Chains

By Claire_Dee_

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~ 1 ~ π‹π¨π§πžπ₯𝐒𝐧𝐞𝐬𝐬 𝐬𝐞𝐫𝐒𝐞𝐬 Blaire Carter torna a Aroundsville per affrontare l'ultimo anno di li... More

Cast + trope
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33

Capitolo 11

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By Claire_Dee_

Dopo i primi tre bicchieri di alcool, che ancora non avevo del tutto identificato, iniziai a sentirmi più leggera e spensierata e con la sicurezza di Ryan al mio fianco mi sembrò davvero di poter fare di tutto. Aveva riacquistato un po' di punti dopo avermi difesa davanti a quelle cornacchie.

«Ti piace la festa?» mi chiese Ryan all'orecchio per sovrastare la musica ad alto volume.

Appena sentii la sua voce lontana anni luce sobbalzai.

«La domanda giusta non è questa, devi chiedermi se c'è qualcos'altro da fare per poterla migliorare». Gli feci l'occhiolino e presi a ballare insieme ad altri ragazzi che si scatenavano nel soggiorno ormai reso un disastro.

«Allora credo che dovrò andare a prendere altro da bere». Ridacchiò e finalmente tolse la mano dal mio fianco.

«Boom, baby! Ci hai preso!»

Ma come diavolo parlavo? Forse dovevo smetterla di bere...

Almeno le "figuracce" erano limitate a quel tipo e non coinvolgevano un numero di persone al di fuori della norma.

Rossa in viso mi sedetti sul bracciolo del divano, ma scelsi quello pieno di coppiette che per quanto fossero avvinghiate mancava poco scopassero lì, davanti a tutti.

«Prendetevi una camera», dissi a bassa voce, dandogli le spalle.

Mi ritrovai davanti Crystal e le sue amiche che mi guardavano davvero come avvoltoi, ne mancava uno per formare il quartetto della Disney nel film de "Il libro della giungla", ma erano davvero tonte come loro.

«Perché non vieni con noi per il gioco della bottiglia?»

A quel punto nella mia mente suonarono campanelli d'allarme, luci rosse a led e sirene con tanto di macchina della polizia. Non dovevo andarci, assolutamente no, era una fottuta trappola.

«Sto aspettando una persona», mi imposi di far uscire quelle parole dalla mia bocca senza compromettermi in altro modo.

«Chi, Ryan?»

«Credo che sia impegnato».

«Lo stesso che sta pomiciando con Lory Steward?» Parlarono tutte e tre all'unisono, come fossero un cazzo di marziano a tre teste con il rossetto sulle labbra.

Mio Dio, solo tre drink e già stavo uscendo pazza?

Mi confusero, ma un dito mi indicò la cucina che si riusciva a intravedere anche dal divano ed effettivamente c'era Ryan e una tizia con i capelli rossi che ci davano dentro a forza di toccate e quant'altro.

«Gli uomini sono tutti uguali». Kylie mi prese sotto braccio ed io la guardai con una faccia schifata e allo stresso tempo sbigottita da quel contatto. Lei mi lasciò subito, rendendosi conto di quello che stesse facendo, ma non si scollò dal mio fianco, incitandomi a seguire le altre due. «Dai, andiamo, ti divertirai!»

Sapevo di non dover andare con loro, eppure perché i miei piedi iniziarono a muoversi uno dopo l'altro? Fermatevi!

Mi ritrovai un bicchiere in mano e ci guardai dentro, avvicinandomi talmente tanto da toccare il liquido scuro con il naso e facendo ridere un tizio al mio fianco per lo starnuto successivo che feci.

Come c'ero arrivata sul divano talmente rosso da provocare fastidio agli occhi? E perché un ragazzo con il berretto cercava di avvicinarsi talmente tanto a me?

«Che per caso vuoi entrare dentro il mio corpo? Tipo attraversarlo, ma io non lo so!» sparai a un tratto, dopo l'ennesimo suo spostamento di bacino verso il mio lato.

Mi dava tremendamente fastidio il contatto di altre persone alle quali non lo avevo permesso, come qualcosa che non potessi controllare, e il nervosismo era alle stelle.

«Sì, tesoro, entrarci mi farebbe molto piacere». E a quel punto provò a baciarmi, mettendo una mano sudata dietro il mio collo altrettanto caldo e spingendomi verso di lui con forza.

«Ma levati dalle palle!» esclamai con un tono stranamente calmo e controllato, piazzandogli una mano sul viso e spingendolo con furia dall'altro lato.

Mi alzai e andai a sedermi per terra con le altre persone sistemate a cerchio e al centro una bottiglia.

Alzai lo sguardo e con quella poca lucidità che mi era rimasta riconobbi Seth seduto sull'altro divano e con entrambe le braccia sulle spalle di due ragazze più nude che vestite.

Ma che ci facevo lì?

«Okay, Blaire, tocca a te», decretò Crystal che era inginocchiata per terra.

«Ma se non hai neanche...» Si intromise un ragazzo, ma non sentii il continuo e capii solo che lei gli aveva fatto segno di tacere.

«Non credo di voler giocare più». Provai ad alzarmi, però una mano mi spinse giù a mantenere il contatto con il pavimento.

«Ormai ci sei dentro, bellezza». Alzai la testa e guardai sopra di me, osservando per qualche frazione di secondo il viso al contrario di un ragazzo moro che mi sorrideva, mentre la sua collana d'oro mi penzolava tra gli occhi.

Sbuffai.

«Che devo fare?» Mi rivolsi verso Crystal, che trovai estremamente cambiata dopo tutti quegli anni. La ragazza che avevo conosciuto io non era così, non indossava un body trasparente e una gonna di pelle talmente corta da lasciar quasi intravedere la biancheria.

«Il gioco consiste nel fare ciò che ti dico, dato che sono uscita io per prima. Ora ti darò quattro shottini e tu dovrai berli fino all'ultimo senza fermarti. Poi qualcuno dovrà proporsi per baciarti, ma dubito che si faranno avanti, insomma sei solo tu, ma qui sta il bello». Mi fece l'occhiolino, ovviamente per prendermi ancora più in giro davanti a tutti quanti.

Mi misero quattro bicchierini davanti, riempiti tutti fino all'orlo. Feci un respiro profondo e ne buttai giù uno dopo l'altro in fretta, cercando di non sentirne il sapore schifoso. L'alcool scendeva una meraviglia, bruciando tutta la mia gola e percorrendo l'esofago finché non lo sentii più, anche se il sapore rimase ancora nella mia bocca per un tempo interminabile. Mi veniva da vomitare, ma cercai di non darlo a vedere e controllare al meglio i miei muscoli facciali.

Sfidai Crystal, portandomi i capelli dietro la spalla e togliendo una piccola goccia che scendeva lenta dall'anglo delle mie labbra, per poi aprirle in uno di quei sorrisetti che vedevo spesso rivolti a me. Ma solo quando più di un ragazzo si propose per baciarmi mi sentii davvero bene.

Alla faccia tua!

«Non credo che bacerò qualcuno».

«Non puoi ritirarti così, o hai paura di rovinare il tuo primo bacio con uno sconosciuto?» Tutta la sua sicurezza sembrò essersi ristabilita dopo un attimo di tentennamento, ristabilendo la situazione nel suo pugno. «Ah no, c'era stato un tipo un po' di anni fa. Come si chiamava? Jason? Jack?»

Mi tesi come una corda di violino sul punto di essere spezzata da una lama affilata, vibrante e tenuta unita da qualche piccolo filamento, aspettando solo il momento di essere recisa definitivamente.

Lei era cattiva, lo era diventata e in quel momento sapeva di avere il coltello dalla parte del manico. Sapeva perfettamente di chi stava parlando, facendo la finta tonta e mancandogli di rispetto dopo tutto quel tempo. Mi accigliai e drizzai la schiena.

«Jake. Sai benissimo il suo nome, stronza del cazzo!» Mi protesi verso di lei, pronta a fare di tutto pur di farla smettere di parlare. Mi aveva stufato e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Ma prima che i miei artigli potessero arrivare alla sua faccia da schiaffi qualcuno mi prese per la vita e mi tirò via, mentre io continuavo a dimenarmi.

Non capii più niente e mi girò la testa, sembrò che il mio obiettivo di vendetta fosse stato momentaneamente sospeso per il dolore allo stomaco. Poi vomitai sul tappeto, o almeno così mi parse. Tutto era come una trottola messa in movimento da un cretino dal cattivo gusto in fatto di scherzi.

Sentii intanto delle risate e alcuni urli indignati da qualcosa e infine aria pulita, che entrò nei miei polmoni come desiderosa di ripulirli dall'aria viziata di quella maledetta casa. Volevo ritornare nella mia.

«Ora mi tocca fare da babysitter anche a una ragazzina», sentii dire da qualcuno, probabilmente era il ragazzo che mi teneva per un fianco, sembrava alto e muscoloso con una voce tremendamente familiare.

La mia vista era appannata e non capii subito chi fosse, ma mi sistemò in macchina, dopo aver imprecato varie volte contro di me, la situazione e poi di nuovo contro di me. Successivamente lo sconosciuto salvatore mise in moto la macchina e sperai solamente che mi stesse portando a casa mia.

«Ti rendi conto che ho dovuto lasciare una fottuta festa per te?» continuò lui. «Ero riuscito a trovarmene due in un colpo solo e ci stavano, cazzo. Sono molto tentato di lasciarti sul ciglio della strada e ritornare alla festa, ma dopo chi se la sente mia madre?! Quella in pratica ti adora». Notai il disappunto e l'incredulità nella sua voce.

Aggrottai la fronte ancora più confusa dalle sue parole e dalla sua guida spericolata. Quelle curve accentuarono il mio mal di stomaco.

«Ferma immediatamente la macchina», dissi a bassa voce.

«Ma non ci peso proprio! Prima ti accompagno a casa e prima posso ritornare lì».

«Ferma questa cazzo di macchina!» urlai portandomi una mano sulla bocca e cercando di bloccare il conato di vomito.

Appena in tempo lui frenò in modo brusco ed io aprii lo sportello, finendo sul prato di una casa lì affianco. Vomitai sull'erba, il corpo scosso da conati forti e dolorosi, e quando mi sdraiai lì vicino non mi curai di niente. Avevo le lacrime agli occhi e cercavo di scacciarle via con movimenti lenti e goffi.

Dopo un po' sentii l'altro sportello della macchina sbattere sonoramente e passati due secondi vidi il viso di Seth spuntare davanti al cielo stellato.

«Levati che mi copri tutto», mi lamentai, sentendomi già meglio, ma ero talmente stanca e affannata che a momenti avrei dormito lì per terra. Capivo perché Layla passava ore e ore sul prato, era così morbido e confortevole.

«Cosa?»

«Le stelle. Per quanto tu sia bello le stelle lo sono mille volte di più. Almeno loro non mi insultano». Sbuffai e provai a spostarlo. «Quindi togliti».

Poi sbarrai gli occhi, rendendomi effettivamente conto con chi stessi parlando.

Seth Stevenson. Il bullo e lo stronzo che avevo imparato ad odiare.

«Perché ti faccio complimenti? Non te li meriti. Ti odio». Chiusi gli occhi e mi uscì qualche lacrima in più e sapevo benissimo che non erano più per il vomito.

Stavo delirando, ma la sensazione dell'erba fresca ebbe un effetto rilassante su di me, mi godetti il fresco e la tranquillità del momento.

Poi dopo un po' iniziò a piovere. Goccioline presero a scendere dal cielo, piccole e ancora troppo rade per farmi preoccupare, avevo ancora tempo prima di ripararmi.

«Muoviti e sali in macchina», mi ordinò quel coglione del mio vicino, che credeva di essere il padrone di tutta Aroundsville con i suoi stupidi addominali e la curva della mandibola squadrata.

«Ma guardami, sono patetica. Stesa affianco al mio stesso vomito, con un vestito ridicolo, ubriaca da fare schifo e con te che probabilmente mi troverai ancora più deplorevole di quanto già non pensassi». Risi quasi istericamente, mentre lui mi guardava con un volto neutro e quasi duro. «Aah, mi faccio schifo da sola. Ho più traumi che anni di vita e credevo che una volta tornata tutto sarebbe cambiato, ma mi ritrovo nella stessa merda. E per di più ci sei tu, che diamine ti ho fatto?» Sapevo che non mi avrebbe mai risposto, ma avevo davvero bisogno di sfogarmi. «Non mi è mai piaciuto questo posto, mi sta tutto così stretto qua che sento di poter morire soffocata da un momento all'altro».

«Se non ti piace così tanto perché non sei rimasta in California? Avresti fatto un favore a tutti».

Feci spallucce, anche se lui non lo vide, mentre la pioggia aumentava. I suoi capelli iniziarono a bagnarsi tutti, ma lui non se ne curò e rimase a fissarmi.

«Forse perché credevo che ci fosse ancora qualcosa qui per me». A un tratto sentii il bisogno di fare una sagoma di un angelo sull'erba come si usava fare sulla neve dai bambini. «Ma forse tutto quello che avevo ormai è sepolto sotto un cumulo di terra».

«Hai mai provato a chiederti il perché? Forse la colpa è tua». Le sue parole erano dure e furono più taglienti di quanto credessi.

Eppure aveva ragione, per quello facevano così male. Le sentivo bruciare nel mio stomaco e nel mio cuore, come cicatrici che non sarebbero mai andate via.

Ci fu un momento di silenzio, c'era solo il vento nello spazio che ci separava, il verso dei grilli e il rombo di qualche macchina in lontananza.

«Bene, posso darti ragione sul fatto che fai schifo, ma ora dico che è arrivato il momento di tornare a casa».

Probabilmente non aveva ascoltato neanche una delle chiacchiere che erano uscite dalla mia bocca, ma in fin dei conti era meglio così.

«Non riesco ad alzarmi da sola». Sentivo gli arti e tutto il resto del mio corpo pesante come un macigno. Volevo rimanere lì sotto la piaggia e magare diventare parte integrante della natura.

Seth sospirò e si inginocchiò per terra, mettendo una mano sotto le mie spalle per farmi alzare, la mia testa ciondolò quando mi rimise in piedi e lui con una mano cercò di metterla dritta.

Mi morsi le labbra e le mie gambe cedettero, provando un dolore arcaico. Lui mi sorresse prontamente e sentii il suo sguardo sul mio viso.

«Ti prego», dissi in un sussurro. «La testa... sii gentile». Altre due lacrime uscirono fuori e un singhiozzo mi percosse tutta.

Non disse niente, ma giurai di aver sentito una carezza proprio sui miei capelli. Chiusi gli occhi e a quel punto mi prese in braccio ed io mi lascia portare, stanca di combattere.

Senza neanche volerlo mi rilassai sul suo petto e mi aggrappai alla sua camicia, ispirando il suo profumo di pino mischiato alla pioggia che ormai scendeva copiosa.

Mi sistemò in macchina e stranamente non disse nulla, ma fu dolce nei modi, assicurandosi anche che avessi la cintura di sicurezza.

Magari fossi sempre così...

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