Capitolo Diciotto - Inaspettata felicità

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Ashton

Davanti all'immagine di Willow, che comprava i biglietti per il metrò, con quel cappotto sgargiante e l'espressione concentrata, mi chiesi, per la milionesima volta, che cosa diavolo ci facessi a Parigi.

Quando mi era arrivato quel messaggio, che poi avevo scoperto essere stato inviato da Brandi, ero rimasto come pietrificato. Mi sarei aspettato di tutto, meno che Willow mi invitasse a raggiungerla a Parigi.

Insomma, quasi nemmeno ci conoscevamo e lei mi proponeva di passare un weekend assieme in una stupenda città europea.

Avevo passato un quarto d'ora buono, seduto sul mio letto, con il cellulare tra le mani e lo sguardo fisso su quello schermo illuminato. Non avevo la più pallida idea di cosa rispondere, di cosa fare.

Così, per evitare di impazzire o di scrivere qualche stupidaggine, avevo deciso di chiedere aiuto a Edwin. In quanto a situazioni sentimentali non esisteva persona più esperta di lui, dato che portava avanti una relazione praticamente perfetta da anni e anni ormai.

Lui mi aveva consigliato subito di buttarmi, senza pensarci troppo. Mi aveva detto che se mi interessava conoscere meglio quella ragazza e che se passare del tempo con lei risultava piacevole per il mio umore, allora sarei dovuto partire.

Quella conversazione era stata origliata, dall'inizio alla fine, da Benjamin, che aveva deciso di intromettersi. Era saltato sul divano in stoffa di casa nostra, sedendosi scompostamente tra me ed Edwin.

E mi aveva detto solo questa frase: "Amico, se non vai te ne pentirai per il resto della vita".

Benjamin mi conosceva fin troppo bene e sapeva che non ero una persona che passava le sue giornate a scambiarsi messaggi con le ragazze o a sorridere come un deficiente davanti allo schermo di un cellulare.

Io e lui non avevano bisogno di parlare per capire come ci sentivamo. Bastavano le nostre espressioni facciali, i nostri gesti, per farci comprendere lo stato d'animo l'uno dell'altro.

Perciò Benjamin mi aveva rivolto quella frase, sapendo che, anche se non lo avrei mai ammesso ad alta voce, io, ormai, avevo un interesse nei confronti di Willow.

Un sentimento che non avevo mai più provato da quando mi ero arruolato nell'esercito. E nonostante avessi paura di far soffrire qualcuno, di rovinare tutto con i miei timori e i mostri del mio passato, che vivevano dentro di me, c'era come una vocina che mi spingeva a buttarmi in quella nuova conoscenza.

Quando poi, la sera stessa, al lavoro, Edwin e Benjamin si erano presentati con la carta d'imbarco, riportante il mio nome e come destinazione: Parigi, avevo capito che ormai non avrei più avuto scelta. Sarei dovuto partire.

E così avevo fatto.
Ma in quel momento, ritrovarmi lì, con quella donna così diversa dalle altre, così genuinamente bella e divertente, mi faceva sentire fuori posto.

Io, freddo, distaccato e diffidente, che salivo su un aereo per raggiungere una ragazza che a malapena conoscevo. Io che la seguivo per la città, ammaliato dal modo in cui mi spiegava la storia di quei palazzi e l'architettura di quei monumenti storici.

Non era assolutamente una cosa da me.

Mai e poi mai avrei pensato di vedermi sotto quella prospettiva di assoluta normalità. Lontano dalla guerra, dalla tristezza e dai brutti ricordi.

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