Capitolo 10: "Soggetto A19, L'innesco".

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Nella Radura si stava bene. Sembrava che finalmente la situazione si fosse stabilizzata.

Almeno, era così da due giorni... a parte le perenni occhiate di Minho appena tornava dal Labirinto: la prima cosa che controllava eravamo io e Newt, come se sperasse di trovarci appartati da qualche parte.

A dire il vero non era cambiato nulla tra me e lui... o almeno, nulla di troppo rilevante.

C'era una strana carica tra me e lui, ma non avevamo più toccato l'argomento del bacio, né quello della confessione nel Casolare.

Non che fosse un argomento tabù, ma proprio non ci pensavamo.

L'unica cosa a cui pensavamo era a stare bene, a rimetterci. Ci curavamo a vicenda.

Ogni notte si assicurava di non avermi troppo lontana da lui, così da tenermi bene sott'occhio in caso di un altra crisi strana.

Gli era ancora proibito fare un qualsiasi sforzo fisico, e per poco in quella categoria non erano compresi quelli di sollevare una forchetta per mangiare... o peggio. Era un miracolo che Alby lo lasciasse andare al gabinetto con le sue gambe, e non mi sarei stupita di vederlo entrare con lui lì dentro!

Il nostro rapporto sembrava essere immutato, tranne per un diverso attaccamento e quella strana carica che ci univa. Non avrei saputo come descriverla. Sentivo che era la prima volta in assoluto che provavo qualcosa di simile verso qualcuno. Era piacevole e allo stesso tempo strano, particolare, non sapevo come prenderlo o interpretarlo. Era sempre vicino a me in quei giorni ed io vicina a lui.

La ferita sul suo petto sembrava non essere intenzionata a guarire: si rimarginava in modo davvero lento e cominciavo a preoccuparmi che non ce l'avrebbe fatta.

Era frustrato perché voleva dare una mano ed il fatto che Alby ogni volta lo bloccasse gli rodeva il fegato, ma non voleva darlo a vedere, così sfogava tutto riponendo le attenzioni su di me.

Non era solo lui in pausa, ma anche io. Frypan aveva deciso che dovevo assolutamente lavorare di meno: si sentiva in colpa perché pensava che quello che mi era successo fosse fonte dello stress lavorativo, del fatto che la maggior parte delle cose in cucina le facessi io e non gli altri, dato che ero più brava di loro, o come diceva Frypan, "quasi al suo livello".

Non avevo più avuto crisi, però nonostante tutto non si fidava. Voleva essere certo che stessi bene.

Odiavo quella pausa, motivo per cui cominciai a capire come si sentiva Newt, che non poteva fare nulla da prima di me.

«Guarda, ho trovato un altro pezzo! Credo che sia del Casolare», dissi, catturando la sua attenzione.

«Prova ad incastrarlo, allora.»

Ebbene sì, per la noia c'eravamo rintanati dentro il Casolare a fare un puzzle.

Un puzzle fatto a mano da noi, dato che nessuno si era mai preoccupato di chiederne uno.

Il che era anche logico, insomma... cosa se ne facevano di un puzzle in un posto dove non c'era spazio per poltrire?

Newt non sapeva nemmeno cosa fosse un puzzle. O meglio, conosceva la parola, ma non ne aveva mai visto uno. Io stranamente avevo presente cos'era un puzzle e com'era fatto, anche se non sapevo dove l'avevo visto.

Così avevamo preso un foglio di carta, due penne nere, avevamo disegnato le tessere, poi delle linee che formavano una sorta di mappa della Radura e infine avevamo ritagliato i pezzi con due vecchie forbici da cucina arrugginite. C'eravamo divertiti a dire il vero, forse perché tra un disegno e l'altro ogni tanto eravamo finiti col pasticciarci il volto a vicenda.

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