Catch the fire

By Fiorescato

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Evan e Trey sono amici di infanzia. Hanno due caratteri opposti, nessun sogno comune. Sono due poli opposti d... More

Cap. 1 Evan
Cap. 2 Trey
Cap. 3 Evan
Cap. 4 Trey
Cap. 5 Evan
Cap. 6 Trey
Cap. 7 Evan
Cap. 8 Trey
Cap. 9 Evan
Cap. 10 Trey
Cap. 11 Evan
Cap. 13 Evan
Cap. 14 Trey
Cap. 15 Evan
Cap. 16 Trey
Cap. 17 Evan
Cap. 18 Trey
Cap. 19 Evan
Cap. 20 Trey
Cap. 21 Evan
Epilogo - Trey & Evan

Cap. 12 Trey

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By Fiorescato

Merda!

Merda!

E ancora merda!

Lo aveva fatto davvero?

Trattenne un sospiro e voltò il viso in direzione dell'uomo che dormiva soddisfatto al suo fianco.

Le ciglia disegnavano un arco sugli zigomi punteggiati di lentiggini, le labbra piene ancora arrossate erano leggermente socchiuse e producevano sbuffi leggeri ad ogni respiro, il corpo rannicchiato in posizione fetale con una mano posata accanto alla sua spalla, come se Evan volesse accertarsi che Trey fosse ancora accanto a lui ed era così. Per il momento.

Spostò gli occhi concentrandosi sulle palpebre chiuse, ma costantemente in movimento, come se l'altro non riuscisse a riposare bene.

Comprensibile.

Trey sperava di crollare sfinito dopo quella maratona, ma non era successo.

Le luci si erano schiarite con lentezza disegnando arabeschi astratti sul soffitto e lui aveva assistito ad ogni minimo cambiamento.

Sembrava che il sonno avesse deciso di abbandonarlo e questo voleva dire avere tempo a disposizione per pensare, un'attività che Trey detestava.

Pensare voleva dire avere tempo di pentirsi; analizzare le cose mettendole in una prospettiva diversa ripetendosi quanto si era stati coglioni.

Spostò le spalle attento a non svegliare il suo compagno di letto e si concentrò su un'ombra vicino alla finestra nella speranza di allontanare i pensieri.

Ma non era facile, non lo era mai.

I ricordi sembravano appostati dietro ad angoli bui in attesa di poterti colpire e così fecero quelli di Trey.

Fermo davanti allo specchio del bagno, le mani posate sulla ceramica bianca e gli occhi grigi puntanti in quelli riflessi nello specchio.

«Non puoi averlo. Non devi...»

L'uccello nascosto dagli ampi pantaloni della tuta non sembrava pensarla nella stessa maniera, oppure non si sarebbe messo sull'attenti per il semplice fatto di aver visto la schiena di Evan.

Nuda e punteggiata di efelidi.

Uno spasmo all'altezza dei lombi gli diede la misura di quanto il suo autocontrollo stesse fallendo miseramente. Se la sola immagine mentale gli faceva quell'effetto cosa sarebbe successo se...

Serrò le labbra impedendosi di continuare quella fantasia, ma ormai il suo cervello sembrava essersi fossilizzato su un'unica immagine.

Disgustato da se stesso stornò lo sguardo e decise di votarsi ad una doccia fredda.

Se non poteva controllarsi forse lo avrebbe fatto l'acqua gelida.

Ogni goccia sembrava essere uno spillo contro la pelle, ma, nonostante tutto, il suo uccello non voleva saperne di tornare al suo posto.

Con un sospiro sofferto chinò la testa in segno di resa e strinse il palmo intorno all'asta pulsante.

Immagini di quella pelle lattea popolarono la sua mente spingendolo a strattonare più forte e più veloce l'uccello.

Avrebbe voluto disegnare ognuna di quelle mappe con la punta della lingua. Memorizzare ogni particolare fino ad affondare il naso tra quelle natiche sode e rotonde.

Un forte tremore lo attraversò costringendolo ad appoggiare il palmo aperto contro le mattonelle chiare.

Non sentiva più l'acqua fredda contro la schiena, solo un forte calore che si concentrava alla base della schiena e che chiedeva di poter essere liberato.

Un calore generato da Evan, anche se non ne aveva idea.

Quegli occhi azzurri apparsero nella sua mente velati di piacere e contenere l'orgasmo diventò una battaglia persa.

Si morse l'interno della guancia e serrò le palpebre mentre lunghi schizzi lattiginosi colpivano le piastrelle.

Quella era stata la prima e l'ultima volta in cui si era concesso di fantasticare su Evan e su quello che avrebbe voluto fargli.

Si era fatto un'unica promessa dalla morte dei suoi genitori: non tradire mai la fiducia del suo migliore amico.

E cosa aveva fatto?

Merda!

Deglutì vistosamente ed inspirò dal naso trattenendo il fiato nell'attimo in cui sentì il materasso spostarsi e il corpo di Evan scivolare contro il proprio.

Doveva andarsene prima di fare ancora qualche cazzata.

Poteva ancora scusarsi per quello che era successo la sera prima, ma cedervi nuovamente? A quel punto avrebbe perso ogni pretesa per poterlo fare.

Sentiva il suo corpo protestare mentre l'uccello si tendeva sull'addome riprendendo vita per miracolo.

Perché di quello si trattava. Era venuto talmente tante volte che pensava non avrebbe mai più funzionato a dovere, invece...

Imprecò mentalmente contro se stesso e la sua sessualità consapevole di prendersi per il culo. Non aveva idea di come avrebbe reagito in una situazione simile, perché mai si era concesso di passare la notte con qualcuno o qualcuna.

Era la prima volta e doveva succedere proprio con Evan, esattamente come molte altre cose durante la loro crescita.

Il suo migliore amico era con lui quando aveva scopato per la prima volta; quando aveva preso la prima sbronza, o aveva fumato la prima canna.

Evan faceva parte di lui ed ora...

Serrò gli occhi fino a farli dolere e strinse la mascella incerto su cosa sarebbe successo da questo momento in poi.

Come poteva guardarlo ancora in faccia?

Cristo, si era scopato uno che credeva ancora negli appuntamenti, nel parlare prima di arrivare a farsi tutto quello che il corpo chiedeva; qualcuno che cercava un uomo da amare.

Merda! (Lo aveva già detto?)

Se avesse potuto tornare indietro si sarebbe messo un laccio intorno al cazzo e lo avrebbe stretto fino a strozzarlo pur di impedirsi di fare quello che aveva fatto.

Eppure il calore di Evan...

Incapace di frenarsi tornò con la mente ai ricordi della notte precedente, ai baci intossicanti, al sapore pungente di quel piccolo muscolo pulsante...

Ingoiò un gemito e strinse il palmo intorno all'uccello passando il pollice sulla punta sensibile e già umida.

Cristo! Non aveva mai desiderato assaggiare ogni parte di qualcuno come lo aveva desiderato la sera prima. Amava il sesso anale, ma mettere la lingua nel culo di un uomo? No, grazie!

Ma con Evan era stato impossibile non farlo.

Avrebbe voluto scoparlo e svitarsi l'uccello per piantarlo dentro di lui in modo permanente, cosicché nessun altro potesse averlo.

Avrebbe voluto avere la possibilità di vedere il suo stesso seme uscire da quel paradiso bollente per poterlo usare come lubrificante e iniziare da capo.

Serrò i denti e spostò gli occhi su quelle labbra piene che gli aveva fatto accarezzare il cielo.

Evan era bravissimo a fare pompini e Trey lo poteva dire con cognizione di causa visto tutti quelli che aveva ricevuto.

La sua bocca si chiudeva come una ventosa e la gola sembrava non disporre di nessun riflesso...Un sogno erotico di cui aveva goduto più e più volte.

Deglutì stringendo la presa sotto la cappella e ricordò il primo orgasmo avuto. Si era riversato nella sua gola, ma, prima di sentirsi completamente svuotato, si era tirato indietro e aveva lasciato che alcuni schizzi opalescenti si depositassero sulle guance arrossate e sul mento.

Quello spettacolo lo aveva fatto rabbrividire increspandogli la pelle con violenza.

Il viso travolto dal piacere di Evan riluceva per il sudore e per il suo stesso sperma. Trey non aveva mai provato una soddisfazione più grande, quel ragazzo gli apparteneva.

Il senso di possesso lo spinse ad irrigidire ogni muscolo del corpo e sgranare gli occhi nella luce dell'alba.

Da dove cazzo venivano quei pensieri?

Evan non gli apparteneva.

Trey non voleva essere di nessuno tranne di se stesso, ma, soprattutto, non poteva permetterselo.

Affezionarsi ancora? Amare? Quel verbo da solo aveva il potere di fargli venire un'orticaria.

No, non sarebbe mai più successo e questo voleva dire che doveva porre rimedio a quello che era appena accaduto.

Il sesso era qualcosa che poteva gestire, ma il sesso ed Evan nella stessa frase? Non sarebbe mai stato in grado.

Deglutì il fiele che aveva sentito risalire lungo l'esofago e lanciò un'altra occhiata all'uomo addormentato ed ignaro al suo fianco.

Evan non lo avrebbe perdonato. Non questa volta.

Non importava quante cazzate avesse fatto nella sua giovane vita, era certo che questa sarebbe stata la peggiore di tutte, perché Evan lo amava e forse il suo era un sentimento autentico.

Forse Trey stava dando un calcio alla migliore opportunità che gli si sarebbe mai presentata, ma, semplicemente, non poteva.

Accettare i sentimenti, corrisponderli, lo avrebbe esposto solo ad altra sofferenza e lui non poteva accettarlo.

Era un codardo? Assolutamente, ma un codardo con il cervello.

Staccò il palmo dall'uccello schiacciandosi il glande tra le dita nella speranza di sedare ogni pensiero lussurioso ed allungò la mano verso il viso sereno al suo fianco.

«Vorrei poter essere diverso per te...» sussurrò piano quelle parole percependo il calore senza però toccarlo direttamente.

Evan era come una fonte di lunga vita e Trey non ne meritava nemmeno un goccio.

Lo stava ferendo in modo consapevole, eppure non poteva fermarsi.

«Vorrei essere una persona migliore, quella che ti meriti...»

Strinse le palpebre avvertendo l'umida degli occhi ed inspirò dal naso nella speranza di ricomporsi.

I sentimenti erano pericolosi perché ti toglievano la razionalità. La nottata appena trascorsa non ne era altro che l'esempio ultimo.

Si umettò le labbra con la punta della lingua indugiando su quell'uomo che era tutta la sua vita, ma che, da quest'ultima, stava per uscire.

Come avrebbe fatto senza di lui?

Cosa ne sarebbe stato di Trey adesso che il cordone ombelicale sarebbe stato reciso del tutto?

Le ferite tra di loro erano state innumerevoli, ma mai era stato inferto un colpo così forte.

Ritirò la mano trattenendo un sospiro e si alzò dal letto il più lentamente possibile.

Non voleva svegliarlo.

Non poteva affrontarlo, guardarlo negli occhi e dirgli...Cosa?

''E' stato un errore, dimentichiamocene''

Oppure peggiore: ''Ieri la paura mi ha fatto un brutto scherzo, Evan. Lo sai che non reagisco bene quando sono in quello stato...''

Tutte scuse del cazzo che non sarebbero mai state accettate, giustamente.

Trey aveva desiderato Evan, lo aveva voluto con ogni fibra del suo essere e per tutto il tempo era consapevole che quello sarebbe stato l'ultimo chiodo sulla bara della loro amicizia.

Perché stava finendo.

In quella stanza che li aveva visti ragazzini, prima complici e poi amici, Trey stava ponendo fine a tutto.

Fermo ai piedi del letto osservò ancora il corpo di Evan cercando di memorizzarne ogni più piccolo particolare.

«Sei la parte migliore di me e darei tutto quello che ho per somigliare all'uomo che credi io sia. Mi hai sempre dato troppo credito...»

Ed ora gli avrebbe fornito la prova che non era altro che l'ennesimo bastardo.

''Mi dispiace''

Quelle parole si fermarono in punta di lingua incapaci di uscire fuori. Non sarebbero state reali perché Trey non era dispiaciuto per quello che era successo.

Combattuto.

Spaventato.

Ma non dispiaciuto.

La sera prima era stata la realizzazione della sua più grande fantasia, peccato che la vita faccesse schifo con i lieto fine.

Con un sorrisetto amaro si voltò e tornò in sala da pranzo per recuperare i vestiti.

La maglietta abbandonata sul tavolino non fece altro che evocare altre immagini cariche di lussuria. Trey era certo che non si sarebbe liberato facilmente di quei fotogrammi. Evan non apparteneva alla sua schiera di amanti senza volto, era qualcuno di importante per lui. Qualcuno che avrebbe potuto...

No, non sarebbe mai successo.

Scosse la testa e si ritrovò ad aggrottare la fronte alla vista dei jeans ammucchiati sul pavimento.

Quando glieli aveva sfilati?

''Li togli?''

La voce di Evan sbucò fuori dal nulla facendolo sobbalzare e voltare verso la camera, prima che la mente si schiarisse e quell'attimo preciso tornasse alla memoria.

Li aveva tolti da solo. Volutamente.

Scombussolato da quella rivelazione li indossò velocemente tastandosi le tasche in cerca delle chiavi.

Porca puttana.

Aaron aveva la sua moto.

Come cazzo sarebbe tornato a casa adesso?

Imprecò a fior di labbra ed estrasse il portafoglio per controllare quanto contante avesse con sé.

Avrebbe preso un pullman come ai bei vecchi tempi.

Non più un ragazzino, ma un uomo che si lasciava dietro le spalle le macerie di qualcosa che avrebbe potuto essere.

Un'altra volta.

La sua esistenza sembrava una brutta copia di un filmetto di serie B dove ogni momento non era mai quello giusto per il protagonista.

Ridacchiò tra sé e tornò alla camera da letto appoggiando la spalla allo stipite.

Si stava facendo del male e lo stava facendo con coscienza, ma in fondo se lo meritava.

«Ciao...»

Avrebbe voluto che quel saluto fosse davvero quello che sembrava; un momento di distacco per poi ritrovarsi nuovamente. Ma non sarebbe stato così, non questa volta.

Tornò sui suoi passi e si bloccò davanti ai jeans di Evan sapendo perfettamente quello che avrebbe fatto. Quella parte era stata chiara nella sua mente fin dal primo momento.

Estrasse il cellulare e scorse il nome dei contatti inoltrando la chiamata prima di poterci ripensare.

Magari non era corretto, ma lui non poteva permettersi di lasciarlo da solo. Non poteva permettersi che gli succedesse qualcosa. Non a Evan.

Ritto al centro della stanza con gli occhi rivolti verso la stanza buia aspettò fino a quando una voce roca ed assonnata rispose all'apparecchio.

«Pronto...»

«Evan ha avuto un incidente e deve essere tenuto sotto controllo, ti mando l'indirizzo.»

Percepì il sussulto anche senza bisogno di vederlo.

«Parto subito. Grazie»

Chiuse la comunicazione, inviò il messaggio ed uscì silenziosamente da quella casa bloccando la porta dei ricordi e, ancora più saldamente, quella dei rimpianti.

Stava facendo la scelta migliore per entrambi.

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