Capitolo 1 - Benvenuta nella radura

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Freddo. Era tutto ciò che sentivo, un freddo opprimente oltre che una pesante sensazione di stanchezza.
Era come se qualcuno mi avesse dato un potente sedativo. Tentai di aprire gli occhi, di mettermi in piedi. Perché avevo la sensazione che anche i più semplici movimenti fossero impossibili?
Nelle mie orecchie risuonava un forte rumore metallico, e avevo la sensazione che qualcosa mi stesse trascinando in alto.
Come c'ero finita in quella situazione? Ma soprattutto... qual'era il mio nome? Chi ero? Perché non ricordavo niente prima di quel momento?
Passai la mano lungo il pavimento, sentendolo freddo e metallico.
Finalmente alzai la testa, aprii gli occhi e mi guardai attorno.
Era tutto buio e tutto attorno a me strideva con fare così forte da entrarmi nel cervello, dandomi la sensazione che qualcuno mi stesse tagliando le pareti del cranio con un taglierino appuntito.
Solo una volta aperti gli occhi me ne resi conto, e trovai la cosa bizzarra.
Per quanto tempo avevo dormito? Mi sentivo dannatamente stanca, tant'è che non riuscivo nemmeno a stare in piedi.
Nel mio petto il cuore batteva ad una velocità assurda, eppure non ero in grado di muovermi da lì.
I miei occhi erano sbarrati, fissavo ogni angolo di quel posto in cui mi trovavo e finalmente riuscii ad abituarmi al buio.
Ero all'interno di una specie di stanza quadrata, che si muoveva per arrivare in superficie.
Non era tanto grande. Affatto. Erano pareti minuscole e ad ogni minuto che passava mi sembrava che si stringessero attorno a me, dandomi la sensazione di soffocare.
Volevo urlare, ma per qualche ragione non lo feci.
Cercai invece di mantenere il controllo, per quanto potesse essere possibile.
Non ricordavo nulla. Ma perché?
Cercai in ogni modo di ricordarmi come c'ero finita in un posto simile, ma la mia mente era vuota.
Totalmente vuota. L'unica cosa di cui avevo memoria era il freddo pavimento metallico su cui mi ero appena svegliata.
Schiusi le labbra, respirando pesantemente. Il panico cominciava a farsi sentire.
«Calmati», pensai tra me e me e la mia voce mi sembrò così dannatamente nuova.
Cercai di mettermi in piedi. Ero in uno spazio chiuso, dentro qualcosa di metallico che mi portava verso l'alto, urlare probabilmente non sarebbe servito a nulla se non a farmi venire il mal di testa.
La sonnolenza almeno mi stava passando.
Quando finalmente riuscii a reggermi in piedi, la "stanza" ebbe uno scossone e caddi sulle ginocchia.
Corrugai la fronte, mettendomi seduta e rannicchiandomi in un angolo.
E adesso cosa mi aspettava?
Si sentì un rumore forte e acuto. Come una sorta di sirena. Un allarme.
Cominciai a preoccuparmi, pensando subito al peggio.
Poggiai le mani sulle orecchie. Volevo gridare. Gridare abbastanza forte da darmi la speranza che qualcuno mi sentisse e venisse a tirarmi fuori da quella sorta di stanza metallica.
Ma ero abbastanza sicura che lì dentro non mi potesse sentire nessuno, sopratutto con quel rumore assordante. Cosa mai potevo aver fatto per meritarmi di stare in una sorta di cella isolata dal mondo intero?
Passò un sacco di tempo prima che quel dannato rumore smettesse di darmi il tormento.
«E ora?», pensai, poi alzai lo sguardo quando sentii che qualcosa, sopra di me, si stava muovendo.
Della luce entrò all'interno di quella sottospecie di stanza, o cella, o quello che era.
Socchiusi gli occhi per l'improvviso impatto con la luce esterna, e qualcuno balzò a pochi centimetri da me.
«Cosa c'è nella Scatola? Un Fagiolino nuovo, vero?», disse qualcuno dall'esterno.
Mi sentivo come se fossi stata imbavagliata, squadrando il ragazzo che si era inginocchiato per guardarmi in faccia.
«Oh caspio...» Inclinò la testa, assumendo un espressione stranita. Si mise in piedi
«Newt?»
«Non ci crederete mai...» Alzò il volto, rivolgendosi alle persone che si erano raggruppate attorno all'uscita di quella... Scatola, a quanto pare la chiamavano così.
«A cosa non crederemo mai?»
«È... una ragazza.» Il ragazzo abbassò nuovamente lo sguardo su di me, «Ci hanno mandato una ragazza». Si sentirono sussulti dall'esterno, seguiti da borbottii increduli e commenti fuori luogo.
«Una ragazza?» Un ragazzo si sporse dal bordo e mi guardò incuriosito.
Non si era sporto del tutto, solo metà viso, e il suo naso a patata era praticamente poggiato sul bordo metallico. «Una Fagiolina? Cosa? Sul serio?»
Il ragazzo in piedi davanti a me sollevò un sopracciglio «Certo, Gally. Gli occhi non ti funzionano più?». Schioccò la lingua, chinandosi nuovamente davanti a me e porgendomi la mano, «Riesci ad alzarti?», domandò, e il tono acido che aveva rivolto poco prima all'altro ragazzo, sembrò essere sparito.
Annuii, cercando di calmare il respiro agitato per via del panico affrontato poco prima.
Provai a mettermi in piedi, sentendo le gambe tremare, pronte a cedere da un momento all'altro.
Il ragazzo mi porse la mano, e io la presi con un po' di incertezza.
Mi aiutò ad uscire da lì. Notai che erano tutti ragazzi. Tutti.
Sentii diversi commenti, gente incuriosita, affermazioni tipo "siamo sicuri che sia una ragazza? Magari è un ragazzo un po' effeminato!".
Mi guardai attorno, uscendo dalla folla ancora radunata attorno alla Scatola.
Era un posto apparentemente immerso nella natura, a parte per dei grossi muri altissimi che lo circondavano.
Un ragazzo di colore, alto e abbastanza robusto, si avvicinò a me. Cercò di sorridere con fare rassicurante, ma era palesemente un espressione forzata. Accanto a lui c'era lo stesso ragazzo che mi aveva aiutata ad uscire dalla Scatola. Si fermarono davanti a me, a braccia incrociate.
Gli altri ragazzi si radunarono dietro di loro, continuando con la loro serie di domande e sguardi ambigui verso di me.
«Quindi sei una ragazza», disse il ragazzo di colore. La sua finta espressione pacifica mi dava i brividi.
Mi limitai ad annuire, mormorando un "già". Quella situazione mi inquietava parecchio.
«Già», ribatté, «una Fagiolina». Ridacchiò tra sé e sé. «La prima ragazza, qui. Cosa ci fai? Perché i creatori ti hanno mandata qui? Ti ricordi qualcosa?», una serie di domande che mi spiazzarono come un uragano.
Sgranai gli occhi, stringendomi le braccia al petto, «Io... non lo so. Non ricordo nulla». Indietreggiai, poggiandomi una mano sulle labbra e mordendo nervosamente le unghie.
«Sono domande di routine, tranquilla. Nessuno ricorda qualcosa, la prima sera. Piano piano ricorderai il tuo nome. Almeno quello.»
Deglutii, e il ragazzo di colore si avvicinò di nuovo a me, porgendomi la mano, «Io sono Alby. Sono il capo qui».
Gli presi la mano, ritraendola il prima possibile.
«E questa è la Radura. Benvenuta, Fagiolina.»

Benvenuta nella raduraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora