Fino alla fine || Federico Be...

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Olivia, studentessa ventiduenne di lingue, si trasferisce a Torino con il padre dopo la separazione dei suoi... More

Uno {Prologo}
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Sette
Otto
Nove
Dieci
Undici
Dodici
Tredici
Quattordici
Quindici
Sedici
Diciassette
Diciotto
Diciannove
Venti
Ventuno
Ventidue
Ventitré
Ventiquattro
Venticinque
Ventisei
Ventisette
Ventotto
Ventinove
Trenta
Trentuno
Trentadue
Trentatré (❤)
Trentaquattro
Trentacinque
Trentasei
Trentasette
Trentotto
Trentanove
Quaranta
Quarantuno
Quarantadue
Quarantatré
Quarantaquattro
Quarantacinque
Quarantasei
Quarantasette
Quarantotto
Quarantanove
Cinquanta
Cinquantuno
Cinquantadue
Cinquantatré
Cinquantaquattro
Cinquantacinque
Cinquantasei
Ringraziamenti

Epilogo

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By nowhereissafe

Torino, 20 luglio 2018

Chi l'avrebbe mai detto che avrei festeggiato la mia laurea ed il mio ventitreesimo compleanno a casa di Miralem Pjanic, con tutti i calciatori della Juventus e le loro famiglie, con mio padre e la sua nuova compagna, i miei amici dell'università ed il mio ragazzo? Sembra tutto una fantasia, ma è la realtà.

Ne sono successe di cose in quest'ultimo anno. Mi ricordo quando io e mio papà siamo saliti su un treno a Milano Centrale e siamo venuti qui a Torino con le valige piene di speranze e scappando da quella che era la nostra quotidianità verso il vuoto. Avevamo il cuore ammaccato, siamo corsi via da un inferno che non potevamo sopportare un giorno di più. Abbiamo detto addio a tutto quello che conoscevamo e ci siamo spinti oltre, siamo cresciuti un po' insieme. 

Ha sacrificato tutto per me, è sempre stato la mia roccia e so che ci sarà sempre in ogni passo che deciderò di compiere - magari sbagliando a volte - ma sempre pronto a sorreggermi e consolarmi quando cadrò. Devo tutto a papà, mi ha insegnato a vivere, a portare rispetto a tutti, a parlare con il prossimo nello stesso modo in cui mi piacerebbe che gli altri parlino con me. E di questo gli sarà eternamente grata. 

La vita non è stata clemente con lui ma vederlo ora abbracciato a Barbara è forse la ricompensa che stava aspettando da tempo. Ha avuto la forza di ricominciare da capo dopo un matrimonio fallimentare e, come spesso accade, è stata la scelta migliore che potesse fare. Ha gli occhi innamorati, che luccicano ogni volta che posa lo sguardo su Barbara che non è da meno. Vedo le loro occhiate complici, di chi ci tiene davvero ad una persona. 

"Pulce, sono così fiero di te" dice soddisfatto quando si trova davanti a me.

Mi rifugio tra le sue braccia e mi lascio stringere da quelle braccia che hanno sempre saputo come accompagnarmi finora. Barbara osserva la scena al nostro fianco, non volendo interrompere un momento così famigliare e questa è una tra le tante qualità che apprezzo di questa donna: sa perfettamente quando intromettersi ma soprattutto sa quando è meglio farsi da parte. 

"Grazie papi, è stato un anno duro ma ce l'abbiamo fatta" mormoro con le sue mani sulle mie guance e vedendo nei suoi occhi una scintilla di orgoglio e commozione. "Barbara, vieni qui" la richiamo io, vedendo il suo sorriso poco distante da noi.

Non se lo fa ripetere due volte ed anche lei mi stringe in un abbraccio veloce ma che è il più materno che io abbia mai ricevuto in vita mia. Nemmeno la mia vera madre mi ha mai abbracciata in questo modo, e forse è stato giusto così.

"Sei una ragazza speciale, Olivia. Meriti il meglio" mi accarezza una guancia e ci lascia un bacio sopra, il tutto sempre accompagnato dal bel sorriso che la caratterizza. 

"Grazie, Barbara. Sono davvero contenta che voi due vi siate trovati, siete una coppia bellissima" aggiungo vedendoli vicino, entrambi spensierati. 

"Pulce, non essere triste, mi raccomando" conclude mio papà baciandomi la fronte.

Si allontanano da me, ritornando a chiacchierare con i genitori di Edoardo e Ludovica, che si sono laureati con me un mesetto fa. Mio padre ha un braccio attorno alla schiena da Barbara e nella mia testa penso che entrambi si meritino la felicità, l'amore e tutto ciò di bello che la vita possa offrir loro. 

Mi siedo sulla sedia a dondolo in un angolo dell'immenso giardino di Miralem e, come un riflesso incondizionato, mi poso una mano sulla pancia. Abbasso gli occhi e guardo le mie dita muoversi impercettibilmente ad accarezzare quello che sarebbe potuto essere ma che ora non c'è più. Mi lascio andare ad un sospiro mentre sento gli occhi inumidirsi sempre di più.

Qualche giorno dopo la mia proclamazione di laurea, ho ricevuto la notizia più brutta che una donna - una mamma - possa sentire in vita sua. Il mio bambino - o come lo chiamavo io, il mio fagiolino - non è stato abbastanza forte da sopravvivere. Il dottore ha spiegato a me e a Federico che purtroppo era un'eventualità molto probabile dati i problemi che ho avuto in passato, in più lo stress degli ultimi mesi non ha aiutato la mia situazione. 

Non è stato un periodo facile anzi, è stato forse il più brutto che ho vissuto fino ad ora, ma Federico mi è stato accanto sempre, senza lasciami mai da sola. Non smetterò mai di ringraziarlo anche se è difficile non pensare che tutto questo sia successo per colpa mia. Alla fine sono io che che dovevo fare in modo che il nostro bambino crescesse tranquillo e nel miglior modo possibile, invece non ne sono stata capace. 

"Non è colpa tua, amore, non pensarlo nemmeno per un secondo" continuava a ripetermi Federico i giorni seguenti all'accaduto. Mi sono chiesta come potesse continuare a volermi bene, a starmi accanto, ad amarmi dopo quello che è successo. 

Fisso la mia pancia vuota per alcuni secondi mentre una lacrima salata percorre tutta la mia guancia fino a posarsi sulle mie labbra screpolate. Chiudo gli occhi e porto istintivamente la testa all'indietro, facendomi cullare dal dondolo. Guardo le stelle che brillano incessantemente a prescindere da quello che succede intorno. Non sono mai stata particolarmente fedele, non credo al paradiso o all'inferno, ma in qualche strano modo che ancora non riesco a spiegarmi cerco guardando il cielo una stella che vedo ogni sera brillare quasi ad intermittenza. Non conosco le costellazioni e non me ne intendo di astronomia, ma per me quella stellina che brilla quasi timidamente in fianco a tutte le altre del firmamento è il mio bambino che mi guarda da lassù. 

"Mi dispiace, fagiolino. Mamma e papà ti ameranno per sempre" bisbiglio mentre il viso si bagna sempre di più. 

Mi asciugo le lacrime e prendo un respiro profondo, guardo gli invitati chiacchierare e ridere spensierati e la loro felicità mi contagia un po' di più. Le cose brutte succedono, a prescindere da noi, l'unica cosa che possiamo fare è accettarle ed andare avanti cercando di trarne un insegnamento il più positivo possibile. È così che si cresce, che si matura, che si diventa grandi. 

Mi alzo dalla sedia a dondolo e muovo alcuni passi verso l'anima della festa bevendo un sorso di champagne. Le bollicine rinfrescano la mia gola in questa caldissima serata di luglio e non faccio in tempo a finire il bicchiere che due paia di braccia mi sollevano per aria trascinandomi verso il centro di una pista da ballo improvvisata. 

"Mettetemi giù, idioti" provo a fare la seria senza però riuscirci, invogliando ancora di più Paulo Dybala e Douglas Costa a sollevarmi dalle gambe. 

Chi ha sempre pensato che noi italiani siamo i migliori ad organizzare una festa, non ha mai visto una banda di sudamericani all'opera. Le loro risate e parole che a stento riesco a capire mi fanno ridere di gusto, accantonando i pensieri negativi per fare spazio a tutte le persone meravigliose che mi circondano. 

"Scusali, sono due bambini un po' troppo cresciuti" mi dice Oriana una volta riuscita ad uscire dal cerchio formatosi accanto a me. 

"Neanche troppo cresciuti direi" azzardo una battuta infelice sulla loro bassa statura che scaturisce una risata profonda nella ragazza argentina, che mi mette un braccio attorno alle spalle e mi bacia le guance. 

"Mi amor, che stupido che è a volte" continua Oriana posando gli occhi su Paulo. 

È innegabilmente il ritratto dell'amore, e Paulo ricambia il sentimento con tutto sé stesso. Sono innamoratissimi ed ogni minuto è buono per scambiarsi baci e carezze anche se sono in pubblico. 

"Non sono ancora riuscita a ringraziarti come si deve per quello che hai fatto per noi, Olivia" continua la mora bevendo un sorso di vino. 

"Io non ho fatto nulla, davvero" le rispondo camminando in fianco a lei per allontanarci dal caos e parlare più tranquillamente. 

"Sei stata con Paulo quando ero in Argentina e non so come sarebbe andata se tu e i ragazzi non gli foste stati così vicini. Perciò grazie" Oriana mi guarda negli occhi e mi sorride. 

Mi faccio contagiare dal suo sorriso e mi sporgo quanto basta per abbracciarla. 

"Paulo è come un fratello per me, lo farei altre mille volte" dico a bassa voce e, in tutta risposta, lei mi stringe un po' di più a sé. 

"Posso essere romantica anch'io?" domanda Monica una volta avvicinatasi a noi due. 

Ci stacchiamo e Oriana, dopo aver dato un bacio sulla guancia a Monica, si allontana per tornare a ballare con il suo fidanzato. 

Pensavo che vedere Monica con il pancione mi avrebbe fatto male, all'inizio pensavo addirittura di non volerla vedere perché sarebbe stato un continuo volersi male, invece no. Sono sinceramente contenta che lei e Mario siano felici ed in procinto di creare una famiglia tutta loro.

"Come va, tesoro?" mi domanda la ragazza di fronte a me con un bicchiere d'acqua in mano. 

"Prima malissimo, poi male, poi sempre meno" affermo sospirando con un sorriso tirato sulle labbra. 

"Ed ora come stai?" chiede di nuovo, appoggiandosi alla ringhiera con la schiena ed incrociando le gambe tese davanti a sé. 

"Cerco di stare bene e vedervi tutti qui mi riempie di gioia" ammetto sinceramente mettendomi nella sua stessa posizione e dando un'occhiata alle persone più distanti da noi. "E tu, invece? Come stai?" 

"Sto benissimo. Oddio, è durissima" risponde immediatamente Monica girando il bicchiere tra le dita. "Non è assolutamente come avevo pianificato la mia vita ma forse è ancora meglio di come l'avevo immaginata" aggiunge subito dopo, ricevendo un sorriso da parte mia. 

"Sono davvero contenta, Mo. Tu e Mario siete perfetti l'uno per l'altra e vi meritate tutto questo" mi giro nella sua direzione e la prendo per mano. 

Ci giriamo entrambe quel poco che basta per poterci abbracciare. La stringo forte a me ma non quanto vorrei, dato che non voglio fare del male a lei o, peggio, al bambino. 

"Sapete già se è maschio o femmina?" le domando con la testa sulla sua spalla.

"No, abbiamo scelto di non saperlo così ci farà una sorpresa" la voce di Mario si intromette nel nostro discorso, facendoci staccare. 

"Chi l'avrebbe mai detto? Mario Mandzukic papà e con il dubbio di sapere se è maschio o femmina" ridacchio sporgendomi verso il croato e dandogli una leggera pacca sulla spalla. 

"Lascia perdere, ha già in mente una sfilza di nomi croati impossibili da pronunciare" si lamenta Monica al mio fianco prendendo in giro il suo fidanzato. 

"Non insultare i nomi croati che sono bellissimi" la riprende scherzosamente Mario facendomi scoppiare in una risata genuina che contagia anche i due. 

"Cosa state confabulando voi tre? Voglio ridere anch'io!" Paulo compare dietro le spalle di Mario che, in puro stile Mandzukic, gli prende la testa attorno al suo possente braccio e gli scompiglia il ciuffo.

"Oddio, l'ha fatto davvero" mormoriamo contemporaneamente io e Monica, allibite di fronte a quella scena. 

Sappiamo benissimo che Mario non ha intenzione di fare realmente del male a Paulo - nonostante il suo braccio sia ben stretto attorno al collo dell'argentino - ma temiamo per la reazione del numero dieci. Non è un mistero che Paulo Dybala tenga quasi di più ai suoi capelli che ad Oriana e questo potrebbe essere l'ultimo momento possibile per evitare una catastrofe. 

"Giù le mani dai miei capelli, cabrón" tuona Paulo non appena riesce a divincolarsi dalla stretta presa del croato, che riceve uno schiaffo sul bicipite muscoloso ma che non smuove l'attaccante nemmeno di un millimetro.

"Sei il solito deficiente" lo rimprovera Monica scuotendo la testa ed alzando gli occhi al cielo.

"Ringrazia che ti voglio bene altrimenti finiva male" continua a lamentarsi l'argentino provando invano a sistemarsi i capelli ormai del tutto spettinati.

"Ti voglio bene anch'io, patuljak" se la ride Mario bando una pacca amichevole sulla spalla di Paulo. 

"Non credo di voler sapere cosa significa quella parola strana" commenta la Joya con un sorriso sghembo sulle labbra. 

"È un insulto amorevole" risponde Mario prima di essere portato via dal braccio di Monica. 

"Ho temuto per la tua vita, seriamente" commento guardando Paulo ancora sconvolto da ciò che è appena successo.

"Tranquilla, è grosso ma non morde" ridacchia il numero dieci leccandosi le labbra come fa sempre prima di parlare. 

È un gesto che gli procura milioni di fan urlanti in tutto il mondo e che, devo ammettere, lo rende abbastanza attraente. Ma non potrò mai guardare Paulo in altro modo se non come amico, come compagno di partite a FIFA e come complice di scherzi. Perciò non riesco ad apprezzare appieno questo movimento incondizionato che fa svenire orde di ragazze in ogni parte del mondo.

Ci guardiamo per alcuni istanti senza che nessuno dei due dica una parola. È assurdo come entrambi abbiamo raggiunto un livello di confidenza tale da rendere le parole superflue nel nostro rapporto. Ci conosciamo benissimo ed in questo momento nessuno dei due vuole rompere questo silenzio che in altre circostanze mi avrebbe dato quasi fastidio. 

Invece con Paulo mi trovo a mio agio, è un ottimo amico ed anche una persona meravigliosa, di quelle su cui puoi contare anche quando è dall'altra parte del mondo. Ha rimandato le sue vacanze per stare qui con me a festeggiare il mio compleanno e la mia laurea e se questa non è una vera e concreta dimostrazione di amicizia, non so cos'altro sia. 

"Grazie, Pau" è la cosa cosa che esce dalle mie labbra dopo un po'. 

"Di cosa, nena?" domanda retorico alzando gli angoli della bocca in un bel sorriso. 

"Di tutto" mi limito a dire, facendogli capire con due parole tutto quello per cui lo sto ringraziando in questo momento. 

Mi do una leggera spinta dalla ringhiera dietro di me e lo abbraccio forte, lo stringo a me appoggiando la testa sulla sua spalla e mi lascio stringere a mia volta dalle sue braccia fraterne. Devo tanto a Paulo, gli devo tutte le risate che ci siamo fatti insieme, gli devo tutti quei giorni brutti in cui non mi ha mai fatto mancare nulla, gli devo la preoccupazione per me ed il suo essere semplicemente l'amico sempre con il sorriso sulle labbra. 

"Ti voglio bene, Olivia" mi risponde ancora attaccato a me dandomi un bacio sulla guancia.

"Okay, basta sentimentalismi" mi allontano da lui facendogli una boccaccia che lui mi restituisce. "Allora, quando partite tu ed Oriana?" gli chiedo mentre ci avviciniamo camminando lentamente al tavolo poco distante da noi per prendere qualcosa da bere.

"Dopodomani" risponde l'argentino con le mani nelle tasche dei suoi jeans scuri. Jeans che ancora mi sto chiedendo come fa a sopportare data la temperatura. "Non vedo l'ora di tornare a casa" mi confessa lasciandosi andare ad un sospiro quasi malinconico. 

"Fate bene, riposatevi e godetevi un po' di tempo insieme" replico versandomi un altro bicchiere di champagne. 

"Anche tu e Federico non vi fate mancare niente mi sembra" ammicca nella mia direzione prendendo una bottiglia di birra e bevendone un lungo sorso. 

"California" sospiro, sognando ad occhi aperti la vacanza meravigliosa che ci aspetta tra poco meno di una settimana. "Non vedo l'ora" aggiungo sorridendo al mio amico. 

Chiacchieriamo per alcuni minuti, intervallando battute e risate a discorsi leggermente più seri quando, all'improvviso, un tornado di felicità si abbatte su di noi. Più precisamente, attorno alla gamba di Paulo. 

"Zio Paulo, zia Olivia!" esclama Edin con le braccia attorno al ginocchio dell'argentino.

"Ciao, piccolo" mormoro posando il bicchiere sul tavolo alle mie spalle ed abbassandomi sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza. 

Il piccolo Pjanic sorride non appena entro nel suo campo visivo ed arrossisce visibilmente quando gli bacio una guancia morbidissima. 

"Papà ha detto che dovevo venirti a salutare prima di andare a dormire" continua Edin che, nonostante la tenera età, migliora di giorno in giorno a parlare l'italiano che non è la sua lingua madre. 

Questo bambino mi stupisce sempre di più.

"Buonanotte, campione" lo saluta Paulo scompigliandogli i capelli e dandogli un buffetto sulla guancia. 

Edin lo saluta con un caloroso abbraccio per poi rivolgersi a me. Mi getta le braccia al collo e mi lascia un bacio sulla guancia che, data la circostanza, quasi mi fa commuovere dalla semplicità e dalla dolcezza che simboleggia.

"Ti accompagno io in camera, ti va?" gli domando, mi alzo in piedi e dopo un suo cenno affermativo con la testa, gli porgo la mano ed insieme ci dirigiamo all'interno della casa di Miralem.

"Olivia, che cosa vuol dire laurea?" mi domanda il piccolo con tutta l'ingenuità e la curiosità caratteristiche dei bambini.

"La laurea è qualcosa che ricevi quando finisci di studiare all'università, come ho fatto io" gli spiego nel modo più semplice possibile. "Studi per tanti anni e poi alla fine ti laurei" continuo, mentre gli metto il pigiamino azzurro e scosto il lenzuolo. 

"Anch'io quando sarò grande potrò avere una laurea?" chiede, con gli occhioni versi avidi di conoscenza. 

"Certo che potrai, quando sarai grande potrai diventare tutto quello che vuoi" gli do un bacio sulla guancia e gli sorrido in modo genuino, mentre si mette a letto con le manine sotto la testa. 

"Grazie, zia Oli" sussurra sbadigliando e con gli occhi quasi chiusi, ma combattendo internamente per lasciarli aperti. 

"Ti voglio bene, piccolo. Bonne nuit et faits de beaux rêves" bisbiglio dandogli un bacio sulla fronte e spegnendo la piccola abat-jour sul comodino in fianco al suo letto.

"Bonne nuit" risponde Edin con gli occhi già chiusi ed un'espressione serena dipinta in viso. 

Spengo la luce della camera di Edin e socchiudo la porta cercando di fare meno rumore possibile. Ogni volta che parlo con quel bambino mi rimane una sensazione di felicità ma al contempo mi destabilizza perché è davvero molto più intelligente della sua età. 

"Ci sai davvero fare con i bambini" una voce famigliare si fa largo tra i miei pensieri. Mi volto leggermente verso la scale che conduce al piano terra e vedo Miralem a braccia conserte appoggiato allo stipite della porta della sua camera da letto, di fronte a quella di suo figlio.

"Ehi, mi hai spaventato" dico in un sussurro portandomi la mano sul cuore che batte più veloce data la sorpresa.

"Scusa, non volevo" il bosniaco si schiarisce la voce e mi guarda con fare inquisitorio. "Tutto bene, Oli?" domanda scrutandomi con fare quasi paterno. 

"Sto bene, Mire" gli rispondo appoggiandomi al muro di fronte a lui. 

"Vieni qui" si limita a dire, riuscendo a capirmi meglio di chiunque altro.

La sola persona che riesce a battere Miralem nel capire cosa mi passa per la testa è mio padre, ma lui è stato biologicamente predisposto a questo. Miralem invece ha un dono innato. Gli basta guardarmi negli occhi o esaminare un mio gesto per leggermi dentro. 

Non me lo faccio ripetere due volte ed entrambi facciamo un passo avanti, in modo da incontrarci a metà strada in mezzo al corridoio. Gli getto le braccia al collo e poso la guancia sulla sua spalla, guardando il muro scarsamente illuminato. Lui mi circonda la schiena con le braccia e mi accarezza delicatamente da sopra la maglietta che indosso. 

Non c'è malizia in quel gesto, non c'è un doppio senso e - anche se tante volte più persone ci hanno chiesto se ci fosse del tenero tra noi due - so per certo che Miralem è il fratello che ho sempre voluto ma mai avuto. 

È il mio fratellone, il mio grillo parlante, colui che mi ha impedito di fare scelte stupide e mi ha incitata a farne altre più sensate, quello che c'è stato nei giorni migliori ma anche in quelli peggiori. Miralem stesso è un figlio, un fratello ed un padre. Ed è proprio essere un padre a renderlo speciale, perché ci sono cose che soltanto chi è genitore può capire. 

"Andrà tutto bene" mi sussurra all'orecchio baciandomi i capelli. "Ve lo meritate, tu e Berna sarete una famiglia meravigliosa". 

Miralem Pjanic non è mai stato uno di molte parole, perlomeno non con me, ma ogni volta che parla dice sempre la cosa giusta al momento giusto. Chiudo gli occhi per evitare di lasciarmi sfuggire una lacrima e lo stringo un po' più forte contro di me, perché è di questo che ho bisogno qui ed ora. E lui c'è, ci sarà sempre. 

"Non di sangue" mormoro staccandomi da lui quel poco che basta per guardarlo negli occhi che trovo già puntati nei miei.

"Ma per scelta" conclude lui la nostra frase, quella che un giorno - mi ha promesso solennemente - ci tatueremo insieme. "Ora scendi, che c'è una sorpresa per te, dottoressa" sottolinea l'ultima parola provocandomi una risata mentre mi spinge a scendere al piano inferiore con una leggere spinta sulla schiena.

"Se è una sorpresa delle vostre ho seriamente paura" commento scendendo le scale e trovandomi in breve tempo di nuovo nel giardino di casa Pjanic. 

"Chiudi gli occhi" Federico è la prima persona che vedo una volta uscita all'aperto con in mano una bandana fucsia che gli ho visto indossare qualche volta quando aveva ancora i capelli lunghi. 

Addosso a chiunque altro l'avrei probabilmente bruciata, ma lui aveva il coraggio di essere sexy anche con quella cosa in testa. La magia di chiamarsi Federico Bernardeschi.

"Che succede?" chiedo un po' intimorita, dato che tutti gli invitati sono dietro a Federico posizionati a semicerchio, ognuno con un sorriso da orecchio a orecchio talmente fastidioso da volerli quasi prendere a pugni. "State programmando il mio omicidio?" azzardo un'ipotesi stupida che purtroppo le troppe puntate viste di "How to get away with murder" mi hanno insegnato a non escludere a priori.

"Ma smettila e vieni qui" il numero trentatré mi prende per un polso e mi fa avvicinare a lui, mi gira di spalle e mi copre gli occhi con la sua bandana fucsia. 

Non mi sento molto a mio agio quando non posso vedere cosa succede davanti a me, ma sentire il braccio di Federico attorno ai miei fianchi e la sua mano nella mia a guidarmi mi fa stare più tranquilla. 

C'è un silenzio irreale in questo momento a casa Pjanic e, apparentemente, anche sopra tutta la città. Anche le zanzare stasera sembrano averci lasciato un po' di tregua e sento solo dei passi avvicinarmi a me, ancora bendata e sicuramente con un aspetto ben poco presentabile. 

"Fede, puoi togliermi questa cosa ridicola dalla faccia?" mi lamento sbuffando verso l'alto per cercare di togliere un ciuffo di capelli che non fa altro che solleticarmi la punta del naso. 

"Ancora un attimo, okay ci siamo" dice finalmente portandomi davanti al cancello principale della villa. O almeno, così mi pare dato il percorso che abbiamo fatto. 

"Posso toglierla?" chiedo, già con entrambe le mani sopra al tessuto che mi copre gli occhi.

"Vai" mormora Federico alle mie spalle e, contemporaneamente, mi tolgo la bandana. 

I miei occhi ci mettono un attimo a mettere a fuoco la sagoma che ho davanti, che da quel che vedo sembra sorridermi quasi divertito dalla situazione.

Per forza, chissà che faccia da ebete ho in questo momento.

Strizzo nuovamente le palpebre per poi spalancare la bocca dallo stupore. Sono talmente frastornata che mi sembra di svenire. 

"Se è un sogno non svegliatemi per nessun motivo" biascico, probabilmente senza che nessuno abbia capito cosa ho detto effettivamente. "Cristiano?" domando con il cuore in gola.

Davanti a me Cristiano Ronaldo in tutto il suo splendore si porta una mano sul petto ed annuisce con un leggero movimento del capo. Il suo sorriso mi acceca da quanto sono bianchi i suoi denti e, presa dall'euforia del momento e dalla quantità di alcool che ho in corpo, mi avvicino a lui con un passo.

"Posso abbracciarti?" gli chiedo timidamente, dovendo alzare la testa di molto data la sua statura.

"Sì" si limita a dire, ancora non riuscendo a capire e parlare perfettamente l'italiano. 

Mi fiondo tra le sue braccia con decisione ma cercando pur sempre di mantenere un contegno. Non voglio fare la figura della fan impazzita ma non si può rimanere indifferenti davanti ad un uomo del genere. 

L'incontro con Cristiano dura pochi minuti e solo più tardi Douglas mi spiega che è riuscito a liberarsi dai suoi numerosi impegni solo per fare un salto alla mia festa. Rimango a bocca aperta nel sentire che un giocatore del calibro di Cristiano Ronaldo abbia trovato il tempo per venire ad una umile festa solo per accontentare me ed i suoi nuovi compagni di squadra.

La notizia dell'arrivo di Cristiano in bianconero è ancora fresca per me e ammetto di non averci mai creduto seriamente a questo vero cambio di maglia del portoghese. Tutto è cambiato il 9 luglio quando ciò che fino a quel momento sembrava un sogno irraggiungibile è diventato realtà. Molti giornalisti lo hanno definito "Il colpo del secolo" e, forse per la prima volta in tutta la mia vita, mi sento di essere d'accordo con loro.

Da quel giorno il fuoriclasse portoghese è un giocatore della Juventus e non posso che essere felice per la mia squadra, per la società, per i ragazzi ed anche un po' per me stessa. C'è sempre da imparare dai migliori e questa è la nostra occasione di apprendere il più possibile da uno come lui. 

"Dottoressa Diviani" la voce bassa di Federico giunge alle mie orecchie facendomi rabbrividire all'istante mentre guardo le luci della città sotto di noi. 

"Si?" rispondo appoggiando la schiena contro il suo petto e facendomi cullare dalle sue braccia che mi stringono da dietro.

"Ti amo, tutto qua" dice semplicemente dando un bacio ai miei capelli che svolazzano a causa della lieve aria che si alza improvvisamente e ci investe in pieno viso. 

"Ti amo anch'io, amore" replico continuando a guardare dritto davanti a me, con le mani intrecciate alle sue sopra alla mia pancia.

Federico prova a non darlo a vedere, ma sento il movimento impercettibile dei suoi polpastrelli contro il mio addome. Stringo un po' di più le sue dita tra le mie e mi giro nella sua direzione per poterlo guardare negli occhi, gli stessi occhi che mi hanno fatta innamorare di lui fin dal primo giorno. 

"Sei triste?" chiedo con il mento alzato per esaminare meglio il suo volto. 

"Con te non potrei mai esserlo" risponde immediatamente, segno che è sincero. "E so che un giorno, chissà quando, saremo una splendida famiglia" aggiunge con un enorme sorriso che non può fare altro che contagiarmi. 

"Saremo una famiglia, non sarà perfetto ma sarà come deve essere" sento gli occhi pizzicarmi dalla commozione e per la prima volta la speranza prende il sopravvento sulla tristezza di questo argomento. "E andrà tutto bene" concludo prima di alzarmi sulle punte e schiudere le mie labbra contro quelle di Federico che ricambia il bacio dolcemente stringendomi contro il suo corpo. 

Ci baciamo per secondi o forse addirittura per alcuni minuti. Torino è ai nostri piedi a farci da sfondo, questa città che ci ha accolto entrambi da ragazzini e ci ha visti trasformare in adulti. L'aria calda estiva mi fa svolazzare i capelli e si prende tutte le preoccupazioni della mia vita. Le persone a noi più care sono qui ad incorniciare una serata indimenticabile, risultato di un anno vissuto a mille senza mai staccare il piede dall'acceleratore. 

Le stelle e la luna illuminano i nostri visi mentre ci guardiamo senza dire una parola. Siamo felici, siamo insieme, siamo una cosa sola. Ci guardiamo con la consapevolezza del nostro amore, sapendo che le difficoltà ci saranno sempre ma solo i coraggiosi hanno la capacità per superarle ed uscirne più forti. 

Trovo nei suoi occhi la stessa scintilla che sicuramente lui trova nei miei ed ora so che, dopo tutto quello che abbiamo superato in questo anno, possiamo affrontare qualsiasi cosa a testa alta e senza avere paura. 

Mi sono sempre chiesta cosa si provasse ad essere felici, felici davvero. Ed ora, tra le braccia dell'uomo che amo posso finalmente darmi una risposta. Questa è la felicità. 

Perché noi saremo felici,
saremo una famiglia,
saremo insieme
ci ameremo
fino alla fine.

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