UMANA ∽ Ritorno sulla Terra

By AriaWriter

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Una squadra di giovani esploratori sbarca sul pianeta azzurro dopo che quest'ultimo era stato abbandonato per... More

AVVISO e BOOKTRAILER!
Umana
Prologo
1. La partenza
2. In Viaggio
3. I Titans
4. L'atterraggio
5. Le lavanderie
6. Lo sbarco
7. Alberi enormi
8. La foresta
9. Il furto delle parabole
10. La città sommersa
11. Gli Antichi
12. La battaglia
13. Summer
14. I nemici
15. Le regole del gruppo
16. Stanchezza
17. Il lago
18. I lupi
19. Pietà
20. Hans
21. Il Nuovo Potere
22. Fardelli pesanti
23. Amicizia
24. Eden
25. La mina vagante
26. Tramonto
27. La cattura
28. Prigionieri
29. Il villaggio
30. La tigre
31. In trappola
32. La storia del villaggio
33. Umanità
34. Liberazione
35. Ulrik
36. L'Anziano
37. Libertà
38. Possibilità
39. Sogno o realtà?
40. Oppio
41. Resterai?
42. Oscure presenze
43. Paura
44. Rivendicazione
45. Guarigione
46. Speranza
48. Ritorno
UMANA - L'Antico Potere
Ringraziamenti
Novità, Copertine e Bollini!

47. Vita

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By AriaWriter

«Che strada devo prendere?» chiese.

La risposta fu una domanda:

«Dove vuoi andare?»

«Non lo so», rispose Alice.

«Allora», disse lo Stregatto «non ha importanza.»



«Marianne!»

Lo sguardo della giovane si alzò dal libro di Lewis Carroll.

I lunghi capelli biondi erano stati intrecciati tra loro. L'acconciatura, a lisca di pesce, ricadeva dolcemente sulla schiena magra. Il nastro, sulla sua punta, era rosso fuoco, ma stava per sciogliersi.

«Dimmi.» I suoi occhi brillarono dolcemente.

Eva si alzò dal letto.

Un altro incubo?

Non provava dolore, si sentiva solo un po' scombussolata.

«Sto sognando?» le chiese, retoricamente.

Marianne sorrise divertita e chiuse il libro.

Erano sole stavolta. La stanza era calma e silenziosa. La sorella profumava di bucato e indossava una lunga camicia da notte stropicciata.

«Non lo so, Eva» le rispose, accarezzandole la guancia.

Sentì nitidamente le sue dita fredde sulla pelle. Afferrò quella mano d'istinto e se la portò alle labbra. Scoppiò in lacrime.

Marianne era davvero lì! La poteva toccare!

«È tutto finito allora?» Si ricordò del sogno che aveva avuto qualche giorno prima. Poi le tornarono in mente tutte le scene di quella terribile notte. L'Antico dentro la sua stanza, la sua sete di vendetta, il suo braccio che la stringeva sempre più forte, comprimendo la zona più dolente del suo corpo, gli occhi azzurri di Ulrik, i suoi palmi spalancati verso il cielo nero, senza stelle, la vista che si annebbiava, la sua brevissima vita che le passava davanti.

«Non lo so, Eva» ripeté dolcemente la sorella. La strinse a sé e lasciò che la ragazza appoggiasse la fronte sulla sua spalla. Poi iniziò a cullarla, come fosse ancora una bambina, dondolando lentamente la schiena.

Eva si lasciò andare, in un pianto incontrollabile. Il tempo scorreva ma lei rimaneva lì, aggrappata a quella ragazza.

Marianne significava tutto per lei. Tutto. Ci sono persone che compaiono nelle nostre vite per indicarci la strada, altre per metterci in difficoltà, alcune vogliono insegnarci qualcosa, altre darci conforto. Poi ci sono quelle persone che ti tengono in vita. Non sempre sono i genitori biologici, ci sono madri e padri che senza legami di sangue si prendono cura di cuccioli smarriti. Non li danno alla luce, ma cercano in tutti i modi di proteggerli dall'ombra. Un amore sconsiderato, che nulla chiede in cambio, fine a se stesso. Il sentimento più puro che esista nell'Universo.

Marianne voleva solo il bene di Evangeline, voleva solo che lei sopravvivesse. Era il suo scopo, la sua missione, quella di prendersi cura delle sorelle. La sua unica fonte di gioia era vederle sorridere.

Nonostante ciò, però, per tutta la sua vita Eva non aveva fatto altro che piangere.

«Riprendo a leggere?»

Eva scosse la testa, ma la sorella si era già allontanata.

«Perché no? Non vuoi sapere come va a finire?»

«Sono morta Marianne, non mi importa nulla di come va a finire.»

La sorella corrugò la fronte.

«Puoi sempre imparare qualcosa da ciò che ti accade. Anche un semplice libro per bambini vuole dirti qualcosa. Puoi trovare ispirazione ovunque, soprattutto quando ti senti persa, soprattutto quando credi di non avere più speranze. Un grande autore, un tempo, disse che un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. Anche una semplice storia per l'infanzia nasconde verità intramontabili, il cui valore aumenta con l'aumentare dell'età.»

Eva ebbe un impulso di rabbia, afferrò Alice nel Paese delle Meraviglie e lo scaraventò contro la parete.

«Sono morta, Marianne! Io non ho più speranze!»

La ragazza scostò lo sguardo, si alzò e andò a raccogliere il piccolo volume che si era schiantato contro la parete. I capelli si sciolsero sulla sua schiena, mentre il laccio rosso sparì chissà dove.

«Libri così sono rari, sull'Arca. Nessuno scrive più sulla carta. Tu non capisci il valore inestimabile che ha un'opera del genere! Questa storia è viva, è eterna, esiste davvero, la puoi tenere in mano, toccare, annusare. Se la distruggi, eliminerai anche una parte di te, una parte di ciò che saresti potuta diventare dopo averla letta. È questo che vuoi? Distruggere te stessa?»

«Cosa importa? Sono già morta!» gridò Eva, più forte che poté.

Poi rimase lì, ansimante, in piedi in mezzo alla loro minuscola stanza.

Da dove proveniva quella rabbia? Eva la sentì crescere in grembo, come una serpe velenosa che si contorceva attorno alle sue budella.

Anche la sorella l'osservò stupefatta. Evangeline era sempre stata una bambina dal temperamento molto pacato. Piangeva spesso, per la tristezza, il dolore, ma anche di collera e frustrazione, però sempre in modo sommesso, senza fare un gran baccano.

Timida, introversa, molto riservata.

Per Marianne era stato terribilmente difficile crescerla. Faticava a empatizzare con lei, a comprendere i suoi pensieri, le sue emozioni, i suoi sogni. Eva non si confidava, condivideva poco, era silenziosa, ascoltava attenta ma poneva poche domande. Guendaline, Isabelle e Colette erano tutt'altra cosa. Esplosive, irruenti, estroverse, un po' pazze, sempre allegre, sempre iperattive.

Spesso non poteva che domandarsi se la causa di tutto fosse il padre di Eva. Ognuna di loro aveva un padre diverso. Forse il genitore biologico della ragazza era anch'esso un tipo imperscrutabile, introverso e un po' freddo. La loro madre ovviamente gli aveva rifilato un bel ceffone quando aveva osato chiedere qualche informazione in più.

"Fatti gli affari tuoi" l'aveva minacciata.

Il padre di Marianne era un insegnante. L'aveva scoperto da alcune colleghe, a lavoro. Era sposato con figli, ma tradiva regolarmente la consorte. Per questo lei era così dedita all'educazione, la viveva come una missione personale, il suo destino. "Ce l'ho nei geni" scherzava, soffocando la malinconia di un futuro che non si sarebbe mai realizzato.

Più Evangeline cresceva, più Marianne le stava addosso. La incalzava, le leggeva di tutto, libri di filosofia, psicologia, scienze umane, antropologia. Ma soprattutto romanzi. Credeva fortemente che i libri aiutassero in specifici momenti della propria vita, facendo riflettere, permettendo di scoprire parti di sé, stimolando la crescita. Un allenamento alla vita.

Eva ascoltava senza mai interromperla. Totalmente passiva.

Quando le chiedeva quale fosse il suo libro preferito, scuoteva le spalle e si chiudeva in un mutismo impenetrabile.

Un giorno Marianne era esplosa. Aveva appena terminato Madame Bovary, e non aveva avuto alcune reazione alla tragica sorte della protagonista da parte della sorella.

«Lei era Umana! Come te! Come tutti gli Umani che si sono tolti la vita, qui sull'arca!»

Si era pentita subito di quello sfogo, si era scusata, aveva cercato di prenderle la mano. Ma la ragazza si era allontanata seria, ed era uscita dalla stanza.

E ora eccola, la sua piccola Eva. Che le gridava contro quelle parole orribili.

Marianne spalancò la bocca. Poi la richiuse.

E sorrise.

«Tu non sei veramente...tu» incespicò Eva.

«No, come potrei esserlo?»

«Allora dove sono? È un sogno? È l'Aldilà questo? Esiste davvero?»

La sorella scosse le spalle.

«Rispondimi!» strillò l'altra, senza riuscire a contenersi.

«Come posso saperlo?»

Eva riprese a gridare. Strappò il disegno appeso alla porta, scaraventò i libri sul pavimento, i cuscini contro la parete, distrusse la stanza, in preda a una rabbia cieca, insopprimibile, che sentiva divampare nel suo ventre.

Quando le forze le vennero meno, si lasciò cadere sul letto e osservò la devastazione che aveva appena creato. La loro piccola camera era irriconoscibile.

«Ti senti meglio, adesso?» La voce di Marianne le giunse terribilmente distante.

«No» mormorò la ragazza.

«Ne vuoi parlare?»

Sentì i boccoli biondi sfiorargli il collo. La sorella si era seduta di fianco a lei.

«No.»

Rimasero un po' così, una vicina all'altra. Il suono del respiro affannato di Eva colmava il silenzio della stanza.

«Qual è il libro che ti rappresenta di più? Che parla di te? Che risuona dentro di te?» le chiese improvvisamente Marianne.

«Non ne ho voglia, adesso» si oppose, Eva.

«Adesso è l'unico momento che hai.»

La ragazzina rifletté su quella affermazione. Adesso è l'unico momento che hai. Il suo presente non apparteneva già al suo passato? Se era morta, non avrebbe dovuto abbandonare anche quel poco che le era rimasto? La coscienza di sé?

«Cime Tempestose

Gli occhi di Marianne si spalancarono per lo stupore. La fissò come se la vedesse per la prima volta.

«Perché?!»

«Non lo so.»

«Eva, sforzati! Tra tutti i romanzi che ti ho letto, perché proprio quello?»

«Mi piacciono le passioni intense.»

Osservò nuovamente il caos che regnava davanti a lei. Aveva appena scoperto che la sua rabbia possedeva una forza unica nel rovinare tutto. Si domandò se sarebbe stata altrettanto brava nel creare, invece che nel distruggere.

«Mi piace come l'atmosfera cupa della brughiera rifletta gli animi tormentati dei protagonisti. Mi piace l'amore folle e assoluto di Heathcliff per Catherine. Mi piace quando Catherine afferma di amarlo, che lei e lui sono la stessa cosa, ma, allo stesso tempo, di non voler confessare a nessuno quel suo folle sentimento. Mi piace come il soprannaturale prenda il sopravvento, ricongiungendo nella morte ciò che il destino, in vita, aveva a tutti i costi diviso. Mi piace la conclusione, perché alla fine l'amore nella sua forma più pura e dolce trionfa e Cathy e Haerton si sposano. Mi piace che anche Catherine e Heathcliff trovino alla fine la loro pace e continuino a vagare, per l'eternità, tenendosi per mano, nella brughiera.»

Marianne rimase muta.

«Perché non mi hai detto nulla?» le chiese, dopo un tempo interminabile. «Ti ho posto questa domanda un numero infinito di volte, non hai mai risposto. Perché?»

«Io non volevo essere Umana» rifletté Eva, senza il coraggio di guardare negli occhi la sorella. «I tuoi romanzi erano terribilmente umani. Credevo che lo facessi apposta, per mettermi di fronte ai miei limiti. Eroine fragili, vulnerabili, sempre sull'orlo di una crisi di nervi. Eroi tormentati, possessivi, fallaci, egocentrici e narcisisti. I loro suicidi mi spezzavano il cuore, pensavo di essere destinata a fare la stessa fine. La paura di impazzire mi uccideva. Non volevo vedermi in loro, nelle loro debolezze, nei loro sentimenti. Io volevo essere una Titans. Equilibrata, in salute, ragionevole, flessibile e resiliente.»

«Eva... non volevo...»

«Sì, lo so che non volevi. Ma l'effetto era questo. Sarei diventata crudele ed egoista come loro? O ero già come loro? Cosa potevo imparare dalla loro storia? Tutte quelle parole, i mondi immaginari, un pianeta andato perduto da anni, un legame con la natura che noi arcadiani non possiamo conoscere. Marianne, mi sarebbe stato più utile se mi avessi fatto leggere più letteratura post-esodo.»

«Lo credi davvero?»

«Sì e no. Volevo andare a scuola come gli altri. Seguire le loro lezioni, imparare una professione. Invece tu mi tormentavi con le tue favole, con i miti, gli aforismi e quelle ridicole poesie. Mi hai riempito la testa di stronzate. A cosa mi è servito, alla fine, tutto ciò che ho appreso? Guardami, Marianne, sono morta!»

Gli occhi della sorella brillavano come diamanti.

«Non rimpiango nulla, Eva, sono fiera della donna che sei diventata.»

L'altra la guardò senza capire.

«Perché non mi ascolti? Sono morta! Gli Antichi mi hanno uccisa. Anzi no, i sopravvissuti mi hanno uccisa, mi hanno picchiata a sangue. Ho cercato di guarire, ci ho provato con tutta me stessa, ma ho fallito. Il mio corpo non ne poteva più. Ha ceduto.»

«È andata davvero così?»

Eva rimase a soppesare quella domanda qualche istante. Si guardò le mani pallide che tremavano.

«Sei sicura che sia andata davvero così?» insistette la giovane.

«Non potevo controllare ogni cosa. Non potevo guarire.»

«E non c'era niente che tu potessi fare?»

Eva si morse un labbro, facendo sprofondare gli incisivi nella carne.

«Avrei potuto chiedere aiuto» ammise titubante.

«E perché non l'hai fatto?»

«Non mi fidavo.»

«Eri disposta a morire, pur di non dare fiducia a chi ti offriva una mano. Hai fatto lo stesso con me.»

«Non è vero!» ribatté l'Umana in lacrime. «Tu eri l'unica...»

«Questa è la storia che ti racconti, ma io so che non è così.» Poggiò la testa sulla sua spalla.

Anche se fosse stato solamente un sogno, era terribilmente reale. Riusciva a sentire il profumo del suo shampoo, la morbidezza dei suoi ricci, il peso del suo capo sulla spalla.

«Marianne, cosa dovrei fare?» le domandò singhiozzando.

«Tu cosa vorresti fare?»

Eva guardò verso la finestra della stanza. Nel sogno precedente l'uccellino era sopraggiunto ad avvertirla dell'imminente pericolo. Ora invece c'era solo lo spazio scuro e immenso che sbirciava da quel vetro.

«Sopravvivere» rispose. Il battito accelerò quando le tornarono in mente certi occhi glaciali che l'attendevano, laggiù sulla Terra.

«E cosa aspetti?» Marianne rise divertita. «Che un principe azzurro ti venga a salvare?»

Eva arrossì violentemente. Senza volerlo trattenne il fiato.

«Esiste uno strano equilibrio. Da una parte nessuno si salva da solo, dall'altra sei tu l'artefice del tuo destino. Era questo che non riuscivi a comprendere, dei nostri romanzi. Puoi sempre scegliere, puoi sempre sbagliare, puoi sempre ricominciare. Puoi cadere e rialzarti. Puoi combattere o mollare la spugna. È la tua storia, la tua vita, tu sei la scrittrice, hai più libertà di quanto immagini.»

«Non ho questo potere.»

Marianne si alzò di soprassalto.

«Oh, sì. Tu ce l'hai eccome. Hai un enorme potere, un potere antico, dimenticato da tutti! Sei molto più forte di quanto pensi.»

«E allora perché sono morta?»

«Rispondimi tu.»

Eva sentì il cuore perdere un battito.

«Sta a te decidere, Evangeline. Ti sei sentita piccola. Sei stata così piccola, per così tanto, troppo tempo. Non è vero? Sei affogata nelle tue bugie, come una farfalla che annega dopo che le sue ali si sono bagnate. Eri intrappolata in una prigione così stretta che non riuscivi nemmeno a immaginare di poter un giorno spiccare il volo. Ti sei assuefatta dei tuoi sogni a occhi aperti, delle parole non dette, delle azioni incompiute. Non hai scelto di morire, hai scelto di non vivere. Il tuo potere bramava, risuonava dentro il tuo cuore, chiedeva aiuto, perdono, supplicava per la libertà. Ma tu resistevi, con tutta te stessa. Accecata dall'ansia, succube dei tuoi demoni. Ora lo puoi vedere, Eva. Hai conosciuto la Terra, hai visto le creature che la popolano, il loro istinto vitale, il loro prender parte a qualcosa di immenso e speciale. Perfino gli alberi possono vedere, possono sentire, possono parlare. La natura riflette il divino attraverso i tuoi occhi. Hai trovato te stessa, guardandoti riflessa in quello specchio. Ma hai avuto paura. Paura di ricomporre te stessa, pezzo dopo pezzo, di affrontare i tuoi limiti, di accettare la tua magnifica oscurità, i tuoi desideri segreti. Paura di incontrare l'Umana che a lungo ha soggiornato nel tuo cuore, di fare la sua conoscenza.»

La ragazzina era senza parole. Si sentiva come folgorata, come se si osservasse da un nuovo punto di vista, senza riconoscersi.

«Marianne... tu credi che dovrei tornare?»

«Sai già la risposta.» La sorella le sorrise dolcemente. Poi l'abbracciò forte, prima di lasciarla andare per sempre.

Quando Eva tornò a guardare la stanza, era tutto come prima. I letti appena fatti, il disegno delle sorelline appeso alla porta, i libri accuratamente impilati, gli zaini chiusi davanti all'armadio. Come la ricordava l'ultima volta che vi aveva soggiornato.

«Marianne, ma se questo è solo un sogno e tutto sta avvenendo nella mia mente... Tu non sei veramente... tu, vero? Sono sempre io, io che ti sto ricordando.»

«Evangeline, sciocchina. Una parte di me vivrà sempre dentro di te.»

Un brivido di freddo le attraversò la spina dorsale. Le mani prudevano mentre i contorni della camera si facevano sempre più sfumati.

«E tu? Cosa farai? Ti mancherò? Non soffrirai per la mia assenza?»

«No. Anche una parte di te vivrà sempre dentro di me. Non ti scorderò mai.»



Eva sentì il suo corpo divenire pesante. La vista si oscurò, cercò di muoversi, di scalciare, di dimenarsi. Era immersa nelle tenebre, un nero accecante, il nulla.

Provò a riemergere, disperatamente.

Ricordò il tono calmo e gentile di Ulrik quando aveva tentato di insegnarle a nuotare.

"...dovrai muovere le gambe più forte che puoi, con movimenti circolari."

Ci provò. Disegnò ampi cerchi con i suoi arti. Si direzionò verso l'alto, anche se in quel luogo non esisteva uno spazio e tutto le sembrava privo di forma e dimensione.

Non riusciva a respirare, immersa in quell'oscurità.

Ma non cedette.

Continuò a combattere, contro se stessa e le sue paure, contro il destino crudele e il suo corpo troppo debole.

Gradualmente, sopra il proprio capo, iniziò a percepire un flebile bagliore.

Lo inseguì.

Nuotava, in totale apnea, più veloce che poteva.

"Non mollare..." sentì sussurrare una voce all'orecchio.

No, non lo farò.

Riemerse lentamente, con tenacia e determinazione mai avute, da quel sonno implacabile che l'aveva avvolta.

Quando finalmente raggiunse la luce, il suo corpo ritornò immobile.

Lo poteva sentire, sotto strati sottili di cotone, riposare, intorpidito dal lungo immobilismo.

Le palpebre erano pesanti. Terribilmente pesanti. Serrande chiuse con assi e chiodi.

Alla fine riuscì a socchiuderle con enorme fatica.

I raggi del sole non erano mai stati così morbidi e affettuosi. L'investirono come un abbraccio, scaldando le sue membra indolenzito dal freddo.

Fuori dalla tenda udì distintamente un ruggito.

La felicità distese i lineamenti contriti del suo volto.

Era tornata.

Capitolo importantissimo, a cui sono particolarmente affezionata.

La citazione è di Lewis Carroll, ovviamente. Avete letto Alice nel Paese delle Meraviglie? 

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