Capitolo 1

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Sparo. Il colpo centra nella fronte l'uomo davanti a me, che cade sul marciapiede tempestato dalla pioggia. Occhi vitrei, spalancati, arrossati. Mi soffermo a guardare il suo corpo mentre l'acqua in strada è sempre più abbondante e inizia a sfociare nei tombini laterali. C'è una traccia di sangue che la tinge. Rossa come i capelli di mia madre. Un fulmine. Un tuono. Non volevo farlo, è l'urlo che rintrona nella mia mente. Non avrei dovuto. Forse voleva vendicarsi, o forse no, ma non aveva ancora fatto niente. E io l'ho ucciso.

Una folata di vento mi raggela e mi scrollo di dosso il torpore in cui affogavano i miei sensi. La missione deve essere fulminea, e invece sono stato troppo a riflettere su ciò che ho fatto. Carico il braccio e getto la pistola nel fiume che costeggia la cittadina. Poi tendo il cappuccio e mi incammino verso la locanda.

L'ombra dell'omicidio di Oliver Lowell mi rende le gambe pesanti. Perciò l'insegna del Buco di Fogna mi raggiunge le orecchie con il suo cigolio solo dopo molto tempo. Oscilla tracciando una linea che sembra un quarto di circonferenza, la solita e inquietante vernice marrone piena di sbavature. Mi guardo attorno: nessuno. Corro fino alla porta e busso. Le percosse che i miei pugni producono contro il legno paiono tonfi, come se cinque elefanti fossero saltati dal tetto di un edificio, schiantandosi a terra. Si apre subito.

Jena si avventa su di me, abbracciandomi. «Caden.»

«Jena.» Premuto contro di lei, sento mancarmi l'aria. «Jena» ripeto. Ma lei sembra non accorgersi di quanto forte mi stia stringendo. Per liberarmi dovrei farle male, e non voglio. «Jena, sto... soffocando.»

Lei allenta la morsa. Mi guarda in faccia – che immagino sia paonazza – e ridacchia passandosi una mano sotto la nuca. Sorride. Poi mi libera e indietreggia adagio. «Scusa» dice. «È solo che... perché ci hai messo tanto? I nostri superiori sono stati chiari: lo incontri, gli spari e te ne vai» aggiunge sussurrando.

Ammutolisco. Perché ci ho messo tanto? Stavo considerando di lasciarlo vivere, Jena. Gli ho detto di prendere sua figlia e sua moglie e di scappare prima che io lo uccidessi. Preservare un po' della mia umanità, in fin dei conti, non è sbagliato. Ma lui mi ha risposto che no, non avrebbe mai permesso che qualcuno lo svestisse del suo onore. Quindi ha tirato fuori la pistola. Sono stato più veloce io.

Noto che il divano blu impregnato dell'odore di birra non è più ai piedi delle scale, ma dietro di Jena. «Perché quel divano è lì?» le chiedo, e mi volto nella sua direzione.

Agito i capelli sopra la ciotola del gatto del proprietario. Sassolino. Quanto odio quella bestia.

«Quello?» chiede, e me lo indica.

«Sì. Non fingere di non saperlo.»

Mi avvicino al caminetto, appoggio il giaccone intriso sulla pietra ed espongo i palmi delle mani al calore del fuoco. Sento i miei muscoli, prima rigidi come barre di ferro, sciogliersi. Inalo un'ingente quantità d'aria e chiudo gli occhi, lasciando che il caldo si infili dentro di me.

Jena mi affianca sedendosi sul bordo e mi fissa contrariata. «Lo sai» dice. «Ti stavo aspettando. Non sapevo dove fossi, e tu sai quanto io sia impaziente. Semplicemente non sono riuscita a restare in camera a torcermi le dita.»

Ridacchio. «Oh, certo. Io ero fuori a uccidere un uomo e tu qui tormentata dalla mia assenza!»

Lei spalanca le palpebre e dà un'occhiata alle scale. Sì, probabilmente ho alzato la voce. «Che cosa fai?» bisbiglia. «Sai che devi mantenere la riservatezza.»

«Cerca di essere meno lagnosa» continuo, e appoggio la schiena contro lo stretto muro laterale. «Il proprietario di questo posto è un ubriacone madornale e, annegato nei fumi dell'alcool come credo sia ora, non avrà capito una sola delle mie parole. Poi il tipo della reception non è nemmeno qui e noi siamo gli unici pazzi che hanno avuto il coraggio di soggiornare al Buco di Fogna, una locanda dal nome così attraente che per poco non vomito.»

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