Capitolo XI

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Aveva passato tutta la notte, e gran parte della mattina, ad urlare e scalciare, con il volto coperto da un pesante cappuccio che puzzava di avena ammuffita, malamente appollaiata sulla spalla del bandito più grosso e pelato. Di tanto in tanto le urlava di starsene zitta e di smettere di scalciare, poi le colpiva la coscia con la mano ruvida, quindi brontolava qualcosa per una buona mezz'oretta e ricominciava tutto da capo. Erano andati ad est. No, forse era sud. Decisamente sud. Anche se, ad un certo momento, il sud aveva cominciato ad assomigliare pericolosamente al nord. Non aveva mai avuto un grande senso dell'orientamento. Stanca dopo tanto scalciare, si era messa a pensare al suo Grampasso. Sarebbe riuscito a trovarla? Sarebbe giunto da lei in sella ad un destriero color delle nuvole, per uccidere tutti quei luridi banditi, e portarla finalmente a vivere come una principessa? Il suo Grampasso non l'avrebbe abbandonata. Rincuorata dai dolci pensieri del suo amato che, in armatura scintillante, la sollevava e la baciava con passione, riprese a scalciare e ad urlare.

Si fermarono. Un lento cigolio. La puzza di animali coprì quella di avena ammuffita. Pochi passi dentro quella che aveva tutto l'odore di essere una stalla, venne gettata per terra. Non potendo più trarre vantaggio dallo scalciare, decise di concentrare tutte le sue forze sull'urlare, che le riusciva pure discretamente bene. Qualcosa la colpì sulla testa e perse i sensi.

La locanda era un posto tremendamente rumoroso e sgradevolmente affollato, cosa da cui dipendeva anche il tremendo puzzo di sudore. Giovanni Purpuzza era andato a farsi un goccetto. Era piuttosto alto, dal fisico asciutto e possente di chi lavora nei campi. Aveva quasi trent'anni, e da tre era sposato con la figlia del Demonio. Non che fosse brutta, poverina, era persino una donnina piacente. Così secca secca, con il viso lungo e vagamente equino. La trovava accattivante, se solo non fosse stata così insopportabile. Criticava quando faceva male un lavoro, e pure quando lo faceva per bene. Per levarsela di torno, aveva preso ad andare giù alla locanda. Giù alla locanda nessuno gli rompeva le scatole. Giù alla locanda era un beone come tutti gli altri. Erano molto democratici, giù alla locanda. Tranne quando arrivavano Eustachio e la sua banda. Ed infatti la porta si spalancò, lasciando entrare un ometto mingherlino, dagli occhi sporgenti, mento affilato e quasi senza labbra che sghignazzava fregandosi le mani. Dietro di lui stavano i tre Gemelli. Nessuno conosceva il loro nome. Anche perché nessuno li aveva mai sentiti parlare. Qualcheduno era arrivato a supporre che si chiamassero Schiaffoni-Sulla-Faccia, ma qualcun altro aveva detto a questi di non essere sciocchi. Però il nome calzava alla perfezione, quindi tutti, segretamente, li chiamavano Gemelli Schiaffoni-Sulla-Faccia. Quelli ai lati avevano entrambi un neo. Uno lo aveva sulla guancia destra (Faccia) e l'altro sulla guancia sinistra (Schiaffoni). Quello in mezzo era il più grosso, il più arrabbiato e quello con meno nei di tutti (Sulla). Se gli occhiali da sole fossero stati già inventati, loro di sicuro ne avrebbero avuto un paio cattivo e vistoso. Ovviamente, però, il signor Purpuzza non poteva avere idea di quanto sarebbero stati più minacciosi con un adeguato paio di occhiali neri. Per cui si limitava a temerli così, nature.

Il locandiere era un uomo forte. Molto forte. Aveva due mani grosse come badili, avanbracci possenti ed il torace ampio di chi ha passato metà della sua vita a spaccare legna e tenere a bada i grizzly. Nessuno, però, era sicuro dello spaccare la legna. I lunghi capelli neri erano quasi sempre tenuti assieme con un legaccio, terminando in una coda. Era più vicino ai cinquanta che ai quaranta e la folta barba nera, cominciava a striarsi di grigio appena sotto gli angoli della bocca, che in quel preciso istante, avevano assunto quella particolare angolazione che tanto faceva cacare sotto i grizzly. I Gemelli non erano proprio dei grizzly però, fossi stato in loro, mi sarei cacato ugualmente.

Eustachio continuava a ridacchiare e a guardarsi in giro come se fosse tutta roba sua. Per anni, i banditi avevano richiesto il pagamento di una piccola tassa in cambio della loro protezione e benedizione. Il locandiere, Tom, aveva sempre pagato. Non che fosse intimorito dai gemelli, dai pericolosi altri briganti che bazzicavano da quelle parti o dal segaligno Eustachio, più che altro era un uomo mite e non aveva voglia di fare questioni. Gli affari non andavano male, era una spesa non necessaria ma che comunque non gravava sulla sua economia. Adesso, però, stavano cominciando a farla un po' fuori dal vaso. Maltrattavano i clienti, li rapinavano o li ricattavano. Tom cominciava a stufarsi.

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⏰ Last updated: Feb 22, 2016 ⏰

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L'uomo, il Tempo ed un bicchiere di capreWhere stories live. Discover now