Capitolo 8: Tempeste Interiori

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Alina:

Io e Mal riuscimmo ad uscire dal Non Mare, e ci accampammo in una radura disabitata per riposarci prima di ripartire. Quando fummo al sicuro mi isolai un momento e vomitai.
Tremavo davanti al fuoco del campo, anche se ero tra le sue braccia, che cercava di rincuorarmi.

"Alina non è colpa tua. Non avevi altra scelta" mi disse stringendomi per le spalle. Io mi appoggiai a lui annuendo soprappensiero, cercando del calore umano che mi facesse sentire viva.

Avrei tanto voluto credere alle sue parole ma non me lo permisi. Era per colpa mia, se tante anime erano morte in quella traversata.
Certo, non erano niente quaranta o cinquanta persone sulla  velasabbia, rispetto a tutti gli abitanti della città inghiottita dalla Faglia... ma le prime erano morte a causa mia... per una mia decisione, e non passava un minuto che io non rivedessi i loro volti o udissi le loro urla che mi perseguitavano.
Avrei portato questo peso per sempre, sperando o temendo, che ci fossero dei superstiti.
Che lui fosse sopravvissuto ai volkra. Cercavo di non indugiare su questo pensiero troppo a lungo.
Mal lo dava per morto e aveva chiuso il discorso.
Io mi sentivo spezzata in due, perché entrambe le alternative mi causavano fitte allo stomaco, tra l'angoscia e il lutto.

Provai a dormire mentre Mal faceva il primo turno di guardia. Mi raggomitolai in posizione fetale dando le spalle al fuoco.

Sognai di trovarmi in una tempesta di sabbia solcata dai tuoni.
Della sabbia nera mi sferzava il viso, mentre io avanzavo alla cieca socchiudendo gli occhi, riparandoli parzialmente con le mani.
Tra una raffica e l'altra mi sembrava di sentire la presenza di qualcuno.

Poi lo vidi. Prima i suoi occhi che mi scrutavano, poi il bel volto che emergeva dalla tormenta per poi rituffarcisi. Il generale Kirigan era davanti a me, come composto della stessa sabbia nera che lo distruggeva, e ricostruiva in un ciclo perpetuo.
Io mi avvicinai e allungai una mano per toccargli il viso. Era perfetto come il giorno che lo conobbi nel primo esercito. Austero e irraggiungibile nella sua kefta.
Il Kirigan di sabbia aprì gli occhi e mi vide con le sue iridi aride. La mia mano rimase a mezz'aria dalla sorpresa. La statua di sabbia si protrasse in avanti, per avvicinare la sua guancia alla mia mano ancora tesa. Poi posò la sua mano sopra la mia teneramente. Non potevo parlare perché con quel vento sabbioso era già faticoso respirare. Ma un lacrima riuscì comunque a sfuggirmi, per essere portata via con la prima raffica.

Non feci in tempo ad apprezzare quel gesto d'affetto che la situazione cambiò, e la mano della statua mi afferrò il polso duramente avvicinandomi a se.
Il suo volto sembrò giudicarmi colpevole. Io ritrassi il braccio di scatto, disperdendo parte della sua sabbia.
Kirigan iniziò a sgretolarsi davanti ai miei occhi, spazzato via insieme al vento.

Io caddi in ginocchio dove prima c'era lui

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Io caddi in ginocchio dove prima c'era lui. Affondai le dita nella nera sabbia e piansi. Almeno in questa desolazione potevo permettermi di piangerlo. Di provare rimorso e tristezza al pensiero che fosse davvero morto.
Malgrado tutte le cose orrende che gli avevo visto fare, il mio cuore trovava sempre delle giustificazioni per le sue azioni. E la mia razionalità, dopo la mia ultima catastrofica decisione, forse non ci considerava così diversi oramai.

Mi svegliai, sentendo le lacrime che mi bagnavano la mano su cui il mio viso era appoggiato. Mi raddrizzai seduta asciugandomi le gote.
Così vidi un piccolo livido sul polso dove la statua mi aveva afferrata. Essendo ferita in diversi punti del corpo pensai fosse solo una coincidenza.
Mi voltai verso Mal, coprendomi istintivamente il polso con la stoffa.

" Ho riposato abbastanza, ti do il cambio" dissi.
Lui mi sorrise esausto e accettò volentieri la mia offerta. Si sedette vicino a me, e si sdraiò posandomi il capo in grembo. Come fosse un riflesso, per l'abitudine che avevo di toccargli i capelli, iniziai ad accarezzarglieli e lui si addormentò.
Io continuavo a guardarmi intorno irrequieta. Sperando l'alba giungesse presto, per ripartire e mettere altro spazio tra noi e la Faglia d'Ombra.

Al sorgere del sole riprendemmo il cammino. Passando per dei villaggi rubammo dei vestiti stesi ad asciugare, e ci cambiammo.
Lasciai la mia kefta di seta blu, per indossare degli abiti grezzi e un vecchio cappotto con una sciarpa a righe.
Man mano che ci addentravamo nella città, mi stringevo sempre di più la sciarpa al collo, per paura che qualcuno potesse vedere il collare di corna, che mi avrebbe identificata come l'Evocaluce.
Questo sarebbe stato un problema in estate, pensai.
Camminando, tra i mormorii della gente al mercato, sentii che giungevano notizie sulla distruzione di Novokribisk, e della morte della Sancta Alina. Mi scese un brivido lungo la schiena per quelle parole. Ma mi dovetti abituare presto, perché questa era la notizia sulla bocca di tutti.
Un Incidente dentro la Faglia d'Ombra che ha portato alla distruzione di una città e la morte del l'Evocaluce... vidi addirittura qualcuno piangere per la perdita della Sancta. Ed altri che provavano a venderne le reliquie.
Io mi girai e proseguii con Mal che mi trascinava via dalla piazza.

La nostra nuova meta ora era Ketterdam. Io e Mal volevamo trovare nuovi alleati per riuscire poi un giorno a portare a termine la missione di distruggere la Faglia. Il potere del cervo ora mi apparteneva, ma non bastava. Era divenuta la mia missione diventare più forte per assolvere il mio compito.

Dovevamo imbarcarci su una nave per lasciare Rafka, e l'unica merce di scambio che avevamo erano le mie forcine d'oro. Per fortuna Genya me ne aveva sistemate un bel po' per domarmi la chioma. Quindi sarebbero bastate per le prossime spese.

Era strano trovarsi davanti al Vero Mare. Con il suo orizzonte infinito e le sue onde. Sperai di non soffrire di stomaco. L'imbarcazione sarebbe salpata entro poche ore, in modo da lasciare il tempo al carico merci di terminare il lavoro.
Ci sistemammo nel castello di prua per godere della vista del viaggio che ci aspettava. Ci sedemmo sul legno del ponte appoggiandoci l'uno all'altro, e mi addormentai. 

 

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