Fino alla fine || Federico Be...

Von nowhereissafe

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Olivia, studentessa ventiduenne di lingue, si trasferisce a Torino con il padre dopo la separazione dei suoi... Mehr

Uno {Prologo}
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Sette
Otto
Nove
Dieci
Undici
Dodici
Tredici
Quattordici
Quindici
Sedici
Diciassette
Diciotto
Diciannove
Venti
Ventuno
Ventidue
Ventitré
Ventiquattro
Venticinque
Ventisei
Ventisette
Ventotto
Ventinove
Trenta
Trentuno
Trentadue
Trentatré (❤)
Trentaquattro
Trentacinque
Trentasei
Trentasette
Trentotto
Trentanove
Quaranta
Quarantuno
Quarantadue
Quarantatré
Quarantaquattro
Quarantacinque
Quarantasei
Quarantasette
Quarantotto
Quarantanove
Cinquanta
Cinquantuno
Cinquantadue
Cinquantatré
Cinquantaquattro
Cinquantasei
Epilogo
Ringraziamenti

Cinquantacinque

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Von nowhereissafe

Torino, 9 maggio 2018

L'euforia di Milano ha finalmente cancellato i fantasmi di Cardiff e di Madrid dalle teste dei calciatori della Juventus. Rimarranno per sempre due partite maledette, con tanti dubbi e perché, ma non sono più un problema mentale. Il morale è alle stelle, la squadra ha portato a casa tre punti contro il Bologna pochi giorni fa e tra dieci giorni si concluderà il campionato. Mancano ancora due partite e, se la Juve pareggerà o vincerà contro la Roma, alzerà al cielo il settimo scudetto consecutivo. 

L'ultimo mese è stato difficile, pieno di alti e bassi, fatto di vittorie e di sconfitte, ma mi ha insegnato tutto quello che la Juventus può essere. Questo è stato il motore per scrivere la mia tesi di laurea che fortunatamente procede nel migliore dei modi. Stasera i ragazzi sono impegnati a Roma per la finale di Coppa Italia contro il Milan e non poter essere con loro mi spezza il cuore. La delusione della Champions League ha fatto aumentare drasticamente la voglia di vincere sia lo scudetto sia la Coppa Italia e so per certo che i ragazzi possono tornare a casa vittoriosi. 

Ho detto a Federico che non potevo andare a Roma con lui perché devo vedere il mio relatore, il quale deve leggere e correggere la mia tesi ormai quasi finita, ma non è tutta la verità. È vero, devo andare in università e parlare con il mio professore, ma c'è dell'altro che devo fare. In questi ultimi mesi sono successe talmente tante cose da farmi perdere il conto dei giorni, soprattutto il conto più importante: quello del ciclo. 

Che il ciclo mi arrivi in ritardo non è una novità. Da quando mi è venuto per la prima volta, non ha fatto che arrivare quando voleva senza farsi troppi problemi. Ho imparato a convivere con il mio corpo, il quale è fatto diversamente da quello di tutte le altre ragazze e gestisce il ciclo in maniera diversa. Per me è diventata la normalità aspettarlo per settimane, ci sono state volte in passato in cui non mi veniva per due mesi di fila. Una visita dal ginecologo può farmi solo bene, dato che stavolta il ciclo oltre a tardare ad arrivare, mi sta facendo patire le pene dell'inferno. 

L'unica persona fisicamente a Torino e con la quale posso parlare di mestruazioni, assorbenti e crampi addominali senza che le venga un infarto è Monica. Mi manca la mia amica e non vedo l'ora di passare un po' di tempo con lei, soprattutto per sapere tutti i retroscena sulla gravidanza in corso. 

La aspetto sotto casa sua dentro alla mia 500x e, complice il clima più estivo che primaverile, apro il tettuccio per far entrare i caldi raggi del sole. Per il momento non ho detto nulla a Federico, dato che non voglio allarmarlo in un periodo così delicato per quanto riguarda la sua vita professionale. 

Un rumore mi distrae dallo schermo del cellulare, con il quale stavo sbirciando le storie Instagram di calciatori ed influencer vari. Blocco il telefono e mi giro verso sinistra, vedendo Monica attraversare la strada per raggiungere la macchina. È sempre stata bellissima, con i capelli corvini, un sorriso smagliante e due occhi di un azzurro così intenso da farli sembrare quasi trasparenti, ma ora è meravigliosa. Ha un'espressione così felice in viso da farla camminare ad un metro da terra. La gravidanza deve portare questa felicità. 

"Liv, quanto tempo! Fatti abbracciare" apre lo sportello della macchina e riempie immediatamente l'abitacolo con la sua voce acuta. 

Ci scambiamo un abbraccio lungo una manciata di secondi, prendendoci tutto il tempo necessario per un saluto appropriato. Mi stacco da lei e rimango a guardarla con un sorriso sulle labbra, che lei ricambia. 

"Sei bellissima, Mo. Sei raggiante" dico sinceramente, scrutando ogni singolo dettaglio del suo viso. 

"Senti chi parla, tu sei sempre uno schianto" mi dà un leggera gomitata sul fianco con il braccio sinistro per poi sistemarsi sul sedile. 

Accendo il motore della macchina e mi immetto nella strada secondaria, mettendomi l'anima in pace dato che dovremo attraversare Torino all'ora di punta. Mi sistemo gli occhiali da sole sul naso con l'indice della mano destra e, dopo aver impostato una playlist pop a basso volume some sottofondo, riprendo a guidare per le vie affollate della città. 

"Allora, che succede?" mi domanda Monica dopo pochi minuti. Ha sicuramente notato il silenzio quasi imbarazzante calato su di noi, situazione che ci mette entrambe a disagio. Si gira leggermente con il busto ed il viso verso di me mentre lascia il gomito e l'avambraccio appoggiati contro il finestrino alla sua destra. 

"Niente di particolare, solo il ciclo che mi fa impazzire" scrollo in modo impercettibile le spalle tenendo lo sguardo fisso sulla strada per non causare un incidente.

"Non ti arriva?" domanda incuriosita Monica, dato che non le ho dato parecchi dettagli sulla mia visita di oggi. Ha solo accettato di accompagnarmi, approfittando dell'occasione per passare un po' di tempo insieme tra amiche.

"No, ormai sono un paio di mesi direi" non faccio nemmeno in tempo a finire la frase che la mora mi blocca all'istante.

"Due mesi? Sei impazzita? Federico lo sa?" domanda a raffica alzando drasticamente il tono di voce, talmente tanto da farla rimbombare nonostante il tettuccio aperto sopra le nostre teste. 

"Mo, ti prego non urlare. Non sono incinta, stai tranquilla" sorrido approfittando del semaforo rosso per voltarmi verso di lei e allungare una mano ad accarezzare il ginocchio per tranquillizzarla. 

"Non è normale non avere il ciclo per due mesi" sbarra gli occhi Monica togliendosi gli occhiali da sole, visibilmente preoccupata.

Prendo un profondo respiro e scavo in un angolo remoto della memoria, alla ricerca del mio passato in cui odiavo talmente tanto il mio riflesso da auto infliggermi quello che per me era l'unica fonte di vita, ma al tempo stesso mi stava uccidendo. Inevitabilmente il mio corpo ha cambiato forma tante volte in un lasso di tempo relativamente breve da mandare in tilt tutte le cellule. Monica mi ascolta senza fiatare e, anche se non posso girarmi verso di lei, sento il suo sguardo fisso sul mio viso. 

Non mi piace parlare del mio passato, perfino Federico non conosce tutta la storia. Sa che avevo problemi con il cibo, ma non sa fino a che punto quello che poteva essere un disturbo alimentare fosse diventato una vera e propria dipendenza che mi stava distruggendo da dentro. Parlarne con Monica mi fa sentire leggera in un certo senso, mi rende finalmente libera di scegliere e non essere più al centro di quella trappola mortale. 

Sento gli occhi pizzicarmi a causa delle lacrime che minacciano di scendere sulle mie guance ma, per la prima volta, le mie guance rimangono asciutte mentre parlo della vecchia me. 

"Sei una forza della natura, Olivia" mormora Monica al mio fianco quando ormai mancano pochi metri dallo studio medico. 

"Sono arrivata al punto in cui o mi facevo curare o rischiavo di non arrivare a 30 anni" faccio un sospiro parcheggiando la macchina davanti all'edificio. "Perciò sì, mi ha decisamente svegliata come cosa" continuo guardando la mia amica con un sorriso stampato sulle labbra.

"Ti ammiro, davvero" commenta Monica prendendo le mie mani per stringerle nelle sue. 

"Anch'io ammiro te" rispondo stringendola nuovamente in un abbraccio. "Ma ora basta con le storie strappalacrime, okay? È acqua passata ormai. Sono cresciuta e sono una persona diversa" mi lascia un bacio sulla guancia, che ricambio immediatamente, e poi entrambe scendiamo dalla macchina, dirette verso l'ampio portone d'ingresso. 

Il palazzo in stile liberty si para davanti a me e Monica. Non sono mai stata una fan dell'Art Nouveau, fin dai tempi del liceo. L'ho sempre trovata un po' in mezzo tra il classico ed il moderno; e a me le vie di mezzo non sono mai piaciute. 

Entriamo insieme nella piccola sala d'attesa, asettica e caratterizzata dal tipico odore di ospedale e malattia presente in tutti questi ambienti. Non mi sono mai piaciuti gli ospedali e i medici in generale mi mettono l'ansia: sembrano costantemente giudicarti dietro alle loro lenti spesse e alle loro quattordici lauree in tutto e, al tempo stesso, in niente. 

"Diviani, il dottor Tanzi può riceverla" la voce della segretaria, vestita con un tubino rosso e con dei tacchi talmente alti da farmi venire le vertigini, mi riscuote dai miei pensieri facendomi alzare automaticamente in piedi non appena sento il mio cognome. 

Noto il suo sguardo saccente da dietro la scrivania e, non volendo sembrare in difficoltà, le restituisco l'occhiataccia per farle arrivare tutto il mio disappunto sul suo modo di vestire - totalmente inappropriato per uno studio medico e invece più consono ad una serata in discoteca con l'unico scopo di trovare un ragazzo per farsi togliere il vestito nel minor tempo possibile. 

Monica mi aspetta su una sedia nella sala d'attesa, intenta a leggere una rivista che apparentemente dà alcuni consigli su come essere delle brave mamme. Per esperienza dico che non esistono manuali su come essere genitori, si può fare quello che si può con quello che si ha e dare il massimo per crescere il proprio figlio, per educarlo ed insegnargli a commettere meno errori rispetto a quelli che si sono fatti personalmente. 

"Signorina Diviani, prego, si accomodi" la voce calda e rassicurante del dottor Tanzi mi accoglie all'interno del suo studio mentre chiudo la porta laminata alle mie spalle. 

"Buongiorno dottore" saluto educatamente con un ampio sorriso prima di mettermi a sedere sulla sedia posta di fronte all'uomo sulla sessantina. 

Mi sottopone al classico interrogatorio di routine che odio profondamente, gli spiego per filo e per segno tutta la mia vita o perlomeno la parte che interessa a lui - che, caso vuole, è la più scomoda da raccontare. Dopo aver compilato qualcosa su un foglio ed aver digitato per alcuni minuti sul computer, si alza e si infila un paio di guanti in lattice bianchi. 

"Può accomodarsi sul lettino" mi scorta gentilmente dall'altra parte della stanza ed accende un macchinario che non so esattamente a cosa serva in questo momento. 

Mi spoglio e mi sistemo nervosamente sul lettino, imbarazzata come qualsiasi ragazza durante una visita dal ginecologo. Esistono cose più piacevoli di spalancare le gambe davanti ad uno sconosciuto che riceve uno stipendio per controllare vagine. Cerco di pensare ad altro, ma tutti i poster appiccicati alle pareti non fanno altro che ricordarmi la mia parte del corpo scoperta. Chiudo gli occhi, forse è l'unico modo in cui posso far finta che sia una cosa del tutto normale. 

Ormai Federico sarà arrivato a Roma già da un pezzo, strano che non mi abbia chiamato o mandato un messaggio. Sa che sono sempre preoccupata quando prendono l'aereo e, nonostante la distanza tra Torino e Roma sia molto più breve rispetto alle trasferte a cui sono abituati, la mia paura di volare non diminuisce. 

"Signorina, lei e il suo compagno fate sesso protetto?" mi domanda per la milionesima volta e, quasi infastidita dalle solite stupide domande, mi lascio andare ad uno sbuffo un po' troppo forte.

"Certo, usiamo il preservativo, non siamo dei ragazzini idioti" faccio la sostenuta rimpiangendo dopo un secondo il tono di voce che ho utilizzato. 

Che colpa ne ha il ginecologo? D'altronde, lui sta solo facendo il suo lavoro, fare queste domande gli permette di portare a casa lo stipendio ogni mese. 

"Evidentemente non sempre" replica il dottore restituendomi lo stesso tono insolente che ho utilizzato io poco fa. 

"Come, scusi?" alzo la schiena più che posso, aiutandomi con i gomiti che fanno leva sul lettino, per cercare di capire qualcosa di più.

"È incinta, signorina Diviani. Da circa otto settimane" specifica il dottor Tanzi riemergendo da in mezzo alle mie gambe. 

Rimango impietrita e con gli occhi sbarrati di fronte a quella frase senza sapere cosa dire o cosa fare. Anche respirare mi sembra un gesto di una difficoltà immane al momento. 

Complimenti.

Una vocina fastidiosa si fa largo tra i miei pensieri annebbiati ed ammassati nel cervello, dandomi uno scossone emotivo. Dalle mie labbra però non esce nessun suono, l'unica cosa che il mio corpo riesce a fare è tornare nella posizione in cui si trovava fino a poco fa, permettendomi di mettere le mani sul viso a coprirmi gli occhi, un po' per nascondere la vergogna di fronte al ginecologo e un po' per provare a scomparire dalla faccia della terra. 

Datti un tono, imbecille.

"Ma... è sicuro?" tento, nel vago e disperato tentativo che sia il mio corpo ad avere i soliti problemi, come è sempre stato. 

Lo sguardo che mi rivolge il dottore è a metà tra il risentito e lo schifato. Ed io non posso biasimarlo, onestamente. 

"Signorina, faccio questo lavoro da quasi trent'anni, se pensa di saperlo fare meglio di me mi tolgo il camice e lo do a lei" risponde stizzito togliendosi i guanti monouso, li getta nel cestino e ritorna a sedersi dietro la scrivania. "Può rivestirsi" aggiunge, inforcando gli occhiali da vista e continuando a prendere appunti su quella cartella che, da quando sono entrata, ha raggiunto la lunghezza di Guerra e Pace. 

Mi vesto il più velocemente possibile senza fiatare, mi metto a sedere sul lettino e, dopo aver preso un profondo respiro, scendo per tornare alla mia postazione iniziale di fronte al dottore. 

"Le sconsiglio situazioni di stress e qualsiasi tipo di sforzo che non sia più che necessario. I primi tre mesi di gravidanza sono i più difficili e quelli più rischiosi per il bambino. Ha poco tempo per pensare a cosa vuole fare, ovviamente insieme al suo compagno. Le chiedo scusa se sono troppo diretto ma non ho intenzione di mentirle, non voglio che si illuda prima del dovuto. Il suo corpo, come ben sa, funziona in maniera diversa dato il suo passato; perciò essendo questa la sua prima gravidanza ci sono altissime probabilità che non riesca a gestire e a sostenere un altro piccolo corpo al suo interno" il dottore inizia a parlare, continuando a scrivere senza sosta su una cartellina mentre io penso di aver smesso di respirare cinque minuti fa e di non aver più ripreso. 

Cosa racconto a Federico? Si gioca il campionato e la Coppa Italia in una settimana, non posso aggiungergli anche questo peso. Ma come faccio a tenermi un segreto del genere? E mio padre? come posso dire a mio padre che sono rimasta incinta a ventitré anni? Cosa ne sarà del nostro lavoro? Abbiamo parlato tante volte su cosa potrebbe essere la nostra vita da genitori ma una cosa è pensarla, un'altra è ritrovarcisi dentro senza il minimo preavviso. Non facciamo cinquanta anni nemmeno sommando le nostre età, come possiamo gestire una situazione del genere? 

Mentre il panico si impossessa di me come poche altre volte nella mia vita, il dottore mi porge una cartellina trasparente contenente tutti i fogli che si è preoccupato di raccogliere al suo interno. Afferro con dita tremanti la cartella ed abbozzo un sorriso. 

"Non esiti a chiamarmi o a venire qui se dovesse avere qualsiasi tipo di domanda o problema, va bene?" mi domanda addolcendo lo sguardo e forse, per la prima volta da quando ci siamo conosciuti, mi sorride davvero sinceramente. Mi stringe la mano delicatamente e mi scorta fino alla porta. 

Esco da quella stanza diversa rispetto a come si sono entrata: se prima ero felice e spensierata, ora sono attonita e pervasa dalla paura. 

Il viaggio di ritorno è fortunatamente silenzioso: una delle qualità che ho sempre stimato di Monica è l'empatia. Lei non giudica le persone, né tanto meno le compatisce, semplicemente ascolta quando deve e offre una spalla su cui piangere quando è necessario, sfoggiando perle di saggezza e strappando un sorriso nel momento del bisogno. 

È l'unica a sapere la verità: non potevo raccontarle una bugia e, come dice lei, "mi si leggeva in faccia"; men che meno potevo tenermi una cosa del genere dentro a logorarmi giorno dopo giorno. Ha fatto l'unico gesto di cui sapeva che avevo un disperato bisogno: mi ha presa tra le sue braccia lunghe e toniche e mi ha stretta a sé, cullandomi come una sorella maggiore.

Una volta arrivata a casa, ho mandato a quel paese l'appuntamento con il mio relatore di oggi pomeriggio. Data la situazione, non sarei riuscita nemmeno a dire una parola riguardante la mia tesi e avrei pensato solamente al piccolo esserino che si sta formando - a fatica - dentro di me, facendo così perdere tempo sia a me stessa sia al professore. 

Mi costringo a svegliarmi alle 21:00 solo per guardare la partita e provare a staccare il cervello dall'unico pensiero che ho in testa da stamattina. I ragazzi si giocano la Coppa Italia e, se non posso essere lì fisicamente con loro, devo mandare loro il mio supporto almeno dal mio divano.

La Juventus affronta il Milan a viso aperto e la strategia è quella vincente dato il risultato netto che dà ragione ai bianconeri. All'Olimpico di Roma finisce quattro a zero per gli uomini di Allegri che festeggiano in mezzo al campo e si lasciano andare ad urla liberatorie insieme ai tifosi juventini accorsi nella capitale per supportarli.

Vorrei tanto essere anch'io lì con loro in questo momento. 

La Vecchia Signora batte ogni record e vince con orgoglio la quarta Coppa Italia consecutiva, nonché la tredicesima della sua storia, e tinge di bianco e di nero il cielo sopra la Città Eterna. 

Sdraiata sul divano con lo sguardo fisso sul soffitto, penso a Federico: non so ancora né come né quando né che parole userò per spiegargli la situazione. Mi scoppia la testa e l'unica cosa che voglio fare ora è soltanto dormire e tornare indietro nel tempo, precisamente al 7 marzo.


Torino 13 maggio 2018

Gli ultimi giorni sono stati strani, stressanti e a dir poco assurdi. Non voglio fasciarmi la testa più del dovuto su qualcosa che, come ha detto il medico, ha meno del 5% di possibilità di avere un esito positivo. Cerco di essere forte per me e per quel piccolo puntino che sta provando a crescere dentro di me con un'incredibile difficoltà.

Vorrei parlarne il prima possibile con Federico ma è rimasto a Roma con i ragazzi, dato che mercoledì hanno giocato la finale di Coppa Italia e stasera giocano contro i giallorossi. È la penultima di campionato e anche un pareggio può bastare alla Juventus per vincere matematicamente lo scudetto. 

Sono in ansia per i ragazzi, perché hanno la possibilità di entrare ancora di più nella leggenda, raggiungendo un traguardo che mai nessuno era riuscito a raggiungere in Serie A. Sono orgogliosa di loro e di tutto quello che hanno passato per essere lì a giocarsi la vittoria del campionato. 

Sono seduta ad un tavolino di un bar in Piazza Castello in attesa di mio padre. Giro tra le mani in bicchiere pieno di succo d'arancia senza berne nemmeno un sorso. La mia mente ha iniziato a girovagare e non ha intenzione di fermarsi. Chissà come reagirà papà alla notizia che sto per dargli: o sviene in mezzo alla piazza o gli viene un infarto o mi abbraccia con le lacrime agli occhi. Oppure tutte e tre, una dopo l'altra. 

Provo a sorseggiare del succo dal mio bicchiere, sforzandomi di bere almeno qualcosa per non disidratarmi e non farmi venire la nausea. Fortunatamente mio papà è sempre stato un uomo sempre puntuale, ligio e preciso, perciò ci vogliono soltanto pochi minuti prima che appaia di fronte a me. 

Sono così contenta di vederlo, di stare un po' con lui, dato che il lavoro lo trattiene sempre più del dovuto in ufficio o, addirittura, in giro per il mondo. Mentre si avvicina a me noto con piacere che sembra più rilassato, più sciolto nel movimenti e perfino più sorridente. Si vede lontano un miglio che è felice ed emana questa sensazione da tutti i pori della sua pelle. Ha sempre dimostrato molti meno anni di quelli che ha, ma devo ammettere che da quando conosce Barbara sembra ringiovanito di almeno una decina d'anni. 

Gli sorrido ampiamente quando entro nel suo campo visivo e mi alzo in piedi quando si trova a pochi passi da me, per poi prenderci qualche minuto per abbracciarci come si deve. 

"Pulce, sei bellissima" esordisce papà dandomi un dolce bacio sulla guancia prima di sedersi in fianco a me sulle sedie di alluminio. "Sei davvero raggiante, mi fa piacere vederti così" aggiunge togliendosi gli occhiali da sole e li posa delicatamente sul tavolino. 

"Grazie papi, anche tu sei bellissimo" rispondo dandogli una leggera gomitata sull'avambraccio appoggiato sul tavolo. "Come va con Barbara?" gli sorrido piegando la testa di lato in attesa di una risposta. 

Passiamo un'ora a parlare del più e del meno, ridiamo, scherziamo e ci raccontiamo aneddoti sul nostro passato che ci fanno inevitabilmente scoppiare nuovamente a ridere. Mi mancava stare con mio padre, vivere in quella bolla solo nostra, dove c'eravamo solo noi due e nessun altro, in cui potevamo combattere il mondo a modo nostro, insieme. 

Devo accettare il fatto che lui sia andato avanti, che abbia voltato pagina dopo la mamma e di questo non posso che essere contenta, ma staccarsi dalla propria famiglia fa sempre male, nonostante io ami profondamente Federico. 

"Papi, devo dirti una cosa" dico improvvisamente nel bel mezzo di una risata che smorzo sul nascere. 

"Dimmi, pulce, puoi dirmi tutto" risponde papà sistemandosi meglio sulla sedia ed incrociando le gambe sotto al tavolino. 

Ci siamo. Il momento della verità. Da qui non si scappa. 

Ho vissuto più e più volte questo discorso nella mia mente, ho provato infinite volte il discorso che mi sono preparata in questi ultimi giorni di solitudine. Ma ora che sono davanti all'ostacolo non mi ricordo più nemmeno una parola delle migliaia che avevo ripetuto davanti allo specchio prima di uscire. 

La salivazione si blocca all'istante nella mia bocca, i miei occhi si riempiono di lacrime nel fissare le iridi verdi di papà ed il battito del mio cuore aumenta talmente tanto da assordarmi completamente. Leggo negli occhi di mio padre la preoccupazione, l'ansia e la paura che sia successo qualcosa di grave. 

"È successo qualcosa con Federico?" domanda prendendomi le mani e stringendole nelle sue. 

Scuoto la testa, incapace di produrre qualsiasi suono con la bocca. Cerco di darmi un tono, scrollo le spalle e prendo un profondo respiro. 

Raccogli il coraggio e di' la verità.

Mi scoccia dare ragione alla mia vocina interiore, ma devo trovare la forza di raccontare tutto a papà. Si merita la verità e poi starà a me affrontare la situazione ed assumermi tutte le mie responsabilità.

"Sono incinta" dico in un sussurro senza staccare gli occhi dai suoi. 

Sento la mia guancia improvvisamente bagnata e, come se mi stessi guardando allo specchio, anche quella di mio padre viene attraversata verticalmente da una lacrima salata che si disperde tra i peli corti della barba tendente ormai più verso il grigio che sul nero. 

"Pulce..." è l'unica parola che riesce a dire mio papà, prima di scoppiare in un pianto di gioia ed inglobarmi in un lungo abbraccio dal quale non vorrei mai staccarmi. Mi sento al sicuro, mi sento protetta, mi sento a casa.

Ho visto piangere mio padre soltanto due volte prima d'ora: quando mi hanno ricoverata d'urgenza in ospedale tre anni fa ed il giorno del divorzio con la mamma. In entrambi i casi erano lacrime di tristezza e di delusione, non l'avevo mai visto versare lacrime di gioia. 

Ed è la soddisfazione più grande del mondo.

Gli spiego la situazione e gli racconto tutto ciò che mi ha detto il medico. Penso sia giusto metterlo al corrente dei fatti senza però alimentare aspettative. Non voglio pensare al peggio, ma nemmeno bearmi in questa bolla di arcobaleni ed unicorni staccandomi totalmente dalla realtà. Non voglio cantare vittoria troppo presto e poi rimanere scottata nel caso succedesse qualcosa di brutto al termine del terzo mese: periodo fino al quale rimarrò con il fiato sospeso, in una via di mezzo tra lo spaventato e l'emozionato. 

*** 

L'inno della Serie A rimbomba nel salotto di casa mia, dove io e mio padre siamo seduti uno in fianco all'altra di fronte alla televisione a mangiare una pizza. Invidio mio padre che beve una birra direttamente dalla bottiglia mentre io mi sono dovuta accontentare di tristissima acqua naturale. Ci faccio caso solo ora a tutto quello che dovrò cambiare nel mio stile di vita: niente più alcol, niente sigarette e niente attività sconsiderate, come per esempio correre dietro a dei calciatori professionisti. Scaccio mentalmente tutti questi pensieri e mi dedico alla partita che sta per cominciare.

Siamo entrambi in tenuta ufficiale: papà con la maglia numero cinque di Pjanic, io con la trentatré di Federico. Sorrido quando la telecamera lo inquadra qualche istante dopo, pensando che portare il suo cognome sulle spalle - in questa situazione - assume un significato nel tutto nuovo e diverso. 

L'arbitro fischia l'inizio della partita e papà ed io ci trasformiamo come sempre in due ultras sul divano di casa. Il primo tempo non regala particolari emozioni, la squadra sembra stanca e con poche idee di gioco. Spero solo che il calo di concentrazione non diventa tale da mandare all'aria la partita e, peggio ancora, tutto il campionato. 

Quando si vince per sei anni consecutivi, a volte trovare la motivazione e le energie per continuare a farlo vacillano. Ma alla Juventus vincere non è qualcosa di sporadico, né men che meno di opzionale, perciò tutti i ragazzi devono stringere i denti e portare a casa quello per cui hanno lavorato un anno intero per ottenere. 

Il secondo tempo non è così diverso dal primo. L'unica differenza è il cartellino rosso a Radja Nainggolan al sessantottesimo minuto per somma di ammonizioni. I ragazzi difendono il più possibile il risultato che, data la situazione anche sugli altri campi, basta e avanza per portare a casa lo scudetto. 

Ed è dopo una partita visivamente brutta, senza gol né fatti né subiti, dove l'unico motore erano i cuori bianconeri che battevano all'unisono, che la Juventus vince matematicamente il settimo scudetto consecutivo sul cielo di Roma. L'Olimpico fa da sfondo a tutti i bianconeri presenti, pronti a festeggiare, ad urlare e, finalmente, a lasciarsi andare dopo un anno di sacrifici, vittorie e sconfitte, gioie e dolori. 

Io e papà ci abbracciamo, con le lacrime agli occhi e dei sorrisi enormi sulle nostre facce. Il duro lavoro ripaga sempre e questi ragazzi ne sono l'esempio vivente. Niente arriva dal cielo, se c'è una cosa che ho imparato da quando sono a Torino è che se si vuole ottenere qualcosa bisogna impegnarsi tutti i giorni per raggiungerla e, prima o poi, la fatica verrà premiata. 


Torino, 19 maggio 2018

È una domenica pomeriggio qualunque per chiunque. È una domenica pomeriggio uggiosa, con il cielo terso e le nuvole che minacciano pioggia. È una di quelle domeniche pomeriggio in cui non vuoi fare altro che startene a casa con la finestra aperta a leggere un buon libro e sorseggiare un tè caldo con gli occhiali spessi sul naso ed i capelli che svolazzano liberi all'aria. 

È una domenica qualunque ma è, al tempo stesso, una domenica indimenticabile. Oggi si gioca l'ultima partita di campionato di Serie A e, una volta terminata, i calciatori juventini saliranno uno a uno sul palco per ricevere la medaglia e lo scudetto da alzare al cielo. È l'ultima partita di Gigi Buffon, eterno portiere, leggenda, esempio e bandiera non solo della Juventus, ma di tutta l'Italia. Oggi il capitano lascerà il timone della sua nave, cederà la fascia ad un'altra leggenda ma prima avrà l'onore di alzare al cielo l'ennesimo trofeo della sua brillante carriera. 

La partita comincia ma nessuno la sta veramente guardando, non io almeno. Nella mia mente passano tutti i ricordi che ho di Gigi fin da quando ero bambina e lo guardano con ammirazione alla televisione. Ammiro la sua carriera, ma lo stimo ancora di più come persona. È un gran signore e non si è mai tirato indietro, non si è mai risparmiato e non ha mai mancato di rispetto lo stemma che porta sul petto. 

Le gesta di un campione incredibile - un campione del mondo - appaiono nella testa di tutti quanti mentre Massimiliano Allegri gli concede l'onore ed il privilegio di uscire dal campo per una standing ovation che non risparmia nessuno. Sono tutti in piedi. Siamo tutti in piedi. In piedi per lui. Per dirgli grazie. Per dirgli che non lo dimenticheremo mai. 

E queste gocce che cadono dal cielo non sono altro che le lacrime di tutti gli juventini sparsi nel mondo.

L'abbraccio con tutti i suoi compagni e con l'allenatore mette i brividi, ed il giro del campo dove migliaia di tifosi lo salutano piangendo, stringendogli la mano e regalandogli sciarpe bianconere è qualcosa che difficilmente dimenticherò. Tra le lacrime spunta un sorriso sul mio viso: sono felice. Sono felice di far parte di questa famiglia, di questa grande famiglia dove nessuno viene lasciato indietro. Sono fiera delle persone che ho conosciuto quest'anno e non dimenticherò mai nemmeno un istante passato con loro. 

La Juventus è una famiglia, prima di una squadra di calcio, e questa ne è la dimostrazione più sincera.

***

La festa scudetto è un evento al quale ho sempre voluto partecipare ma, purtroppo, non ne ho mai avuto l'occasione. Almeno fino a questo momento. Ora sono qui, tra le braccia di Federico, in mezzo al campo, con tutti i ragazzi felici come una Pasqua sotto la pioggia scrosciante di Torino. 

I fotografi mi immortalano in uno scatto al fianco di Federico, mentre ai nostri piedi c'è lo scudetto lucido e con i nastri bianchi e neri a renderlo ancora più bello. Non potrei essere più felice di così. Mio padre si aggiunge a noi e scattiamo un'altra fotografia mentre, tra il caos più totale, non riconosco più i giocatori dallo staff medico alle famiglie. 

In momenti come questi mi sento pervasa dalla malinconia, da quella sensazione a metà tra il felice ed il triste, appesa ad un filo senza sapere esattamente cosa dire o cosa fare. Lascio che venga tutto molto naturale e mi sporgo verso Federico, appoggio una mano sulla sua spalle e lo faccio abbassare leggermente per lasciargli un dolce bacio sulla guancia bagnata a causa della pioggia. 

"Ti amo da impazzire, lo sai?" mi domanda lui retorico, voltandosi verso di me e riservandomi uno dei sorrisi più belli che gli abbia mai visto. 

"Ti amo anch'io" gli rispondo schioccando le labbra contro le sue mentre gli getto le braccia attorno al collo per stringerlo di più a me. 

"Sei così bella amore mio" commenta mentre mi guarda negli occhi, con i capelli bagnati e le goccioline che gli ricadono lentamente sul viso rendendolo - se possibile - ancora più bello. 

Possibile che mi trovino tutti più bella ultimamente? La gravidanza fa questo effetto? Buono a sapersi.

Ritorno sul pianeta Terra pochi istanti dopo, rendendomi conto che sono passati ormai dieci giorni dalla mia visita dal ginecologo ed è giusto che Federico sia informato della situazione, dato che non ha più partite a cui pensare. Ora è il momento di sganciare la bomba e vedere se ho reso migliore questa giornata - già di per sé felice - oppure se l'ho cambaita drasticamente, rovinandola. 

"Amore, devo parlarti" annuncio all'improvviso ad un centimetro di distanza dalle labbra di Federico. 

"Che c'è?" domanda incuriosito alzando leggermente un sopracciglio, rendendo la sua espressione buffa ed infantile. 

"È meglio se andiamo in un posto più tranquillo..." azzardo a dire, non volendo che la nostra vita privata venga sbandierata ai quattro venti con telecamere e microfoni piazzati in uno dove sul campo di gioco. 

"Non so se l'hai notato ma qui tutti si stanno facendo i cazzi loro e metà sono pure ubriachi, quindi..." sorride il mio ragazzo stringendo le braccia attorno ai miei fianchi, come per infondermi più coraggio. 

"Ok, va bene" prendo un respiro profondo e deglutisco un'ultima volta prima di dire quelle due parole che faccio sempre fatica a pronunciare, nonostante abbia già fatto pratica con Monica e con mio padre. "Sono incinta" dico tenendo la bocca semiaperta, gli occhi rivolti verso i suoi e le dita ad accarezzargli i capelli corti sulla nuca. 

"Tu sei cosa?" aggrotta le sopracciglia interrompendo di accarezzarmi la schiena con le mani. 

"Incinta. Aspettiamo un bambino" ribadisco il concetto, cercando di mantenere un tono di voce neutro per non far girare nessuno nella nostra direzione. 

Non mi risponde, non so esattamente come l'abbia presa perché stranamente non riesco a decifrare i suoi occhi; gli stessi che di solito leggo come se fossero un libro aperto. Senza rendermene conto perdo il contatto con la terra sotto i piedi, vedo le persone e lo stadio girare attorno a me e sento le possenti braccia di Federico stringermi più che mai contro il suo corpo. 

"Potrei piangere" sussurra con il viso incastrato nell'incavo tra la mia spalla ed il mio collo, ma la sua voce lo tradisce prima che possa finire la frase. 

"Come se non lo stessi già facendo" replico stringendomi forte a lui, felice ed incredibilmente leggera. 

Mi stacco quel tanto che basta da lui per guardarlo negli occhi e, dopo aver incrociato i suoi splendidi occhi verdi per un momento, gli prendo il viso tra le mani e lo bacio come se ne avessi bisogno per vivere. 

E ora devo vivere per due.


Eccomi qui, cari amici miei, con un nuovissimo capitolo! 🍀
Lo so, sono imperdonabile perché l'ultima volta che ho aggiornato era il 3 gennaio! Sono passati due mesi e mezzo eppure chi non muore si rivede... infatti, here I am! 
Non mi dilungo più di tanto perché il capitolo è già lungo di suo. Dico solo una cosa: DRAMMAAAA 🤩 chi pensava che le cose andassero avanti ad essere "e vissero per sempre felici e contenti" si sbagliava di grosso!
Dunque, ho parlato di argomenti molto delicati quindi spero con tutto il cuore di averlo fatto con tatto, usando le parole giuste ma soprattutto con rispetto. Siamo alle battute finali ormai, mancano all'incirca cinque capitoli alla fine (non posso crederci, mamma mia). Spero di riuscire a portarmi avanti il più possibile durante questa quarantena in modo tale da finire la storia (questa o BIAS, si vedrà). In ogni caso, spero di aggiornare con più frequenza.
Vi consiglio di seguirmi su Instagram (nowhereissafe_wattpad) per non perdervi aggiornamenti, spoiler e storie infinite riguardo al mondo di wattpad e non solo! Ci facciamo due chiacchiere più che volentieri. Se volete, mi trovate lì 🥰
Fatemi sapere che ne pensate del capitolo con stelline e commenti che come sempre mi fa piacere. Vedo che la storia continua a macinare visualizzazioni nonostante i mesi di assenza totale. VI VOGLIO BENE, SIETE DEI LETTORI MERAVIGLIOSI E VORREI BACIARVI UNO PER UNO MA NON POSSIAMO. 

DIMENTICAVO: IL PROSSIMO CAPITOLO È MONACO!!! 🏎 Stay tuned 😘

PACE AMORE E FINO ALLA FINE FORZA JUVENTUS ⚪⚫

A presto,

C.

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