Capitolo III

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Si girò tra le morbide lenzuola profumate, le tastò, le accarezzò con una convinzione che nemmeno la migliore valletta di televendita avrebbe potuto mostrare. Nonostante tutto non riusciva proprio a prendere sonno; certo non dopo  i recenti sviluppi. Fissò il sontuoso baldacchino immerso nell'oscurità. Qualcosa non quadrava. Cercò tra gli eleganti finimenti d'oro, nulla; cercò tra la porpora e l'ermellino, nulla; le colonne d'ebano cesellato in squisito barocco. Cos'era? C'era quasi, lo sapeva. Poi se ne accorse, il problema non era nel baldacchino, era appena dietro. Una figura alta, longilinea, avvolta in una vestaglia di velluto. Sbatté un paio di volte le palpebre, quindi controllò nuovamente. Non c'era nulla. Sarà la stanchezza, pensò. Si alzò dal letto dirigendosi verso la porta-finestra, la aprì. Era una bella serata. Si appoggiò al parapetto. Il cielo nero si apriva in infiniti puntini luminosi, pensò che attorno a ciascuna di quelle stelle orbitavano dei pianeti, tanti di quei pianeti da far girare la testa. Prese l'orologio di Budapest e lo osservò; a poco a poco, i bordi, stavano già diventando rossastri. Pensare che lo aveva comprato per caso, si era fermato nel negozietto solo perché in banca non cambiavano le monete, e tutti gli stramaledetti commercianti di Budapest si ostinavano a dargli il resto in spiccioli. Così lo aveva preso

-nulla accade per caso- si disse.

No, ferma tutto, non era stato lui a parlare, non era la sua voce quella. Appena se ne rese conto, si volse. L'uomo con la vestaglia era in piedi accanto a lui con le mani dietro la schiena. Ora, alla luce della luna, riuscì a capire cosa ci fosse di sbagliato in quella misteriosa figura.

3.2

Quanto adorava camminare la sera. Proprio quando le persone si rintanavano a consumare l'ultimo pasto della giornata, le strade erano deserte al punto giusto, lasciandogli il piacere di assaporare la città. Non aveva fretta, del resto era solo una passeggiata. O, almeno, lo era stata finché non aveva sentito quell'odore. Lo avrebbe riconosciuto in capo al mondo. Ma da dove proveniva? Erano anni che aspettava di sentirlo, forse quello era davvero il tempo della sua ascesa.

Non sembrava una vera persona. Certo, il fisico era proprio quello di un uomo, un uomo parecchio alto, ma comunque un uomo. Era il viso ad essere decisamente poco umano, come se fosse coperto da uno spesso passamontagna di epidermide. Non aveva occhi, bocca né narici. Due sottili bande nere correvano attorno tutta la testa per verticale ad uguale distanza dal naso, passando proprio per la lieve conca oculare. Sorrise, per quanto possa sorridere un uomo che al posto della bocca ha solo una lieve protuberanza

-Non avere paura- la sua voce profonda sembrava trasmettersi da cuore a cuore

-chi, o quantomeno cosa, sei?- chiese C. visibilmente più calmo

-è una domanda un tantino complicata-

-quindi il solito “tutto a tempo debito”?-

-Oh, no di certo, è necessario che tu comprenda qui ed ora chi sono io. Io sono Il Cuoco-

-il Custode, il Cuoco, ma i vostri genitori andavano pazzi per il Doctor Who?-

la ristata del misterioso Cuoco si propagò nel corpo di C. dandogli una sensazione di calore, di pace e di appagamento

-sono conosciuto con molti nomi; diciamo che il Cuoco è quello che mi sembra più calzante-

tirò fuori dalla vestaglia un grande mestolo nero come la notte -mi chiamano il Cuoco perché io ho cucinato la grande Zuppa-

C. non sapeva se scoppiargli a ridere in faccia o scappare urlando. Non era riuscito ad afferrare di quale zuppa stesse parlando. Per un attimo pensò che fosse uno strano scherzo, ma quando hai davanti uno spilungone di due metri senza faccia e i capelli alla Wolverine, capisci che è difficile che qualcuno abbia anche il cattivo gusto di prenderti in giro.

-la grande che?- tentò disperatamente di riacciuffare le redini del discorso

-la grande Zuppa Primordiale, ovviamente- il Cuoco sembrava stupito, come poteva non aver capito una cosa così banale?

L'uomo, il Tempo ed un bicchiere di capreTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon