La ferita si cicatrizzò. La crosticina sottile si disperse durante il cammino e la sera, davanti al fuoco, Eva mostrò come la pelle sotto fosse di nuovo intatta. Era rimasta solo una striscia rosata, un marchio indelebile di quell'incontro.
I ragazzi osservarono il miracolo, ammutoliti.
Un conto era sentirne parlare, un conto era vederlo di persona: il processo di guarigione.
«Perché gli Antichi hanno smesso di guarire?» chiese all'improvviso Shani, rivolta verso Hans.
Il ragazzo raddrizzò gli occhiali e arrossì. «È una domanda a cui nessuno ha una risposta sicura. Si possono solo fare delle supposizioni...»
«Quali?» insistette a sua volta Tomas.
«Inquinamento, stress, contaminazioni, antibiotico-resistenza, pandemie, intossicazioni... Non c'è una risposta univoca. Il titanio sembrava la soluzione, non ci si è soffermati sull'eziologia.»
«Tua madre non era Umana?» chiese Tomas a Eva.
«No, nemmeno le mie sorelle. Per quanto ne sappiamo, nemmeno mio padre. Ma io non l'ho mai conosciuto» rispose evasiva la ragazzina.
«È morto?» le domandò Shani, senza vergogna.
«No, è ignoto.» Sorrise Eva. Ma i suoi occhi erano tristi. Non per il genitore sconosciuto, ma per aver evocato le sorelle. Più passava il tempo, più diveniva lacerante quella separazione. Le sentiva appartenenti a un mondo lontano, una dimensione irraggiungibile. Perse per sempre. Si ripeteva che erano vive, che stavano bene, sull'Arca. Ma questo non bastava a consolarla. Non le avrebbe mai più riviste...
«Abbiamo un problema con le provviste. Sono quasi finite. Dobbiamo trovare urgentemente una soluzione» dichiarò Hans, rivolto soprattutto a Ulrik. Il capitano fece un cenno di assenso con la testa. Era seduto con le gambe divaricate, i gomiti appoggiati alle ginocchia e lo sguardo fisso sul fuoco acceso davanti a lui.
«Io vi consiglio le mele!» esclamò Tomas, tirando fuori dallo zaino un frutto verde chiaro, non più grande del palmo della sua mano.
«Sono ancora acerbe, inoltre non sappiamo se...» cercò di spiegare, per l'ennesima volta, il professore, ma fu interrotto.
«Sono la cosa più buona che io abbia mai mangiato! Perché non vi fidate? Non hanno niente a che vedere con la frutta sull'Arca, assolutamente niente! Al primo impatto sono troppo aspre, fibrose, hanno un odore troppo intenso. Ma poi ti ci abitui e, alla fine, ti rimane un sapore dolce in bocca. Inoltre hanno tutte una bontà diversa! Cioè, mangiarne una non è come mangiarne un'altra! Mi spiego: quelle rosse sono un po' più dolci, quelle piccole hanno un gusto più forte, le verdi sono più acidule. Ma due mele di uno stesso albero non sono assolutamente uguali. Né per consistenza, né per sapore. Ce ne sono di più succose, di più croccanti, alcune sono più acide di altre, altre sono più polpose, altre ancora sembrano farinose. Sull'Arca ci siamo abituati a quelle mele grosse, turgide, acquose, uguali e identiche come biscotti preconfezionati. Qua non è così! È vero, queste sono piccole, bruttine, bucherellate. Le nostre erano molto più belle, più grandi e di un affascinante rosso intenso. Ma questa è la versione originale e non ha eguali!»
«Ti paga qualcuno per questa pubblicità?» sbuffò Shani.
«Avete altre opzioni? Come ci sfameremo nei prossimi giorni? Leccherete la carta delle vostre barrette?» rispose contrariato Tomas, poi azzannò il suo piccolo pomo.
«Un'opzione c'è...» replicò Hans. Con lo sguardo cercò Ulrik, che però sembrava ancora perso nei meandri della sua mente. «Dovremmo andare a cacciare.»
«COSA?!» esclamarono Kuran, Shani e Tomas in coro. Ulrik alzò gli occhi, frastornato.
«La caccia è un'attività che gli Antichi hanno praticato fin dalla preistoria. È stata per lunghi periodi una delle maggiori fonti di approvvigionamento di cibo per il sostentamento della popolazione Umana. L'allevamento industriale ha poi reso inutile la ricerca di prede e la cattura di animali allo scopo di cibarsene. È rimasta a lungo un'attività per lo più ricreativa. La carne costituisce una fonte relativamente ricca di ferro e migliora al contempo l'assorbimento del ferro degli altri alimenti, la sua composizione di aminoacidi è complementare a quella di molti cibi vegetali ed è una fonte concentrata di vitamine del gruppo B, compresa la vitamina B12, che è assente nei cibi vegetali.»
«Cioè tu vorresti davvero... uccidere degli animali e mangiarli?» Shani gli puntò un indice accusatorio al petto.
«Sull'Arca non c'erano animali, quindi fonti proteiche. Ma gli Antichi sono stati onnivori per quasi tutta la loro storia! C'è poi da considerare il bisogno di un'integrazione di vitamina B12: sull'Arca i cibi erano addizionati, in natura questa sostanza è contenuta unicamente negli alimenti di origine animale...»
«Rik! Ma lo stai ascoltando? Davvero adesso diventeremo... cannibali?»
«Cannibalismo vuol dire predazione intraspecifica, è un termine che designa la pratica del mangiare i propri simili. Antropofagia (dal greco ἄνθρωπος, "uomo" e φαγω "mangio") indica, invece, un organismo carnivoro che si nutre, preferenzialmente, di Umani. Potrebbe essere dannoso, potenzialmente mortale, cibarsi di un Titans, al massimo l'unico essere commestibile qua potrebbe essere Eva...»
«Ora basta!» esplose Ulrik. Si alzò in piedi con fare imperioso.
Shani ebbe un vero e proprio conato di vomito.
«Rik, ovviamente non ho mai pensato di...» si scusò Hans, imbarazzato.
«BASTA» tuonò il capitano e lo zittì una volta per tutte.
Poi tornò a sedersi, sempre più scuro in volto.
«Ora la mia dieta fruttariana non vi sembra più così assurda, eh?!» scherzò Tomas, lanciando il torsolo nel falò.
❈
Al mattino Eva venne svegliata da un picchiettio lieve.
Quando alzò gli occhi, vicino al suo zaino c'era un piccolo essere rossastro che la aspettava. Il viso era a punta, aveva occhi grandi, di un nero intenso e una coda piatta ricoperta da un pelo folto e fitto.
Quando Eva si sollevò, lo scoiattolo inclinò la testa da un lato, poi dall'altro, muovendo nervosamente le zampette anteriori.
«Ehi» esclamò la ragazza, sorpresa.
Gli altri dormivano ancora. Solo Ulrik, che faceva la guardia, alzò gli occhi e lì sbirciò, senza muoversi e senza, quindi, che si accorgessero di lui.
Il roditore si allontanò, andò a rifugiarsi dietro uno zaino, da cui sporgeva la sua coda eretta, poi tornò da lei, sempre più tremante. Spostava il capo di continuo.
Eva allungò una mano, con il dito teso. Lentamente lui si avvicinò, la annusò col nasino umido e restò immobile a fissarla. A dispetto del suo aspetto simpatico e dolce, l'animale possedeva un'indole piuttosto solitaria. Ma non aveva resistito alla tentazione. Il fiuto non l'aveva ingannato: gli Umani erano tornati.
«Non ti farò del male.» Le parole le uscirono di bocca prima di riuscire a pensarle. Come se qualcuno le pronunciasse al posto suo usando il suo apparato fonatorio. Perplessa, scandagliò quella frase nella sua testa e rimase impigliata in quel pensiero non suo, eppure da lei formulato.
Lo scoiattolo chinò un'ultima volta il capo e poi fuggì, correndo a zig zag nella fitta foresta. La lasciò sola con una strana sensazione, un misto di curiosità, paura e... sollievo.
«Non è un potere negativo. L'hai provato di persona. Adesso con lo scoiattolo e ieri con il gatto. Non li attrai per farci da scudo umano, li attrai e basta, perché sei Umana» mormorò Ulrik, abbastanza forte perché lei lo potesse sentire, ma non abbastanza da svegliare gli altri. Si era avvicinato di soppiatto, mentre l'animale scappava.
Eva lo guardò con i suoi occhi enormi. Lui non ne aveva mai compreso il colore, ma adesso, grazie al sole del mattino, riusciva a vederlo in tutta la sua rara bellezza. Aveva gli occhi color hazel, essi mutavano spesso in base alla luce che li colpiva, rendendoli difficile da classificare come ambrati, castani o verdi. Erano una sfumatura di quelle tre tonalità. L'iride era ai bordi più chiaro, vermiglio, con luminose pagliuzze dorate, e di un colore più scuro verso la pupilla, tendente al nocciola.
La fronte della ragazzina si corrugò all'improvviso in un cipiglio perplesso.
Ulrik arrossì e distolse lo sguardo. Per lui il contatto oculare era sempre una sfida ardua.
«Per lo stesso motivo per cui io sono commestibile e voi no. Li attraggo perché possono cibarsi di me, mentre il titanio nelle vostre vene li avvelenerebbe.» Non aveva moderato il suo tono di voce, li avrebbe svegliati tutti.
Il colorito del capitano passò da un rosso intenso a un pallore cereo.
«Non è così...» Tornò in piedi e si allontanò da lei.
«Allora com'è?» Eva d'impeto lo afferrò per il braccio, lo trattenne.
L'ufficiale le rispose con riluttanza, dandole le spalle.
«Gli Anziani avevano parlato di sciamanesimo. Un potere antico che utilizzava uno stato alterato di coscienza per ottenere la guarigione e trovare soluzione ai problemi degli Antichi. Gli sciamani sono stati i primi guaritori e soccorritori nella vita e nella morte, i primi saggi e visionari.» Le gettò una rapida occhiata, un abbaglio fugace di un cielo artico. «È una pratica antica, che creava un legame primordiale con la natura, un'armonia con la Madre Terra, ovvero questo pianeta. Tu hai questo potere. Lo scopo degli sciamani era di ottenere questa profonda connessione ed era fondamentale per la sopravvivenza della propria tribù. Le prime società degli Antichi vivevano in funzione di ciò che la terra forniva loro. Se il villaggio fosse stato in armonia con Madre Terra, questa avrebbe fornito tutti i ripari, i nutrimenti, le erbe medicinali necessari per condurre una vita sana e in equilibrio. Se invece la comunità agiva in disarmonia, allora si dovevano affrontare periodi di sofferenza, fame e malattie.»
«Non crederai a queste stronzate?» La voce di Eva era rotta da un pianto imminente. Ulrik si voltò verso di lei, sconfitto da quel tono implorante, che lo trafiggeva al petto come una spada acuminata. Quella teoria assurda feriva entrambi in due maniere opposte e complementari allo stesso tempo.
«È la pratica spirituale più antica sviluppata dagli Umani...»
«Ma tu non ci credi, vero? Ulrik...» Due lacrime furenti sgorgarono da quegli occhi enormi, di quel colore indefinito. «Ti prego, confessa. Nemmeno tu ci credi.»
Perché voleva sentirselo dire? A che pro? A cosa sarebbe servito? Non sarebbe stato peggio? Cos'era meglio, che lui dubitasse di quelle pratiche desuete, superate da più di duemila anni di progressi scientifici, o che vi credesse con sincerità, che si fidasse di quella pseudo-religione a tal punto da mettere in pericolo la sua vita?
Il giovane uomo non riuscì né a sganciarsi dalla sua presa, né a mentirle.
«Ci credo... ci devo credere. Me l'hanno ordinato.»
Eva mollò la morsa, distrutta da quella affermazione.
Il braccio di Ulrik ricadde al suo fianco come un arto privo di vita.
La ragazzina si asciugò rapida le guance prima che gli altri la potessero vedere e tornò al suo giaciglio, per sistemare le sue cose, senza fiatare.
❈
Durante il cammino Shani le si avvicinò e la bloccò. La trascinò un po' indietro, in coda al gruppo, lontano da orecchie indiscrete, e le chiese, a bassissima voce: «Avete discusso stamattina?»
Eva scosse la testa, perplessa. Doveva ancora abituarsi a questa nuova confidenza tra loro due.
«Ulrik è il miglior capitano che potessimo avere. Te lo garantisco, ha una forza sovrannaturale, è perspicace e molto sveglio. Una macchina da guerra.»
Attese qualche secondo, per appurarsi che nessuno fosse in ascolto.
In cima alla fila, Hans disquisiva di geopolitica. Un monologo ignorato da tutti, che però offriva un diversivo per tornare a parlarle.
«Tu sei l'unica che non lo sa, quindi è mio dovere informarti. Io mi fido ciecamente di lui, gli affiderei la mia stessa vita, in questa missione. Gliela sto già affidando, in effetti.» Shani si legò i capelli ribelli in una coda improvvisata. Sudava già sul collo e sulle spalle, il caldo in quei giorni era in aumento. «Ho visto che voi due vi siete avvicinati molto.»
«Ma cosa dici?!» Eva divenne paonazza.
«Vi ho visto parlare spesso. So che effetto può fare Ulrik, siamo della stessa sponda» ribatté, tirandole una gomitata. La ragazzina finse di non comprendere l'allusione e la guardò sgomenta. «Sono una donna anch'io, Eva, le noto certe cose!»
«Non so di cosa tu stia parlando» ribatté, ogni sillaba scandita con attenzione.
«Comunque, era solo per dirti di stare attenta. Ulrik è un bel ragazzo, meglio, un bell'uomo. Ma all'Accademia tutti sapevamo che aveva ucciso la sua fidanzata.»
Eva si fermò in mezzo alla strada, il sudore freddo le bagnò i vestiti mentre il suo volto perdeva vigore.
Shani la sospinse in avanti, con il palmo della mano aperto. «Non ti fermare.»
Le due ripresero a camminare in silenzio, nessuno le aveva sentite. Tomas, davanti a loro, sgranocchiava una delle sue mele, canticchiando un bizzarro motivetto.
«Era giusto avvisarti, Eva. Mi capisci? Tutti noi lo sappiamo, fu Tomas a far trapelare la notizia. Non so come siano andate le cose, non credo che lei non avesse colpe, Rik non sarebbe mai arrivato a compiere un gesto del genere senza prima essere stato provocato. Non ha mai fatto risse, mai avuto diatribe, mai torto un capello a nessuno, se non negli allenamenti, in cui però menava davvero pesante. Ulrik è un ottimo caposquadra, uno studente modello, una macchina da guerra. Ma non un fidanzato, mi capisci?»
Eva la fissò titubante. No, non capiva.
«Voglio dirti soltanto... non innamorarti di lui. Puoi stare certa che, qualunque cosa accada, lui darà la sua vita per salvare la tua, perché questa è la missione che gli hanno assegnato. Tu sei la sua priorità. Ma non scambiare questo per affetto. Mi alleno con lui da quando avevo meno di sei anni. Ma non posso definirlo un mio amico, anche se gli voglio un bene dell'anima. Perché so che lui non ricambia il mio affetto. Se gli avessero ordinato di farmi fuori, non ci avrebbe pensato due volte. Quell'omicidio venne coperto dai piani alti, mi capisci? Non fu condannato, punito, nemmeno sospeso. Conosco Rik, non si sarebbe macchiato di un crimine del genere senza un motivo. Proprio lui che ambiva alla perfezione in ogni campo, l'alunno più diligente che l'Accademia avesse mai avuto. Lui non fa mai niente che non gli sia stato ordinato...»
Varie immagini investirono la mente di Eva.
Ulrik che le agganciava le cinture al momento della partenza, che si tuffava con lei stretta al suo petto nel mare gelato, che le sollevava i pantaloni in quell'appartamento desolato, che le insegnava a stare a galla e la sorreggeva con la sola punta delle dita.
«Capisco» rispose infine.
❈
La foresta si diradò all'improvviso. L'emblema della crudeltà selvaggia e del labirintico smarrimento interiore cedette il passo a una distesa impervia, una collina espansa che si affacciava sui monti e sulla fitta vegetazione circostante.
Papaveri e denti di leoni tingevano di giallo e rosso una vastità d'erba verde che si dilatava a vista d'occhio fino quasi all'orizzonte.
Uno spazio armonioso e incontaminato, un paesaggio fiabesco che nessuna delle raffigurazioni sull'Arca era mai riuscito nemmeno lontanamente a evocare.
Il paradiso perduto dei Titans, persuasi per anni che la loro realtà organizzata, il loro spazio civilizzato, decodificabile e dominabile, fosse il massimo a cui potessero ambire.
Quel pianeta oscuro e misterioso, denso di entità impenetrabili, inquietante, imprevedibile e ostile, era in realtà la loro casa.
Ed Eva lo percepì come non mai, alla luce delle rivelazioni prima di Ulrik e poi di Shani.
Lei non era mai appartenuta all'Arca.
Lei apparteneva alla Terra.