Fino alla fine || Federico Be...

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Olivia, studentessa ventiduenne di lingue, si trasferisce a Torino con il padre dopo la separazione dei suoi... More

Uno {Prologo}
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Sette
Otto
Nove
Dieci
Undici
Dodici
Tredici
Quattordici
Quindici
Sedici
Diciassette
Diciotto
Diciannove
Venti
Ventuno
Ventidue
Ventitré
Ventiquattro
Venticinque
Ventisei
Ventisette
Ventotto
Ventinove
Trenta
Trentuno
Trentadue
Trentatré (❤)
Trentaquattro
Trentacinque
Trentasei
Trentasette
Trentotto
Trentanove
Quaranta
Quarantuno
Quarantadue
Quarantatré
Quarantaquattro
Quarantasei
Quarantasette
Quarantotto
Quarantanove
Cinquanta
Cinquantuno
Cinquantadue
Cinquantatré
Cinquantaquattro
Cinquantacinque
Cinquantasei
Epilogo
Ringraziamenti

Quarantacinque

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By nowhereissafe

Torino, 7 novembre 2017

Dopo il messaggio che mi ha inviato alla fine della partita contro il Milan, Federico non si è fatto più sentire. Io non gli ho risposto perché non ho nulla da dirgli, tutto quello che dovevo dire l'ho detto, lui invece non ha mosso un dito per fare un passo verso di me, come ormai sta facendo da più di un mese.

Non mi dispiace neanche più di tanto, ormai ho imparato a non aspettarmi mai niente dalle persone in modo da non rimanerci male quando mi deludono.

Martedì scorso i ragazzi hanno pareggiato contro lo Sporting Lisbona durante la trasferta in Portogallo che valeva per la fase a gironi della Champions League. Da allenatrice, è stata una partita inguardabile, la squadra era sottotono probabilmente ancora provata dalla vittoria contro i rossoneri avvenuta solo tre giorni prima. Il clima non è migliorato nel weekend appena trascorso, dove all'Allianz si è giocata la partita contro il Benevento – ultimo in classifica e già con un piede e mezzo in Serie B. Era una partita simbolica, i ragazzi vestivano la maglia celebrativa dei 120 anni di Juventus, ma abbiamo portato a casa la vittoria con molta fatica. Un 2-1 sudato e per niente scontato ha concluso la nostra dodicesima giornata di campionato, merito delle reti di Higuain e Cuadrado.

Ieri è ricominciata un'altra settimana infernale all'università – l'ennesima – dove io, con i miei fedeli compagni di progetto, abbiamo dovuto ingegnarci per avere un'idea all'altezza del nostro lavoro. Vogliamo che il nostro progetto sia fatto bene e per avere un buon voto all'esame occorre avere idee originali e poco scontate. Lo stress è sempre di più, anche perché si avvicina la sessione invernale e, di conseguenza, il Natale. Le festività implicano la lontananza dei miei compagni dal capoluogo piemontese, dato che entrambi torneranno nelle rispettive città natali per passare le feste in famiglia. Io non so nemmeno se festeggerò con mio padre, se la situazione non cambia. Il suo capo non ha la minima intenzione di farlo tornare in Italia, dice che è l'uomo più importante del suo gruppo di ingegneri e non può permettersi di farsi scappare i clienti americani. L'unico con la giusta esperienza e capacità di convincere i clienti in questione pare essere mio padre.

Ho sempre odiato le feste, non ci ho mai trovato nulla di speciale anche perché non ho mai avuto una vera e propria famiglia unita e amorevole con cui passare il Natale. È un giorno come tutti gli altri e molto probabilmente lo passerò a lavorare con qualche bicchiere di vino.

"Non ti ha più scritto?" domanda Paulo mentre si siede al mio fianco sul divano di casa Pjanic.

"L'ultima volta sabato, dicendomi che dovevamo parlare" sbuffo, concentrata nel scegliere la formazione migliore per battere l'argentino a FIFA.

"Meno male che doveva parlarti il prima possibile. È passata più di una settimana" interviene Miralem che fa capolino dalla cucina.

"Cosa combini tu, Cenerentolo?" scoppio a ridere notando tutti i vestiti del bosniaco sporchi di farina.

"Devo preparare dei biscotti per Edin da portare domani a scuola" cerca di pulirsi le mani sui pantaloncini neri della divisa peggiorando solo la situazione.

"Chiamami prima di dare fuoco alla casa" scuoto la testa ridacchiando.

"Sei proprio una bella cameriera" l'accento sudamericano di Paulo alle mie spalle mi fa girare velocemente verso la sua direzione. Lo vedo filmare il centrocampista con il suo cellulare e sono abbastanza sicura che quel video finirà nelle sue storie di Instagram del giro di pochi secondi.

"Te la faccio vedere io la bella cameriera, scroccone di merda" replica il mio migliore amico lanciandogli uno straccio sporco di farina che imbianca sia me sia il numero dieci.

"Severo ma giusto" commento di fronte alla videocamera lasciandomi andare in una risata.

"Tu dovresti stare dalla mia parte" brontola l'argentino senza smettere di inquadrarmi.

"Stavolta hai torto, chiquito" mi alzo per riportare lo straccio in cucina e finalmente Paulo finisce di riprendere quel divertente siparietto famigliare.

"Mi ammazzerà" commenta l'attaccante bianconero alle mie spalle, mentre tagga me e Miralem nella sua storia.

"Chi? Cosa? Perché?" domando a raffica, non capendo a cosa allude.

"Federico" alza un sopracciglio, quasi divertito da quella situazione. "Hai anche detto 'chiquito' gli verrà un infarto penso" ridacchia postando la storia.

Il mio cellulare vibra mostrandomi il tag di Paulo su Instagram e dopo pochi secondi impazzisce di like e commenti in risposta al video.

"Non l'ho fatto apposta" mi giustifico, mettendo il telefono in silenzioso per non essere disturbata.

"Noi lo sappiamo, ma lui no" il bosniaco mi abbraccia da dietro e appoggia la testa sulla mia spalla, lasciandomi un bacio sulla tempia.

"Voi due mi fate seriamente paura" commento, posando le mani su quelle del mio migliore amico che si trovano attorno ai miei fianchi.

"Se non ci fossimo ci inventeresti, nena" Paulo si avvicina a noi e mi lascia una bacia sulla guancia incamminandosi poi in camera di Edin per giocare con il piccolo.

"Non potrò mai sdebitarmi per tutto quello che stai facendo per me" mi giro verso Miralem e lo guardo negli occhi.

"Gli amici servono a questo, no?" mi domanda retorico, mentre gli passo una mano tra i capelli per cercare di togliere la farina che ha tra essi.

"Non tutti gli amici avrebbero fatto quello che hai fatto tu. Questo lo fanno i fratelli" sussurro mentre lo abbraccio di slancio, sentendomi quasi felice per la prima volta in più di un mese.

"Non di sangue ma per scelta" conclude il centrocampista bianconero stringendomi a se. Sorrido nel sentire quelle semplici parole ma che dette in un momento particolare come questo mi fanno stare bene come non stavo da tempo.


Torino, 19 novembre 2017

Sono passate settimane da quel messaggio di Federico fuori da San Siro, ma il toscano non ha avuto neanche il coraggio di parlarmi dopo un allenamento, ha preferito il silenzio mentre io e Paulo portiamo avanti questa commedia soltanto quando ci troviamo nei pressi del numero trentatré. Non mi piace mentirgli, odio le bugie nonostante tutto quello che mi ha fatto, ma penso che Miralem abbia ragione, come sempre.

Accendo la tv sintonizzandomi su Sampdoria-Juventus. Ho un brutto presentimento da stamattina, da quando ho rotto la mia tazza preferita mentre mi preparavo la colazione.

Cerco di non pensarci, provando a mandare il mio supporto ai ragazzi anche se non sono con loro a Genova. La partita è complicata: la Samp non molla un pallone e demolisce i bianconeri arrivando ad un parziale di 3-0 all'ottantesimo. Mancano poco più di dieci minuti e pareggiare sembra un'impresa impossibile, ma l'arbitro fischia un calcio di rigore in nostro favore proprio al novantesimo. Gonzalo si presenta sul dischetto e non fallisce il colpo dagli undici metri. Mancano pochi secondi alla fine del tempo di recupero ma la Joya non ci sta: salta mezza Sampdoria da solo e al limite dell'area tira con il suo mancino firmando il secondo gol juventino al novantaquattresimo.

Nonostante la tenacia e la caparbietà dei ragazzi, è KO Juventus al Ferraris di Genova.

Vorrei scrivere un messaggio sul gruppo, ma il cellulare vibra prima ancora che io possa fare qualsiasi cosa.

"Ho bisogno di parlarti, stavolta per davvero. Sto venendo da te."

Fisso lo schermo del telefono per alcuni minuti, non riuscendo a comprendere pienamente le intenzioni di Federico. Il cuore batte come un pazzo nel petto e, anche se sono a casa da sola, posso giurare di essermi spaventata nel sentirlo pulsare così forte.

Olivia, calmati. Come al solito non verrà.

Cerco di essere ragionevole: è a Genova e la partita è appena finita. Anche se davvero dovesse venire qui, di sicuro non lo farà per le prossime due ore. Mi infilo la felpa della divisa di Miralem ed esco nel portico, mi accendo una sigaretta e guardo il cielo nuvoloso sopra di me. Le nuvole sembrano simboleggiare i sentimenti che provo in questo istante. Cerco di rilassarmi sul dondolo, provando a rilassarmi mentre gli Imagine Dragons risuonano nelle mie orecchie.

***

Sono quasi le 19:00 e ormai mi sono rassegnata al fatto che Federico non venga più. Sono settimane che dice che mi deve parlare eppure non fa mai un passo verso di me, perché avrebbe dovuto cambiare idea proprio ora? Non ha il minimo senso. Guardo il sole tramontare dietro le montagne – spettacolo che mi regala solo la vista da casa Pjanic – e all'improvviso sento il clacson di una macchina al cancello. Mi giro di scatto e vedo una Jeep nera pronta a entrare.

Non è possibile che sia Miralem, lui ha il telecomando. Per forza deve essere Federico.

Raccolgo il coraggio e apro il cancello, aspettando che il numero trentatré parcheggi la sua amata auto nel cortile. Scende dal mezzo e si avvicina a me con passo sostenuto, come se fossimo ancora una coppia e fosse tornato a casa dopo una trasferta.

"Dove sono gli altri?" domando al toscano, chiedendomi come mai con lui non ci siano anche Miralem e Paulo.

"Dovrai accontentarti di me" replica semplicemente sedendosi su una poltroncina sotto al portico.

"Che devi dirmi? Vai dritto al punto perché non ho voglia di parlare con te" metto subito in chiaro le cose.

"Devo parlarti di una cosa importante..." lascia cadere la frase, portandosi le mani nei capelli ultimamente troppo lunghi, perfino per i suoi standard.

"Parla e muoviti, non ho tutto il giorno. Se Mire e Paulo ti trovano qui ti mandano fuori a calci nel culo" puntualizzo, incrociando le braccia al petto mentre mi risistemo di fronte a lui sul divanetto di vimini.

"Certo, se arriva il tuo nuovo fidanzatino..." sento una punta di gelosia mista a fastidio nella sua voce e la cosa mi lascia leggermente destabilizzata.

"Se sei venuto qui a rompermi il cazzo quella è la porta" sbuffo spazientita. Prendo una sigaretta dal pacchetto e me la accendo, sbuffando in alto il fumo mentre la tengo tra l'indice e il medio della mano sinistra.

"Si tratta di Veronica" sgancia la bomba, mentre il secondo tiro della mia Camel mi va di traverso.

"Hai proprio una bella faccia da culo per venire qui a dirmi della tua fidanzata" scoppio a ridere buttando la schiena all'indietro e appoggiando i piedi sul tavolino di legno che si trova tra me e l'attaccante carrarese.

"Potresti fare la persona matura per un attimo?" inveisce sbattendo una mano sul tavolo, visibilmente sconvolto.

"Da che pulpito arriva la predica" ridacchio mentre ispiro nuovamente la mia dose di nicotina. "Illuminami, visto che ci tieni tanto" mantengo il contatto visivo perché non voglio fargli credere che lui mi crei disagio, anche se dentro di me sto morendo ma non devo darlo a vedere.

"Veronica sta male" dice con voce tremante mentre alza il viso e incontra i miei occhi. Per la prima volta da quando lo conosco lo vedo veramente triste, a pezzi, come se tutte le certezze della sua vita si fossero sgretolate tra le sue mani.

Non so cosa dire, non so come affrontare il problema e non ho la più pallida idea di come si possano confortare certi tipi di dolore. Sono combattuta: in questo momento vorrei dargli uno schiaffo così forte da fargli rimanere il segno in faccia a vita; ma al contempo vorrei abbracciarlo, stringerlo forte a me e sussurrargli piano che andrà tutto bene. Non pensavo di poter provare pena per Veronica dopo tutto quello che mi ha fatto, ma – anche se non condivido i modi con cui ha provato a riprendersi Federico – ora perlomeno la capisco.

"Fede, non so cosa dire..." opto per la sincerità, quella che mi ha sempre caratterizzata.

"Non so cosa fare" la voce del mio ex ragazzo è tremante e giuro di non aver mai visto il suo sguardo così perso nel vuoto.

Improvvisamente decido di mandare tutto all'aria. Mi alzo di scatto dal mio posto, spengo la sigaretta ormai finita nel posacenere e mi vado a sistemare nella poltroncina in fianco alla sua, per consolarlo e stargli il più vicino possibile.

"Vieni qui" dico a denti stretti, perché nonostante tutto non riesco a essere impassibile di fronte a questa scena.

"Non posso" scuote la testa lui, lasciandosi scappare una risata amara.

"Fatti abbracciare prima che cambi idea e ti cacci fuori di casa" commento seria, non lasciandogli altra scelta.

Federico incrocia i miei occhi per un secondo e vedo le lacrime solcargli il viso. Mi fa male vederlo così per due motivi: prima di tutto perché non è mai bello vedere la persona che ami soffrire per qualsiasi motivo; secondo, perché vederlo piangere e star così tanto male per Veronica mi fa rendere conto di quanto facilmente si sia dimenticato di me.

"Dovresti prendermi a schiaffi invece sei qui ad abbracciarmi" sussurra mentre lo tengo stretto a me, il suo viso contro la mia spalla.

"Pensa che testa di cazzo che sono" replico acida, mentre la mia mano va su e giù lungo il suo braccio.

Cerco di essere il più distaccata possibile dal punto di vista sentimentale perché non posso farmi ancora più male di quanto non me ne abbia già fatto lui. Ma è veramente difficile. Quasi impossibile.

"Che cos'ha?" domando a Federico chiudendo gli occhi per cercare di non scoppiare a piangere immediatamente a causa del carico eccessivo di emozioni.

"Cancro al seno" risponde tirando su col naso, infilando la testa nell'incavo del mio collo. Quel contatto mi fa rabbrividire leggermente provocandomi la pelle d'oca.

E lui se ne rende conto. Sa che certe sensazioni si provano soltanto con una persona nella vita.

E quella persona, per me, è proprio lui.

Sarà sempre e solo lui.

"Fede, forse non dovremmo..." mi azzardo a dire, rendendomi conto che la situazione sta degenerando.

"Ancora cinque minuti" mi prega con la voce, stringendosi automaticamente di più a me. "Guarda che me ne sono accorto che sei dimagrita" commenta dal nulla, facendomi aggrottare le sopracciglia.

"Non ho molto appetito ultimamente" mi giustifico alzando di poco le spalle mentre gli accarezzo i capelli. "Tu invece ti devi tagliare i capelli, sembri Tarzan" osservo mentre un piccolo sorriso increspa le mie labbra secche.

"Non cambiare discorso" puntualizza lui staccandosi da me e guardandomi negli occhi. "Sei dimagrita e hai iniziato a fumare, pensavo non facessi più i vecchi errori" mi sgrida, dal tono che usa mi accorgo che mi sta rimproverando, come se lui avesse ancora voce in capitolo sulla mia vita.

"Devo ricordartelo io che hai deciso tu di allontanarti da me o ci arrivi da solo?" gli domando retorica, stizzita da quell'osservazione.

"Non posso lasciarla da sola, lo capisci?" i suoi occhi sono lucidi e di nuovo sull'orlo delle lacrime e io mi alzo in piedi per prendere le distanze, altrimenti anch'io scoppierò in un pianto liberatorio da un momento all'altro.

"Non sono un'idiota come credi tu" rispondo a tono, facendo avanti e indietro sotto al portico, mentre la pioggia ha iniziato a scendere su tutta Torino.

"Chi l'ha mai detto che sei un'idiota, scusami?" sbuffa il numero trentatré quasi strappandosi i capelli da tanto che li sta tirando.

"Lascia perdere" alzo gli occhi al cielo ormai totalmente in crisi. "Ti presenti qui come se niente fosse, mi parli della tua nuova fidanzata, del suo tumore e io che dovrei fare? Farti l'applauso e spingerti tra le sue braccia? Federico, porca puttana, non lo capisci che mi fai male? Costantemente. Ogni volta che ti vedo è come se un coltello mi trapassasse il cuore lentamente. Vederti tutti i giorni che mi cammini vicino senza nemmeno provare a chiarire la nostra situazione mi uccide. Avrei preferito che mi dicessi subito della malattia invece di fare una scenata in spogliatoio! E poi proprio il giorno del nostro mesiversario. Ma ti rendi conto?" ormai sono un fiume in piena e le parole escono irrefrenabili dalla mia bocca, senza filtri.

"Olivia, calmati" Federico prova ad avvicinarsi a me ma lo blocco con una mano.

"Non ti azzardare a fare un altro passo. È finita e basta. Vai da lei, corri" lo istigo, cercando di bloccare il mio pianto isterico senza successo.

"Ma ora io sono qui, non sono da lei" asserisce, rendendomi più confusa di prima.

"E questo cosa stra cazzo significa? Non puoi tenere un piede in due scarpe, devi scegliere. Lei o me. Ma la scelta l'hai già fatta a Bergamo" concludo il discorso, sperando che rimanga tale, cacciandolo letteralmente di casa e, di conseguenza, dalla mia vita.

"Mi dispiace" sono le ultime parole che riesco a sentire prima che sia troppo lontano perché le mie orecchie possano captare il suono della sua voce.

Oggi ho imparato due cose fondamentali: quando ho un brutto presentimento, come la tazza rotta di questa mattina, la Juventus perde; e la storia più importante della mia vita è arrivata al capolinea senza che nemmeno io mi ricordi il nostro ultimo bacio.


Torino, 28 novembre 2017

"Solo perché abbiamo vinto due giorni fa non significa che vinceremo anche venerdì" le parole di Max risuonano nel campo di Vinovo coperto da uno strato di brina mattutina.

Le temperature a Torino - come in tutto il nord Italia - sono calate drasticamente e non è più così piacevole venire a fare allenamento con la squadra, specialmente quello del mattino al freddo e sotto la pioggia.

I ragazzi vengono da un pareggio in Champions League contro il Barcellona e da una buona prestazione in campionato vinta 3-0 contro il Crotone.

Ma nonostante l'ultima vittoria in Serie A, la squadra non può permettersi neanche un giorno di riposo perché deve prepararsi al primo scontro diretto della stagione.

"Venerdì sarà tosta a casa loro, non molleranno un pallone. Avranno il sangue agli occhi più del solito perché giocheranno contro di noi e daranno l'anima. Noi non dobbiamo abbassare la guardia neanche per un momento o ci faranno del male. Sentite tutta la pressione che avete addosso e trasformatela in adrenalina, non abbiate paura. E adesso forza, tutti in sala pesi!"

Le ultime parole di mister Allegri risuonano ancora nel campo di allenamento mentre raccolgo i miei appunti per il big match di venerdì sera, quando una mano mi tocca la spalla e per poco non mi viene un infarto.

"Ehi, non volevo spaventarti" Monica mi fa un sorriso e anch'io distendo la mia espressione nel vedere una faccia amica.

"No, scusami tu, ultimamente sono distratta e non ti ho sentita arrivare" la tranquillizzo intanto che finisco di riporre tutti i fogli e il mio computer nel mio zaino.

"Devo correre in ufficio tra poco, ma volevo dirti una cosa" la mia amica mi affianca mentre rientriamo nel tunnel completamente congelate.

"Cos'è successo?" domando curiosa mentre cammino a passo sostenuto insieme alla mora.

"Ho visto Veronica ieri sera" dice semplicemente e per poco non rompo il computer dato che lo zaino mi è scivolato dalle mani.

"Cosa? Dove? Con chi?" la mia curiosità non ha freni quando si parla di quella donna, soprattutto adesso che so della sua malattia.

"Sono uscita a fare un giro con Mario e l'ho vista fuori da un bar in centro" spiega, mentre la accompagno al terzo piano nel suo ufficio.

"In un bar?" ripeto aggrottando le sopracciglia.

Cosa diamine ci fa una ragazza malata di cancro in un bar il lunedì sera?

"L'ho vista fuori dal locale che stava fumando una sigaretta con un tizio. Non volevo fermarmi a guardare ma Mario ha insistito perché quel ragazzo aveva un'aria familiare" continua Monica ma il mio cervello ha smesso di funzionare nello stesso momento in cui la mia amica ha pronunciato la frase 'stava fumando una sigaretta'.

Certo, tutti i malati di cancro fumano allegramente.

Svegliati, Olivia.

Nella mia testa si fa largo un presentimento: e se Veronica avesse inventato di essere malata per riprendersi Federico?

Non può essere. Per quanto lei sia una persona subdola e manipolatrice, non arriverebbe mai a questo.

Ne sei così sicura?

La mia vocina interiore non la smette di confondermi le idee e Monica si accorge della mia distrazione.

"Terra chiama Olivia" la mia amica sventola una mano davanti alla mia faccia per farmi tornare alla realtà.

"Scusami, stavo pensando..." lascio cadere la frase perché non voglio trarre conclusioni affrettate senza nemmeno uno straccio di prova. "Ora devo andare, mi stanno aspettando in palestra" mi scuso con Monica che mi saluta e si chiude in ufficio, sommersa da documenti e fatture.

Cammino senza una meta perché non ho la forza di andare subito dai ragazzi.

Devo fare ordine nel cervello e cercare di capire chi è il cattivo in questa storia. È Veronica? Che ha finto di avere una malattia per riottenere ciò che non gli apparteneva più ormai da tempo? Oppure sono io? Che penso che una persona, per quanto sia antipatica e irritante, possa inventare una cosa sulla quale non si deve scherzare? Federico è una vittima esattamente come me in tutta questa situazione? Sicuramente lui si fida di lei, d'altronde chiunque lo farebbe davanti a una cosa così brutta. Forse lo sta ricattando. Forse Miralem ha sempre avuto ragione, fin dall'inizio.

Il freddo mi penetra nelle ossa ma è come se non sentissi nulla, sono troppo persa nei miei pensieri. Sono vestita troppo leggera per il clima di oggi ma non mi accorgo nemmeno di avere le pelle d'oca su tutto il corpo.

Mentre l'ennesima sigaretta finisce tra le mie dita, sento un giubbotto pesante sulle spalle. Mi giro di scatto e vedo Miralem al mio fianco che mi ripara dal freddo.

"Sei impazzita?" mi domanda preoccupato il bosniaco mentre sfrega la mano su e giù lungo il mio braccio per tentare di scaldarmi.

"Cosa?" gli domando non capendo a cosa si riferisce, mentre sono ancora scossa da ciò che mi ha appena detto Monica.

"Copriti, ti verrà un accidente" mi riprende con fare protettivo. Mi ricorda tanto mio padre quando si preoccupa per me.

"Veronica ha un tumore al seno" confesso di botto al mio migliore amico, lasciandomi andare ad un lungo sospiro, come se avessi tenuto il respiro fino a questo momento.

"Dimmi che non è uno scherzo" si incupisce immediatamente perché per quanto anche lui la possa odiare per ciò che mi ha fatto passare, su queste cose è molto sensibile.

"Non lo so, così mi ha detto Fede. Ma Monica mi ha appena detto che ieri l'ha vista con Mario in centro che fumava con un tizio fuori da un bar" continuo, sentendomi finalmente libera di aver detto a qualcuno tutto ciò che so.

"Dici che sta mentendo?" mi chiede il centrocampista mentre ci ripariamo sotto alla tettoia dell'edificio, dato che la pioggia inizia a scendere sulla città.

"Sono una persona orribile se lo penso, vero?" mi giro verso di lui con gli occhi lucidi, lo sguardo perso nel vuoto per non crollare nuovamente tra le braccia del numero cinque.

"Allora siamo due persone orribili" sentenzia Miralem mentre mi stringe forte a se accarezzandomi i capelli dolcemente.

"Devo dirlo a Fede o no? Non so cosa fare, ti prego aiutami Mire" quasi lo imploro mentre una lacrima solca il mio viso e si posa infine sul giubbotto del regista bianconero.

"Glielo dobbiamo dire, Monica sa quello che ha visto e non racconta cazzate. Lo invitiamo a casa stasera" mi stacco improvvisamente dal bosniaco scuotendo vigorosamente la testa. "Non voglio sentire storie" aggiunge e insiste, notando la mia reazione istintiva.

"Okay, ma dobbiamo avere delle prove concrete. Lo sai che a me non crederà mai" sbuffo incrociando le braccia al petto mentre alzo gli occhi per non permettere alle lacrime di scendere sulle mie guance.

"Appena finisce la seduta di pesi parlo con Paulo. Lui è il più social tra di noi e questa cosa ci sarà d'aiuto" il numero cinque si porta una mano sul mento, come se quel gesto lo aiutasse automaticamente a pensare meglio.

"Cosa c'entra essere social? Non ti seguo" confesso mentre mi passo nervosamente le mani tra i capelli umidi a causa della pioggia.

"Ti fidi di me?" mi domanda mettendo le mani sulle mie spalle.

"Certo che mi fido di te" annuisco posando le mie mani sulle sue stringendogliele.

"Lascia fare a me, stasera risolveremo questa cosa una volta per tutte" mi da un bacio sulla guancia e poi sparisce dentro al centro degli allenamenti juventino, mentre io mi prendo ancora un attimo da sola per riflettere, rilassandomi nel sentire il ticchettio della pioggia sull'asfalto.

***

Sono ore che fisso lo schermo del computer senza scrivere nemmeno una parola del saggio che deve spiegare per filo e per segno tutto ciò che io, Edoardo e Ludovica andremo a sviluppare nel progetto di economia e management. Mi sono offerta volontaria per scriverlo perché sono l'unica dei tre che si distingue nella scrittura, i miei compagni sono più abili con numeri e statistiche. Ma oggi non riesco a fare niente, sono nervosa per stasera. Alla fine Miralem ha invitato Federico a casa per poter parlare della sua fidanzata e del suo presunto tumore.

Odio pensare male delle persone perché è una qualità che non mi appartiene, ma da quando Monica mi ha messo la pulce nell'orecchio non posso fare a meno di pensare che Veronica sia soltanto una bugiarda.

"Ehi, ti disturbo?" Paulo fa irruzione nella mia stanza, gli faccio spazio sul letto e si siede in fianco a me.

"No, vieni pure chiqui" gli sorrido sistemando il computer sulle mie ginocchia, anche se non mi serve a molto.

"Sei nervosa per stasera, nena?" mi domanda, come se non conoscesse la risposta.

"Non si vede?" chiedo retorica, chiudendo il portatile e mettendolo sulla scrivania che si trova in fianco al letto.

"Rilassati, ci siamo io e Mire con te, non sei da sola" l'argentino mi rivolge uno dei suoi dolcissimi sorrisi e a quella vista mi sembra di essermi già calmata.

"Non so che cosa avrei fatto senza di voi in quest'ultimo mese, giuro" dico sinceramente mentre appoggio la testa sulle gambe del numero dieci che mi accarezza i capelli come se fossi un gatto.

"Te queremos muchísimo nena, nunca te dejaremos solo." (Ti vogliamo un mondo di bene piccola, non ti lasceremo mai da sola). Paulo si esprime nella sua lingua madre e sorrido chiudendo gli occhi nel sentire quelle parole dolci. "Hai intenzione di dirgli anche della nostra commedia?" continua l'attaccante bianconero.

"Glielo dovrò dire prima o poi" sospiro leggermente e mi rimetto seduta con la schiena contro il muro e le gambe distese sul letto in fianco alla Joya.

"Non lasciatemi da solo nella stessa stanza con lui altrimenti divento un sottobicchiere" scherza il ragazzo per poi alzarsi e scomparire in bagno a sistemarsi i capelli per la serata, anche se non dobbiamo andare da nessuna parte.

***

È ora di cena. È arrivato il momento della verità. Tra pochi minuti Federico varcherà la soglia di casa Pjanic e finalmente potremo scrivere la parola 'fine' su questa brutta situazione.

Gli agganci di Miralem e l'attività social di Paulo sono state armi più che determinanti per trovare le prove di cui avevamo bisogno per far ragionare il toscano.

Siamo tutti e quattro a tavola come se fossimo grandi amici durante una rimpatriata ma non vola una mosca. Il silenzio è quasi assordante e la tensione si può tagliare con un coltello. Fortunatamente Josepha è stata disponibile a tenere Edin per questa sera, dato che non volevamo coinvolgere un bambino innocente nel litigio imminente.

"Adesso basta, arriviamo al punto. Questo silenzio mi fa venire l'ansia" rompo il ghiaccio, prendendo posizione mentre mi alzo dalla sedia per andare a recuperare una cartella contenente alcune foto recuperate dall'amico giornalista di Miralem. "C'è qualcosa che dovresti vedere" porgo il materiale a Federico che, incredulo, alza gli occhi verso di me.

"Cos'è sta roba?" chiede diffidente, prendendo quella busta che sembra bruciare da tanto che è importante.

"Dov'eri ieri sera?" domanda il bosniaco smettendo di cenare improvvisamente.

"Sono in tribunale per caso?" domanda stizzito Federico, sbuffando e girandosi la cartella tra le mani, come se non sapesse nemmeno cosa farci.

"Rispondi e basta" taglia corto Paulo, seduto di fronte a lui.

"Tu devi stare molto calmo o fai una brutta fine" la voce del numero trentatré è un sussurro tra i denti, in questo momento potrebbe uccidere l'argentino solo con uno sguardo glaciale.

"Rispondi alla domanda e basta" intervengo, cercando di tenere a bada il testosterone che sembra abbondare in questa stanza.

"Che carini, dite anche le stesse cose" il tono di voce del carrarese esprime tutto il suo risentimento nei confronti miei e del numero dieci. "Ero a casa comunque, da solo" si rivolge esclusivamente a me, anche se non ne capisco il motivo.

"Dov'era Veronica?" Miralem riprende parola, cercando di ristabilire l'ordine.

"Non lo so, è uscita con le amiche" alza le spalle mettendosi una mano tra i capelli biondi.

"Non è andata con le amiche" risponde pacato il numero cinque invitandolo ad aprire la cartella contenente le foto che incriminano la ragazza.

Il numero trentatré apre la busta e spalanca gli occhi alla vista di quelle foto che ritraggono la sua fidanzata avvinghiata ad un ragazzo in atteggiamenti intimi fuori da un locale mentre ha un boccale di birra in una mano e la sigaretta nell'altra.

Rimane per alcuni minuti impietrito non sapendo nemmeno cosa dire di fronte a tutto ciò, sembra che non trovi le parole per commentare quello a cui sta assistendo.

Guardo Federico non sapendo cosa fare, vorrei avvicinarmi e abbracciarlo, stringerlo a me e dirgli che andrà tutto bene, anche se non so se ci sarà un lieto fine in questa storia.

"Ditemi che non è vero" sussurra ad un tono di voce talmente basso che facciamo tutti e tre fatica a sentirlo.

"È la verità purtroppo, hermano" lo rincuora Paulo che si alza per andare a posargli una mano sulla spalla.

"Non mi toccare" risponde gelido il trentatré fulminandolo con lo sguardo, anche se gli occhi sono addolciti dalle lacrime che minacciano di scendergli dalle guance da un momento all'altro.

"Devo andare" si alza di scatto prendendo la cartellina con se, prende la sua giacca e si dirige con passo sostenuto verso la sua Jeep nera.

Guardo la sua sagoma sparire nel buio della sera dalla finestra di casa Pjanic, tra i miei due amici che mi abbracciano dolcemente.

Per la prima volta da quel maledetto primo ottobre sento di essermi tolta un peso, come se fossi ritornata a galla dopo quasi due mesi di apnea sott'acqua.

Per la prima volta dopo tanto tempo ritorno a riposare di notte e non a piangere o a rimuginare sul passato.

Ritorno a respirare, sapendo di aver fatto la cosa giusta e – chi lo sa – magari un passo per tornare ad avere un rapporto civile con Federico.


Napoli, 1 dicembre 2017

Questa è la prima vera e propria trasferta a cui partecipo sulla panchina juventina. Sono già stata a Bergamo e a Milano, ma a Napoli è tutta un'altra storia. Questa non è una partita come le altre, chi vince non si porta a casa solamente i tre punti validi per il primato in classifica: questa è una guerra. È una resa dei conti che negli ultimi anni ha incollato alla televisione tutta l'Italia. Napoli-Juventus è la rappresentazione della rivalità italiana: juventini contro napoletani, nord contro sud, tifosi bianconeri contro il resto delle tifoserie italiane.

Sì, perché l'Italia si divide in due categorie: juventini e anti-juventini. Sono poche le persone che tifano per la propria squadra e gioiscono delle proprie vittorie; la maggior parte prima di tifare una squadra gode nel vedere la Juventus perdere.

Ovviamente non tutti sono così. Mi è capitato di incontrare tanta gente nella mia vita che non tifava Juventus ma con la quale si poteva parlare civilmente di calcio, indipendentemente dalla fede calcistica. Voglio credere che al mondo ne esistano tante di persone così, ma quando la Juventus scende a Napoli per il big match al San Paolo, allo stadio e la città intera è un'immensa orda di fischi e insulti per i ragazzi.

Non so come riescano a reggere tale pressione: io crollerei al secondo coro, ma loro sono professionisti e, in quanto tali, devono saper gestire la rabbia, i fischi e le tensioni da stadio.

Sono talmente tanto preoccupata che lo stomaco si contorce dall'ansia: chi uscirà vincitore da questa partita si porta a casa la gloria di essere uscito trionfante dallo scontro diretto.

Il clima non è dei migliori: non appena i bianconeri scendono sul campo partono i fischi che sembrano non cessare mai. La maggior parte – se non tutti – sono rivolti ad un solo giocatore: Gonzalo Higuain.

Il Pipita da quando ha lasciato la terra partenopea per venire a giocare del club rivale del Napoli non gode di molta stima da parte dei tifosi azzurri. Non posso biasimarli perché io stessa ho reagito molto male alla notizia di Bonucci in rossonero, quindi capisco perfettamente il risentimento nei suoi confronti.

Il numero nove è stato operato a una mano da pochi giorni e fino a qualche ore fa era in dubbio per la gara di stasera, ma ha insistito così tanto con mister Allegri che alla fine lo ha dovuto schierare, preso dallo sfinimento.

"Vedrai che segna proprio lui" mi sussurra all'orecchio Andrea Barzagli, mio fedele vicino di panca dalla prima giornata di campionato.

Il Napoli impone il suo bellissimo gioco: Maurizio Sarri è un grande allenatore che continua ogni giorno a stupire i suoi tifosi con quello che in gergo si definisce 'calcio champagne'. I calciatori napoletani fanno girare la palla tra di loro, giocano quasi a memoria da tanto che si conoscono e sanno gli schemi talmente bene da non sbagliarne mai uno.

È una partita ostica per noi, lo sapevamo ancora prima di cominciare. Non è mai una battaglia semplice quella contro i partenopei perché hanno giocatori esperti e sono dotati di un'ottima tecnica.

Tutto ad un tratto, dal nulla, senza neanche darci il tempo di accorgercene, parte il contropiede della Juventus dal limite dell'area. Doulgas Costa recupera il pallone dagli avversari e, grazie alla corsa di Paulo Dybala, i bianconeri avanzano fino al limite dell'area azzurra. Gonzalo chiama a gran voce la palla: sa di essere l'uomo decisivo in questa partita e vuole fare il cento per cento per dimostrarlo. Il numero dieci passa splendidamente il pallone al Pipita che, entrato in area di rigore, calcia con forza un potente destro che gonfia la rete del San Paolo. Finisce a terra insieme al portiere Pepe Reina e a Kalidou Koulibaly. Si alza in piedi, lasciando i suoi ex compagni sul prato verde, ed esulta come non si era mai permesso di fare nei confronti della sua vecchia squadra. Ma stavolta è tutto diverso: il San Paolo è ammutolito, non riesce a credere ai suoi occhi. Gonzalo Higuain, proprio l'ex della partita, ha portato in vantaggio la Juventus – acerrima nemica del Napoli – con un gol strepitoso.

Il numero nove bianconero si lascia andare festeggiando con tutti i suoi compagni in un lungo abbraccio liberatorio, come se servisse a scaricare l'altissima dose di adrenalina accumulata fino a quel momento.

Sento il cuore esplodere di gioia quando vedo la rete muoversi per merito dell'attaccante argentino e, d'istinto, scoppio a piangere. Ma questa volta non sono lacrime di tristezza o di dolore, sono lacrime di pura felicità.

La panchina è in delirio così come la curva riservata ai tifosi juventini. Tutti esultano dopo quel gol davanti a sciarpe e bandiere azzurre che sventolano sempre con orgoglio, ma dal dodicesimo minuto, con una notevole aggiunta di fastidio in più.

La Juventus sbanca il San Paolo con la rete del Pipita Higuain – l'uomo più atteso – e mezza Italia va a dormire festeggiando quell'importante vittoria.

***

Sono nella camera d'albergo che mi è stata affidata per questa notte, dato che non torneremo a casa prima di domani pomeriggio. È stata una giornata lunga, intensa ed importante. Sono stanca fisicamente ma non riesco a far passare l'euforia di aver vissuto in prima fila una partita così sentita.

Sto per mettermi il pigiama quando sento bussare con forza alla porta della mia stanza. Sussulto leggermente dato che sono quasi le due di notte e non stavo aspettando nessuno.

Ero convinta che fossi l'unica ancora sveglia, ma a quanto pare no.

Corro ad aprire la porta senza nemmeno accertarmi dell'identità della persona che si trova fuori, troppo concentrata sull'essere il più silenziosa possibile.

"Mire, se hai dimenticato il pigiama ti arran..." le parole mi rimangono in gola quando – invece del bosniaco – una massa di capelli biondi ancora bagnati dalla doccia si palesa davanti ai miei occhi.

Federico è a torso nudo, i tatuaggi sembrano quasi luccicare sulla sua pelle liscia e scolpita dai muscoli; dai suoi capelli ricadono gocce d'acqua sul collo che scendono lentamente fino agli addominali; ha il fiatone, come se avesse corso fino a qui, e nei suoi occhi noto una sfumatura più scura.

"Che ci fai qui?" domando sorpresa, cercando di mantenere lo sguardo su qualsiasi cosa, ma non sui suoi addominali.

Potrà essere successo di tutto, ma sono pur sempre una ragazza e non rimango impassibile davanti a un fisico così perfetto.

Federico non mi risponde ma, al contrario, si intrufola nella mia stanza senza il mio permesso.

"No ma entra tranquillo, fai come se fossi a casa tua" commento sarcastica chiudendo la porta alle mie spalle, cercando di fare meno rumore possibile.

"Dimmi che non è vero" dice con tono apatico.

Corrugo la fronte non avendo la minima idea di ciò di cui sta parlando, lui allunga il braccio e mi mostra tutte le foto che mi ha mandato Veronica in questi mesi.

"Cosa vuoi sentirti dire?" alzo le spalle sedendomi ai piedi del letto, esausta e mentalmente stanca di litigare.

"Te le ha mandate lei? Rispondi" mi incita facendomi sventolare per l'ennesima volta il cellulare davanti agli occhi.

"Sì" rispondo abbassando lo sguardo, giocherellando con le dita.

"Perché non me l'hai detto?" mi chiede bloccando lo schermo del telefono e lanciandolo con noncuranza sul letto alle mie spalle.

"Cosa dovevo dirti? 'Ciao Fede, tutto bene oggi? Ah, lo sai che la tua ex mi perseguita e mi manda foto su Whatsapp minacciandomi?' Era questo che volevi sentire?" sbuffo incrociando le braccia al petto mentre mi alzo e inizio a fare su e giù per la camera, non riuscendo a calmarmi.

"Smettila di muoverti, mi fai venire il mal di mare" mi blocca per le spalle posando le sue mani su di esse. "Da quanto va avanti?" mi domanda mentre i nostri occhi si incontrano veramente per la prima volta dopo due mesi.

"Da quando sei partito per l'America" confesso chiudendo gli occhi, quasi per paura della sua reazione.

"Perché non me l'hai detto... Voglio la motivazione vera stavolta" precisa spostando lentamente le mani dalle spalle fino ad arrivare alle mie guance che in questo momento stanno prendendo fuoco.

"Perché non volevo farti preoccupare. Perché quando ami una persona la vuoi proteggere" dico in un sussurro abbassando gli occhi sul pavimento. Sarebbe troppo per me guardarlo in quegli splendidi occhi che mi sono mancati come l'aria. "Alla fine hai visto che sei tornato da lei? Come avevo sognato quella notte..." la voce mi si strozza in gola e le lacrime sono sul punto di scendere senza freni sul mio viso.

"Stai zitta" posa un dito sulle mie labbra e solo a quel contatto sento tutto il mio corpo fremere. "Avevi ragione tu, l'ho seguita" appoggia la fronte contro la mia e si morde il labbro inferiore. "Mi ha preso per il culo" riapre gli occhi che aveva tenuto chiusi durante questo momento di intimità che non avevamo da mesi e li posa dritti nei miei, rendendomi impossibile distogliere lo sguardo.

"Mi dispiace" è la prima cosa che mi viene in mente.

"Dispiace a me. Perché non ti meriti tutto questo" scuote la testa, rimproverandosi. Dentro di me faccio i salti di gioia perché ha finalmente capito quanto si è comportato male ultimamente nei miei confronti.

"Non importa. Che intendi fare ora?" gli domando sinceramente curiosa su ciò che ci aspetta.

"Mandarla in galera e fargliela pagare per tutto. Ma ho bisogno del tuo aiuto" arrossisce in viso come se si vergognasse della situazione creatasi tra di noi.

"Hai una bella faccia tosta a venire a chiedermi aiuto" gli faccio notare sorridendo ironica.

"Lo so, non mi merito niente. Picchiami, dammi uno schiaffo, prendimi a pugni, fai quello che vuoi. Ma poi ti prego aiutami, non voglio più stare così" si lascia andare mentre le lacrime gli solcano quel viso perfetto che si ritrova.

"Non hai idea di quanto tu mi abbia fatto male in questi due mesi e di quanto me ne stia ancora facendo. Sei da prendere a sberle per tutto il giorno e ancora non basterebbe a renderti tutto il dolore che ho provato a causa tua" batto i pugni contro il suo petto nudo e, istintivamente, le mie mani si aprono sui suoi pettorali. La forza dell'abitudine muove le mie dita sul suo corpo e il mio cuore si ferma per un attimo. Oppure prima era fermo e ora ha ripreso a battere. "Cosa pensi? Ora la lasci e poi torni da me? Non funziona così. Lo sai, vero?" sputo domande a raffica, senza avere nemmeno io il controllo su ciò che sto dicendo.

"Calmati" mi sussurra rivolgendomi uno di quei sorrisi che scioglierebbe persino l'iceberg che ha affondato il Titanic.

"Non guardarmi così, non attacca" mento spudoratamente per cercare di uscire da quella stanza dove l'aria sembra diventata improvvisamente pesante.

Respiro affannosamente, sono di nuovo una preda tra le sue braccia e non riesco a ribellarmi, per quanto dovrei. La sua presa è forte su di me ma non sta esercitando pressione. Osservo meglio: non mi sta toccando, sta mantenendo le distanze come gli ho implicitamente chiesto. Allora perché non riesco a fuggire? Perché ho il viso rigato dalle lacrime? Perché odiarlo sembra impossibile?

"Fanculo" sbotto, mandando al diavolo tutte le promesse che mi ero fatta in questi ultimi due mesi.

Faccio un piccolo passo e mi avvicino a lui di scatto, poso le mani sulle sue guance e lo attiro a me, alzandomi in punta di piedi per arrivare alla sua bocca. Le mie labbra trovano subito le sue, come se sapessero esattamente cosa fare per andare in paradiso anche senza il mio controllo. Lui risponde al bacio dolcemente – non come l'ultima volta – e mi mette una mano aperta sulla parte bassa della schiena per stringermi di più a se. È un bacio lento e desiderato.

Ci siamo baciati tante volte ma non ci siamo mai voluti più di adesso.

"Buon mesiversario, stronzo" ansimo, come se avessi corso la maratona di New York. Le mie labbra sono contro le sue: entrambe sono rosse e gonfie, dimostrazione del fatto che tutti e due avevamo bisogno di questo contatto per tornare a respirare.

Ci vorrà del tempo per perdonarlo, ma l'adrenalina della partita che mi scorre nelle vene e la mancanza del suo corpo contro il mio hanno creato questo momento magico tra noi, che mette da parte per qualche ora i nostri problemi. Stiamo mettendo in pausa le nostre vite per goderci il nostro angolo segreto di paradiso.

"Buon mesiversario, bimba" risponde Federico mentre mi guarda con la solita luce che gli vedevo quotidianamente mentre stavamo insieme.

Negli ultimi mesi quello scintillio era sparito, i suoi occhi non brillavano più.
Mentre ora, riflessi nei miei, emanano luce propria.


Eccomi qui, cari lettori, con un nuovissimo capitolo! 🍀

Fatemi sapere che ne pensate con stelline e commenti come al solito che mi rendono felice!

Spero che il capitolo vi piaccia perché è una settimana che ci sto dietro. Ci terrei tanto che leggeste questo angolo autrice perché vorrei ribadire una cosa per l'ultima volta. Io non programmo gli aggiornamenti perché ho l'università e ho tanti impegni extra che mi portano via tempo. La scrittura è un hobby e scrivo quanto più possibile nel minor tempo possibile, ma capite anche voi che scrivere una capitolo di questa lunghezza (sono più di settemila parole) richiede tanto tempo e concentrazione, due cose che non sempre si hanno. Io cerco di fare del mio meglio per aggiornare il prima possibile ma ho una vita anch'io. 
Non vuole essere una polemica, ma in questo modo rispondo a tutti quelli che mi scrivono per chiedermi del prossimo aggiornamento. 

Detto questo, non avete idea di quanto mi faccia piacere ricevere i vostri commenti positivi sulla mia storia! Vi voglio bene, grazie a tutti. 🖤

PACE AMORE E FINO ALLA FINE FORZA JUVENTUS ⚪⚫

A presto,
C.

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