UMANA ∽ Ritorno sulla Terra

Από AriaWriter

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Una squadra di giovani esploratori sbarca sul pianeta azzurro dopo che quest'ultimo era stato abbandonato per... Περισσότερα

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Umana
Prologo
1. La partenza
2. In Viaggio
3. I Titans
4. L'atterraggio
5. Le lavanderie
6. Lo sbarco
7. Alberi enormi
8. La foresta
9. Il furto delle parabole
10. La città sommersa
11. Gli Antichi
12. La battaglia
13. Summer
14. I nemici
16. Stanchezza
17. Il lago
18. I lupi
19. Pietà
20. Hans
21. Il Nuovo Potere
22. Fardelli pesanti
23. Amicizia
24. Eden
25. La mina vagante
26. Tramonto
27. La cattura
28. Prigionieri
29. Il villaggio
30. La tigre
31. In trappola
32. La storia del villaggio
33. Umanità
34. Liberazione
35. Ulrik
36. L'Anziano
37. Libertà
38. Possibilità
39. Sogno o realtà?
40. Oppio
41. Resterai?
42. Oscure presenze
43. Paura
44. Rivendicazione
45. Guarigione
46. Speranza
47. Vita
48. Ritorno
UMANA - L'Antico Potere
Ringraziamenti
Novità, Copertine e Bollini!

15. Le regole del gruppo

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Από AriaWriter

«Farò io la guardia stanotte. Non dormirei comunque, tanto vale rendermi utile» disse Tomas, grattandosi la testa. Era seduto ai piedi di una grande quercia, adagiato su un trono fatto di radici. I capelli castani gli coprivano gli occhi rossi e gonfi per la polvere da sparo e la stanchezza. Aveva l'aria abbattuta, sconfitta, ma allo stesso tempo ogni fibra del suo corpo era tesa come una corda di violino, pronta a scappare, lottare per la propria sopravvivenza, sparare e uccidere.

Proprio per questo non sarebbe riuscito a dormire quella notte.

Nessuno obiettò.

«Riposate. So che sarà difficile prendere sonno, però dobbiamo sforzarci perché alle prime luci dell'alba riprenderemo il cammino. Quindi niente storie. Riposate tutti. Tomas, quando non te la senti più, svegliami pure. Eva.» Il suo sguardo ghiacciato la illuminò, il tono di voce si abbassò, in modo che fosse udibile quasi solo a lei. «Resta qui, vicino a me. Guai a te se ti allontani. Ho giurato che non ti avrei mai più persa di vista.»

Eva si sdraiò ubbidiente vicino al comandante. La notte era buia e più rumorosa del solito. Ebbe quasi la tentazione di avvicinarsi ancora un po'...

Aveva paura. Un terrore cieco, totalizzante. Si sentiva soffocare dall'ansia. E quell'istinto di accostarsi a lui, di stargli appresso, di nascondersi dietro la sua schiena, la imbarazzava a morte."Stupida, stupida, stupida che non sei altro!" si ripeteva, stretta nella giacca militare, per frenare quei brividi di freddo, quel tremito incessante che non era dovuto alla temperatura esterna, ma a quella interna.

Si sentiva sporca. Tutti lo erano: sudati, impolverati, avevano addosso l'odore della foresta, della terra, della polvere da sparo, delle macerie, del fango, della paura.

Le braci del fuoco cominciavano a raffreddarsi. Sarebbe stata una notte lunga e fredda. Quel pensiero mortificava tutti ma nessuno osò chiedere di riaccendere le fiamme.

Ormai faticavano a vedersi tra di loro, la luce della luna era flebile come una torcia lontana lontana e il cielo era sempre più nero, sempre più oscuro.

Si distesero, il volto speranzoso rivolto alla volta stellata. Quel momento era sempre stato rassicurante, perché il paesaggio in cielo era simile a quello che scorgevano dagli oblò della loro arca. Simile, non uguale: non c'era una luna così grande, nemmeno le fronde degli alberi, i rami stecchiti, le nuvole e, soprattutto, non c'era tutto quel rumore.

Eppure, di notte tornava visibile l'universo, il loro universo. Allora con lo sguardo fiducioso, i ragazzi cercavano tra quei puntini luminosi, tutti così simili tra loro, la loro casa.

Sarebbe stato rassicurante vedere almeno una delle trentasei città galleggianti, almeno la loro luce, da così lontano. Immaginare i propri cari che si apprestavano a dormire, o che ancora dovevano preparare la cena, che si facevano una doccia veloce o che cominciavano il turno a lavoro, i bambini che andavano a scuola, i professori che preparavano le lezioni, le stiratrici che timbravano il cartellino, le guardie che bevevano un caffè durante la pausa.

Ma, se osservato con attenzione, quell'universo diveniva assurdamente diverso dal "loro".

Non era lo stesso. Stelle, costellazioni, pianeti: era tutto sbagliato, confuso, scomposto. Irriconoscibile.

Chiudevano allora gli occhi per non venire assorbiti da quel terrore, quell'angoscia disperata.

Ci siamo persi.

Siamo persi.

Persi.



Le gambe di Tomas non gli facevano più tanto male. I battiti erano diminuiti, riusciva a respirare meglio, anche le fitte allo stomaco erano passate.

Ma dormire sembrava qualcosa di impossibile. La mente era sveglia, attiva più che mai. Riavvolgeva i fatti della giornata. Metteva in pausa, commentava, poi rigirava scene mai successe, immaginava scenari catastrofici, quell'essere che l'aveva afferrato da dietro all'improvviso, urla gutturali, sangue dappertutto, un proiettile nel ventre, i suoi compagni esangui a terra.

A quelle ruminazioni si aggiungevano altri ricordi, di un tempo lontano. Una gabbia fredda. Le sbarre. Un materasso tra la sporcizia, logorato dal tempo, le mille scritte sui muri, alcune indecifrabili, altre indelebili nella sua memoria.

Ricordava in particolare una citazione, di un certo Hugo, di cui non aveva mai sentito parlare. Forse era stato un noto scrittore, forse un terribile criminale:

"La liberazione non è la libertà; si esce dal carcere, ma non dalla condanna."

Non l'aveva mai capita. La leggeva, rileggeva, la imparava a memoria, la cambiava nella sua testa, la traduceva in qualche lingua morta, la riscriveva nella polvere. Niente da fare. Non la comprendeva.

Eppure era così lampante. Era una frase che potevi intuire solo uscito dalla prigione. Non vi era stata nessuna amnistia, nessuna assoluzione, nessuna estinzione del suo reato. Eccola lì, la sua pena. Da una cella d'isolamento a un mondo ostile e crudele. La liberazione non l'aveva reso libero; era uscito dal carcere ma non dalla sua condanna.

«Pss...psss!» gli fece Shani e sorrise divertita.

Non aveva preso sonno. Se ne stava da tempo sdraiata accanto a lui, a rimirarlo. Avvicinò il sacco a pelo in modo da poterlo vedere ancora più da vicino, dal basso verso l'alto.

Non si era nemmeno accorto di lei. La fissò meravigliato.

«Non riesco a dormire» si giustificò lei con un sonoro sbadiglio. «Tutti quei tuoi pensieri mi tengono sveglia!»

Tomas controllò che Ulrik dormisse prima di risponderle. Uno scrupolo di coscienza: era davvero stufo di litigare.

«Sei telepatica adesso?»

«Non ce n'è bisogno! Vedo il fumo che ti esce da quella minuscola testolina!» Shani rise.

Tomas le fece cenno di abbassare la voce, lei scosse la testa e si alzò seduta.

«Dormono come bambini!»

Era vero, i loro compagni erano immersi in incubi profondi, da cui sarebbero evasi solo alle prime luci dell'alba.

«Secondo te...» Tomas indicò la coppia Ulrik-Eva.

I due si erano avvicinati ancora di più durante il loro sonno travagliato. Eva, rannicchiata in posizione fetale, sfiorava con la dita sottili il braccio di Ulrik, steso verso di lei, senza rendersene conto. Visti così, sembrava che si fossero addormentati tenendosi per mano.

«Le conviene stargli lontano, alla nostra bambina. Non sa con chi ha a che fare» commentò acida la ragazza.

«Ma dai, secondo me sarebbero carini» le rispose divertito Tomas. Portò alla bocca un rametto intagliato in modo da renderlo piccolo e sottile. Il vizio del fumo lo stava uccidendo, anche in carcere trovava sempre qualche secondino clemente disposto a fargli fare un tiro di sigaretta elettronica.

«Stai scherzando spero.» Shani corrugò la fronte. «Tu sai cosa ha fatto» calcò molto sulle ultime tre parole.

«Quella storia dici?»

«Storia? Sei stato tu a pubblicarla e a spargere le voci per tutta l'Accademia! Ora la rinneghi?»

«Non sappiamo quale sia la verità» mormorò Tomas. L'immagine di Ulrik immobile davanti alla scritta "assassino" gli strinse il cuore.

«Lui non ha mai negato!» La voce di Shani era troppo alta, Tomas le mise una mano sulla spalla, per farla acquietare. Poi incrociò il suo sguardo. La sua pelle era calda, quasi ardente, i suoi occhi scuri come la notte, ma luminosi come le stelle.

«Shani» la chiamò. Si sporse verso di lei. La ragazza ebbe un fremito, le passò per la testa l'idea bizzarra che lui la volesse baciare. Il ladro si accorse di quel tremore e la lasciò andare. Ma non aumentò la distanza.

«Scappa con me.»

Per un attimo sembrò che il tempo avesse fermato il suo scorrere continuo e perenne. Poi i ricci della ragazza cominciarono a scuotersi, a destra e a sinistra. Il suo sorriso genuino comparve più luminoso che mai e si forzò col suo candore di dissipare l'imbarazzo.

«Ma smettila!» gli rispose ridendo.

«Non sto scherzando!» Tomas si sentì offeso.

«Io e te? Scappare? E dove esattamente?» L'idea era così ridicola che non riusciva nemmeno a prenderla in considerazione.

«Nemmeno tu stimi Ulrik, allora perché lo segui? Questa spedizione è destinata a fallire. È già fallita! Apri gli occhi, Shani! Siamo dispersi nel nulla, in questa foresta, non sappiamo dove andare, non sappiamo dove siamo, tra poco finiremo il cibo e le munizioni e degli esseri mostruosi ci vogliono morti!» Tomas sfogò tutta la sua rabbia, la sua paura, lasciò liberi i pensieri di venire espressi senza censura.

Shani l'ascoltava, lo capiva, ma al tempo stesso non era d'accordo con lui.

«Ulrik è l'unico che può salvarci! Lo so, ha un passato opinabile. Sicuramente non sarà un buon fidanzato, diciamo pure che è un pezzo di merda, ma per quanto riguarda le missioni nessuno è più affidabile di lui. Porterà a termine l'incarico, non sottovalutarlo. Fidati di me, se non riesci a fidarti di lui, io so che ci può riuscire. Gli ho visto fare cose assurde. L'hai visto anche tu.»

«Non capisci? La sua missione è portare la bambina all'accampamento! Non so perché, forse è una nipote di uno degli Anziani, forse la figlia illegittima del viceministro, non lo so! Raccomandata lo è sicuramente. Noi siamo pedine sacrificabili nella sua scacchiera, a chi cazzo fregherebbe se morisse Tomas Murphy?»

Shani stava per ribattere, poi pensò al comandante, all'esitazione che aveva avuto prima di vederli uscire dalla banca. Scosse di nuovo la testa, per scacciare quei dubbi.

«Conosco Ulrik, ma comunque sia, non abbiamo altra scelta! Dove vorresti andare? Cosa vorresti fare? Scappare e poi? Anche il tuo cibo e le tue pallottole finiranno, sarai solo, senza nessuno che ti guardi le spalle. Per quanto tempo potresti sopravvivere? Una settimana? Un giorno?»

«Non se tu venissi con me» ribatté lui, cercava le sue pupille nella penombra.

«Sono forte, non invincibile. Per questo motivo non sono stata eletta capitano. Quanto potremmo restare in vita, in un ambiente così avverso, come dici tu, circondati da nemici? E poi? A cosa servirebbe?»

«Ad allontanarci da tutto questo...» La voce di lui tornò ad abbassarsi, sempre più scoraggiata.

«Ma scappare con te cosa risolverebbe?»

Il ragazzo arrossì, poi sorrise nervoso e scostò lo sguardo sulla luna.

«Tomas? A cosa serve scappare?» insistette.

«Shani, sei la più bella ragazza che io abbia mai visto» Shani sussultò di nuovo. Arrossì, anche se la sua carnagione scura, nella notte, non lasciò trasparire nulla.

La bellezza non era mai stata una sua prerogativa. Si allenava per essere forte e agile, non per stare in forma, mangiava sano per avere più energie ed essere più performante, non era una dieta dimagrante, era dare il giusto carburante al suo corpo. Non si truccava, non badava al suo abbigliamento, qualche volta intrecciava con cura i capelli, altre li lasciava crespi e ribelli, così com'erano al naturale. Inoltre, a parte ammirare da lontano Kuran, non si era mai curata degli uomini. Non da quel punto di vista. Gli allenamenti l'assorbivano, soprattutto la corsa e il tiro al bersaglio. Forse nessuno le aveva mai detto che era bella, magari qualche amica, ma di certo nessun uomo. Certo se l'era immaginato, si guardava anche lei con ammirazione allo specchio, di tanto in tanto. Aveva visto come i compagni la osservavano, sapeva di renderli nervosi, bastava una sola occhiataccia a farli avvampare. Ma non le interessava. Quel complimento non avrebbe neppure dovuto farle piacere. Lei aveva sempre voluto essere la più dinamica, veloce, precisa, intelligente, tenace, coraggiosa, instancabile, mai la più bella. Eppure...

Tomas era sincero. La più bella ragazza che lui avesse mai visto. Anche lei spostò lo sguardo sulla luna.

«Ti avevo già notato, all'Accademia. Certo, non eravamo compagni di corso, ma tu eri molto famosa.»

«Non per la mia bellezza» scherzò Shani.

«No, ti chiamavano la mina vagante, lo sai? E in effetti, la tua forza e il tuo coraggio ti precedono.»

Tomas le fece l'occhiolino. «Lo so che sono uno stupido a dichiararmi così. Ma che ci vuoi fare? Tanto tra poco forse moriremo. E io non volevo lasciarci le penne prima di avertelo detto.»

Una nuvola oscurò per qualche secondo la luce.

Hans si voltò in posizione supina e iniziò a russare. Kuran, che gli dormiva a fianco gli tirò un calcio e lo costrinse a voltarsi dall'altra parte.

«Allora non scappare. Resta.»

Shani appoggiò la testa sulle sue cosce, si coprì con un lembo del sacco a pelo e chiuse gli occhi.

Ora sì che non avrebbe più preso sonno, pensò Tomas, sorridendo.

Poi si ricordò di un'altra frase scritta sul muro.

"Non c'è libertà a questo mondo; solamente gabbie dorate."

Anche quell'aforisma, allora, non lo aveva capito.

Ora sì.

Incominciava ad apprezzare la sua gabbia dorata.

➳ Ciao lettori! Per adesso, qual è la vostra "coppia" preferita? Fatemi sapere nei commenti ♥ ♥ 

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