Il Tesoro del Mare

By SandraWillock

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Primavera, 1716. Dopo due anni trascorsi a Londra, separata dalla sua famiglia per terminare gli studi, Eveli... More

PROLOGO
CAPITOLO I
CAPITOLO II
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
CAPITOLO V
CAPITOLO VI
CAPITOLO VII
CAPITOLO VIII
CAPITOLO IX
CAPITOLO X
CAPITOLO XI
Dal diario di Delise Shelley
CAPITOLO XII
CAPITOLO XIII
PUBBLICAZIONE CASA EDITRICE
Cover reveal
Uscita Il tesoro del mare!
Personaggi creati con l'AI

CAPITOLO XIV

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By SandraWillock

Il mio respiro si smorzò. Feci correre lo sguardo sul volto di Arenis, intontita. No...

«Difatti, la famiglia Adler è caduta in disgrazia. Non hanno più danaro, né terre. Una nave mercantile del signor Adler è affondata in mare un mese fa a seguito di un grave incidente. Da allora attendevano con impazienza che la figlia maggiore arrivasse da Londra con il resto dei loro averi per ripagare i debiti. Ma, poiché il loro denaro è oramai nostro, finiranno sul lastrico. Hanno tentato di pagare il riscatto con tutto ciò che ancora avevano, ovvero nove sterline e mezzo. Una somma ridicola, lo so bene. Mi spiace informarvi di questa terribile notizia. So che immaginavate già di riempirvi le tasche con il bottino.»

Gli uomini borbottarono, profondamente delusi.

Avevo le mani sudate e la testa che mi girava. Non potevo credere a quello che avevo appena udito. La mia famiglia caduta in povertà, derubati di tutto ciò che ci era rimasto. Derubati di una figlia...

Mi sentivo svenire.

La mia famiglia avrebbe vissuto il resto delle loro vite a mendicare per le strade, io invece potevo considerarmi già morta. Sentivo i loro occhi scrutarmi. Sentivo il loro furore, la loro delusione. Per loro, non servivo più a niente. O, forse, potevo ancora servire ad un'unica cosa...

Non avrebbero ucciso il corpo, ma lo spirito.

«Rimane un'unica questione da sbrigare; la signorina Adler. Non ho alcuna intenzione di uccidere una donna solo perché la sua famiglia è stata colpita dalla malasorte. Che lo vogliate oppure no, ho deciso che la signorina Adler vivrà.»

«Perché non la vendiamo a qualche bordello di Nassau?» propose un uomo, facendosi avanti. «Pagherebbero bene per lei. È giovane e di bell'aspetto.»

Un gruppo di uomini esultò, trovandosi d'accordo con lui. «Sì!»

Poi fu il turno di un altro marinaio, che alzò una mano per parlare e sul suo volto si era acceso un sorrisetto malizioso. «Poiché ella ci ha lasciati a mani vuote, allora può benissimo ripagarci in qualche altro modo.»

L'espressione di Arenis, a quelle parole, s'indurì di colpo e fissò l'uomo con astio. «Non accetto violenze carnali o crudeltà ingiustificate. Siete uomini, non bestie. Eveline Adler non diventerà la vostra prostituta personale. Mi avete capito?»

Seguirono degli sbuffi d'irritazione.

«Mi. Avete. Capito?!» sentenziò Arenis, urlando.

«Sì, Capitano!»

«Io propongo di farla lavorare per noi», continuò il Capitano. «Lavorerà in cucina, pulirà, svolgerà qualsiasi lavoro voi riterrete opportuno farle fare. Le insegneremo il mestiere, giacché siamo a corto di marinai. Se si rifiuterà o non ne sarà capace... allora, sì, non ci resterà altro che venderla a qualche bordello di Nassau. Almeno ne ricaveremo qualche soldo.»

La ciurma sghignazzò, divertita.

«Oppure» proseguì lei, facendosi sempre più seria. «C'è sempre la possibilità di lasciarla andare e basta.»

«Io dico di votare», intervenne Dinnington. «Capitano, diamo loro qualche minuto per pensarci e poi voteranno se accogliere la signorina Adler nella nostra ciurma o lasciarla andare.»

Arenis fece un cenno con il capo. «Avete cinque minuti. Io voterò per ultima per non condizionare la vostra scelta.»

Si misero tutti a parlare tra loro, allegramente, quasi come se stessero scommettendo ad una corsa di cavalli... Notai lo sguardo di Arenis puntato su di me. Se ne stava in disparte, con quell'espressione indecifrabile stampata sul volto.

Quella donna mi stava portando via tutto.

Dopo cinque minuti, Arenis si rimise al centro del gruppo. «Bene, alzi la mano chi vorrebbe lasciare libera la signorina Adler.»

Dinnington fu il primo, poi ne seguirono altri. Jackie Jay, Dilthey, Naade, persino Cohen. Tennero la mano alzata con altri dieci. Quando toccò al Capitano di votare, alzò la mano, ma era inutile. Il volere della ciurma era chiaro.

«No...» sussurrai. Caddi in ginocchio e per la prima volta nella mia vita, implorai. «Vi scongiuro... vi prego! Lasciatemi andare dalla mia famiglia! Non avete ragione di tenermi qui. Sono inutile. Vi prego, non...»

Scoppiai a piangere.

«Capitano...» mormorai tra un singhiozzo e l'altro. «Fatemeli rivedere, vi prego...un'ultima volta! Solo un'ultima volta!»

Arenis mi guardò e con un tono che non ammetteva repliche disse: «No.»

«Farò tutto ciò che volete...»

«Ho detto no, signorina Adler.»

E fu allora che tentai la fuga, colta dalla disperazione. Corsi verso la balaustra, verso il mare. Sapevo nuotare; potevo tuffarmi in acqua e nuotare fino alla banchina.

«Fermatela!» ordinò la voce del Capitano.

Delle braccia mi sollevarono da terra, bloccando la mia corsa. Strillai, calciai, sbraitai. Urlai aiuto e allora una mano mi tappò la bocca. Morsi. Sentii i miei denti affondare nella carne del marinaio. Egli ululò e mi lasciò andare. Ripresi a correre. Misi una gamba attraverso la balaustra e saltai.

L'impatto con l'acqua fu così violento da togliermi quasi il respiro. Tutt'intorno a me, bollicine. Nient'altro che bollicine. Quando mi ripresi dal colpo, nuotai, cercando di risalire verso la superficie. Qualcosa però non andava. I miei vestiti. Erano troppo pesanti. Andai giù, sprofondando nell'oscurità. Usai tutte le mie forze, ma capii ben presto che sarei affogata. Avevo i polmoni gonfi, sentivo che mi stavano per scoppiare da un momento all'altro. L'inconscio mi diceva di respirare. Ero sott'acqua troppo a lungo. Dovevo respirare. Dovevo... La mia vista si annebbiò. Minuti, ore, giorni dopo, non lo sapevo, sentii il velo dell'acqua rompersi sul mio viso e l'aria invadermi deliziosamente i polmoni.

Mi destai di soprassalto, coi polmoni che mi bruciavano. Tossii più volte e gemetti di dolore.

«Piano.»

Ero nell'alloggio del Capitano, sul suo letto. Dovevo aver perso conoscenza. Con un movimento improvviso, mi alzai e attraversai la stanza, gli occhi terrorizzati.

«Vi suggerisco di ritornare a distendervi, signorina Adler.»

Ero ancora bagnata fradicia, e lo stesso valeva per Arenis. I suoi capelli gocciolavano. Compresi che mi aveva tirata lei fuori dall'acqua.

«Lasciatemi andare...».

«Voi non andate da nessuna parte.»

«Aiutatemi, vi prego. Voi... voi avete votato per la mia libertà, perciò fatemi scappare e dite ai vostri uomini che sono riuscita a fuggire da sola...»

«Non posso.»

«Certo che potete!»

«No», rispose, ferma. «Disperate quanto volete, signorina Adler, ma sappiate che non servirà a niente. Resterete qui, su questa nave.»

La mia testa pulsava.

«Vi siete quasi uccisa, saltando dal ponte», osservò il Capitano, ma io la ignorai.

«Liberatemi, vi imploro. Fatemi ritornare da loro.»

«No, Eveline», replicò lei. «Ora farete parte di questa ciurma. Sottostarete alle regole dell'equipaggio e, se le infrangete, subirete le stesse punizioni come qualsiasi altro su questa nave.»

«Per favore, per favore, abbiate pietà di me.»

«Smettetela di fare così, perché io non vi compatirò, né vi aiuterò.»

«Se non mi liberate adesso, giuro su Dio che tenterò la fuga ogni volta che mi si presenterà l'occasione. Non vi darò pace. Potete punirmi quanto volete, potete picchiarmi, potete fustigarmi, potete torturarmi, ma io non cederò mai. Mai.» 

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