Burn with you || c.h

By Letizia_25

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A volte, la discesa verso l'inferno comincia senza rendersene conto, fino a che non è troppo tardi. Troppo ta... More

Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
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Otto
Nove
Dieci
Undici
Dodici
Tredici
Quattordici
Quindici
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Diciassette
Diciotto
Diciannove
Venti
Ventuno
Ventidue
Ventitré
Ventiquattro
Venticinque
Ventisei
Ventisette
Ventotto
Ventinove
Trenta
Trentuno
Trentadue
Trentatré
Trentaquattro
Trentacinque
Trentasei
Trentasette
Trentotto
Trentanove
Quaranta

Sette

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By Letizia_25

Poi ci sono persone che, di quei muri, non sanno proprio più che cosa farsene.

Perché quando hanno provato a costruirli, non sono serviti a niente.

E non li hanno risparmiati da quello che la vita ha voluto loro sottoporre.


Si affretta a mettersi le scarpe e a prendere la borsa, contenente quelle poche cose che le serviranno, di cui alcune hanno un posto fondamentale nella sua vita, anche se sa che sono solo degli oggetti, a cui non potrà mai attribuire "semplice" come aggettivo, proprio perché non lo sono. Perché niente è semplice, neppure i sentimenti ed i pensieri legati a quelle piccolezze che si porta sempre dietro. Soprattutto quel quaderno verde, in cui c'è tutto di lei e che mai potrebbe permettersi di perdere, troppo prezioso per ogni parola che ci ha scritto sopra, in preda alla rabbia, al pianto, allo sconforto, a quella sensazione di totale sconfitta che la prende troppo spesso e non la lascia andare, togliendole lentamente ogni grammo di forza, ogni grammo di quella piccola scintilla che le rimane dentro e che vorrebbe tanto proteggere da se stessa, anche se proprio non ha idea di come fare.

Sospira stanca e cerca di prendere un poco di coraggio per uscire dalle mura della sua stanza. In fondo, tempo prima ha preso un impegno troppo importante. E lei non è una che lascia le cose a metà, mai.

Non appena si chiude la porta di camera sua alle spalle, una voce proveniente dalla cucina la fa sobbalzare, la fa rabbrividire, la rende instabile, anche solo con quella semplicissima domanda che la donna le ha appena rivolto. Una domanda innocua per chiunque, ma non per la ragazza e per tutto quello che ha dentro.

«Leti, stai uscendo?»

La mora sospira e si passa nervosamente una mano tra i capelli mossi, mentre si avvia con passi lenti ed insicuri verso la stanza, con il cuore che le batte sempre più forte nel petto, facendole male.

«Sì...» risponde atona; gli occhi inespressivi e fissi sul pavimento pur di non incontrare lo sguardo dell'altra persona presente in cucina. «Vado... All'ospedale.»

Sente i passi della donna farsi sempre più vicini a lei, fino a che due mani tiepide non le accarezzano delicatamente il viso e portano i suoi occhi scuri all'altezza di quelli grigi di Azura, che le sta davanti e che le sta sorridendo, dolce, amorevole, proprio come una madre dovrebbe fare.

«Allora passate un buon pomeriggio.» le augura; il tono sincero, la voce tranquilla, lo sguardo che trasmette solo tanto affetto e che lentamente fa sprofondare Letizia ancora più a fondo in quel pozzo che la risucchia giorno dopo giorno, divertendosi a testare quanto ancora potrà resistere in piedi sulle proprie gambe, prima di cadere del tutto, per non rialzarsi più.

Non dice niente, lei. Si chiude nel suo silenzio, l'unica arma di difesa che ha e che usa ogni volta che ne ha bisogno, per tenere lontano qualsiasi cosa; per tenere lontano chiunque, pur di proteggere quel poco che le rimane e che non ha alcuna intenzione di perdere.

Si scosta piano da quel tocco delicato e tiepido, come se scottasse, come se dovesse tenersene lontana per non restarne bruciata; per non ferirsi più di quanto già non sia; per non far prendere il sopravvento ancora una volta alla rabbia, allo sconforto e alla frustrazione per tutto quello che vorrebbe non dover vivere.

Volta le spalle alla donna dai capelli castano scuri e dagli occhi più gentili, dolci e pazienti che abbia mai visto in tutta la sua vita. Non la saluta, non la ringrazia. Si avvicina alla porta e la apre, rabbrividendo al sentirla cigolare in quel modo. Poi è un attimo, e si volta indietro, trovando quel grigio caldo ad accoglierla ancora. In silenzio, le fa solo un lieve cenno con la mano e corre via, letteralmente. Corre, perché non si spiega quel gesto, non si spiega quel voler esternare quella gratitudine infinita che sente dentro e che non vorrebbe provare, non verso Azura, non con quell'affetto che le fa solo male, anche se non dovrebbe. Corre per non doversi sentire così, senza una meta, con solo un enorme buco nero nel cuore, una ferita che sta lì da troppo tempo, senza che nessuno la curi, di cui solo lei conosce l'esistenza.

Una volta che ha messo abbastanza metri tra lei e quella casa, il passo diventa più regolare; la musica nelle orecchie riesce a calmarla un poco; il cuore smette di battere così veloce; il respiro torna tranquillo; mentre lei cerca di non pensare a niente, mentre aspetta l'autobus che la porterà all'ospedale. Cerca di non permettere a quell'affetto di penetrarle nel cuore. Perché sa di non meritarlo, sa che non può permettersi un lusso simile, che non si merita neppure un grammo dell'amore sconfinato di Azura nei suoi confronti.

Sospira, la musica che intanto la porta fuori dal mondo, la rinchiude per un poco in quella bolla di pace e di tranquillità di cui ha bisogno in quel momento; quella bolla che la difende e che non permette a niente e nessuno di infierire oltre. La protegge, anche se non sarà mai sufficiente per ciò che ha dentro e che non aspetta altro che farle male, divertendosi nel vederla agonizzante, preda di quella confusione a cui mai riuscirà a trovare un ordine.

Perché è passata una settimana da quando Calum Hood è riuscito a distruggere i suoi muri, la sua unica difesa. E sta facendo fatica, troppa, per rimetterli in piedi; mentre il dolore si fa più vivo, giorno dopo giorno, senza darle modo di poter mettere una fine a ciò che le fa male, con quel senso di vuoto, di incompletezza che le sta sempre dietro, come se volesse premere su quella ferita che mai guarirà. È per questo che sta mettendo nuovamente ogni grammo di se stessa, di ciò che è rimasto di lei; per far sì che quelle mura non cadano più, per nessun motivo; per renderle ancora più forti, impenetrabili e solide di quanto già non fossero. Perché non vuole più stare con il dolore addosso; vuole mandarlo via, ad ogni costo, pur di tornare a respirare, pur di tornare a vivere quella vita che le è stata strappata via troppo presto, prima che potesse anche solo capirla un poco.

L'autobus arriva e lei sale, sedendosi su uno dei posti in fondo sulla sinistra, la fronte poggiata al finestrino freddo e gli occhi color cioccolato puntanti sulle poche persone che sono lì dentro, magari sperando di poter trovare una risposta alle domande che le assillano la mente e a cui tuttavia non riesce a trovare una risposta. Per lo meno non ancora. Intanto continua a pensare, e la musica continua ad andare, a farle compagnia, mentre lei osserva tutto attentamente, con gli occhi di chi, a volte, riesce a cogliere l'attimo perfetto.

Ed è mentre quei pensieri le frullano per la testa, che si decide a prendere il suo quadernino verde, per sfogarsi un po'. E già soltanto sentire sotto i polpastrelli la carta ruvida la calma, più di quanto riesca a fare la musica. Apre la penna ed inizia a scrivere, a buttare giù parole su parole. Si sfoga; dà vita a tutte quelle cose mai dette le gravavano sul cuore. Scrive, e si sente un po' più leggera, un po' meno oppressa dal peso di quel buio che ha dentro. È come se mettere su carta i suoi pensieri, i suoi sentimenti, la aiutasse a mandar via un poco di dolore, è come se la aiutasse a fare un po' più di ordine nel casino immenso che è la sua vita. Scrive sempre, Letizia; fin da quando era piccola è sempre stata l'unica cosa che non ha mai mollato, che le ha sempre tenuto compagnia anche nei momenti più bui; la sua unica passione, la sola via d'uscita per scappare da tutto il resto.

Ogni volta che lascia pieno campo alla sua mano e alla sua mente che buttano giù parole dopo parole, si sente meglio, in ogni senso, è più tranquilla e non potrebbe chiedere niente di più. Non è molto, ne è consapevole; ma per adesso quel poco che c'è riesce a far tanto, molto più di quanto lei si sarebbe mai immaginata.

Sospira e scrive. E la musica continua a tenerle compagnia, a scaldarle un poco l'anima, mentre lei tenta ancora di tenere lontano dal cuore Azura e il suo tocco delicato che, insieme a quegli occhi color caffè, riesce soltanto a mandarla in pezzi, più di quanto già non sia.

Scrive, ma la testa è da tutt'altra parte, ferma a quando la donna le ha fatto quella proposta circa tre mesi prima.

Era in camera sua, sul letto, la musica accesa che ben si sentiva dal PC anche se il volume era basso. Aveva il suo quadernino verde in mano e lo stava sfogliando, pur di trovare nella sua vita qualche cambiamento che avrebbe potuto aiutarla, che avrebbe potuto darle quella spinta in più che le mancava per reagire. Tuttavia, non riusciva a trovare niente che potesse anche solo darle un minimo di speranza.

Ed era stato mentre lei cercava quella risposta a tutti quei Perché? che la accompagnavano da tutta una vita, che qualcuno aveva bussato alla sua porta perennemente chiusa, attirando la sua attenzione.

«Avanti.» aveva detto, sorpresa. Perché nessuno aveva mai bussato alla sua porta per entrare, Madison per prima; quindi non aveva la benché minima idea di chi potesse essere.

Dopo pochi secondi, sulla soglia della camera era apparsa la figura di Azura, i capelli lunghi raccolti in una coda morbida e bassa, gli occhi grigi che l'avevano osservata quasi con timidezza, con il timore di sbagliare anche la più piccola cosa che avrebbe potuto rovinare quel qualcosa che Letizia non riusciva a capire, non ancora.

«Ciao tesoro.» l'aveva salutata la donna, prima di avvicinarsi con calma al letto della mora e sedercisi.

La ragazza si era spostata per farle spazio, e subito il suo volersi difendere aveva preso il sopravvento su tutto il resto, rendendola tesa, rigida, pronta a fuggire non appena la situazione si fosse fatta insostenibile, almeno per lei.

«C–Ciao.» aveva risposto, stringendo le gambe al petto, come a volersi difendere ancora di più.

Azura aveva sorriso tranquilla e le aveva dato una piccola brochure colorata.

«Cos'è?» aveva chiesto la ragazza, una volta aperto il volantino, non capendo di cosa si trattasse.

«All'ospedale dove lavoro hanno deciso di dar vita ad un progetto per dare un po' di compagnia a chi, per un motivo o per un altro, non viene spesso visitato dai propri parenti.» aveva iniziato a spiegarle la donna con il sorriso sule labbra; e la mora si era sorpresa nel ritrovarsi interessata a quello che la donna le stava dicendo. «Se si vuole partecipare, basta presentarsi e dire ad un infermiere di voler far parte del progetto. Ed una volta che affidano una persona, quella resta il partner dell'altro fino a che non esce dall'ospedale o fino a che l'altro non decide di smettere di partecipare.»

Letizia aveva puntato lo sguardo verso la finestra, incuriosita da quella cosa fatta a fin di bene. Eppure...

«Cos'ha a che fare tutto questo con me?» aveva chiesto, non capendo perché Azura gliene stesse parlando.

La donna aveva addolcito lo sguardo e si era seduta meglio sul letto prima di rispondere.

«Se vuoi, potresti partecipare. Potresti riempire i pomeriggi vuoti, dato che non frequenti nessun corso extra a scuola.» le aveva consigliato, prima di alzarsi e di avvicinarsi alla porta.

«Potresti seriamente prenderlo in considerazione. Magari ti fai pure qualche amico.» aveva aggiunto sempre con il sorriso sulle labbra, prima di lasciare del tutto la stanza, mentre la mora cominciava a sentire qualcosa nel petto.

Due minuti dopo, Letizia stava aspettando l'autobus. L'aveva preso e aveva passato l'intero viaggio a chiedersi che cosa le fosse saltato in mente e che cosa stesse facendo. Non riusciva davvero a spiegarsi il proprio comportamento, non riusciva a capire quel calore tiepido che le era nato dentro al cuore.

Una volta arrivata, aveva chiesto a Christine – l'unica infermiera che conoscesse, dato che era collega di Azura in ostetricia – di partecipare.

È all'ospedale da pochi muniti. E già vorrebbe andarsene, pur di non sentire quell'odore opprimente, pur di non permettere alla tristezza di quel posto di entrarle dentro, per restarci e crescere. Passa lentamente gli occhi grandi sulle pareti dipinte di bianco, tristi, senza neppure un poco di colore a ravvivare l'ambiente. Come se dei colori su una parete potessero cambiare la situazione di chi si trova lì dentro; come se fossero sufficienti per mandar via la tristezza di alcuni, la rabbia di altri, la frustrazione di chi sta fuori ma vive tutto lo stesso per quelli che gli stanno a cuore e che stanno male.

Si passa una mano tra i capelli sciolti, scostandoseli dagli occhi, e si sistema gli occhiali sul naso, cercando di prendere tutto il coraggio che le serve per affrontare quel pomeriggio, il coraggio di cui necessita per non correre lontano da lì come una codarda. Perché lei non lo è, non lo è mai stata, anche se a volte avrebbe preferito esserlo; avrebbe preferito scappare invece di ritrovarsi completamente indifesa davanti a quel qualcosa che non riesce a sconfiggere da sola, con le poche forze che ha e che mai saranno sufficienti per salvarla del tutto.

Scuote la testa, impercettibilmente. Vuole allontanare quei pensieri, almeno per poco, per poter passare tranquillamente quel pomeriggio in cui ha bisogno di tutta la sua concentrazione per non lasciarsi andare, per mantenere un po' quella lucidità che cerca a tutti i costi di non perdere. Deve essere forte, come tutte le volte che va lì. Perché quella persona che va a trovare ha bisogno di lei. E Letizia sa troppo bene quanto importante possa essere anche il più piccolo gesto, per le persone che stanno male.
Si affretta a passare il più lontano possibile dal reparto di ostetricia e di maternità, con i brividi addosso e gli occhi fissi sul pavimento. Arriva velocemente in quello di traumatologia, la sua meta da ormai tre mesi a quella parte, e subito va decisa verso la stanza 357, quella con le veneziane della finestra che dà sui corridoi quasi sempre tirate giù, come a voler dividere ciò che sta al suo interno da tutto il resto. Bussa, e un lieve «Avanti.» si fa sentire da dietro la parete di compensato.

Letizia abbassa la maniglia ed entra. E subito il sorriso allegro del ragazzo seduto sul letto la accoglie.

«Stavo iniziando a preoccuparmi, sai?» le dice lui, salutandola e sistemandosi meglio il cuscino dietro la schiena.

«Tranquillo, una volta che ho preso un impegno lo finisco sempre.» ribatte la mora, sedendosi ed iniziando a mettere fuori dalla borsa quelle poche cose che le serviranno per quel pomeriggio.

Lui ridacchia e le si fa lievemente più vicino, per quanto la gamba completamente ingessata possa permetterglielo.

«Come stai?» le chiede come al solito, con quel tono che vuole ricevere soltanto verità come risposta. Una verità che tuttavia la ragazza non riuscirà mai a dire, troppo grande da affrontare.

«Bene.» risponde atona, con gli occhi ancora rivolti a terra, mentre i brividi continuano a correrle sulla pelle. Sa che sta mentendo, ma non riesce a fare altrimenti, è più forte di lei.

L'altro scuote lievemente la testa e sospira, prendendo tra le sue mani quella della mora ed accarezzandola piano.

«Leti, non mentirmi, sai che non serve a niente.» le dice, con i suoi occhi talmente verdi da sembrare trasparenti che le si parano davanti, sempre così attenti, sempre così pronti a trapassarle l'anima se necessario. È come se volesse conoscerla, lui, come se volesse farlo davvero, senza riuscire ad accontentarsi di ciò che c'è fuori. È come se volesse conoscere a tutti i costi quel peso che la ragazza porta dentro al cuore, anche se lei non riesce a capire il perché. In fondo, la vita di Letizia Lewis non è mai interessata a nessuno a parte lei. Cosa dovrebbe trovarci lui di così tanto interessante?

Distoglie lo sguardo e sospira ancora, stanca di tutto.

«Che senso avrebbe dirti la verità, Michael? Non cambierebbe niente comunque, rimarrei con la stessa merda intorno sempre.» commenta; la voce ancora atona, gli occhi che cercano di non mostrare quello che ha dentro, quel poco che rimane di lei che vuole proteggere ad ogni costo.

Il ragazzo scuote di nuovo la testa e sospira, prendendo il viso della mora tra le mani e facendo in modo che i loro occhi siano nuovamente gli uni davanti agli altri, mentre i brividi tornano a correre sulle braccia scoperte di lei.

«Forse potrebbe aiutarti ad affrontare meglio tutto quanto.»

Letizia sospira piano, senza dar segno di voler porre fine al contatto tra i loro sguardi. E intanto continua a chiedersi come quel rapporto tutto particolare sia riuscito a nascere tra lei e Michael Clifford, quel ragazzo che sembra capirla molto meglio di quanto lei immagini.

Si conoscono solo da pochi mesi, eppure lui le è entrato dentro al cuore in un modo che ancora la mora non riesce a spiegarsi, un modo che un po' le fa paura. Perché è da troppo tempo che non fa nuove amicizie. Eppure, con Michael è stato semplice, è venuto fuori da solo il loro legame, nato giorno dopo giorno, pomeriggio dopo pomeriggio, ora dopo ora. Non hanno mai raccontato all'altro la loro storia, ma è come se in un certo senso i loro occhi avessero fatto tutto, come se semplicemente avessero mostrato all'altro quanto bastava per potersi fidare, per poter mettere le basi per quella strana amicizia a cui Letizia stenta ancora a credere, diffidente com'è sempre stata e scettica su ogni cosa che sembra andarle bene nella vita. Perché ha imparato che le cose belle finiscono sempre troppo presto, e il dolore dell'illusione di aver trovato finalmente un po' di pace è sempre più forte di tutto il resto. E lei non è pronta a vedere la fine di quel legame tra lei e quel ragazzo di cui sa davvero poco, e di cui tuttavia si fida come non ha mai fatto con nessun altro, dopo Madison. Non avrebbe mai creduto che, grazie alla proposta di Azura, avrebbe potuto trovare qualcuno che in qualche modo potesse alleggerirle un po' il peso che porta da sempre sulle spalle. È come se Michael riuscisse sempre a capire che cosa non vada e che cosa le stia passando per la testa, come se anche lui avesse passato un periodo simile a quello che sta vivendo lei da troppo tempo. Tuttavia, anche se sembrano simili, loro due sono molto diversi, a partire dal fatto che lui è riuscito a prendere la sua vita in mano e a farla ritornare alla luce, lei ancora no. E molto probabilmente non ci proverà mai, troppo spaventata di poter cadere e farsi ancora più male.

«Io non sono come te.»

Lui sorride dolcemente e le accarezza una guancia, senza smettere di guardarla negli occhi. «Hai ragione. Sei molto più forte di me, Leti. Perché anche se i tuoi muri cadono, tu ritrovi sempre la forza di reagire. Cosa che invece io non sono stato in grado di fare quando sono stati i miei muri a cadere.»

Lei resta senza parole, come ogni volta che va a trovare quel ragazzo che sempre riesce a leggerle dentro, mostrandole tante di quelle cose che la mora non sa mai che cosa fare. E ancora non sa bene se sia un male oppure no, il fatto che il loro rapporto stia sempre diventando sempre più importante, per entrambi.


Letizia

Ciao bellissimi tesori miei! Spero stiate bene e spero, come sempre, che questo capitolo vi sia piaciuto :3.

Abbiamo l'entrata in scena di due nuovi personaggi: Azura e Michael, il nostro Clifford, che tenero che è!!!!

Che ne pensate del rapporto che Leti ha con loro due? Fatemi sapere, ci conto! <3

Detto questo, ringrazio tutti voi per ogni singola cosa; sul serio, siete pazzeschi ed io vi amo! <3

A presto; un bacione immenso, Letizia! <3

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Facebook: Letizia Hathaway (ho sempre la foto di uno dei 5sos come profilo, generalmente Calum;)

Twitter: letizia2597

Efp (per chi ci fosse segnato): Letizia25

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