancor prima di iniziare. Quando sono venuto a Monte Carlo a farvi visita... Be', in realtà l'intento non era quello di fare solamente un salto, ma sarei dovuto rimanere a casa vostra. La questione si è poi riaccesa tra me e Charles durante il viaggio verso la tua università e ho deciso di andarmene».

«Perché avete litigato?». Domandai istintivamente, per poi tapparmi la bocca con una mano, pentendomi delle mie parole.

«Non preoccuparti, è normale che tu voglia sapere». Mi guardò, questa volta con un leggero sorriso imbarazzato. «Purtroppo non posso rivelarti il motivo, perché, per quanto possa essere arrabbiato con Charles in questo momento, è pur sempre il mio migliore amico e non rivelerei mai nulla delle parole che ci siamo scambiati, anche a te che sei la persona più importante per me». All'improvviso mi ricordai dello stupido, o almeno lo avevo sempre reputato tale, patto che i due avevano stretto quando erano solamente adolescenti. Chiaramente l'idea era stata di Charles. Fecero un patto di sangue, giurando di non rivelare mai a nessuno i loro discorsi, specialmente quelli importanti e seri.

«Il patto...». Sussurrai, ma Pierre mi sentì ugualmente. Sorrise.

«Lo ricordi?». Annuii, anche se distrattamente. Ero stata una stupida a chiedere a Charles di aiutarmi con Pierre, perché era ovvio che non avrei saputo nulla da lui. Mi posò una mano sulla spalla, per poi abbassarsi alla mia altezza e alzare il mio volto con l'altra mano. «Io e Charles torneremo quelli di prima, te lo giuro. Abbiamo solo bisogno di tempo per metabolizzare ciò che ci siamo detti e decidere come muoverci». Alzai un sopracciglio. «Siamo solo molto testardi e competitivi, anche se non credo che quest'ultimo aggettivo sia proprio appropriato in questo caso. Diciamo semplicemente che nessuno dei due vuole mollare». Il discorso di Pierre avrebbe dovuto chiarire i miei dubbi, ma non fece altro se non confondermi di più. Sembrò accorgersene, ma non sapendo come rassicurarmi senza trasgredire al patto, mi rivolse uno sguardo che sottintendeva solamente queste parole: "fidati di me".

Lie to Me || Pierre Gasly & Charles LeclercWhere stories live. Discover now