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«Ne parliamo dopo» sviai entrando in casa. «Non scappare principessa» sussurrò con tono severo Alex, scostandomi i capelli dal viso.


Notai subito il borsone nero, gonfio e pieno di cose, parcheggiato all'ingresso «Dove vai?» chiesi intuendo già la risposta. Mi lasci di nuovo da sola?


E mio padre, con uno sguardo tranquillo e dolce, rispose alla mia domanda inespressa «Non ti lascio sola, ho visto che sei in buone mani» lanciò una rapida occhiata verso il ragazzo alle mie spalle «Hai la mano che sanguina» mormorò infine squadrandolo a capo a piedi.


«Non me ne ero reso conto» ammise guardando la pelle rotta sulle nocche. Alzai gli occhi al cielo «Solito sgabello, ci penso io» gli ordinai andando a cercare le garze.


«Niente di grave, non servono punti. Guarirai in fretta» affermai dopo un'attenta osservazione. «Come sai queste cose?» chiese stupito, ma mio padre fu più veloce di me a rispondere «Quando era piccola ha imparato a medicarsi da sola, non ha mai avuto bisogno di nessuno» il suo tono era quasi fiero, ma io non potevo dire lo stesso. Avevo imparato solo perchè non avevo avuto nessuno ad aiutarmi.


«La mia piccola bimba è sempre stata forte, so che si sa difendere» continuò gonfiandosi di orgoglio.


«Ne sono sicuro» replicò Alex sfiorandosi il naso con le dita. Io ridacchiai al ricordo della notte passata insieme a causa di quel pugno e le mie guance presero fuoco al pensiero del suo petto nudo. Cercai di cacciare in fretta quell'immagine distraente dalla mia mente notando i loro sguardi confusi.


«Il mio aereo parte fra due ore, è meglio che mi avvii. Aspetto le tue lettere» disse l'uomo che mi aveva cresciuto, più o meno in parte, baciandomi la fronte. Riuscii a trattenere a stento le lacrime nel vedere mio padre lasciarmi ancora. «Non vedo l'ora di ricevere le tue. Ti voglio bene, papà» mormorai con la voce che mi si fermava in gola, stavo per scoppiare a piangere, non avrei resistito ancora per molto.


«nga kayrâng la gawpo yö, piccola. Spero di rivederti ragazzo» e unì le mani in segno di saluto.


«Che significa?» mormorò Alex sperando che traducessi.


«Ti amo in tibetano» mi lasciai cadere sulle ginocchia, piangendo. Il grigio del cemento del vialetto si scurì sotto le mie lacrime.


«Torniamo in casa» mi circondò le spalle con il suo braccio, mi accompagnò fino alla mia camera e solo allora riprese «Non sei abituata a vederlo andare via?» mormorò sommessamente. «Non sono abituata a vederlo tornare, è diverso». Lui mi abbracciò forte ed io potei solo appoggiare la testa sul suo petto, inspirando lentamente il suo profumo. Mi accarezzò i capelli e per diversi minuti rimanemmo stretti in mezzo alla stanza, isolati da tutto.


Lasciò la presa e accese l'ipod collegato alle casse, scelse attentamente la canzone e premette play: la voce roca e profonda di George Ezra riempì la stanza.


«Adoro questa canzone, amo la sua voce» iniziai a canticchiare il brano ondeggiando la testa, gli occhi chiusi ancora arrossati e gonfi. Cercai di fare un riassunto della giornata: mio padre era partito di nuovo, Alex aveva rotto il naso ad Andrea dopo una scenata clamorosa. Troppo per una sola mattinata, fortunatamente la musica aveva un effetto terapeutico su di me.

Haaveilla (Dreaming)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora