10 - Hai visto che figata?

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Un pallido cono di luce illuminava fogli sparsi.

Seduto alla scrivania Alessandro studiava.

Un sospiro inatteso interruppe la sua concentrazione. «Sono tosti questi esercizi» sbuffò, sgranchendosi e inarcando la schiena. Gli occhi erano stanchi; dell'ultima lezione aveva quasi completato il programma.

Mentre una musica orientale, distensiva e lenta, usciva dalla sua nuova cassa bluetooth guardò fuori, in direzione della Mole. Nella balconata appena sopra la cupola, i flash intermittenti delle macchine fotografiche creavano una fascia scintillante di luci bianche che attirarono la sua attenzione.

«Studiare quando gli altri si divertono. Avrei bisogno di fare qualcosa di diverso» sussurrò a bassa voce. «Una pausa. Ecco. Un po' di allenamento è quello che ci vuole».

Quindi si stiracchiò, si alzò e lasciò la camera.

Aveva preso l'abitudine a distendere i muscoli facendo un giro veloce tra i diversi piani della struttura. Sfruttava il lungo dedalo di corridoi e scale per fare movimento senza dover uscire all'aperto. Ne aveva quasi fatto una routine, al punto che la preferiva al tapis roulant della palestra. Strada facendo passò davanti alla camera di Riccardo.

Vediamo cosa sta combinando. Sicuro non sta studiando.

Bussò alla porta e aprì lentamente. Dopo l'ultima entrata spavalda - in cui l'aveva beccato con Silvia - ora usava prudenza. Del resto, aveva imparato a sue spese che poteva aspettarsi di tutto.

Dentro, invece, non c'era nessuno.

Tuttavia, qualcosa di strano attirò la sua attenzione. Strinse gli occhi per capire meglio non avendo compreso il senso di quello che vedeva. Una singolare espressione di dubbio gli comparve sul volto.

Che minchia è quella roba!?

A giudicare dal profilo sembrava una astronave aliena. Pareva quasi che un mini UFO fosse atterrato direttamente sul letto. Mentre provava a decifrare quell'oggetto strano sopraggiunse Riccardo da dietro, che lo colpì con una leggera ginocchiata nel poplite facendolo sbilanciare. «Entra pure. Fai come se fosse camera tua» protestò lui prendendolo in giro.

«Ma che hai comprato stavolta!?» sbottò Alessandro.

Riccardo amava stupire, e si compiaceva di ciò. Un sorriso gli si dipinse sul viso. «Hai visto che figata!? Questo, amico mio, è un hang!» disse schioccando la lingua.

«Un hang?» ripeté in una maschera di smarrimento. «E cioè?»

«Uno strumento musicale» chiarì lui, con un gesto alternato delle mani a simulare colpi di bacchette su un tamburo.

«Ma dai!?»

«Vedilo come un classico djembe o un darbuka.»

«Ah, ecco. Quello che fa strano è che non somiglia a nulla di conosciuto. È molto diverso da uno strumento "classico"» osservò Alessandro, facendo le virgolette con le dita.

«La particolarità è nella forma e nel materiale. A differenza della maggior parte degli strumenti di percussione questo è fatto tutto d'acciaio.»

«E suona bene?» s'informò.

«Ci puoi giurare. Ha una scala armonica completa e molto ampia, con bassi profondi e note distinte. Una vera meraviglia.»

«Come funziona?» s'interessò.

«Si suona con le mani, come un djembe. Adesso ti faccio vedere». Riccardo lo prese, si sedette sul tappo sgabello e lo poggiò sulle gambe. «Queste cavità laterali definiscono la scala tonale e la cupola il basso» disse, indicando le conche sui fianchi e la protuberanza centrale.

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