Capitolo 10

37 3 0
                                    

Nella foresta si è soffermata un'aria vibrante. La sento accarezzarmi la pelle e trasmettermi improvvisi brividi. Inizialmente pensavo che si trattasse della eco degli androidi che poco fa hanno percorso gli stessi sentieri che stiamo prendendo io e Alban, ma ovviamente mi sbaglio, è solo una mia sensazione. In verità, adesso il silenzio regna incontrastato su tutto, e pare persino più forte di quei flebili rumori – uno sparo lontano, zampette che calpestano la neve – che dovrebbero spezzarlo. È come se ogni cosa si fosse congelata in una fulminea era glaciale, eliminando ogni suono, ogni respiro, ogni fruscio delle foglie rimaste trascinate dal vento.

Alban cammina vicino a me, muto come se gli avessero tagliato la lingua. La pistola puntata in basso, mi segue continuando a scandagliare il paesaggio circostante. La neve scricchiola sotto ai nostri passi, e talvolta lo schiocco di un ramo caduto ci fa sussultare e mettere in guardia.

Sono ormai venti minuti che stiamo camminando a vuoto. Alban sembra non esserne minimamente toccato. Dal mio canto, io sto per dare di matto. Abbiamo ispezionato l'intera zona assegnataci per almeno tre volte, e non trovo ulteriori motivi per portare avanti questo inutile balletto. «Non credi sia ora di tornare?» gli chiedo senza preavviso.

Lui aspetta un attimo prima di rispondermi. «Non so.» Si volta e solleva l'arma verso un uccello che si è posato su uno spesso ramo. «Credo che un altro giro non guasterebbe.»

No. Mi fermo, mi giro e gli afferro un polso. Nonostante lui sia molto più muscoloso di me – cosa che noto solo ora per via della maglia che risalta le sue forme, – grazie al fattore sorpresa riesco a torcerglielo quanto basta per sottrargli la pistola. Alban rimane spiazzato. Lo capisco: è difficile comprendere perché lo abbia fatto, ma ho le mie ragioni, e sono più che valide.

Lo miro alla fronte. «Ascoltami.»

«Cosa significa?» mi chiede lui, alzando le braccia al cielo.

«Ti ho detto di ascoltarmi» ripeto. Arretro di un po', assicurandomi che Alban non abbia la mia stessa idea. «Ora io prendo il comando. Abbiamo girato a tondo per gli ultimi minuti. Lo abbiamo fatto inutilmente. Non ha senso continuare a stare qui: sia io che te sappiamo che quest'area è deserta, e inoltre per andarcene dalla città dovremo dirigerci dall'altra parte, quindi non vedo perché dovremmo sprecare altro tempo.»

Alban deglutisce. «Non posso darti torto.» Una pausa. «Ma ormai siamo qui e ci conviene dare un'altra controllata. Pensa se qualcuno ci avesse visto e avesse deciso di seguirci. Tornando ora, lo porteremo dagli altri. Vuoi veramente che succeda?»

In effetti, se qualcuno ci avesse avvistato mentre perlustravamo, facendoci girovagare e intanto tallonandoci, potremmo condurlo dagli altri. Da Gill. Da Denver. Da Sahara. Da... da Jena. Mi ritrovo con i denti tanto stretti che stridono fra di loro. Non posso ignorare le sue parole.

Gli riconsegno l'arma e sussurro delle scuse. Lui la prende in un guizzo, lo sguardo che racchiude tutto il rancore che ho fatto nascere in lui con questo mio gesto. Spero che non lo lascerà influenzare le sue prossime azioni.

Riprendiamo a camminare. Per l'ultimo controllo voglio togliermi una soddisfazione: voglio vedere cosa è successo ad Amburgo dopo l'entrata degli androidi. Tutta questa quiete mi pare abbastanza strana. È come se ci trovassimo nello scenario post-battaglia. Ma la battaglia, eccetto la strage perpetrata dalla flotta della Fratellanza appena comparsa nei cieli di Amburgo, non è mai avvenuta. Allora mi avvio verso il basso, cercando questa volta di raggiungere i confini della Niendorfer Gehege per vedere se è accaduto qualcosa. Lentamente, attento a non farmi scoprire da Alban, sbilancio il percorso verso sinistra. Lui pare non accorgersi della mia lievissima deviazione, mi segue senza fiatare, copia senza errori ogni movimento dei miei piedi.

AshDove le storie prendono vita. Scoprilo ora