Ash

By HSTanner

1K 86 89

2157. Non ci sono parole per esprimere quello che prova Caden quando, dopo aver completato la sua missione e... More

Presentazione
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Nuovo profilo

Capitolo 4

70 6 0
By HSTanner

Enormi pezzi di metallo precipitano al suolo come meteoriti e noi corriamo verso la foresta che occupa la collina. La superiamo il più velocemente possibile, tentando di non essere coinvolti nell'incendio che di certo causeranno i rottami. Io, Jena, Sahara e Gill siamo i primi ad arrivare alla zona residenziale più vicina, abbastanza isolata dalla natura da non essere in pericolo. Alban e Denver sbucano dalla fitta trama di alberi non appena mi giro a guardare. Denver ha salvato le due borse a tracolla che contengono i nostri documenti, ma dovrebbe essersi ferito, perché zoppica e si ostina a scappare solo grazie al supporto di Alban. Allora lascio il mio bagaglio e accorro in suo soccorso. Lui si aggrappa anche a me.

«Gli altri?» gli chiedo.

Scuote la testa.

«Arrostiti» soggiunge Alban. «Almeno mio cugino, Camden e gli altri due tizi. Uno potrebbe essere sopravvissuto, ma se ho ragione, è andato nell'altra direzione.» Sospira profondamente. «Credo che il tuo desiderio sia stato esaudito: niente più guardia personale. Contento?»

«Non così» sussurro. «Non così» ripeto a voce più alta.

Adagiamo Denver e le due borse accanto al gruppetto formato da Jena, Sahara e Gill, che si sono fermate accanto a un lampione poco luminoso. Gill si fionda su Denver e, china su di lui, inizia a mormorargli qualcosa, immagino un incoraggiamento. Allora si rivolge a me e ad Alban, entrambi appena prima del marciapiede, gli abitanti dei paraggi che scendono in strada per assistere allo spettacolo pirotecnico derivante dall'esplosione del velivolo.

«Cosa gli è successo?» ci domanda.

Io sollevo le braccia per discolparmi da qualsiasi eventuale responsabilità, mentre Alban corruga la fronte e sgrana gli occhi. «Non ne ho la più pallida idea» le dice. «Stavo pensando a mettermi in salvo quando l'ho visto strisciare via dal rogo in cui bruciavano Ryker e Camden...»

Forse avrebbe detto qualcos'altro se avesse proseguito, ma un forte schianto seguito dall'ennesimo scoppio rimbomba nell'aria e ci ammutolisce tutti. Mi volto. La foresta è in fiamme. Le strette conifere ardono come se qualcuno stesse per giustiziare una strega. Una corona rossastra le sovrasta, pare la parte superiore di fauci in procinto di inghiottirle. Ma in poco il fuoco si accende tanto da assomigliare a una fornace, quasi sommergendo il fioco rosso del calore, e altre esplosioni si avvicendano senza tregua. I passanti urlano, così come la gente sulle terrazze che è uscita per guardare cosa sta accadendo.

«Dobbiamo andarcene subito» afferma Sahara.

«Ma Denver è ferito! Non possiamo muoverci con lui in queste condizioni... e poi fra non molto ci saranno i pompieri» replica Gill.

Sahara trattiene un moto di disappunto. Lo so perché la sua espressione è la stessa che faccio io quando sento qualcuno pronunciare una cosa totalmente priva di senso. Di solito Jena me la descrive così bene che ormai la riconosco pure sui visi altrui.

«Prova a pensare con la tua testolina, scema!» esclama. Quando Gill sbuffa, Sahara si riappropria di un po' di contegno. «Se rimaniamo qui e aspettiamo l'arrivo di polizia e pompieri, dovremo dare una spiegazione per la nostra presenza. Soprattutto se tra di noi qualcuno si è ferito per via dell'incendio. Cosa vorrai dirgli a quel punto, eh? Magari che eravamo impegnati in qualche gioco perverso?»

«Be'...», Gill non sa come controbattere.

«Vi dico io cosa faremo» intervengo. Tutti mi appiccicano addosso le proprie pupille. «Noi possediamo un'abitazione, no? Allora adesso ci dirigiamo molto compostamente verso di essa e, quando l'avremo raggiunta, proveremo a medicare Denver.» Nessuno dice niente. «Spero solo che non sia troppo lontana» aggiungo, approfittandomi del silenzio.

«Ha ragione» dice Alban. «Non è il massimo dei piani, ma non abbiamo altre opzioni da vagliare, dato che casa mia è ancora più distante» Mi indica Denver, credo voglia il mio contributo per sorreggerlo. Io mi avvicino e lo aiuto a tirarsi su da un lato mentre Alban va dall'altro. «Benissimo. E voi due» fa, guardando me e Jena, «ricordatevi che vi chiamate Oan e Ren. Non una lettera in più, non una in meno. Intesi?»

Annuiamo. Poi ognuno di noi recupera la propria roba e ci incamminiamo dietro a Sahara, che afferma di ricordarsi esattamente dove abitiamo io e Jena.

Ci vogliono una quarantina di sofferenti minuti di cammino per arrivare. Per fortuna di notte non ci sono molti individui che gironzolano per queste strade e quindi passiamo inosservati quanto basta. Gli unici che ci vedono – o che credo ci abbiano visti – sono un barbone seduto sulla panchina nei dintorni di un parco e dei tizi che penso spacciassero droga. Ma nessuno di loro ci chiede qualcosa, nonostante i lamenti di Denver, dapprima trattenuti, siano presto diventati più frequenti. Quando siamo davanti al cancello d'ingresso, sento che il mio cervello sta per implodere e la schiena prende a incurvarsi sotto il peso di un sempre più dolorante e meno autonomo Denver. Ancora non abbiamo capito dove si sia procurato la ferita, lui non parla e, in effetti, nessuno glielo ha più chiesto. Non l'ho mai sentito parlare finora. Mi sembra strano. Sì, neppure il suo amico chiacchierava molto, ma lui non ha proprio aperto bocca, se non per una rauca risata.

Sahara si impossessa della mia valigia senza neppure chiedermelo e, dopo averla buttata a terra, apre tutte le tasche esterne alla ricerca di qualcosa. Le chiavi. Quando le estrae, le esibisce con fierezza, il loro tintinnio che soppianta i flebili rumori della notte. In lontananza, a un certo punto, echeggia una musica fatta di bassi e percussioni di batteria elettronica. Oh, una discoteca. Fantastico.

Jena sogghigna. «Ancora voi ascoltate la house? Da quando è di nuovo in voga?»

Ovviamente si rivolge a Sahara, che è l'unica ad avere circa la nostra età. Ma penso che Sahara non sia un tipo da discoteca. Riesco già a vederla nel suo appartamento, con una canna di bambù, mentre si allena fino a svenire. Questo pensiero mi fa tornare in mente Nile. Chissà dove sarà? Amburgo è un po' più grande di quanto credessi, sarà arduo trovarlo.

«Dovrai fartela piacere» le risponde brusca Sahara. «Oppure niente discoteca.»

Jena ammutolisce.

Dopo una decina di minuti siamo all'interno dell'edificio. Per la prima volta guardo il luogo in cui potrei trascorrere i prossimi mesi, così come tutto il resto della mia vita. È un posto abbastanza bello, arredato secondo un gusto per l'antichità. Sembra il covo di un ricco scapolo disoccupato di cent'anni fa. Eccetto il proiettore olografico posto sul basso tavolino davanti al divano e il sistema computerizzato che governa gli ambienti, non vedo qualcos'altro che possa considerare moderno. Il primo piano si suddivide nello stretto corridoio d'entrata munito di credenza, il salotto completo di un divano blu e due poltrone bianche e un'ampia cucina. Collegate al salotto, delle scale portano a un soppalco con ringhiera. Disopra intravedo delle porte, e quindi penso che le camere mia e di Jena si trovino lì.

Appoggiamo Denver sul divano e finalmente lui si calma. Allora la premurosa Gill ritorna a concentrarsi su di lui. «Delle medicazioni!» esclama.

«Ci sono?» chiedo ad Alban.

«Non so... Non abbiamo controllato che in tutte le case ci fossero delle medicazioni, ti ho detto il tempo che Duncan ci ha lasciato per prepararci» ribatte, e rotea le spalle, una smorfia di dolore. «Anche perché molte le abbiamo sottratte illegalmente a qualche agenzia... Ma credo che in qualcuna dovrebbero esserci, comunque. Adesso controllo.»

Alban ci impiega un po', ma poi le trova, e inizia a medicarlo insieme a Gill. Io mi aggrego a Jena e Sahara, che sono sedute agli antipodi del tavolo della cucina e si guardano come leoni che debbano condividere la stessa preda. Richiamo la loro attenzione sbattendo piano una mano su di esso. Loro si voltano fulminee, facendomi trasalire.

«Ok, so che abbiamo iniziato nella maniera sbagliata, ma perché ora non andiamo tutti a dormire e pensiamo domani a modi in cui riappacificarci o ucciderci?»

«Caden, così come non sai consolare qualcuno, non sai neanche mediare un conflitto» afferma Jena. «Questa ragazza mi ha veramente rotto. È troppo...»

Sahara sta per replicare, ma io le interrompo con un'altra manata sul tavolo. Stavolta, però, è così forte che sento persino Denver mugugnare nella mia direzione. O forse è solo una sensazione. Comunque ho ottenuto quello che volevo: sia Sahara che Jena sembrano stordite dalla mia reazione.

«Senti, genio della comunicazione» dico a Jena, «cerca di essere un po' più modesta, che potrò anche aver passato gli ultimi anni a fare il misantropo, ma so come trattare una persona, se voglio.» Faccio una pausa e mi giro verso Gill e Alban, che hanno smesso di medicare Denver per starmi ad ascoltare. Faccio loro cenno di rimettersi all'opera e riprendo la discussione. «L'unica cosa che voglio ora è riposarmi, e dovresti volerlo anche tu. Abbiamo appena abbandonato per non si sa quanto le nostre famiglie, siamo a diecimila o più chilometri da San Diego e siamo appena scampati a un incendio di dimensioni immani. Io sono scosso come tutti voi, ok? Anzi, più di voi. Il fatto è che io voglio andare a dormire. Domani penseremo a come riconciliarci, a chi ha bombardato l'aggeggio su cui viaggiavamo, e a tutto quello che desiderate. Ma, fino a prova contraria, questa è casa mia, e ora esigo un po' di pace. Domani devo lavorare, porca troia.»

*****

Dopo che Alban, Sahara e Gill hanno lasciato l'abitazione, io e Jena ci assicuriamo che Denver sia coperto (abbiamo deciso, o per meglio dire lo ha fatto Sahara, che portarlo in ospedale sarebbe un azzardo, e Jena continua a ripetermi che forse abbiamo sbagliato ad ascoltare i suoi deliri) e scegliamo una camera a testa. A quanto ho capito, entrambe sono dotate di un bagno supplementare, e infatti mi fiondo nel mio.

Ora che la tensione è diminuita ricordo molti fatti che non mi hanno nemmeno accarezzato il cervello. Ad esempio, pisciare, cosa che faccio immediatamente. L'ho tenuta per ore senza neanche accorgermi. Ridacchio. Poi un altro pensiero mi solletica: le mie lenti a contatto. Di solito sono stabili, ma potrebbe essermene sfuggita una mentre correvo o facevo qualcos'altro, e non voglio che degli sconosciuti vedano il vero colore delle mie iridi. Dunque mi catapulto davanti allo specchio e controllo che sia tutto in ordine.

L'anonimo marrone scuro che scelgo ormai da nove anni è ancora al suo posto, immobile, come se fosse la tonalità in cui si inabissano per davvero le mie pupille. Ma devo arrendermi all'evidenza che non è così, e quando mi tolgo le lenti, la dura realtà risalta come la luna nel cielo notturno. Quanto ho odiato, e quanto odio, quel mosaico di sfumature, quel grigio-azzurro che forma una spirale assieme al bianco sporco. Ma sono i miei occhi e devo accettarlo.

Sospiro. Quindi prendo la valigia e cerco il portalenti ripieno di soluzione salina... Oh, era nell'altra. Sento le mani tremarmi e la porta aperta sembra ora una condanna, quasi fosse destino che delle ombre debbano passare per di qua e vedermi. Percepisco sguardi invisibili posati su di me, sguardi giudicatori, meschini, offensivi. Allora mi avvento su di essa e la chiudo lentamente, a chiave, accertandomi che Jena non sia fuori dalla propria camera e che Denver non abbia ricevuto un'energia miracolosa e si sia alzato dal divano. Poi depongo le lenti sul lavandino in marmo in modo che, quando mi sveglierò, siano già pronte per essere indossate. Fortunatamente questa versione più recente non necessita continui lavaggi o scrupoloso zelo, e quindi dovrebbero essere sicure anche domattina nonostante non le abbia riposte nel portalenti. Ma devo ricordarmi di comprarne una confezione per i prossimi giorni.

Quando vado a letto, e guardo la sveglia che qualcuno molto gentilmente ha piazzato sul comodino accanto a esso, impreco. Sono le cinque e quarantanove e devo svegliarmi alle otto e un quarto. Appena due ore di sonno. Imposto l'orario e abbasso le palpebre, consentendo al buio di impadronirsi della mia vista. Ma un'interminabile serie di domande – riguardanti la morte di Oliver Lowell, Nile, mio padre, Jena, la mia nuova vita e la catastrofe del velivolo – sostituiscono gli incubi nel loro ingrato compito: infestare la mia notte. E non mi addormento prima di dieci, venti minuti.

*****

La mattina seguente mi sveglio grazie al terribile squillo dell'indiavolato aggeggio vicino a me, che – immagino per intervento divino – non mi fa prendere un centinaio di infarti. Dalla stretta e alta finestra a destra della libreria ancora vuota noto che il sole ha scioperato: un branco di nuvole grigio scuro incombe su Amburgo e, non appena la apro e annuso l'aria, il freddo mi aggredisce. La richiudo subito, strofinando le mani sulle braccia. Quindi mi faccio una veloce doccia gelata e rimetto le lenti.

Trascino la valigia in bagno e mi assicuro che i vestiti per cui hanno optato Gill e Jena – almeno credo – siano della mia taglia e non vadano fuori tema. Mi accorgo, però, che i miei timori erano infondati: Jena mi conosce, e infatti trovo, felpe, magliette, pochi maglioni e camicie da sfoggiare mentre lavoro. Oltre a tutto ciò, ci sono dei jeans, due paia di pantaloni eleganti e tanta biancheria intima. Le scarpe sono in una tasca esterna: un paio da abbinare a camicia e pantaloni e un altro da mettere durante uscite più informali. Accettabile. Mi vesto senza badare troppo a cosa prendo e, quando ho fatto, esco dalla stanza.

Jena, che non dovrebbe dover avere lezione di sabato, dorme, avverto il suo debole russare. Anche Denver non si è svegliato: mentre passo per il salotto, lo vedo intabarrato nelle coperte che io e Jena abbiamo racimolato stanotte. Nel comprendere che loro dormiranno ancora, le mie ginocchia iniziano a sciogliersi e il mio corpo diventa un'immensa lastra di pietra. Mi intasco una copia delle chiavi e la carta di riconoscimento che ha fatto Ryker. A stento esco di casa e mi avvio verso la fermata dell'autobus a una cinquantina di metri da qui.

Il mezzo passa pochi minuti più tardi. Salgo e spintono fra la folla accalcata per trovare un angolo in cui poter respirare. Il tragitto occupa poco più di un quarto d'ora fino alla fermata di Bahrenfelder Straße, dove si trova il bar di cui sono vice-gestore. Se non sbaglio, chi lo ha riaperto è riuscito a renderlo come era settant'anni fa, prima che la polizia lo chiudesse per spaccio. Non so come si chiamasse allora, ma so che adesso è il New Age Lounge.

Appena sceso, riconosco subito la facciata frontale. È proprio come era descritta nel fascicolo: in mezzo a due vetrate c'è l'ingresso; sopra, la scritta d'oro in rilievo che recita "New Age Lounge". Entro. È già affollato, ma riesco comunque a rimediare un posto in cui sedermi: la poltroncina più vicina al vetro. Il proiettore olografico posto su un ripiano rialzato lancia le immagini dell'incendio che ho affrontato stanotte. È il notiziario. Sotto la scena della foresta tuttora fumante, nella striscia verde, scorrono le altre notizie nella versione concisa, e una voce di sottofondo parla flemmatica dell'accaduto. Non capisco bene cosa dice finché una delle due bariste dietro al bancone non prende il telecomando e alza il volume.

«Le autorità» dice la giornalista, «sostengono si tratti di un atto terroristico dei Paesi Liberi, anche se la gente grida già alla prima scintilla di una guerra contro la Fratellanza.» L'inquadratura si sposta sulla zona residenziale accanto cui io e gli altri ci siamo rifugiati per qualche attimo e soprattutto su un omone dai radi capelli neri. «Io devo lavorare di notte!» esclama. «E non riesco a credere che ogni volta, mentre torno a casa, potrei morire per via di un attentato. È inconcepibile! I politici ci hanno promesso sicurezza da qualsiasi attacco della Fratellanza, ma l'unica cosa che vedo è la mia vita sempre più a rischio.»

La barista che ha alzato il volume, una ragazza carina ma con molto trucco, mi chiede se può sedersi un secondo accanto a me per seguire il servizio. Io annuisco ed entrambi torniamo ad ascoltare.

«Com'è percepibile» ricomincia la giornalista, «questo evento ha favorito una nuova diffusione del malcontento tra i cittadini. La situazione sta rapidamente sfuggendo di mano al Partito Socialdemocratico, che si impegna ad approfondire il più possibile la questione e a far luce sui vari misteri che la avvolgono.»

La visuale cambia ripetutamente e d'un tratto si stabilizza sulle figure censurate di due corpi deturpati. Ryker e Camden. Oppure le due guardie del corpo? Una morsa mi opprime il cuore, costringendomi a distogliere lo sguardo. Ma mi riprendo immediatamente.

«Uno dei tanti che rimangono irrisolti e fomentano la paura degli abitanti di Amburgo è la presenza di due individui che sono morti a causa delle ustioni. La loro provenienza è estremamente dubbia. A seconda di alcune indiscrezioni – che non possiamo confermare perché la polizia non ha ancora rilasciato alcun comunicato ufficiale, – è stato rinvenuto il simbolo delle Divisioni della Fratellanza sui loro giubbotti. Se corrispondesse alla verità, il Ministero della Difesa dovrebbe iniziare un lungo dibattito con la Fratellanza sull'accaduto. Noi, però, per il momento dobbiamo limitarci ad aspettare e a sperare. Da Amburgo, Hadria Kermann.»

Il telegiornale continua con l'annuncio dell'estinzione di una specie animale dell'Africa per via delle elevate temperature medie mondiali, ma la mia mente è sprofondata in un pozzo di nuovi interrogativi. Sempre ammettendo che non fossero idiozie, come mai qualcuno aveva l'Aquila Nera sul proprio giubbotto? No, lo avrei notato. E cosa devo pensare sui fautori del bombardamento? Chi erano? Da dove hanno colpito? Qual era il loro bersaglio? Tremo. Forse io e Jena? Da chi potrebbero aver saputo che eravamo su quel velivolo? Magari dagli stessi che mi hanno visto uccidere Oliver Lowell... Oppure da Nile. L'idea mi stuzzica parecchio. In effetti sarebbe una trovata geniale. Io muoio e lui obbliga la Fratellanza e le UN a massacrarsi in un'inutile guerra. Due al prezzo di uno.

«Scusa, sei tu il nuovo vice di Karl?» mi domanda la ragazza che si è seduta vicino a me. A guardarla meglio, ha più fascino di quanto mi pareva. «No, sai, perché mi hanno detto che c'è stata un'improvvisa modifica, e pure che invece del tipo che doveva arrivare ora c'è un bel giovane. E sai... niente, vedendoti tirato a lucido e spaesato, ho pensato che potessi essere tu. Ci ho beccato?»

Tirato a lucido? Probabilmente ha mantenuto quel tono per amicarmi e avere una parola di raccomandazione con il capo, chiunque sia, però mi è piaciuta come presentazione. Annuisco. «Non sapevo cosa fare e quindi mi sono seduto.»

«Non preoccuparti, questo ambiente turbolento magari ti mette un po' a disagio. Posso capirti. Ma ci sono io» afferma, e indica se stessa con il pollice della mano destra, «e non hai nulla da temere.»

«Grazie per la considerazione» rispondo, alzandomi, «ma ce l'avrei fatta anche da solo.» Mi stiracchio. «Come ti chiami?»

«Persia» sputa lei, quasi fosse il meccanismo di allarme di una villa che custodisce preziosi artefatti risalenti a due millenni fa. «Persia Hafner» ripete più piano. «Sono barista al New Age Lounge da circa due mesi. Ti prego, puoi dire a Karl che ti ho accolto cordialmente?»

Ridacchio. «Perché dovrei dire il contrario? Sei stata gentilissima, non ho motivo di mentire.»

Lei sospira di sollievo e poi mi dice di rimanere qui e attenderla. La osservo sparire dietro a una porta automatica e allora mi tolgo la giacca. Sarà andata ad avvisare tale Karl. E proprio nell'attimo in cui vedo le ante che si riaprono, sento qualcosa toccarmi una spalla e mi volto.

«Ciao» dice Nile.

Continue Reading

You'll Also Like

452 29 14
John Clusber, fa visita a suo zio milionario nel Missouri, e scopre che era scomparso, e data la sua età e il suo stato di salute, la polizia lo dich...
0 0 1
22 0 2
In un mondo dove gli opposti sono per definizione complementari e l'essenza stessa della realtà non è altro che il riflesso del dualismo intrinseco d...
5 3 1
Copertina fatta da me Banner di ¶Sequel di Ventiquattr'ore 1 e Ventiquattr'ore 2 - Sins Ultimo della trilogia Ventiquattr'ore¶ Inizio:??/??/?? Fine:...