Capitolo X

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Era maledettamente presto. Le ultime stelle si stavano attardando all'orizzonte, mentre le prime luci tingevano il cielo in delicate tonalità pastello. Le piaceva l'alba, riusciva a rendere sopportabile la levataccia. Sorrise mentre scendeva dal letto strofinandosi gli occhi cisposi. I colori sulle nuvole le riportavano alla memoria un ragazzo, Mett, faceva il pittore e poco più di un anno prima le aveva fatto vedere un quadro, non ne aveva mai visto uno prima, era bellissimo. Beh, oddio, non è che glielo avesse proprio mostrato. Le aveva offerto da bere, due paroline carine, un paio di monete d'oro e si erano ritrovati nella sua camera. Era così ubriaca, tanto da non accorgersi delle dita di lui che lentamente si facevano largo sotto la gonna, lungo le cosce e poi su fino al pube, dita che con calma e perizia si insinuavano sotto la biancheria, mentre l'altra mano afferrava saldamente uno dei suoi seni abbondanti da sopra la camicetta. Si morse un labbro ripensando a quei momenti. E poi eccola in ginocchio, la gonna tirata su fino al sedere, le mani di lui a tirarle i capelli. Ricordava il vigore dei colpi, ricordava le gocce di sudore che dalla fronte scivolavano sul naso procurandole prurito, la sensazione delle lenzuola pulite strette nei pugni, i grugniti di lui, gli schiaffi sulle natiche, i suoi gemiti, le sue preghiere. E poi, dritto di fronte a lei, ecco il quadro. Se ne stava li, sul suo cavalletto e si godeva la scena. Come un voyeur, ma con meno masturbazione.

L'immagine di quel quadro la perseguitò fino alla sala grande, dove un gruppo di viaggiatori stava attendendo che qualcuno desse loro da mangiare per proseguire il cammino. Ora che il ricordo di Mett le si era insinuato nel cranio come una piccola termite, non riusciva a pensare ad altro. Dio, erano settimane che non si faceva una scopata come si deve. In realtà erano settimane che non si faceva una scopata in generale e per questo la sua libido le faceva strani scherzi, diverse volte si era trovata a lanciare sguardi languidi a personaggi che, riacquistata la normale lucidità, le avevano fatto accapponare la pelle dal raccapriccio. Mentre si destreggiava tra tavoli, occhiatine e lunghissime mani, la sua attenzione venne catturata dall'angolo più buio di tutta la sala. Tornata al bancone, allungò una gomitata a Barberio, il cuoco, chiedendo informazioni sul tipo che sorseggiava birra nel sopra citato angoletto buio. Barberio, il cui numero di menti e nuche era lungamente superiore alla sua arguzia, si limitò ad osservarla con acquosi occhi bovini e a scrollare le spalle, facendo vibrare pericolosamente tutta la sua pappagorgia. Un rapido controllo agli altri tavoli ed era già partita in direzione del misterioso uomo dagli strani abiti: una strana giubba di lana dalla trama bizzarra e di una tonalità di verde che non aveva mai visto, sopra ad un paio di calzoni blu di un tessuto a lei sconosciuto e, oh cielo, proprio non voleva parlare di quei ridicoli calzari neri e bianchi. Si avvicinò con sicurezza, forte del corpetto che strizzava i suoi grandi seni sodi e copriva a mala pena il capezzolo. Lisciò la gonna e sfoderò il suo miglior sorriso

-Salve-

Il ragazzo alzò lo sguardo dal suo boccale di terracotta e grugnì qualcosa che poteva essere "salve" oppure anche "va' a farti fottere" non aveva capito molto bene.

-tutto bene? Ha bisogno di altro?- non aveva intenzione di mollare la presa.

-tutto a posto, grazie- borbottò l'altro di risposta

-per qualsiasi cosa non esiti a chiamarmi, io sono Lisabella-

-buono a sapersi-

-a questo punto dovresti dirmi il tuo nome-

La guardò, fingendosi perplesso –ah si? E perché dovrei?-

-perché è così che le persone si comportano. È quello che la gente si aspetta a questo punto di una conversazione-

-persone strane la gente, te lo dico io-

Le ci volle qualche minuto per capire, poi si riprese –vabeh, fa' quello che ti pare- e si alzò, catarticamente stizzita

L'uomo, il Tempo ed un bicchiere di capreWhere stories live. Discover now