Capitolo 15

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Il giorno che avrei dovuto andare a palazzo passò senza che me ne ricordassi, una settimana dopo arrivò alla scuola una carrozza con lo stemma della famiglia reale, il preside mi fece chiamare nel suo ufficio.

Quando entrai nell'ufficio c'era la donna che avevo salvato.

«Vi lascio soli.» Disse il preside lasciando la stanza.

«Zia, come stai?»

«Ragazzo, non sai chi sono?»

«Certo che lo so. L'addetta al giardino delle erbe.»

La zia si sedette al posto del preside e mi fece cenno di accomodarmi su di una sedia.

«Ho saputo che hai perso la memoria.»

«Sì, zia.»

«Raccontami tutto quello che ricordi dal tuo rapimento ad oggi, non tralasciare nulla, nemmeno il minimo particolare.»

«Ci vorrà un po'.»

«Abbiamo tutto il tempo, nessuno ci caccerà.»

La zia aveva molta pazienza, erano successe così tante cose che dovettero portarci il pranzo in ufficio, perché non avevo ancora finito di raccontare.

Dopo sei ore finii il mio racconto, proprio quando una guardia ombra comparve per dire alla zia che il re iniziava a chiedersi dove fosse finita.

«Ho vissuto a palazzo reale per tutta la mia vita,» esordì la zia, «non mi era permesso uscire, all'età di sedici anni mi sono sposata e non conoscevo niente al di fuori del palazzo. Ero una maga molto potente, lo sono ancora, ma la mia passione è sempre stata coltivare erbe e fare elisir. Così mi feci fare quel giardino dove mi hai incontrata. Ma non mi era permesso metterci mano, perché non era consono ai doveri di un reale. Odiavo essere la principessa ereditaria del regno, mi costringevano a studiare etichetta e tutto quello che mi sarebbe stato utile per governare. Quando il re mio padre morì, salii al trono, mio marito era solo lì per permettermi di fare figli, non aveva nessuna qualità né utilità.» La zia, che ora sapevo chi fosse, mi guardò con attenzione e poi proseguì il suo racconto. «Mi sono sposata perché dovevo, con una persona che non mi piaceva, però ho amato i miei figli che per fortuna hanno ripreso da me. Quando mio figlio è stato abbastanza grande per prendere le redini del trono ho abdicato, come regina madre potevo fare quello che volevo, ma sempre all'interno di una gabbia d'oro, il palazzo reale.» Sentimmo bussare alla porta, entrò la segretaria del preside con il tè e dei biscotti, quando uscì la regina madre tornò a rivolgersi a me. «Nessuno può dirsi libero, la libertà che tu cerchi è un lusso che pochi hanno. Ma sei un giovane in gamba, forse riuscirai ad inventarti qualcosa per esprimere la tua libertà e non farti rinchiudere in una gabbia come è successo a me.»

Capii che eravamo giunti alla fine del nostro colloquio, così tirai fuori un vasetto in porcellana con delle pillole, un elisir studiato per il problema cardiaco della regina, anche se quando l'ho preparate pensavo a lei come una zia.

Il vasetto era da cento ml., all'interno vi entrarono tutti le pillole per la cura della malattia cardiaca, cura che doveva essere protratta per tre mesi, ma dopo il problema cardiaco non si sarebbe più ripresentato.

«Che cosa è?»

«La tua cura, devi prendere una pillola al giorno per tre mesi, le pillole sono contate. Dopo non avrai più problemi di cuore.»

«Allora non farò complimenti.» Disse la regina mettendo il vasetto nel suo anello di archiviazione. «Dimmi perché non sei venuto a palazzo la settimana scorsa.»

«L'invito era del re, io non voglio avere nulla a che fare con lui.»

«L'invito era da parte mia, ma io non mi prendo queste incombenze che lascio a mio figlio. Per questo la lettera era firmata a suo nome. La prossima volta non farmi aspettare tutto il giorno.»

«Se l'invito sarà a nome della zia, verrò.»

Fu così che ci salutammo, quando uscii dall'ufficio del preside quello mi guardò in modo strano, ma io non gli badai. Aveva tutte le ragioni di essere curioso, dopotutto gli avevamo occupato l'ufficio per gran parte della giornata.

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