Into the Den - LA SAGA DI STO...

By Claire_Writes_Stuff

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(Urban fantasy - IN CORSO) Lexie ha appena 16 anni e la sua vita è già in pezzi: non ha mai conosciuto suo pa... More

Capitolo 1 - Un nuovo inizio
Capitolo 2 - Conoscersi
Capitolo 3 - Nuovi incontri
Capitolo 4 - Sangue e Leggende
Capitolo 5 - Azioni e Conseguenze
Capitolo 6 - Commissioni
Capitolo 7 - Memento
Capitolo 8 - Scompiglio
Capitolo 9 - Luna di sangue
Capitolo 10 - Controllo
Capitolo 12 - Incubi e buio
Capitolo 13 - Oscuri presagi
Capitolo 14 - L'ora più buia
Capitolo 15 - L'ombra
Capitolo 16 - Di ricordi e paure
Capitolo 17 - Nessuno è al sicuro
Capitolo 18 - Paura

Capitolo 11- La Caccia

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By Claire_Writes_Stuff

Nick si tolse la maglietta, inginocchiato davanti a una betulla che aveva la corteccia bianca come il latte e decine di striature orizzontali scure. Quando era piccolo si soffermava spesso nei boschi a guardare le venature del legno, con suo padre che solitamente lo precedeva di una decina di passi, girandosi ogni tanto per controllare che fosse ancora lì, che non si fosse cacciato nei guai. Era sempre stato il suo angelo custode. Quando si fu sfilato i jeans e poi tutto il resto sistemò ordinatamente i vestiti, si mise in quadrupedia e chiuse gli occhi. Sapeva che Math era poco più in là, nella sua stessa posizione, modulando il respiro al medesimo modo e tenendo le palpebre serrate. Uno, due, respira. Uno, due, respira. Suo padre gli aveva insegnato questa tecnica per potersi concentrare sulla Trasformazione. Riusciva a sentire solo l'aria che lasciava i suoi polmoni uscendo dalla bocca e il cuore che gli batteva in petto, nonostante le chiome degli alberi fossero mosse da una brezza tutt'altro che silenziosa. La percepiva sulla pelle nuda, ma non ne era turbato. Qualche respiro ancora e il lupo sarebbe uscito fuori. Sì, ecco, era ora. Mentre le dita si accorciavano e la coda gli spuntava alla base della schiena sussultò appena, quando il suo bel viso si allungò in un muso affusolato quasi non gemette. Anni e anni di pratica gli erano serviti per ottenere una trasformazione pressoché inavvertibile. Il dolore non se ne sarebbe mai andato, ma non per questo aveva bisogno di gridare come un'ossesso. Lasciava che esso lo colmasse come un liquido che riempie una caraffa, con lentezza e silenziosità. Math invece lo si poteva udire a miglia e miglia di distanza, non si faceva problemi a far baccano durante la Trasformazione: ululava, ringhiava, si agitava tutto, grattava il terriccio con le unghie. Non sarebbe stato difficile individuarlo. Appurato che le sue zampe avevano una presa salda sul terreno Nick cominciò ad aggirarsi fra gli alberi col tartufo all'insù, in cerca del compagno. Come aveva previsto impiegò appena un paio di minuti a raggiungerlo, ma quello non gli parve molto felice di vederlo, a giudicare dal rantolo rabbioso che proveniva dal fondo della sua gola. Nick per gioco gli saltò quasi sul dorso, Math lo respinse con una zampata non proprio gentile, ma poi sbuffò dalle narici, rassegnato. Fu allora che iniziarono a correre. 

La Corsa non era paragonabile a nessun tipo di attività fisica umana. Era puro divertimento e adrenalina, gioco e gara, muscoli che si muovevano all'unisono, un turbinio di odori e sensazioni per cui in nessuna lingua esistono parole adatte a descrivere tutto questo. I due giovani lupi si rincorrevano facendo volare via le foglie secche sotto le zampe, fianco a fianco, con le lingue un po' penzoloni, eccitati. All'improvviso Math si immobilizzò, rischiando di far sbattere Nick contro il suo fondoschiena. Le sue orecchie si muovevano a destra e a sinistra come piccoli radar, nel tentativo di identificare un rumore poco lontano rispetto a dove si trovavano. Le schiacciò contro la testa e prese a latrare sommessamente mentre avanzava a passi lunghi. Quella tecnica intimidatoria evidentemente funzionò. Da un cespuglio basso sbucò fuori prima un muso bianco, poi un corpo snello e peloso, bianco e grigio, tutto tremante e che li fissava con due grossi occhi verdi. Lexie si rimise ben ferma sulle zampe, facendo di tutto per non apparire spaventata. Era solo la sua seconda Trasformazione quindi non si era ancora abituata a muoversi in quella forma, farsi vedere da qualcuno di loro non era nelle sue intenzioni, ma ormai il danno era fatto. Nick si avvicinò per annusarla ma lei si ritrasse con imbarazzo mugolando. Devi trasformarti spesso, ora più che mai: la frequenza delle trasformazioni ti permetterà di vivere una vita più normale, eviterai trasformazioni improvvise, così le aveva detto Sal. Se le cose stavano davvero così sarebbe stata disposta a trasformarsi ogni giorno o anche ogni ora, per questo si trovava lì. Correre insieme ad altri le avrebbe fatto bene, ma era subentrato un problema non indifferente: aveva di nuovo fame. Ci pensò il suo stomaco gorgogliante ad avvisarli. Math si guardò attorno poi fece cenno a Nick e Lexie di seguirlo. Si inoltrarono sempre più fra gli alberi, lasciando ogni tanto una traccia odorosa strusciandosi contro le cortecce o urinando su qualche radice. Lei si limitava a osservarli e a tenere l'andatura. La infastidiva non avere uno spettro completo di colori. Ai suoi occhi le foglie in terra sembravano tutte uguali, tutte gialline,  e l'ambiente sembrava fin troppo luminoso. 

Math si era fermato di fronte a degli arbusti e stava tenendo d'occhio qualcosa che si trovava al di là di essi. Temendo di fare rumore Lexie si avvicinò piano piano e lo vide: era un magnifico cervo adulto dal fisico agile e con un palco possente, a circa dieci metri dal loro punto d'osservazione. Era tranquillo, non si era ancora accorto della loro presenza. Nick e Math cominciarono a muoversi, continuando ad essere coperti dal fogliame e Lexie li seguì timorosa. Non aveva idea di come funzionasse una caccia. Non sarebbe stata neppure in grado di catturare un topolino, figurarsi un animale così grande! Ma avrebbe dovuto impararlo in ogni caso, quindi c'era ben poco che potesse fare, a parte guardarli e apprendere. Nick col suo manto bianco attirava l'attenzione, Math invece era meglio mimetizzato con la sua pelliccia marrone. Man mano che si avvicinavano all'obiettivo aumentavano la velocità. Quando il cervo si accorse di loro rimase fermo e li guardò con aria di sfida, pronto a difendersi con ogni suo mezzo. Math attaccò per primo, lanciandosi sul dorso dell'animale, ma fece appena in tempo a lacerargli la pelle prima di essere sbalzato via. Rimase a terra per qualche secondo: doveva riprendersi dall'impatto col suolo. Nick era partito all'inseguimento del cervo che saettava tra gli alberi e Lexie era dietro di lui. Nick tentava di mordergli le zampe per rallentarlo, ma era troppo rapido e rischiò più volte di prendersi una zoccolata in pieno muso. Math recuperò terreno e in un attimo fu al fianco dell'animale ansimante. Lo attaccò di nuovo, cercando di affondare meglio gli artigli stavolta. Lexie correva, correva e correva ma non sapeva assolutamente come agire. La caccia la infervorava ma aveva troppa paura di farsi male ed era defilata rispetto ai suoi due compagni. Si lasciò andare all'istinto, era l'unico modo. Vedendo che la vegetazione intorno a loro era fitta virò a sinistra per scomparire alla vista della preda, che non si sarebbe mai potuta inoltrare in quell'intrico di verde con un palco di quelle dimensioni. Poteva solo andare dritto per i seguenti novecento metri. Mise tutta la forza che aveva nelle zampe posteriori per poterlo superare in velocità, poteva sentire ogni singola fibra muscolare contrarsi e rilassarsi mentre le sue zampe toccavano a malapena terra. Quando raggiunse il limitare del fitto degli alberi fece uno sforzo ulteriore e si ritrovò molto più avanti del cervo, ancora circondato da Math e Nick e dagli alberi impenetrabili. Stava rallentando, non avrebbe resistito ancora per molto. Lexie si gettò alla carica, rendendosi conto solo poco prima di raggiungerlo che l'animale avrebbe potuto infilzarla con le sue grosse appendici ramificate. Ancora una volta l'istinto e la prontezza di riflessi le vennero in aiuto. Scartò alla propria destra appena in tempo e con un balzo riuscì ad azzannarlo alla base del collo. Rimase attaccata affondando le zanne sempre più a fondo, assaporando il sangue caldo. Il cervo incespicò esausto ma non cadde subito. Math gli saltò addosso e la bestia, ormai priva di energie, ruzzolò per un paio di metri, si contorse per un po' mentre il sangue usciva copioso dalla ferita al collo poi più nulla. I tre lupi si avvicinarono per assicurarsi che fosse morto davvero, poi con dei piccoli salti e delle zampate amichevoli si complimentarono tra loro per la riuscita della caccia. Math diede una spinta al collo della preda con il muso: voleva che fosse Lexie a dare il primo morso. In effetti le regole imponevano che il più esperto tra i lupi coinvolti in una caccia decidesse se mangiare per primo o concedere questo onore al compagno che aveva dato il colpo di grazie all'animale. Lexie dopo una breve esitazione strappò ancora di più la pelle già lacerata del cervo e mangiò a sazietà ciò che le capitava. Nick cominciò con le zampe, Math aveva scelto per sé la schiena e un po' di interiora. Quando si sentirono sufficientemente pieni era rimasta comunque una generosa porzione di carcassa, quindi se la spartirono e se la portarono appresso, nascondendola in una vecchia tana di volpe abbandonata da tempo che Math usava spesso. Corsero ancora un po' per smaltire non solo il pasto ma anche l'adrenalina residua. Quando si ritennero stanchi si fermarono: dovevano recuperare ognuno i propri indumenti . I ragazzi si erano trasformati piuttosto lontano, quindi i tre si separarono. 

Lexie aveva lasciato i suoi vestiti dietro ad un grosso cespuglio; con un po' di fatica riuscì a ritrasformarsi, facendo di tutto per trattenere qualche gemito prolungato. Il suo corpo bollente esposto al freddo di gennaio rilasciava una condensa che ricordava quasi un banco di nebbia. Quel calore non sarebbe durato ancora a lungo, doveva sbrigarsi e rivestirsi. Fortunatamente si era messa comoda, non c'erano zip da tirare sù, lacci da legare o bottoni da allacciare, quindi fu facile infilarsi tutto nel giro di appena cinque minuti. Non vedeva l'ora di adagiarsi nella vasca da bagno e levarsi di dosso l'odore di sangue e cane bagnato. Per essere precisi dalle narici fino a metà del collo era tutta tinta di rosso. Si passò il dorso della mano sulle guance e sulla bocca, ma le cose non migliorarono poi tanto. Raccolse la felpa pesantissima che le faceva da cappotto, adagiata su un grosso ramo basso, e se la infilò. Pensò di prendere una strada più lunga per rimanere un po' sola coi suoi pensieri prima di tornare alla villa, quindi si incamminò ancora più a sud. Stava ancora cercando di elaborare tutte le sensazioni che l'avevano avvinta mentre era un animale e realizzò che ciò che aveva provato era un misto di gioia ed eccitazione. Gioia perché era stata assieme ai suoi fratelli di branco, erano divenuti una cosa sola quando avevano attaccato la preda e la caccia aveva dato loro quel brivido selvaggio che nessuna attività umana sarebbe mai stata in grado di donare. Ricordò la sensazione di piacere mentre affondava i denti nella carne morta ma ancora calda del cervo. Non era stoppacciosa ma nemmeno morbidissima, il sangue aveva un sapore talmente dolce da sembrare miele e le ossa...! Quanto era soddisfacente sgranocchiare gli ossicini e recidere tendini e muscoli con le zanne, come un coltello che affonda nel burro! Ma se avesse malauguratamente ucciso un essere umano avrebbe provato le stesse cose o la sua coscienza umana rintanata in un angolo remoto della sua mente di lupo avrebbe inibito ogni cosa, facendole provare finanche disgusto e orrore? Non fece nemmeno in tempo a terminare questo pensiero che mise un piede in fallo e rotolò faccia a terra in un avvallamento poco profondo del terreno. Un paio di secondi dopo rialzò la testa dal tappeto di foglie e rimase atterrita dalla coincidenza: a pochi passi da lei si trovava un corpicino steso carponi, la testolina poggiava di lato, verso la sua direzione. Sulla tempia esposta era ben visibile un taglio largo ma lungo appena un paio di dita. Non c'era bisogno di avvicinarsi per capire che fosse morto da ore: era pallido e le braccia abbandonate lungo i fianchi erano rigide, così come le gambe, distese e costellate da ferite che avevano tinto di vermiglio i jeans in più punti. Scossa, Lexie risalì dalla fossa indietreggiando con l'aiuto di mani e talloni e solo arrivata quasi alla cima ebbe la forza e la lucidità per rialzarsi e correre a perdifiato da Nick e Math. 

- Dovete venire a vedere, sbrigatevi, avanti!!! 

Non riuscì a dire altro quando raggiunse i ragazzi, che ormai erano in procinto di tornare a Stone Hall. Vedendo in che stato emotivo era la seguirono senza fare domande. Saettarono tra gli alberi e in un attimo raggiunsero il fosso, ma non si calarono. 

-Che cos'è? - chiese Nick, cercando di mettere a fuoco quel corpo inerte, allungandosi più che poteva dal bordo di terra compatta.

-Un bambino. - Math faticava a trattenere la rabbia. - Probabilmente ha appena dieci anni, non sembra avere ferite profonde o se anche le avesse probabilmente non vedremmo tracce evidenti di sangue perché è stato portato qui da un altro posto. 

- Come fai a dirlo? - chiese Lexie, tra l'ammirato e lo stupito. 

-Dal suo odore. Il terriccio si sente a malapena su di lui, sa piuttosto di smog, fritto e sudore. Lo hanno ucciso in città e poi lo hanno trasportato qui, forse trasformandosi per non lasciare impronte digitali, sono pronto a scommetterci. 

-Sono stati loro? I Solitari ...?

-Ci metterei la mano sul fuoco. Jeremy va avvertito subito.

-Ci sto già pensando io- disse Nick col cellulare appoggiato all'orecchio in attesa di risposta. 


Furono piuttosto rapidi ad arrivare. Rallentarono solo quando videro i ragazzi.

- È solo un bambino... - constatò Sal con estrema tristezza. 

-Come lo hai avvistato? - chiese Jeremy a Lexie, per cercare di capire come fossero andate le cose. Lei cominciò dall'inizio. 

-Avevo sentito il bisogno di trasformarmi, allora sono uscita da sola e mi sono nascosta per spogliarmi, poi Math e Nick mi hanno trovata appena trasformata e abbiamo cacciato un cervo. Sono tornata a prendere i miei vestiti, mi ero appena ritrasformata, stavo camminando, ero distratta, sono inciampata e sono finita lì dentro, appena lo ho visto sono andata a chiamarli. 

-D'accordo. Ora chiamerò la polizia e lasceremo fare loro ciò che devono. Tornate a casa, rendetevi presentabili. Non so se debbano farvi qualche domanda oppure no, ma non potete rimanere col fango e il sangue addosso. Andate. 

 Lexie e i ragazzi si allontanarono, Jeremy e Sal rimasero soli a contemplare il cadavere sotto di loro. Più lo osservava e più l'angoscia invadeva l'animo di Jeremy. Non poteva fare a meno di pensare che avrebbe potuto esserci Math laggiù, se anni prima il licantropo che lo aveva morso non si fosse semplicemente divertito con lui. Aveva avuto fortuna - o sfortuna, a seconda di come uno voglia vedere le cose. Lui da quella brutta faccenda aveva ricavato un figlio, ma per Math le perdite con ogni probabilità avevano superato i guadagni. Non era un argomento di cui amavano discutere, a dire il vero non ne parlavano da anni ormai, ma Jeremy spesso si chiedeva cosa sarebbe successo se avesse preso una decisione diversa, se le cose fossero andate diversamente. Se il morso non fosse mai avvenuto lui non avrebbe avuto nessun tipo di legame familiare: era stato figlio, ma solo a metà o forse anche in misura assai inferiore, considerato quanto fosse stato debole -per non dire nullo- l'affetto di suo padre; era stato un nipote, ma suo nonno non c'era più da lungo tempo e suo padre non aveva fratelli; per la Legge del Branco non poteva legarsi ad una donna umana, quindi non sarebbe mai potuto essere un marito, ma Math gli aveva dato l'occasione di essere padre, sebbene nelle loro vene non scorresse lo stesso sangue. Ricordava ancora cosa aveva provato stringendolo a sé la prima volta. Era poco più che un ragazzino quando lo aveva trovato in una foresta a decine di chilometri da Bear Hill, tutto sporco, ringhiante e quasi incapace di parlare, tanto era rimasto trasformato prima di essere soccorso da lui. Quando muso, coda e orecchie appuntite erano spariti Jeremy aveva avuto tra le braccia un bambino esile e nudo, in posizione fetale, tremante e coperto di fango, gli occhi serrati come una saracinesca. Ai suoi occhi appariva così debole e fragile che tentennò prima di abbracciarlo, per timore che potesse sgretolarsi al minimo tocco. Lo aveva portato a casa, lavato a fondo, vestito con ciò che aveva di adatto e lo aveva adagiato nel proprio letto, sussurrandogli che era al sicuro, che nessuno gli avrebbe mai più fatto del male. Math si era rivelato estremamente difficile da gestire, ma in un modo o nell'altro era riuscito a dargli un'educazione umana quasi del tutto normale che aveva permesso al ragazzo di frequentare l'università e lo aveva addestrato come lupo, facendo di lui il giovane uomo forte che era diventato. Si dovevano molto l'un l'altro. 

-E noi che pensavamo fosse finita...! 

La voce di Sal lo riportò bruscamente alla realtà. 

-Il problema  è molto più complesso di quel che pensassimo. - mormorò l'Alfa. - Brandon Scott era solo una delle tante piccole maglie di questa catena e siamo ancora molto lontani dal trovarne l'origine. 

-Per quanto ancora continueranno a uccidere?! Non posso credere che... 

Si udì uno scalpiccio di piedi sul terreno umido coperto di foglie e il latrato di un grosso cane. I rumori venivano da un punto davanti a loro, piuttosto vicino.

-Maledizione... cacciatori. - La proprietà confinava ad ovest con un vasto terreno di caccia, ragion per cui durante il giorno cercavano di evitare le Trasformazioni o comunque si tenevano ben lontani dai limiti della foresta. Era di notte che potevano dar meglio sfogo ai lupi dentro di loro, coperti dall'oscurità. Le voci, dapprima lontane e ovattate, si fecero sempre più distinte, poi dal fitto degli alberi cominciarono a delinearsi delle sagome: tre uomini, armati di fucili, avanzavano guidati da un grosso labrador nero, che trascinava il suo padrone come un cavallo da traino. 

-Diamine Boe, ma che hai?! - sbraitava l'uomo cercando disperatamente di frenare la corsa del cane. - Rallenta, maledizione! 

L'animale parve non dargli ascolto e continuò a fare leva sulle zampe per avanzare nonostante il guinzaglio fosse stato drasticamente accorciato. Non c'erano dubbi che avesse percepito l'odore del cadavere. Sal e Jeremy rimasero in attesa dell'arrivo dei cacciatori, tesi nel profondo come corde di violino. 

- Porca puttana Sam, guarda!!! - gridò uno di loro al tipo col cane, che vide prima il corpo del bambino, poi i due sull'orlo del fosso. 

- Denvers, di nuovo lei!- bofonchiò, accompagnando poi un'imprecazione vaga con uno sputo a terra. 

- O mio Dio, è il figlio degli Anderson ... - disse il terzo, impallidendo. 

Per qualche secondo nessuno parlò poi il padrone di Boe si mise a gambe divaricate, nei suoi intenti per sembrare minaccioso, ma in realtà risultava essere  la brutta imitazione di un attore di film western, ridicolmente teatrale. Alzò la testa per incontrare lo sguardo di Jeremy e Sal e cominciò ad abbaiare forte, quasi quanto il suo cane nero. - Che diamine significa?! Ultimamente ogni volta che succede qualcosa in questa dannata città ci siete sempre di mezzo voi! - Puntò l'indice tozzo contro entrambi loro e continuò col suo latrare. - Lo sceriffo va cercando il colpevole di questi macelli e non si rende conto che ce li ha avuti sempre davanti. SIETE FINITI, CAZZO! -

Sam, con Boe al seguito, fece qualche lungo e pesante passo avanti prima di essere fermato da Jeremy.

- Signor Bradson, faccia un altro passo e sarò ben felice di segnalarla allo sceriffo per aver sconfinato in una proprietà privata. Il corpo del bambino è nel mio territorio, è un mio problema. Prima che arrivasse lei coi suoi compari stavo giusto per contattare lo sceriffo, ci penseranno le autorità. 

Era stato moderatamente pacato nell'esprimersi e forse fu proprio questo a mandare in bestia il cacciatore, che parve ignorare l'avvertimento. 

- Col cazzo! Io ci vedo benissimo Denvers, e so fare due più due! Non è un caso che tutti i morti vengano ritrovati qui. C'è sotto qualcosa, maledizione, e presto o tardi verrà a galla, siete finiti riccastri di merda. Avete chiuso!

- Oltre che pretenzioso è anche piuttosto volgare, vedo, ma farò finta di non aver sentito nulla se ve ne andrete tutti via da qui subito

- Non mi spaventa coi suoi bei paroloni, Denvers! I vostri segretucci non dureranno!!!

- Jeremy...? - Sal si era rivolto all'amico per capire le sue intenzioni, ma non ebbe bisogno di andare avanti e chiedergli nulla. Gli fu sufficiente guardare i suoi occhi, ora fissi e concentrati, che si erano incupiti. Jeremy aveva capito che con Sam Bradson non si poteva ragionare. A mali estremi, estremi rimedi, pensò. 

Dal fondo della gola del labrador proveniva un ringhio sommesso. Aveva i piccoli occhi scuri piantati su di lui e non esitò a mostrare i canini appuntiti. Non che sarebbe servito a qualcosa: Jeremy stava agendo a livello di inconscio, dove l'animale non poteva raggiungerlo, non poteva affrontarlo. Poteva vedere gli impulsi elettrici all'interno del cervello e deviarli, sfogliare i ricordi come pagine di un libro, toccare tasti che avrebbero causato una reazione non sempre possibile da prevedere. Si sentiva un mostro nel farlo, ma non aveva alternative. Anche Math ci aveva provato, una volta. Stuzzicare un avversario mandandogli onde su onde di sentimenti negativi, aizzarlo facendogli avvertire quanto in pericolo sia era, in teoria,  una caratteristica comune a tutti i licantropi, ma nella pratica erano in pochi a saperla usare e ancora meno quelli che la sapevano usare efficacemente. Quando aveva provato con uno scoiattolino che era riuscito a intrappolare il risultato era stato disastroso: la creaturina aveva inizialmente cominciato a tremare, poi aveva mostrato comportamenti isterici, facendo sù e giù nella gabbietta bassa e stretta in cui era confinato. Preso dal panico lo scoiattolo andò avanti così finché non gli esplose la testa. Tanti piccoli pezzettini di carne tremula erano volati in giro e il viso di Math, molto vicino alle sbarre, era stato macchiato da uno spruzzo di sangue caldo. Andò da suo padre con le unghie ancora sporche dopo averle affondate nel terriccio per seppellire quel che rimaneva della creaturina e rivelò tutto. Gli risparmiò una sfuriata, ma gli disse che si augurava avesse capito la lezione. Aveva cercato di metterlo in guardia, di dirgli che non era un gioco, che non era ancora pronto, ma dopotutto non c'era da stupirsi: di' a un bambino che non può fare una cosa e troverà comunque un modo per farla. Ma lui non era un bambino. Era un adulto e in quel momento aveva tra le mani la mente di un animale  che nulla aveva a che fare con omicidi, licantropi e lotte intestine. Ma doveva usarlo. 

Il cane aveva percepito la pericolosità dell'uomo e il suo odore, così simile al proprio e al contempo totalmente differente. Non aveva possibilità se l'avesse attaccato. Sarebbe morto. Il suo padrone, la sua casa, la sua cuccia... tutto scomparso. Ora esisteva solo la sua vita e rischiava di perderla. Doveva scappare. Doveva farlo. Strattonò più forte che poté il fastidioso giogo che lo teneva in trappola, più e più volte, finché il gancio della pettorina non cedette. A nulla erano valse le lamentele e le imprecazioni del suo umano, scaraventato a terra col guinzaglio ormai rotto stretto in mano. Il cane era corso via, tra gli alberi della foresta, guaendo e latrando in preda ad una paura che era ingiustificata, ma ovviamente non poteva saperlo. Non c'era nessun pericolo reale. 

- Boe! Maledizione, torna qui! - ringhiò furiosamente Bradson tentando di rialzarsi nonostante la forte botta alla schiena. - Torna qui, ho detto!!! 

Ma l'abbaiare del cane era sempre più lontano. Il cacciatore, aiutato suo malgrado dai compagni, venne messo in piedi e lanciò uno sguardo ricolmo d'odio a Jeremy prima di catapultarsi all'inseguimento del suo amico a quattro zampe, seguito dagli altri due. 

Jeremy chiuse gli occhi e tirò finalmente un sospiro di sollievo. Fino all'ultimo aveva temuto che la cosa sarebbe finita molto male per quella povera bestia, ma per fortuna andò meglio di quel che aveva pensato. 

- Non aveva una mente labile, grazie al cielo. In caso contrario sarebbe impazzito o... 

- L'importante è che si siano tolti di mezzo. 

Udì scalpiccii di passi. Dovevano essere Math, Nick e Lexie di ritorno dalla magione  dopo essersi ripuliti dal fango, a giudicare dalla direzione. Erano ancora lontani, però. Jeremy tirò fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e scorrendo la rubrica trovò il numero che gli interessava. Non dovette attendere a lungo: dopo appena due squilli una voce familiare dall'altra parte rispose. 

- Jeremy, che succede? 

- Carrie... ce n'è stato un altro. Di nuovo. 

- Cosa?! Do-dove? 

- Al confine sud-ovest di Stone Hall. È un bambino, dieci anni circa, ha una ferita alla testa... sembra morto da diverse ore... 

- Ok, che nessuno tocchi nulla o si muova, arriviamo il prima possibile. 

- Ti ringrazio. 



- Ok, da capo. Di' anche a me che cosa è successo.

Lexie era in piedi, circondata da tutti gli altri, mentre lo sceriffo le chiedeva di spiegare come si erano svolti i fatti. Credeva di avere metri e metri di spago ficcati giù nella gola, non riusciva a parlare. Non ci riusciva proprio, non dopo aver scoperto alcune informazioni sulla vittima, origliando pezzi di conversazioni tra coroner e poliziotti e poliziotti e genitori. 

Si chiamava Tommy Anderson. Come sia Math che Jeremy avevano supposto aveva dieci anni. Dieci anni, cinque mesi e due giorni per essere esatti.  Era stata la signora Anderson a sottolinearlo: a suo figlio piaceva tenere i conti minuziosamente. L'ultima volta che era stato visto era in centro città, in strada con la sorella gemella Annie, poco lontano da casa. Si era allontanato per rincorrere un bel micio bianco in un vicolo cieco e poi era scomparso. Era trascorsa una settimana da allora. L'apprensione dei signori Anderson era finita e niente affatto come speravano. La famiglia gestiva le pompe di benzina di Bear Hill da tre generazioni, erano conosciuti e rispettabili, niente nemici, niente faccende losche. Eppure eccolo lì, Tommy Anderson, a faccia in giù nel terriccio, gli occhi vitrei socchiusi, talmente pallido da sembrare trasparente, morto da sette giorni, con una ferita alla tempia destra e una generosa porzione del fianco sinistro maciullata orribilmente. Parte dell'apparato digerente era assente. Era stato il colpo alla testa ad ucciderlo, poi avevano fatto scempio del suo corpo per puro divertimento. Anche se non aveva volti e nomi da associare Lexie sapeva bene chi c'era dietro, ma ovviamente questo allo sceriffo non poteva dirlo. Dopo la ragazza con l'abito da cocktail, il trentenne drogato, l'infermiera di mezza età, la giovane commessa, il vecchio tassista corpulento e le persone al pub ora anche il piccolo Anderson era finito nella lista delle vittime. Una persona in più per cui quei mostri avrebbero dovuto pagare.

- Eravamo andati a camminare, Math, Nick e io. Sono voluta rimanere fuori un po' più a lungo e stare per fatti miei. Ad un certo punto mi sono distratta, ho inciampato e sono caduta lì sotto. L'ho visto, ho avuto paura, sono risalita e ho corso più veloce che potevo per tornare a casa e avvertire qualcuno... Non sapevo che altro fare ...

- Hai fatto la cosa giusta - le disse lo sceriffo - Queste faccende vanno lasciate in mano agli adulti. - Si allontanò poi per parlare con Jeremy, a una manciata di passi da lei, la schiena appoggiata al tronco scorzoso di un vecchio salice e lo sguardo fisso, concentrato.

- Il lupo non era l'unico problema. Quel bambino è stato colpito alla testa da una persona e poi lasciato in pasto a qualche animale. Sono stata precipitosa nell'annunciare uno scampato pericolo. Ho abbassato la guardia e... 

Lui allungò le braccia per stringerle le spalle con le sue mani affusolate. Erano calde, nonostante il freddo. 

- Non è colpa tua, Morgan. - Morgan. Era così che Jeremy si rivolgeva a lei, il più delle volte. Diceva che gli evocava alla mente dei personaggi femminili del ciclo arturiano di cui aveva letto da bambino e che aveva amato molto. Aveva tenuto a precisare, nell'occasione in cui aveva espresso tale pensiero, che gli piaceva il suo nome di battesimo, Caroline, e anche il diminutivo Carrie, ma che il suo cognome lo affascinava di più. Dopo l'incidente al pub erano rimasti in contatto, anche se solo in maniera sporadica. Si erano incontrati qualche volta in città, mentre sbrigavano commissioni, non si trattenevano mai a lungo, a discorrere del più e del meno, eppure quelle poche parole che si scambiavano sollevavano loro lo spirito, come una doccia fredda dopo aver sofferto a lungo il caldo. - So che ce la metti tutta per far sì che la città sia sicura, ma so anche che non è facile gestire un'emergenza del genere. Sei umana, come chiunque altro. Anch'io ero sicuro che questa scia di morte fosse finita. Ci siamo sbagliati entrambi. Se c'è qualcosa che io o la mia famiglia possiamo fare per... 

- Sei gentile, come sempre. - disse lei, allontanandosi di qualche passo e costringendo così Jeremy ad allentare la presa fino a lasciarla- Ma credo... credo che non ci sia molto che tu possa fare. - Si sistemò una ciocca ribelle dietro l'orecchio -più per dissipare l'imbarazzo che per un vero fastidio- e distolse lo sguardo, alla ricerca di qualcosa da dire, ma si limitò a un "ora è meglio che vada", girò i tacchi e tornò a valle, verso il corpicino di Tommy Anderson che stava per essere portato via, infilato in un sacco mortuario bianco con la zip, una crisalide che sarebbe rimasta tale. Nessuna rinascita, nessun "dopo". Quel bambino non ce lo aveva più, un futuro. Anche il branco rischiava di scomparire, dovevano agire in fretta. Dovevano scoprire chi teneva le fila di questo complotto ai loro danni prima che fosse tardi. 

Dopo che lo sceriffo con i suoi e la polizia mortuaria se ne furono andati Jeremy riportò tutti a casa e si radunarono nel salotto. Pete e Xavi, che erano rimasti a guardia della villa quando l'Alfa e il Beta si erano allontanati, erano già lì, seduti sul divanetto davanti alla consolle di legno lucidato, vicino al portale d'ingresso. Tutti gli altri si accomodarono, solo Jeremy rimase in piedi, appoggiandosi di tanto in tanto alla scrivania dietro di lui. 

- Ottima mossa aizzare il cane - commentò Math passandosi una mano fra i capelli - Quelle vibrazioni si avvertivano addirittura da qui...

- Si è rivelato necessario. Ero in una posizione di superiorità: abbastanza vicino da poterlo manipolare, ma non tanto da  rischiare un attacco frontale se le cose fossero andate male. Tutto qui. 

- Quello strano brivido che abbiamo sentito... eri tu?! - Lexie apparve sorpresa, ma in realtà fin da quando l'aveva percepito non aveva dubbi che quella sensazione fosse stata opera sua. Si era trattato di un secondo, forse addirittura un centesimo di secondo, ma era bastato a farla trasalire, mentre andava in discesa, pensierosa. Anche Math e Nick avevano provato la stessa cosa, ma non le erano sembrati inquieti, non più di quanto non fossero già. Jeremy si limitò ad annuire, poi continuò: - A giudicare dal ritmo con cui uccide questa faccenda potrebbe durare ancora a lungo, praticamente per sempre, finché anche solo uno di loro e uno di noi saranno vivi. Purtroppo abbiamo avuto la conferma che gli episodi dei mesi scorsi non erano incursioni casuali di un Solitario neo-nato. C'è un'organizzazione dietro, magari non omogenea, non compatta, ma c'è. Non possiamo più permetterci di indugiare, dobbiamo colpirli duramente. 

- Però non capisco, perché uccidere proprio un bambino? Fino a questo momento ha ucciso solo adulti, mai bambini... 

- Vogliono attirare ancora di più la nostra attenzione - le rispose Pete, accomodandosi ancora di più sulla seduta del divano. - Alzano la posta e uccidono un bambino.

- La loro furia aumenta sempre di più, stanno andando fuori controllo. - constatò Sal - Se ci sono altri neo-nati - il che è molto probabile- sarà difficile prevedere le loro mosse, in quanto l'essere imprevedibili è proprio dei neo-nati. Scott aveva una particolare predilezione per le donne, è vero, ma il tassista e il bambino li ha uccisi qualcun altro, gli odori non coincidono. Non sappiamo quanti siano all'interno di questo gruppo, sarebbe saggio raccogliere ulteriori informazioni, prima di fare qualsiasi cosa. 

- Che proponi, allora? - Math si era appoggiato allo schienale e aveva allargato le braccia per appoggiarle sulla sommità del sofà. Sembrava piacergli quella posizione.

- C'è chi conosce le vicende dei Solitari meglio di noi. 

Nick sembrò intercettare il pensiero di suo padre e dalla sua bocca uscì un nome che Lexie ricordava bene: Karl Madsen.

- Quel ladro? Non c'è da fidarsi. - borbottò Xavi, che se ne stava con la schiena dritta e a braccia conserte, imbronciato. - E poi chissà dove si è cacciato, non sta mai a lungo nello stesso posto.

- Trovalo, Nick. Se è qui dobbiamo parlargli e scoprire se è a conoscenza di qualche informazione utile. - Jeremy non si era rivolto al figlio del suo amico per caso: nessuno era a suo agio con la tecnologia quanto lui. Tutti erano in grado di usare un computer e uno smartphone ovviamente, ma solo Nick aveva competenze di hacking e tracciamento. Sarebbe stato in grado di trovare persino un ago in un pagliaio coi mezzi giusti e del tempo a disposizione. - Xavi, tu va' con lui: da adesso non ci si muoverà più da soli, solo in coppia o in gruppo, capito? Sal e io andremo in città a sondare un po' il terreno, a controllare se magari hanno lasciato qualche traccia. Math, tu tieni d'occhio Lexie e la casa: se dovessero osare avvicinarsi qualcuno dovrà difendere entrambe. Andate. 

- Beh, allora io... credo che mi dedicherò alle pulizie di Pasqua con largo anticipo- disse Pete alzandosi, con aria spensierata.- Mmm... ma guarda la mensola del camino quanto è sporca...!

A Jeremy scappò un sorriso - Scusa, Pete, errore mio. Tu va' pure con Nick e Xavi, su Madsen le dimostrazioni di forza fanno effetto. 

- "Dimostrazioni di forza, grrr!" - cantilenò il ragazzo, seguito dai compagni che gli dettero delle generose pacche sulle spalle, come se stessero per disputare una partita di football. Prima che potessero uscire dalla stanza Math protestò con forza.

- Perché mandi lui? Sai che io posso...

Jeremy lo fulminò con lo sguardo, ma non parve afferrare. 

- Se venissi tu - gli spiegò Nick - a casa riporteremmo a malapena le cervella di Madsen, questo lo capisci, vero?

- Ho preso la mia decisione - ribadì l'Alfa in tono perentorio - Tu resterai qui. Non c'è bisogno che ti spieghi i tuoi doveri in quanto suo Creatore, dico bene?- 

Dunque è di questo che si tratta, pensò Lexie. Ora doveva sottostare a tutti gli insegnamenti che lui avrebbe ritenuto opportuni. Math rispose con un grugnito scocciato e rimase in silenzio, lo sguardo né troppo basso e sottomesso né troppo altezzoso. Tutti se ne andarono e così rimasero soli in quella grande casa. Avevano una moltitudine di ore davanti a loro. Da parte sua Lexie sapeva benissimo che doveva approfittarne per recuperare compiti e lezioni, di come Math avrebbe deciso di impiegare il suo tempo non le importava. Nemmeno a lui sembrava interessare. Meglio così, si disse.


- Aaaah, il giovane Nick, che piacere rivederti. E non sei solo...

Madsen sfoggiava il suo sorriso più smagliante, oltre che il suo completo migliore in toni di grigio. I ragazzi lo avevano rintracciato alla stazione di Bear Hill, di ritorno da un "viaggio d'affari", come aveva affermato lui stesso un attimo prima. Inutile dire che non gli avevano creduto neanche un po'. 

- Il piacere è solo tuo... o forse no... - borbottò Pete. 

- Non è stato semplice trovarti. - disse Nick trapassando il Solitario con lo sguardo.  - Ti credevo ancora a Washington e invece eccoti qui. 

- Credi forse che non legga i giornali o veda qualche notiziario? Mi piace vivere l'azione. Come voi, del resto.

- Non è una visita di cortesia.- Nick venne subito al punto, senza mezzi termini. - Jeremy ha richiesto la tua presenza, dobbiamo farti alcune domande. 

- Questa è bella! - Madsen si aggiustò i capelli già perfettamente a posto e scoprì i canini bianchissimi di cui andava tanto fiero, tra le altre cose. - Se l'avessi saputo prima avrei fatto almeno una doccia: viaggiare per ore su un treno affollato non è l'ideale  per l'igiene e per lo spirito, sapete? Non credo proprio di essere nelle condizioni giuste...

- Poche storie, seguici. - Xavi lo affiancò a destra, Pete a sinistra. Con discrezione si avvicinarono di nuovo alla berlina sportiva di Nick che si era già messo al volante e partirono alla volta di Stone Hall.


- Jeremy, mi dispiace dovertelo dire, ma il servizio clienti è alquanto carente.

Sul viso dell'Alfa si delineò un sorriso sgradevole, derisorio. Madsen era davanti a lui. Lo invitò a sedersi con un gesto della mano e quello si accomodò sul sofà, circondato da tutto il Branco, solo Lexie mancava, per volontà dello stesso Jeremy. Non voleva che scoprisse che era una di loro, un corvo bianco. Le aveva espressamente ordinato di restare in camera sua e di spruzzarsi addosso del profumo, per confondere il proprio odore in caso di pericolo. Per fortuna l'aveva spedita nella mansarda per tempo e la sua traccia odorosa era pressoché inodorabile. 

- Sono tutto orecchie, cosa vuoi sapere?

- Voglio sapere se sai chi ha trasformato il neo-nato morto qualche mese fa e chi altri continua ad attaccare la brava gente di questa città.

- Domanda da un milione di dollari...

-  So che non fai mai niente per niente, quindi senza girarci troppo intorno... che cosa vuoi in cambio? 

Madsen finse di pensarci sù, accarezzandosi il mento con la punta delle dita.

- Beh, vedi... io viaggio spesso. Non sto mai a lungo nello stesso posto. 

- Non ci hai ancora detto che cosa vuoi- mugugnò Math, in piedi dietro a suo padre che era seduto sulla poltrona di pelle bordeaux. 

- Una piccola concessione da parte del Branco. Un mio territorio.

Gli altri si scambiarono sguardi perplessi, Xavi scosse anche la testa. Jeremy teneva lo sguardo sull'ospite, che continuò:

- Non sarebbe male avere un cantuccio dove riposarsi e magari stabilirsi permanentemente, un giorno. Chissà. Con questo non intendo dire che sottostarò alle vostre leggi, sia chiaro. 

- Lo avevo intuito. Ti pregherei di dirci quello che sai, poi valuteremo se la tua richiesta sia accettabile-  rispose Jeremy con affettata cortesia. 

- Qualcosa si sta muovendo, in effetti. So dell'esistenza di un gruppo, anche se piccolo, a cui le restrizioni del Branco sono venute a noia.

- E immagino tu sappia anche chi siano.

- Non sono venuti a presentarsi in fila davanti alla mia porta, quindi come potrei? Oltretutto non ho nessuna porta da aprire e nessuna casa. - Questa affermazione venne accompagnata da un sorrisetto sardonico e a qualcuno questo non piacque affatto. 

- La tua insolenza comincia ad irritarmi- sillabò Math tra i denti, avvicinandosi minacciosamente al Solitario. - Sputa il rospo o giuro su Dio che... 

- Siediti. Subito

La voce ferma di Jeremy aveva il potere di calmarlo o ammansirlo e finiva con l'obbedire sempre.

- Non sai niente, allora. - constatò Jeremy. 

- Non più di voi. Ma posso sempre indagare. Potrei addirittura consegnarveli tutti a domicilio. 

- Ragazzi, mostrate pure l'uscita al signor Madsen. 

- Beh, è stato un piacere.- Il Solitario si alzò e ne approfittò per aggiustarsi addosso la giacca. - Buona serata, signori. 

Quando la porta si chiuse dietro di lui calò un attimo di silenzio, che Math interruppe bruscamente.

- Non ti fiderai mica di lui?! - chiese rabbioso all' Alfa che però non rispose subito. Stava aspettando. Aspettava che Karl si allontanasse tanto da non poter sentire più ciò che dicevano dentro casa. Sapeva che il Solitario avrebbe tentato di captare qualcosa: se non una conversazione almeno una parola, un indizio, anche solo un sospiro. Esprimersi in quel momento avrebbe potuto significare una condanna: se era uno di loro - come Jeremy supponeva- avrebbe fatto di tutto per capire quale fosse il livello di allarme e consapevolezza all'interno del Branco, per individuare le crepe nella loro sicurezza che si allargavano e si ramificavano sempre di più. Non era saggio parlare. Quando fu certo che Madsen fosse lontano abbastanza finalmente si espresse con la sua solita calma.

- Certo che no, non mi fido di lui. Sa molto più di quello che dice, l'ho avvertito, ma la sua mente è sempre stata sfuggevole, di difficile lettura. È molto bravo ad occultare i suoi pensieri... quando vuole. Sarebbe un errore sottovalutarlo, non dobbiamo perderlo di vista. 

- Innocente fino a prova contraria, ma sono d'accordo: va tenuto d'occhio. - concordò Sal. 

- È un sociopatico, è già un buon motivo per non fidarsi. - Xavi si era sporto in avanti, tenendo i gomiti piantati sulle cosce e le braccia incrociate. 

- È un ladro. - tentò ingenuamente di correggerlo Pete.

- Un ladro è un sociopatico. Non rispetta le regole umane e non rispetta le nostre, è doppiamente pericoloso, lo è sempre stato. 

- È vero, ma prima che sparisse la sua era una delle famiglie nobili del Branco.- sottolineò Sal.

- Allora siamo fortunati: non sembra avere intenzione di riprodursi. - commentò Nick, incurante dell'occhiataccia del padre. Sal proseguì.

- Non lo abbiamo mai perseguitato, nemmeno durante l'ultima grande Caccia ai Solitari, che si è tenuta più di dieci anni fa. 

 "Caccia"?

Lexie era sbucata nella stanza. Sapendo che Madsen se ne era andato non aveva più senso restare in camera sua. Aveva attraversato la stanza e si era avvicinata agli altri.

- Mio padre era l'Alfa, all'epoca. - cominciò a raccontare Jeremy dopo un interminabile silenzio. Nella sua voce si era insinuato qualcosa di indescrivibile. - Non lo è stato per molto, grazie al Cielo, ma durante il suo comando sono state commesse innumerevoli atrocità. C'era chi condivideva la sua visione del mondo e assolveva il proprio compito con piacere, invece gli altri, quelli che non erano d'accordo, potevano solo abbassare la testa e seguire gli ordini, per evitare di incorrere nelle ire di Malcolm. 

- Se quel regime di terrore non è durato è grazie a te. -  ci tenne a precisare Sal, avvicinandosi all'amico per stringergli con fermezza la spalla. 

- Ti sbagli. - Non c'era calore nelle sue parole, sembrava quasi che il suo pensiero fosse rivolto altrove. - La tua fede in me mi ha condotto sin qui. Tu mi hai spronato a reagire. Ma mi sono convinto troppo tardi, quando erano già stati ammonticchiati centinaia di cadaveri. Non dipingermi come un eroe di guerra o un paladino della giustizia, ho fatto ciò che andava fatto per il bene della nostra famiglia. Spezzare un ramo per far sopravvivere l'albero, tutto qui. 

Rimorso misto a profonda tristezza. Probabilmente erano quelli i sentimenti che Lexie credeva di aver percepito mentre ascoltava le parole di Jeremy. 

- Scacciare mio padre è stato necessario oltre che giusto. Avrebbe portato solo sciagure se avesse continuato a spadroneggiare. Ma non ho comunque scuse. Restavo a guardare mentre lui e i suoi uomini radunavano Solitari come pecore e li facevano fuori uno dopo l'altro. Io stavo a guardare.

- Eravamo poco più che ragazzini, Jey. La nostra opinione non contava nulla. Noi a differenza di molti altri non avevamo bisogno di tenere la testa bassa: Malcolm e i suoi nemmeno ci guardavano. Non ci consideravano, eravamo cuccioli mugolanti ai loro occhi, indegni di qualsiasi attenzione. 

Jeremy sospirò, non riuscendo a trovare nulla da ribattere. Lexie avrebbe voluto chiedergli cosa fosse accaduto davvero tra lui e Malcolm durante l'ultima Caccia ma la vibrazione del telefono nella tasca dei jeans la distrasse da quel proposito. Guardò lo schermo per molti secondi senza reagire. Era Phil. Non avrebbe saputo cosa dirgli, anche se aveva voglia di sentire la sua voce. Rimase col pollice sospeso, indecisa se rispondere o riagganciare, mentre tutti gli altri la guardavano. Non voglio che sentano. Abbozzò un sorriso di circostanza e fece dietrofront, tornando a passo svelto verso le scale, fino alla sua stanza. Chiuse persino la porta, nell'inutile speranza che questo avrebbe impedito all'udito dei lupi di afferrare ciò che si sarebbero detti, se avessero voluto. La vibrazione non era ancora cessata: Phil non si arrendeva facilmente.

- Ehi... - tentennò, concentrata su come rispondere alle domande che sapeva essere in arrivo.

- Ehi! - Dall'altro capo del telefono Philip la accolse col suo tono allegro. - Come va, stai meglio? 

- Un po', ma dovrò restare a casa ancora per molto. 

-  Piaciuti i compiti di biologia? - le chiese lui con un pizzico di ironia.

- Ooooh, da morire. - rise, stendendosi sul letto.

- Quando starai meglio vorrei portarti in un posto.

- Dove?

- Che sorpresa sarebbe se te lo dicessi ora?

- Giusto...- Si mordicchiò il labbro, cercando di immaginare quel momento. Lui sapeva sempre come tirarla sù di morale. Ma sarebbe davvero servito a qualcosa? Il giorno in cui avrebbe potuto camminare tranquillamente in giro per la città, senza paura di avere lo stomaco rivoltato per tutti gli odori che ora era in grado di percepire o di trasformarsi all'improvviso e saltare addosso a qualcuno, le sembrava ancora molto, molto lontano. 

- Ehi, tutto ok?

- S-sì, sì...

- Sicura? Mi sembri... strana.

- Non mi sono ancora ripresa, ogni tanto mi viene una febbriciattola fastidiosa, tra le altre cose. Ma non vedo l'ora di sapere dove mi porterai. Qualche indizio?

- Diciamo che... è all'aperto. 

- Tutto qui? Dai!

- Ok, ok, non è molto lontano da Bear Hill e... sono sicuro che ti piacerà un sacco.

- Non puoi proprio dirmi altro?- Lexie sorrideva, spostando lo sguardo sulle travi in alto. Non era mai stata troppo a pensarci, ma si era resa conto che avevano fascino. Era sempre meglio che fissare un'immenso spazio bianco o uno squallido soffitto ingrigito dal tempo e spaccato da mille crepe. 

- Se lo facessi ti rovinerei tutto. Lo vedrai presto. 

- Forse hai ragione, meglio di no... grazie per avermi chiamato. Non mi dispiace stare a casa con Jeremy e gli altri, però sai... non è la stessa cosa che passare del tempo con qualcuno della mia età.

- Immagino... ma ti trattano bene?

- Fin troppo. Sono molto gentili e protettivi nei miei confronti, a volte tutto questo è soffocante. Insomma... non sono una bambina! Però è così che mi fanno sentire: una bimba che ha un continuo bisogno di attenzioni per poter stare bene. 

- Beh, dopo tutto quel trambusto col lupo rabbioso, i cadaveri... non è certo qualcosa che si vede tutti i giorni! Credo semplicemente che stiano cercando di distrarti come possono, per farti sentire a casa. 

Lexie sapeva che in parte le cose stavano così per quel motivo, ma Philip non sapeva che lei ora fosse capace di trasformarsi in un animale famelico, che doveva sottostare a leggi e tradizioni antiche di secoli e che tutta quella situazione era un precedente eccezionale, visto il suo sesso e la sua età. Lui non sapeva, e doveva rimanere nell'ignoranza, per il suo bene. 

- Lo so, ma ancora non riesco ad abituarmi a loro, a questa casa... mi sembra tutto troppo... non lo so... diverso. Diverso da quello che avevo prima a Richmond. So che ormai quello dovrebbe essere un capitolo chiuso, ma... è più forte di me. Non posso dimenticare sedici anni della mia vita dall'oggi al domani, è difficile... Scusami, sono in una fase logorroica.

- No, figurati, devi sfogarti un po' ogni tanto, altrimenti rischi di...

- ...esplodere... sì. 

- Già.

Rimasero in silenzio, senza che nessuno dei due trovasse altro da aggiungere. Riuscivano a percepire da un capo all'altro del cellulare che stavano sorridendo.

- Phil?

- Sì...?

- Sono felice di avere almeno te qui. 

- E io sono felice di aver fatto la figura dello stalker al negozio e di averti invitato a uscire, quel giorno.- rise e Lexie si unì a lui. 

- Dovrei andare, adesso. Ci sentiamo presto, ok?

- Ok... buonanotte, Lex.

- 'Notte.

Riagganciò e mise il cellulare sul comodino, continuando a fissare le travi di legno con un vago sorriso stampato in faccia. Provava una sensazione del tutto nuova. L'avrebbe descritta se solo avesse trovato le parole giuste. Pensò che forse dormirci sù le avrebbe schiarito le idee, così si costrinse ad alzarsi, si infilò il pigiama - non aveva avuto il coraggio di rimettersi quella camicia da notte-, disfece il letto e sprofondò sotto le lenzuola. 

La mezzanotte era passata da almeno tre ore e a Stone Hall regnava una quiete assoluta. Jeremy nonostante il freddo aveva lasciato che la coperta lo coprisse solo per metà; nel suo letto spartano stava supino; i capelli corvini sciolti sembravano formare una raggiera sul cuscino inamidato che si spanciava sotto il peso della sua nuca. Il petto ben coperto dalla camicia di cotone si sollevava e si abbassava dolcemente, andava tutto bene, riposava tranquillo, come ogni notte, ma poi, come quasi sempre accadeva,  tutto cambiò nel giro di un istante. 

No, padre! Non farlo, ti prego!

Jeremy strinse le lenzuola con entrambi i pugni e ben presto le sue nocche divennero bianche.

Tu farai quello che ti dico io!!!

Il suo respiro si fece più pesante, il cuore gli martellava in petto, sudava e si sentiva male.

Ti prego, no!!!

Si sentì soffocare, come se avesse avuto dei macigni sul petto e sull'addome. 

Io non ti volevo, non ti ho mai voluto!

Muoveva la testa a destra e a sinistra, nel tentativo di scacciare quell'incubo orrendo. Gemeva. Il dolore sembrava non essere confinato nella dimensione onirica. Le sensazioni erano penosamente chiare, ciò che accadeva nel sogno invece appariva nebuloso, confuso. Vedeva sempre lo stesso bambino, prima a cinque anni, poi a otto, a dieci, a dodici, ma la storia non cambiava: il padre era sempre lì, che si ergeva in tutta la sua stazza, con in mano una cinghia o un'altra diavoleria, pronto a fargli del male, perché voleva così, perché farlo gli procurava soddisfazione e piacere. Nemmeno le parole che diceva cambiavano mai. Erano sempre le stesse, pronunciate in modo diverso o formulate in modo diverso, ma il concetto era sempre lo stesso: ti odio, sei una vergogna, mi disgusti. Il bambino non poteva fare altro che piangere e supplicare, ma crescendo faceva sempre meno entrambe le cose. Alle lacrime e alle preghiere si sostituirono mille perché: Perché fa così? Perché non mi ama? Che cosa c'è che non va in me? Purtroppo però sembrava non esserci nessuno in grado di dargli le risposte che cercava disperatamente nel vuoto e nel buio che lo circondavano. Era solo. 

Perché non mi ama? Perché?! 

Perché...?

Vide una immensa distesa d'acqua, e poi...

... poi sgranò gli occhi e lanciò un grido soffocato che solo le mura della casa parvero udire. Era finita anche per quella notte.

Si ritrovò seduto sul letto, con ciuffi di capelli appiccicati alla fronte sudata, che ansimava come se stesse lottando per avere un po' d'ossigeno dopo un lungo stato di apnea. Attinse a tutte le proprie forze per ricomporsi, costringere il cuore a rallentare e stendersi di nuovo per riprendere sonno. Trascorse un'altra ora, poi un'altra e un'altra ancora e alla fine la sua mente irrequieta si arrese. Quando era quasi l'alba Jeremy finalmente crollò, vinto dal bisogno di riposare.


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