UMANA ∽ Ritorno sulla Terra

By AriaWriter

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Una squadra di giovani esploratori sbarca sul pianeta azzurro dopo che quest'ultimo era stato abbandonato per... More

AVVISO e BOOKTRAILER!
Umana
Prologo
1. La partenza
2. In Viaggio
3. I Titans
4. L'atterraggio
5. Le lavanderie
6. Lo sbarco
7. Alberi enormi
8. La foresta
9. Il furto delle parabole
10. La città sommersa
11. Gli Antichi
12. La battaglia
13. Summer
14. I nemici
15. Le regole del gruppo
16. Stanchezza
17. Il lago
18. I lupi
19. Pietà
20. Hans
21. Il Nuovo Potere
22. Fardelli pesanti
23. Amicizia
24. Eden
25. La mina vagante
26. Tramonto
27. La cattura
28. Prigionieri
29. Il villaggio
30. La tigre
31. In trappola
32. La storia del villaggio
33. Umanità
34. Liberazione
35. Ulrik
37. Libertà
38. Possibilità
39. Sogno o realtà?
40. Oppio
41. Resterai?
42. Oscure presenze
43. Paura
44. Rivendicazione
45. Guarigione
46. Speranza
47. Vita
48. Ritorno
UMANA - L'Antico Potere
Ringraziamenti
Novità, Copertine e Bollini!

36. L'Anziano

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By AriaWriter

Ulrik posò Eva sul letto di paglia.

La ragazzina era pallida come la brina, ma scottava come brace ancora accesa.

Istintivamente il ragazzo si portò una mano sul petto. Nulla.

Cosa si aspettava? Aveva perso l'abitudine a quel gesto anni fa, non sapeva cosa l'avesse risvegliata.

Provò a chiamarla un paio di volte. Lei non rispose, non dava segni di vita.

Kuran appoggiò sulla sua fronte una benda bagnata, ma Eva ancora non riprendeva conoscenza.

Ulrik stava per scuoterla, afferrandola per le spalle sottili. Il compagno lo fermò appena in tempo.

«È meglio se la lasciamo riposare» disse coprendola con un panno leggero. «Ora non possiamo fare nient'altro.»

All'improvviso, al comandante la minuscola tenda gli apparve come un ambiente troppo asfissiante, non riusciva a respirare, la gola grattava e sentiva la vista annebbiarsi, borbottò una scusa qualunque rivolta a Shani e uscì all'aria aperta.

Appoggiò le grosse mani sulle ginocchia e cominciò a trarre lunghi respiri. Il suo corpo impiegò diverso tempo a reagire.

Il sole brillava ancora alto, da lontano, osservò uomini e donne radunati attorno ai detriti della gabbia che poco prima rinchiudeva la tigre.

«Ha la febbre molto alta.» Shani comparve alle sue spalle, come un'ombra che non l'aveva mai abbandonato.

Ulrik non si girò, per non mostrare la fragilità sul suo volto.

«Deve visitarla un medico.»

«Lei non vuole! Non si fida, non si lascerà mai visitare!»

«Non ci serve il suo consenso!»

Shani afferrò la manica di Ulrik, cercò di costringerlo a voltarsi, a guardarla in faccia, ma il ragazzo oppose resistenza. Aveva ancora gli occhi umidi.

«Ti prego, Rik.» La sua voce gli penetrò fino al midollo della sua spina dorsale, facendolo rabbrividire. «Non fare così.»

Le sue grandi spalle sembravano non aver udito nulla, eppure Shani sapeva che la stava ascoltando.

«Non puoi davvero stare dalla loro parte. Dobbiamo fare qualcosa! Tu sei il nostro capitano...»

«Cosa vuoi che faccia Shani? La missione è finita.»

«No...non è vero...»

«Sì che è vero, lo sai benissimo anche tu. Non sono più il vostro capitano. D'ora in avanti anche io eseguo gli ordini di Solomon. Come tutti voi. La missione è conclusa.»

«Rik!»

«Hanno liberato la tigre! Cosa volete di più? È quello che aveva chiesto lei, no?»

Shani per il nervoso tirò un calcio a un badile, il suono rimbombò nelle loro orecchie mentre questo rotolava davanti a loro. La ragazza si morse le labbra carnose fino a farle sanguinare e strinse i pugni fino a percepire con chiarezza le unghie che si conficcavano nella pelle.

Stava per colpirlo, anche se alle spalle, in modo vile, ma lui, cogliendola di sorpresa, si girò verso di lei.

Un ciuffo di capelli ribelli gli era finito in mezzo agli occhi arrossati.

«Cosa dovrei fare?»

Shani sussultò. Aveva ancora le mani che prudevano e il sangue alla testa.

«Dimmelo: che cosa dovrei fare?»

Ulrik le si avvicinò a un palmo dal naso. Si ricordò quando durante gli allenamenti discutevano, i suoi occhi di ghiaccio che esplodevano di rabbia mentre tutto il suo corpo sembrava rimanere impassibile, una quercia in mezzo a una tempesta.

Shani provò a formulare un pensiero e si sorprese lei stessa di non avere risposta.

«Andiamocene> propose infine, dopo un lungo silenzio.

«Dove?»

Si aspettava quella domanda, ma per lei non era più la priorità. Quel posto non era sicuro. Mai e poi mai si sarebbe riuscita a fidare dei suoi abitanti.

«Non importa!»

«Sì che importa. Non hai sentito cosa ci potrebbe attendere là fuori? Ti sei dimenticata dell'aggressione che abbiamo subito in città? Ne siamo usciti vivi per miracolo. Hai sentito cosa hanno dovuto passare invece loro?»

«E tu gli credi? Credi a tutto ciò che ti dicono?»

«Non ho scelta! A cosa dovrei credere? Quell'essere che ha aggredito Eva, tu l'hai visto! Aveva una forza disumana!»

«Potremmo cercare le parabole per comunicare con la nostra arca...»

«E poi? Anche ci riuscissimo, credi davvero che manderanno una navicella di soccorso a prenderci? Credi che se fosse stato così semplice Solomon e Luis non ci avrebbero già pensato? Non funziona più nulla, su questo pianeta del cazzo! Non funzionano le telecomunicazioni, non funzionano i GPS, non c'è segnale! Non c'è più alcun segnale!»

«Luis è riuscito a comunicare...»

«Sì. E poi è morto, in circostanze misteriose. Non mi hanno voluto chiarire esattamente cosa sia successo.»

Shani si zittì.

Aprì la bocca per esprimere nuove obiezioni, poi la richiuse, frastornata dalla conversazione.

Ulrik ne approfittò per darle di nuovo le spalle.

Solo allora la ragazza si accorse della gabbia scomparsa e della folla che si era radunata attorno alle macerie.

«Cos'è successo?»

«Chiedilo a Eva quando si sveglia» ribatté lui. Poi si allontanò senza salutare.

Shani si accasciò a terra, appoggiando la fronte alle ginocchia.

Stavano vivendo in un incubo e non c'era verso di uscirne.

Dov'erano finiti Hans e Tomas? Perché ci mettevano così tanto?

Mille domande le frullavano nella testa, non si accorse nemmeno del fisico asciutto che si adagiava, vicino a lei, nella stessa posizione, finché il suo gomito non sfiorò il suo fianco scoperto.

Kuran la stava fissando da un bel po'.

Entrambi rimasero accucciati davanti alla tenda, immobili spettatori della pantomima del villaggio. Osservarono la vita scorrere davanti ai loro occhi, così frenetica e patetica da lasciarli senza parole.

Il crollo della gabbia aveva generato un enorme scontento. Alte grida di protesta si innalzavano contro i nuovi arrivati. Qualcuno aveva già cominciato a raccogliere i pezzi, mentre altri verificavano sul campo cosa potesse aver causato quel cedimento improvviso.

Ma la maggior parte aveva già una risposta a quella domanda: doveva essere stata per forza l'Umana.

Si era vendicata di loro. Non contenta di aver liberato l'assassina dei loro bambini, aveva anche provocato la rovina del loro sistema penitenziario.

A gran voce, uomini e donne chiedevano che il gruppo fosse espulso, che fossero mandati in esilio, allontanati o, per alcuni, alla peggio, condotti bendati al di là delle montagne e abbandonati lì, al loro destino.

Shani sorrise al pensiero che, in fondo, non erano poi così dissimili. Anche lei avrebbe voluto la stessa identica cosa.

«Cosa ne pensi?» le chiese improvvisamente Kuran.

I suoi occhi neri, profondi come pozzi senza fondo, la fecero arrossire.

«A cosa ti riferisci?»

«A tutto ciò che sta accadendo.» La sua voce era pacata, ma le sue sopracciglia erano aggrottate e la fronte, solitamente così candida e liscia, era guastata da profonde rughe.

«Non lo so, non so più cosa pensare.»

Shani sospirò e portò di nuovo una tempia sulle ginocchia.

«Non dobbiamo cedere proprio adesso.»

La ragazza rialzò il volto.

«Questo è il momento in cui dobbiamo stare più uniti.»

Shani annuì, senza capire.

Lui le si avvicinò e le prese il mento tra le dita lunghe e affusolate.

Non erano mai stati così vicini.

La guerriera ricordò con profonda vergogna la loro lite durante la marcia in mezzo alla foresta. Il suo volto bruciava in quel momento, come quello di Eva, eppure non riusciva ad allontanarsi.

Un sentimento mai sopito si era impossessato del suo corpo. Sentiva le farfalle nello stomaco e le palpitazioni nel petto.

«Ho un brutto presentimento, Shani. Non dobbiamo abbassare la guardia, litigare tra di noi, dividerci. Questo è il momento in cui dobbiamo stare più uniti. Mi capisci?»

«Quale presentimento?» domandò lei.

Kuran si allontanò, spostando lo sguardo verso le cime innevate al di là della foresta.

«Non so spiegartelo. Ho la sensazione che dovremmo scegliere accuratamente chi vogliamo come nemici. Ci sono forze, là fuori, che non possiamo combattere. La loro storia mi ha spaventato molto. Non credo che siamo al sicuro in questo villaggio. Ma probabilmente là fuori saremmo tutti morti.»

Shani lasciò ricadere il capo in grembo, sconfortata, chiudendosi a guscio. Sentiva le lacrime bruciargli negli occhi.

Una mano calda le sfiorò la guancia e con dolcezza la trascinò a sé.

Kuran lasciò che la testa della ragazza riposasse sulla sua spalla, mentre lui le cingeva il fianco col suo braccio nerboruto

La guerriera avrebbe voluto piangere, ma non riuscì. Il suo cuore era in tumulto, mentre la sua mente era stranamente deserta.

Ora fissavano tutti e due al di là dell'accampamento, oltre le alte chiome degli alberi, verso il cielo sconosciuto.

Le vette, spigolose e acuminate, tinte di bianco, riflettevano la luce solare. Al di là un territorio ostile si estendeva fino al mare ghiacciato in cui erano naufragati.

Quel pianeta non era e non sarebbe mai stato un luogo sicuro.

«Perché cazzo devo venire con te?» imprecò Tomas, cercando di divincolarsi dalla morsa, incredibilmente ferma e decisa, di Hans.

«Sei un cuor di leone tu, eh?!» lo derise il professore.

«Evitiamo similitudini con belve feroci, per oggi ne ho avuto abbastanza. Sai com'è, non capitava tutti i giorni, sull'arca, di trovarsi faccia a faccia con una tigre.»

«Eri ad almeno cento metri!»

«Scusa se ho a cuore la mia integrità fisica!»

Hans lo lasciò quando vide una giovane donna, ferma davanti all'uscio di una abitazione, intenta a strizzare un panno in una bacinella d'acqua.

«Scusami, potresti dirmi dove posso trovare l'Anziano?»

La ragazza aveva i capelli raccolti sulla nuca in un nodo aggrovigliato. La pelle era sciupata dal sole, aveva il naso spelato e le mani screpolate. Indossava una veste lunga, molto leggera, color vaniglia ed era scalza.

Non si degnò nemmeno di alzare lo sguardo. Quando ebbe finito, stese il suo straccio, molto consunto, sopra una trave di legno che sorreggeva esternamente la tenda dove probabilmente viveva. Da dentro si udirono gli strilli di un bambino affamato.

«Scusami, non mi sono presentato, sono Hans, uno dei nuovi arrivati. Dovrei urgentemente parlare con il vostro medico, dovrebbe essere l'Anziano che vive in questo villaggio.» La ragazza l'ignorò e tornò a intingere nell'acqua, un altro canovaccio, strofinando i lembi con foga. Alle loro spalle il tumulto risuonava più forte che mai. «Eva... l'Umana, sta male. Abbiamo bisogno di un dottore. Non sappiamo più cosa fare.»

Il bambino gridò a pieni polmoni. Lei lo riprese, con parole dure e quello subito si acquietò.

Hans stava per riaprire bocca, ma intervenne Tomas.

Le puntò una pistola alla fronte e con voce roca ripeté la stessa domanda di Hans: «Dov'è l'Anziano?»

La ragazza balbettò qualcosa, si alzò lentamente da terra con le mani sopra la testa e li accompagnò a capo chino davanti a una lunga costruzione di legno che distava una decina di metri. Il suo bambino, nel frattempo, abbandonato a se stesso, aveva ripreso a piangere.

La casa aveva lo stesso aspetto fatiscente delle altre abitazioni. Sembrava costruita senza molta passione, accatastando l'una sull'altra travi di legno in ordine sparso. Il tetto, di paglia, stava crollando da un lato. La struttura non aveva una porta, ma una specie di sipario di un rosso acceso che divideva il fuori dal dentro. L'unica finestra era stata ricoperta da un telo nero molto spesso.

All'ingresso, il teschio di un enorme toro sembrava invitare gli eventuali visitatori a fare dietrofront.

La giovane, quando fu sicura che i due stranieri non volessero più nulla da lei, si afferrò i lembi del lungo abito con le mani e corse più veloce che poté dal suo piccolino.

Hans e Tomas rimasero da soli, di fronte a quell'antro oscuro, sotto lo sguardo vigile del bue defunto.

«Dove cazzo l'hai presa quella? Ma c'era bisogno? L'hai spaventata a morte! Era solo una ragazza!» Inveì Hans, quando si fu ripreso dallo choc.

«Dovresti ringraziarmi. Senza di me saresti ancora là a blaterare.»

«Dove l'hai presa?! Ulrik lo sa?»

«Secondo te mi faccio trovare impreparato all'aggressione di una tigre affamata? L'ho sfilata dai pantaloni di un tizio, mentre nessuno mi vedeva. Direi che è meglio per tutti se ne riparliamo in un secondo momento, che dici?»

Hans sbuffò mentre con le mani tremanti si risistemò gli occhiali sul setto nasale.

«Chi entra per primo?» chiese Tomas fingendo noncuranza.

Hans lo guardò con sdegno.

«Entriamo entrambi, inoltre sei tu quello armato. Dovresti almeno guardarmi le spalle!»

«Ma se fino a poco tempo prima eri così sconvolto dal mio atteggiamento aggressivo! Ipocrita. Io pensavo proprio di fare la guardia...»

Hans lo afferrò per il colletto e insieme a lui varcò il lugubre ingresso dell'abitazione dell'Antico.

L'atrio era illuminato solo da un paio di flebili candele. Era un ambiente spazioso, ma stipato fino all'inverosimile. Vi erano tre tavoli colmi di scartoffie: libri, cartine, mozziconi di candela, spago, inchiostro, alcune penne, coltelli, provette da laboratorio, fiori essiccati, clessidre, recipienti sottovuoto, quaderni, vassoi colmi di una polvere sottile, bottiglie ripiene di liquidi maleodoranti, forbici, taglierini, i resti di un antico computer e di una radio vetusta, una mappa dell'universo, pennelli e altri attrezzi da disegno.

Alle pareti avevano appeso dei quadri. In uno c'era un immenso campo di papaveri, nell'altro una folla di Terrestri per strada, con bandierine in mano e macchine in fila, nell'ultimo una donna anziana abbracciava un enorme gorilla, con affetto.

I ragazzi camminarono in punta di piedi, per paura di pestare qualcosa di prezioso.

«Permesso?» sussurrò il professore, sempre più incerto.

Nella penombra era impossibile riuscire a distinguere qualcosa.

Hans sfilò una delle candela dal candelabro sull'uscio e la sollevò verso l'alto.

«C'è qualcuno? È permesso?» ripeté, ad alta voce, con tono più autorevole.

Dei movimenti, in fondo alla stanza, li fecero rabbrividire.

Non erano soli.

Il vicecomandante provò a far luce oltre tutte quelle cianfrusaglie radunate all'ingresso, ma non scorgeva nulla.

Un movimento troppo brusco spense la sua candela. Il ragazzo imprecò. Da lontano, però, intravidero chiaramente una sagoma spostarsi, nella loro direzione.

«Fatti vedere o sparo!» strillò Tomas e, senza attendere risposta, partì un colpo che si conficcò tra le travi in legno che fungevano da parquet.

«Tomas!»

«Che c'è? Non si fa vedere! Che cos'è, una trappola? Quella puttana di merda...»

Di nuovo avvertirono con nitidezza dei passi.

«Ti pregherei di non usare quel termine per designare la mia giovane amica.»

La voce lugubre era più vicina di quanto si aspettassero.

Hans spostò Tomas alle sue spalle, non per proteggere lui, ma per tutelare l'Anziano da un eventuale attentato da parte di quella testa calda.

«Lo perdoni! Sono desolato! Il mio compagno non sta ragionando. Non siamo venuti qua con cattive intenzioni, al contrario. Eravamo venuti a chiedere il suo aiuto! Sono davvero dispiaciuto...»

Qualcuno, non molto distante, accese una candela, su un tavolino basso. Intravidero una mano, ma nulla di più.

Tomas, sempre più teso, scalpitava alle spalle del professore.

«Il mio nome è Hans. Faccio parte della squadra appena arrivata al villaggio. Ci sono state delle...incomprensioni. Una nostra compagna è gravemente ferita.»

Una seconda candela si accese, gettando un'ombra lunga su una parete.

«Non l'abbiamo vista alla riunione, stamattina, ma Magda ci aveva parlato di lei. Aveva detto che lei era un medico...o un esperto in medicina...insomma che potevamo rivolgerci a lei se avessimo avuto bisogno di un dottore...per Eva...l'Umana.»

La terza candela accesa rivelò la sagoma allampanata e ossuta di un uomo, di spalle, leggermente gobbo. Il suo capo sfiorava il soffitto e le sue braccia erano sproporzionatamente lunghe rispetto al resto del corpo.

«Andiamocene» mugugnò Tomas, la cui mano stava sudando sul calcio della pistola.

«Perché tanta fretta?» rispose la voce cupa.

Una quarta candela si accese, rivelando una testa glabra, leggermente infossata in mezzo alle spalle.

«Hans!» fremette Tomas, aggrappandosi alla pistola con una mano e tirando con l'altra la manica della camicia del compagno come un bambino impaurito.

«Chi è che parla? Non ve l'hanno insegnata l'educazione sulla vostra arca? Eravate abituati a entrare nelle abitazioni altrui sparando e imprecando come dannati?» Si stava inalberando. Sebbene rivolgesse ancora loro le spalle, potevano vedere il braccio ossuto tremare visibilmente inquieto mentre accendeva la quinta candela.

«Lo perdoni. È qui contro la sua volontà, era un prigioniero» intervenne Hans, in sua difesa.

L'Anziano non rispose.

Accese senza proferire parola la sesta candela. La stanza finalmente si illuminò.

Oltre i tre tavoli, ce n'erano altri due, disposti ad angolo. Una sedia leggermente spostata faceva pensare che fossero utilizzati come scrivanie, infatti, su uno dei quaderni aperti, giaceva abbandonata una minuscola matita. Dall'altro lato della sala, c'era un letto. Un vero letto. Le coperte erano scostate, probabilmente ancora calde. Il cucino aveva ancora il solco di un capo. L'Anziano stava dormendo quando erano entrati.

Il lampadario, al centro della sala proiettava un gioco di luci e ombre a cui faticarono ad abituarsi.

Nel frattempo, il padrone di casa si accese anche con noncuranza un sigaro. Un vero sigaro.

«Prigioniero, eh? Di cosa eri stato accusato, giovane Titans?»

Hans gli diede un calcio, per convincerlo a rispondere. Non potevano più ignorarsi a vicenda: erano tutti e tre allo scoperto.

«Cosa gliene frega? Non siamo qui per questo» borbottò inquieto il ragazzo.

Il professore si passò le mani tra i capelli.

L'anziano tossì un po' di fumo, mentre cercava di trattenere il riso.

«Tomas, rispondi!» sibilò il compagno, rimpiangendo amaramente di non averlo lasciato a guardia dell'entrata.

«Associazione a delinquere di stampo anarchico/sovversivo, apologia ideologica al terrorismo, rivelazione di segreti di ufficio, furto, atti vandalici...»

L'Anziano poggiò il sigaro su un porta cenere, sul davanzale della finestra oscurata.

«Bene bene» rispose alla rivelazione interrompendolo.

Si sgranchì la schiena, appoggiando le enormi mani affilate sui fianchi. Il suo capo oscillò a destra e poi a sinistra.

Hans deglutì.

«Da un anarchico, alla fine, cosa ci si potrebbe aspettare?»

C'era un filo di ironia nella sua voce. Non riuscirono a comprendere se si trattasse di sarcasmo o sincera simpatia per quell'invasione irruenta che aveva svegliato il suo riposo pomeridiano.

«La prego, ignori il mio compagno. Abbiamo davvero bisogno dei suoi servigi. L'Umana sta male, ha la febbre molto alta ed è svenuta, poco fa. Temiamo che le percosse ricevute possano aver provocato delle lesioni interne.»

«So cosa volete, giovane Titans. So cosa volete. Ma non so se posso accontentarvi.»

L'uomo finalmente si girò, mostrando il suo aspetto ai due sconosciuti.

Tomas cadde all'indietro, la pistola gli sfuggì di mano, rimbalzando sotto il tavolo. Hans si impietrì. Sebbene i suoi occhiali fossero ancora scheggiati, si era abituato ad aguzzare la vista attraverso quei minuscoli frammenti.

L'essere che avevano di fronte possedeva labbra viola e occhi bianchi, senza traccia di alcuna pupilla. Era privo di ciglia e sopracciglia, privo di barba o baffi. La pelle, tersa, era di un colore tra il grigio e il verde, cosparsa da numerose vene argentate. Il naso era scomparso, lasciando al suo posto due profonde narici nere che rendevano quel volto ancora più agghiacciante.

«Immagino voi non abbiate mai visto un Anziano.» Sorrise l'uomo beffardo.

La sua bocca, priva di denti, si sfigurò in una piaga oblunga che solcava la mascella dall'orecchio destro all'orecchio sinistro.

Tomas tirò il tessuto dell'indumento del suo compagno fin quasi a strapparlo e vedendo che non lo smuoveva di un solo millimetro, corse fuori dalla casa, senza guardarsi indietro, abbandonandolo al suo destino.

Hans, incapace di muoversi, trattenne il fiato.

«A noi due, allora, giovane Titans.»

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