Capitolo VII

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I giorni scivolavano pigramente uno dietro l'altro con una lentezza esasperante, lasciando dietro di sé lunghe scie di collosa noia, rinchiudendo C. in una triste gabbia fatta di routine tra ferri di cavallo e tegami.

La quiete del villaggio venne disturbata dalla misteriosa apparizione di un fascinoso cavaliere che, carico di stoffe pregiate, oro e boria, si dirigeva impettito verso il castello. Nella grande piazza del mercato, non si parlò d'altro per giorni, tutti facevano congetture su chi fosse il misterioso ospite. Beh, quasi tutti. C. si teneva più lontano possibile da quella faccenda, non aveva idea di chi fosse quel tizio e di certo non aveva intenzione di scoprirlo. C'era, però, qualcosa che lo turbava, come un dejà vu: quel viso, quell'atteggiamento, non gli erano nuovi. Certo doveva per forza essere solo un impressione, in fondo era svariati chilometri e svariate centinaia di anni lontano da tutto ciò che conosceva. Purtroppo, come spesso accade in questo genere di storie, non si sbagliava, lo conosceva eccome.

Passata qualche settimana, le leggende intorno al cavaliere si fecero sempre più fantasiose, erotiche e raccapriccianti tanto da sembrare appena uscite da un romanzo di George Martin. Tutto fino al giorno del grande annuncio.

Poco prima di mezzogiorno, in una giornata particolarmente calda, il banditore del castello annunciò le imminenti nozze tra il cavaliere e la principessa di Rocciaviva, nonché primogenita del Magnifico Bob e rinomata fica spaziale, Lady Cloe.

Dalla più alta delle finestre della torre ovest, la figura solitaria osservava la gente in festa. Lui era il solo a sapere che c'era ben poco di cui essere allegri, non immaginavano nemmeno quanto le loro vite fossero in pericolo. Non restava altro che sperare che il suo piano funzionasse. Aiutaci, C., sei la nostra sola speranza.

7.2

Sta storia del matrimonio gli stava seriamente dando sui nervi. La mole di lavoro alla fucina cresceva a vista d'occhio, lavorava dalla mattina alla sera e, nei pochi momenti di riposo, si rinchiudeva nella puzzolente taverna a mangiare uova strapazzate e bere birra calda come piscio servita da omoni pelosi. Tutti non facevano altro che parlare delle imminenti nozze tra Lady Fichetta di Rocciaviva e Lord Nonsoché di Chissà dove. Li odiava. Così si limitava a guardarli male tra un boccale e l'altro, ma più l'alcolemia saliva, più le occhiatacce diventavano buffe e assolutamente poco minacciose, e la festa cominciò quasi ad andargli a genio. Un paio di contadinelle dall'altra parte della sala avevano abbastanza alcool in corpo da esibirsi in una pudica lap dance, ma non abbastanza da darla via al miglior offerente. Dalla birra si passò ad un distillato di qualcosa che avrebbe anche potuto essere bava di cane, per quanto lo riguardava, e la festa prese il largo nel grande oceano degli occhi assenti, del vomito e dei mal di testa.

La mattina era il momento peggiore, quando le cose riacquistavano la loro forma e la coscienza faceva ritorno dalle sconfinate praterie della terra dell'alcolemia. Allora si guardava dritto nello specchio, trovandosi sporco, spettinato e con una barba spelacchiata sparsa sulla faccia. Si stropicciava sbuffando, questo di certo non aiutava a migliorare il suo umore già pessimo. Depresso come il rock di Seattle, si avviava strascicando i piedi verso l'afosa fucina, pronto ad affrontare una nuova giornata.

A diverse centinaia di anni, l'Ordine passeggiava nervosamente nell'ufficio del Custode. La situazione gli era decisamente sfuggita di mano. Era seccato, tremendamente seccato. Aveva commesso il terribile errore di sottovalutare il suo nemico che, prontamente, aveva spedito l'oggetto del suo desiderio in qualche angolo sperduto dello spazio e del tempo e che ora se ne stava li a fissarlo con la sua peggior faccia da culo. Aveva una voglia matta di lanciargli qualcosa. Lo fece aiutandosi con un posacenere irragionevolmente pesante, mancando il bersaglio e polverizzando l'orrendo busto di gesso alle sue spalle. Poco male, ma doveva decisamente lavorare un po' sulla mira. Passò i successivi dieci minuti a sbraitare e minacciare, poi, paonazzo ed ansimante, cominciò a minacciare a voce più bassa, finché, esausto, andò a coricarsi. Doveva cominciare ad odiare la gente meno intensamente, non aveva più l'età per certe cose.

Dall'altra parte della strada, un tizio fasciato in un costoso abito italiano nero, stava spaparanzato in un grande furgone nero. Nonostante l'ora indossava un brutto paio di occhiali da sole. Erano veramente brutti. Li odiava. Aspirò un po' di coca dalla cannuccia mezza mangiucchiata e si cacciò in gola l'ultimo morso di un raccapricciante hamburger untuoso. Era li da ore. Aveva visto le luci dalle finestre spegnersi una ad una, ed era ormai passata mezz'ora da quando la villa non dava più alcun segno di vita. Per quella sera poteva bastare. Accese il motore e lanciò gli occhiali in qualche punto indefinito dell'abitacolo assieme a chissà quanti altri.

Quando finalmente arrivò a casa, si tolse il costoso completo italiano lanciandolo malamente in un angolo, accese il grosso pc e ci si sedette davanti collegando la macchina fotografica. Non era proprio sicuro di cosa stesse cercando, ma qualcosa gli sarebbe venuto in mente. Il capo lo aveva messo alle corde, non poteva proprio permettersi di sbagliare.

L'uomo, il Tempo ed un bicchiere di capreWhere stories live. Discover now