Capitolo VI

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Si svegliò con un'emicrania da peggiori bar di Caracas. Non ricordava granché della sera precedente. Aprì gli occhi ritrovandosi in una stanzetta di pietra in cui gli spifferi la facevano da padrone. Oltre allo scomodo letto di paglia in cui si era svegliato, e che non era decisamente il suo, l'arredamento contava un tronco d'albero come comodino ed una sedia di legno grezzo. Molto rustico.

Ora che aveva analizzato a fondo l'ambiente che lo circondava, doveva scoprire solo tutto il resto. Che posto era? Come ci era arrivato? Perché? Si mise seduto, passandosi le mani tra i capelli, sperando che qualche ricordo potesse affiorare. Guardò fuori dalla piccola finestra: un sacco di alberi dalla corteccia scura spuntavano da un morbido manto di candida neve. Faceva un freddo becco in quella stanza. Si rese improvvisamente conto di essere senza vestiti, in casi normali non si sarebbe preoccupato, gli era capitato spesso di svegliarsi nudo, senza ricordare di come la figona di turno fosse finita sotto le sue lenzuola. Il problema stava nella mancanza della figona sopra citata, e all'improvviso si ricordò di una cosa importantissima: l'orologio. Spaventato cominciò a cercare, tastò tra le coperte, sotto il comodino, nulla. Si lasciò cadere sconsolato sul letto. Il Cuoco gli aveva dato una sola missione: proteggere quel piccolo oggetto a qualunque costo, e, ovviamente, lo aveva deluso.

Improvvisamente dalla porta provenne un poco rassicurante rumore di ferraglia, che andò avanti per qualche secondo. Poi bussarono.

-Avanti- disse, non sapeva se essere sollevato o spaventato, dietro quella porta avrebbe potuto esserci chiunque, persino l'Ordine.

La porta si aprì scricchiolando e ne entrò un ometto barbuto. Il corpo muscoloso e tonico mascherava una vecchiaia tradita solo dalla calvizie e da una peluria bianca sul viso e sulla nuca.

-È proprio vero, a casa del fabbro le serrature non funzionano mai- disse indicando la porta.

Appollaiato sulla cima della collinetta, il grande castello di Rocciaviva dominava la pianura innevata. Era uno dei castelli più antichi mai costruiti, raccontavano di tanto in tanto i vecchi contadini per darsi delle arie, come se lo avessero costruito loro. L'attuale signore di Rocciaviva, conosciuto anche come il grande e magnifico Bob, era un omone buono e benvoluto, che amministrava con saggezza la vita nei suoi possedimenti. Era un buon cristiano, come tutti, del resto. L'unica differenza era che lui era veramente un buon cristiano, e non solo quando gli faceva comodo. Amava sua moglie, i suoi sudditi, i suoi figli e persino i figli del vescovo, non aveva amanti e non era mai stato a letto con altre donne se non con sua moglie. Insomma, la vita trascorreva felice nel grande feudo, ed il signor C. c'era capitato in mezzo. Spaesato come solo un uomo del ventunesimo secolo sparato nel medioevo da una mortale stanza girevole può esserlo, non aveva alcuna idea di come sarebbe sopravvissuto. Il fabbro, dal canto suo, aveva preso in simpatia quel giovane dai vestiti strani e dal bizzarro modo di esprimersi, offrendogli vitto, alloggio e la possibilità di diventare suo apprendista.

Intanto, dall'alto della torre ovest di Rocciaviva, una figura solitaria stava in piedi davanti alla finestra, con le mani giunte dietro la schiena leggermente curva. Erano giorni, forse mesi che stava a quella finestra, impaziente. Finché, la notte di due giorni prima, aveva visto un bagliore tra gli alberi. Oh, certo non era stato un lampo come tutti avevano scioccamente pensato, e lui lo sapeva bene; giorno e notte era stato attaccato a quella dannatissima finestra, in attesa che venisse il momento giusto, in attesa che la sua sofferenza venisse finalmente alleviata. Fece due passi indietro, si sedette sul letto e cominciò a guardare distrattamente il fuocherello che si agitava placidamente nel camino, inondando la stanza di un piacevole tepore. La storia può essere riscritta, si disse mentre tornava verso la finestra, può essere riscritta.

L'uomo, il Tempo ed un bicchiere di capreWhere stories live. Discover now