6) The power of:

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The power of the music:

The old piano

Frastornato, impaurito, stordito, arrabbiato, stizzito perché non riesci a trovare delle risposte, perché non c'è alcun ragionamento logico che tenga, perché in ogni caso, da qualunque prospettiva la si guarda questa faccenda non ha senso, non fila, non quadra.

Ti alzi ed esci come un treno dalla biblioteca, scaraventando quell'ammasso di carta lontano da te.

Tuttavia, prima di posare anche solo un piede sul primo gradino della scala, la tua testa scatta meccanicamente a sinistra dove sai si trova la sala della musica.

Suonare ti ha sempre rilassato i nervi così, mosso da una volontà non tua, ti dirigi lento verso quella stanza.

Quante volte sei entrato qua dentro, quante volte hai suonato questi strumenti fino a farti venire i calli alle dita, fino a prosciugarti le energie?

Ricordi, o meglio, la tua immaginazione produce queste scene perché tu qua non ci sei mai stato prima di oggi, vero Kun?

Distrattamente passi le dita sui violini appesi alla parete, rivedi l'arpa nell'angolo, i leggii, le custodie dei fiati, e poi la tua attenzione viene catturata dal pianoforte, unico protagonista, perfettamente al centro di quel teatro tondo. Quante volte hai già premuto quei tasti, consumati dal tempo e dall'esercizio?

Attratto come una falena dalla luce ti avvicini, sposti il seggiolino, ti siedi, apri il coperchio, sfiori i rettangoli bianchi e, mosso da una forza sovrannaturale, inizi a suonare.

Che cosa? Ma ovvio, La Tua Canzone, come l'ha soprannominata la maestra di pianoforte.

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Possiamo dire che hai sempre avuto un rapporto particolare con la musica: fin da piccolino, quando andavate nel reparto giocattoli, ti dirigevi a passo svelto e sicuro verso le pianole. Osservavi le scatole estasiato pregando la mamma di prendertene una. Alla fin fine, vista la tua insistenza, hanno ceduto e, per un Natale, te n'è arrivata una.

E qua è accaduto il miracolo: con le tue piccole manine hai cominciato a premere i tasti, non a casaccio bensì con un abbozzo di melodia. Giorno dopo giorno ripetevi sempre lo stesso ritornello. I tuoi genitori stufi di quella canzoncina ma contenti del tuo entusiasmo, pur di non spegnere la tua passione, hanno cominciato a farti prendere lezioni di pianoforte.

E anche lì, durante il primo incontro, hai fatto sentire alla maestra le note di sempre.

Col tempo sei migliorato, anche troppo e troppo in fretta, come se conoscessi già la tecnica e avessi solo dovuto dare una ripassata alla pratica.

Di pari passo anche la tua canzone è migliorata. Ha preso forma: da suoni a casaccio ad una vera e propria melodia.

Finché, un giorno, è capitato: sei arrivato in anticipo a lezione così, nel mentre aspettavi la prof, ti sei messo a suonare. Era, è e continua ad essere più forte di te: un'energia cosmica muove il tuo corpo quando sei davanti a quello strumento. Le dita si muovono da sole tirate da fili invisibili di un diabolico burattinaio. Se non suoni quel pezzo minimo tre volte al dì non riesci a dormire. E quel giorno ha fatto lo stesso. Peccato che nel mentre sia arrivata l'insegnante.
Hai perso 10 anni di vita quanto dal nulla sono scoppiati degli applausi. Quella donna è rimasta talmente colpita che ti ha chiesto  lo spartito perché voleva provare a suonarla pure lei.

Nei giorni successivi hai ribaltato la casa in cerca di quel pezzo di carta, hai messo sotto interrogatorio i tuoi genitori, zii, nonni, ma tutti hanno dato la stessa risposta. Non si sa dove tu l'abbia sentita per la prima volta, non si sa chi te l'abbia insegnata, si sa solo che fin dal primo momento tu la sapevi suonare.

A Fragmentary PassageWhere stories live. Discover now