Capitolo Ottavo: Poco rumore, tanta poesia.

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-Mamma, non torno a casa stasera.... c'è una festa a casa di Marco.... viene anche Paolo.... torno domani mattina, vado anche ad accompagnare Madda in stazione, presto... so, lo so.. poco preavviso.... si.... tranquilla, ti voglio bene Ma'. A domani, grazie.

Ero ammirata, non aveva balbettato nemmeno per un attimo, e aveva mentito solo per fare un piacere a me. Io mi sentivo un po' in colpa, ma la gioia di averlo tutta la sera e tutta la notte per me, con me, me lo faceva nascondere molto bene.

-Forza, Fiorellino, ho fame, andiamo.

-Si, andiamo.

E ci avviammo così. Uno in fianco all'altro; il suo giaccone blu, il mio cappotto verde acqua, e lui col mio zaino per non farlo pesare a me, ed entrambi con il viso arrossato dal freddo pungente. Ma anche la mia mano nella sua, stretta, baciata di tanto in tanto. E la neve, che aumentava sempre, così tanto che temevo fosse tutto un sogno, un quadro immacolato, una pagina di un libro già letto a cui si sono cancellate le parole perché ormai le hai imparate a memoria, non ti servono nemmeno più.

E il silenzio, surreale, perchè la neve è da guardare, non bisogna rovinarla con le auto, quindi niente auto.

Niente auto, poco rumore.

Poco rumore, tanta poesia.

...

Salutai il custode con un cenno, e mi avviai verso le scale con James che, non appena la porta del mio appartamento fu aperta si buttò sul letto pregandomi di alzare il riscaldamento, accusandomi scherzosamente di volerlo far morire congelato.

Mi tolsi il cappotto e le scarpe, lui fece lo stesso e pescò dal mio armadio una delle felpe che gli avevo rubato e un paio di suoi pantaloni della tuta che aveva dimenticato in qualche occasione. Si sfilò il maglione e lo appoggiò sulla sedia, io mi misi a guardarlo, appoggiata al tavolo della camera. Sbottonò la camicia azzurra, lasciando intravedere l'addome scolpito dai pomeriggi passati ad allenarsi in piscina, prima di venire a trovare me, nel tragitto verso casa.

Ogni volta me lo ritrovavo davanti, coi capelli un po' bagnati, il borsone in spalla e la pelle che ancora sapeva di cloro. metteva il naso dentro ed era sempre morto di fame, ma prontamente, Teresa ed io ci prodigavamo per condividere con lui un po' dei nostri esperimenti culinari.

Mi salutava sempre con un grosso bacio, solitamente sulla fronte, ed io credo di aver cominciato ad innamorarmi proprio così, tra un abbraccio e un biscotto, tra un film e uno scherzo, tra uno sguardo e un sorriso.

Mentre ero persa nei miei pensieri, il mio sguardo cadde sul suo addome, dove c'era una cicatrice bianca lunga all'incirca 3 centimetri, mi avvicinai per osservarla e la sfiorai delicatamente. Non mi aveva mai raccontato come se l'era fatta, ma ricordo il giorno in cui mi aveva detto di essersi procurato una cicatrice. Era il giorno in cui io avevo ricevuto la lettera, il giorno in cui l'avevo chiamato per dirgli che sarei andata a trovarlo per il suo compleanno, e alla domanda: "Quanto resti?", avevo risposto "Tre... anni." e lui aveva quasi pianto insieme a me per l'incredulità mista alla gioia del momento.

Tornata nel presente, strinsi le mie braccia attorno alla sua vita e lui mi prese il volto fra le mani, dandomi un altro bacio sulla fronte. Appoggiai l'orecchio sul suo cuore e mi domandai se, di nuovo, non fossi bloccata in un bel sogno destinato a finire al suono della sveglia.

"Se devo svegliarmi, voglio svegliarmi adesso", pensai.

Eppure nessuna sveglia suonò, e l'unico rumore che ruppe il silenzio fu un altro breve bacio che, ancora una volta, mi lasciò senza respiro.




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⏰ Last updated: Nov 10, 2015 ⏰

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