Eloise - Figlia di una schiava

Da NonEsisteNome

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Quando sei una schiava, nulla è facile. Gestire la tua vita diventa tremendamente complicato, soprattutto qua... Altro

Prologo
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
Capitolo X
Capitolo XI
Capitolo XII
Capitolo XIII
Capitolo XIV
Capitolo XV
Capitolo XVI
Capitolo XVII
Capitolo XVIII
Capitolo XIX
Capitolo XX
Capitolo XXI
Capitolo XXII
Capitolo XXIII
Capitolo XXIV
Capitolo XXV
Capitolo XXVI
Capitolo XXVII
Capitolo XXVIII
Capitolo XXIX
Capitolo XXX
Capitolo XXXI
Capitolo XXXII (Parte I)
Capitolo XXXIII (Parte II)
Capitolo XXXIV
Capitolo XXXV
Capitolo XXXVI
Capitolo XXXVII
Capitolo XXXVIII
Capitolo XXXIX
Capitolo XL

Capitolo IV

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Da NonEsisteNome

Ci fu un ultimo saluto fra me e mia mamma, nulla di estremamente strappa lacrime, figuriamoci. D'altronde, non c'era nemmeno bisogno di esagerare; si trattava di un periodo indefinito, il che non significava per sempre. I padroni ci concessero un abbraccio, nient'altro e Christina ne approfittò per sussurrarmi all'orecchio: «Abbi cura di te e ricorda: se eseguirai alla lettera i loro ordini, non ti verrà torto un capello» ed io, questo, lo sapevo benissimo. Solo, non ero felice di doverlo fare.

Osservai tristemente la limousine nera con i finestrini completamente offuscati andare via e portarsi dietro anche una parte di me. Sapevo già che mia madre mi stava lasciando in pasto agli squali. Mi domandai a cosa servisse lei nelle questioni di lavoro del padrone e la risposta fu fin troppo chiara: la padrona voleva allontanarci. Per me era quella la verità.

Agatha mi posò una mano sulla spalla, aprendo le labbra in un sorriso maligno, che le metteva in mostra i canini aguzzi. «E così sei rimasta sola, piccola Eloise», ghignò soddisfatta ed io non risposi. Avrei voluto guardarla con aria di sfida, ma mi limitai a mostrarmi indifferente e questo, probabilmente, le diede ancor più fastidio. «Non che cambi molto, schiava eri e schiava rimani.»

Sapevo benissimo anche questo. Con o senza la presenza di mia madre, loro potevano fare di me tutto ciò che volevano. Mia madre era soltanto il mio appoggio, la spalla su cui piangere, l'unica persona che in quella casa mi amava, insomma, il mio unico punto di riferimento. Come per lei doveva esserlo stato mio padre. «Vuole che faccia qualcosa, mia signora?», domandai sfacciata, sorridendo appena per non lasciar trasparire il mio vero stato d'animo. Ero turbata. Malinconica. E triste.

«Per il momento nulla di pesante. Ritira gli abiti in lavanderia e fa' attenzione che non si sgualciscano», annuii ubbidiente ed esiguii gli ordini, dirigendomi verso la lavanderia.

Il tragitto non era lungo e quel giorno non mi curai di ciò che mi stava attorno, camminai a testa bassa immersa nei miei pensieri e poco dopo, mi pentii inevitabilmente di averlo fatto.

Ero quasi arrivata, la porta della lavanderia era vicina e mancava poco così dall'entrare nell'unica stanza nella quale sarei stata al sicuro: nessuno della famiglia frequentava mai la lavanderia, era troppo sporca, umile e sciatta per gente del loro rango. Abbassai la maniglia, sempre a testa bassa e mi catapultai all'interno, con troppo foga, perché andai a sbattere contro qualcosa.

E se fosse stato qualcosa, probabilmente, sarebbe stato meglio.

«Cazzo, ma cosa fai? Hai fatto cadere tutti i miei libri, stupida schiava!» sbraitò e nel riconoscere quel timbro, il mio cuore perse un colpo.

«S-signorino.. Luke» balbettai impaurita. «Io..mi dispiace davvero. Non volevo, scusatemi, lasciate che vi aiuti», mi affrettai a dire e a rimediare all'errore che avevo commesso.

«Hai rallentato il mio lavoro, cazzo, schiava!» urlò. Non avevo il coraggio di alzare lo sguardo e di guardarlo in viso, ma sapevo che lui era già arrabbiato per qualcosa, altrimenti non avrebbe reagito in quella maniera. Difficilmente perdeva le staffe, di solito manteneva la postura silenziosa e indifferente nei confronti del mondo intero.

«Io... sono mortificata, signorino. Lasciate fare a me» tentai di rimediare, ma sapevo benissimo che qualunque cosa avessi fatto sarebbe risultata inutile.

Snudò le zanne, mettendo in bella mostra i suoi lucenti denti affilati, affinché io vedessi cosa avrebbe potuto farmi, se solo avesse voluto.
«Sta' ferma, non ho bisogno di te per raccogliere le mie cose!»

Nella caduta, mi soffermai a guardare i fogli che erano volati dai libri che prima reggeva in mano e capii perché si era innervosito in quella maniera. Si trattava di disegni, i più belli che avessi mai visto e il mio sguardo cadde su uno di quelli che ritraeva una donna nuda, ma delicata. Una sciarpa leggera, tanto da sembrare velluto, teneva coperte le sue zone private, dando al disegno un'aria di classe e non volgare. La mia bocca si aprì automaticamente e in quel momento pregai che qualcuno mi tagliasse la lingua. «Dio, siete così bravo! Che disegni meravigliosi!»

Raccolse in fretta le sue gioie e le nascose, fra le pagine dei libri e all'interno della maglia. «Tu non hai mai visto questi disegni, ci siamo intesi, Eloise?», quando mi chiamò per nome capii che forse con quel mio complimento l'avevo un po' calmato. Forse non era stato poi così sbagliato. Mi inchiodò al muro, snudando nuovamente i canini. «O ciò che hai passato con le mie sorelle, sarà stato solo un assaggio leggero di tutto il male che ti infliggerò» e non poteva essere più diretto di così. Adesso sì che avevo paura, nonostante in quei capelli biondi e quegli occhi intensi, azzurri, sembrasse non esserci nulla da temere. «Hai capito?» urlò, non ricevendo alcuna mia reazione. Mi affrettai ad annuire, mentre tremavo come una foglia.

I contatti con il signorino, anche in passato, erano stati sempre limitati sebbene avessimo la stessa età. O lui mi ignorava del tutto, facendo finta che io non esistessi, o mi chiamava solo quando gli servivo. Ero una schiava, il mio compito era quello. Dal canto mio moltissime volte mi ero fermata ad ammirarlo da lontano, nei miei anni di vita non avevo mai visto un bambino ed in seguito un ragazzo così bello.
Non che ne avessi visti molti, s'intende, ma in casa Royalts ogni tanto girava qualche schiavo della mia età o circa.

Finalmente si allontanò, imboccando la porta per uscire ed io tirai un sospiro di sollievo. Ma non potevo ancora cantare vittoria. Di colpo si voltò prima di andare via. «Non credere che la passerai liscia, Eloise. Meriti una doppia punizione, per essermi finita addosso e per aver osato parlare dei miei disegni» inclinò le labbra in un ghigno, un ghigno malefico che non avevo mai visto su quella bella scultura marmorea che era il suo volto. «Ti aspetto nella mia stanza questa sera, a mezzanotte. Non avrai scampo» e fu così che lasciò la lavanderia e il mio cuore prese a tamburellare nella cassa toracica. Ero spaventata, non sapevo cosa mi sarebbe accaduto. A cosa sarei andata incontro. E se mi avesse morsa anche lui? Questa volta, ne ero certa, non ne sarei uscita viva.

Cercai di rimuovere quei pensieri e mi dedicai alla lavatrice e ai bei abiti che essa conteneva. Certo, di belli erano belli, ma cosa se ne faceva una potente famiglia di vampiri di abiti così costosi? Evidentemente, non sapeva come spendere i suoi soldi, altrimenti non c'era altra risposta.

Non ho mai desiderato essere ricca, ma non nascondo che avrei voluto quel poco che mi sarebbe bastato per liberare me e mia madre da quella tremenda condizione di schiavitù.

Dopo aver stirato tutti i vestiti della signora Agatha, i completi di Armani che il signor Philip aveva lasciato a casa e gli abiti griffati delle gemelle e del signorino Luke, mi presentai nella stanza della padrona, perché era lì che li avrei dovuti sistemare.

Bussai alla porta e mentre attendevo una risposta, non mi sfuggirono dei gemiti di piacere provenienti dall'interno della camera. «Chi è?», urlò Agatha inacidita. Sembrava irritata, come se avessi disturbato qualcosa di importante.

«Sono Eloise, mia signora.. ho portato i vestiti da mettere in ordine», mormorai con voce calma e pacata.

«Oh, vieni Eloise, entra.»

E quando entrai, ciò che vidi mi lasciò sconcertata. Finora non mi era mai capitato di beccare la padrona mentre tradiva il signor Philip, nonostante sapessi che per i due fosse consuetudine. Imbarazzata mi coprii gli occhi con le mani e mi voltai dall'altro lato. «Io... mi dispiace mia signora, torno più tardi.»

«Ti ho fatta entrare io, calzi proprio a pennello. Voltati», mi ordinò ed io non avevo alcuna intenzione di farlo. Infatti opposi resistenza per un po' di tempo, poi, dopo ripetuti colpi di tosse fui costretta ad eseguire gli ordini. Mi girai lentamente, non togliendo però le mani dal volto. «Guardaci, Eloise» a quelle parole non potei far altro che ubbidire e davanti a quella scena per poco non mi venne un conato di vomito. La padrona si trovava sopra un ragazzo giovane, doveva avere a malapena la mia età, il quale poveretto era costretto a stare sotto e a subire tutto il suo peso. Agatha era leggerissima, aveva un fisico magnifico ma quando ci si metteva sapeva come infliggere dolore con la forza del suo corpo e dalla faccia del ragazzo capii immediatamente che lo stava facendo.

«Avvicinati» deglutii nel sentire quelle parole e, posata la cesta con gli abiti su una sedia, feci come richiesto. «Ti presento Zach, lui è il mio schiavo sessuale personale, completamente al mio servizio. Chi credi sia stata a togliergli la verginità tre anni fa, quando aveva appena quindici anni? Ovviamente io.»

Provai un moto di compassione nei confronti del ragazzo, ero terrorizzata all'idea che qualcuno potesse prendersi la mia verginità contro la mia volontà. Agatha lo teneva legato con delle manette alla testiera del letto e aveva inciso su tutto il suo corpo delle scritte con le unghie, dalle quali fioriusciva un liquido denso, rosso scarlatto: sangue. La padrona si avvicinò alle ferite e cominciò a succhiare la linfa vitale che fioriusciva dagli stralci aperti.

Era bellissima. Aveva la pelle candida e marmorea come quella di suo figlio e delle forme tanto armoniose da risultare irresistibili.

«Fatti avanti, Eloise, ce n'è anche per te» cosa voleva, esattamente, da me? Non avevo mai bevuto sangue e non lo avrei di certo fatto.

«C-come... mia signora?» domandai con voce flebile e impastata dalla paura.

«Avanti, non ne vuoi forse un po'? Non ti attira questo colore rosso, brillante e questo profumo... mh, inebriante?», ispirò con tutta se stessa e si leccò le labbra. Evidentemente il gusto del sangue di Zach doveva piacerle.

«Io... veramente no, grazie» risposi, facendo un passo indietro e torturandomi le dita per l'ansia e la tensione.

«Bevi. Guarda, c'è una ferita all'altezza del collo, leccala», mi ordinò ed io indietreggiai ancora. Non avevo alcuna intenzione di eseguire ciò che mi era stato chiesto.

«No, grazie», le mie parole la fecero infuriare tremendamente. Mi prese la testa, stringendomi per i capelli e strattonandomi. Mi spinse sull'inguine del ragazzo, con una tale forza da farmi male. Era quello il suo intento. C'era una ferita appena aperta, probabilmente la più profonda e fu proprio lì che sprofondò il mio viso.

Ero terrorizzata, tutta la situazione mi faceva tremendamente schifo.

«Cosa fai, eh? Provi ribrezzo per la mia razza? A fare schifo siete voi, stupidi schiavi!» mi urlò e mi colpì forte al viso, lasciandomi un evidente segno rosso. In men che non si dica, la mia guancia andò a fuoco.

Dopo la violenza ricevuta dalle gemelle, era la prima volta che mi capitava con la padrona. Finora, non mi aveva mai procurato del male fisico. «Mi avete fatto male» protestai.

«E te ne farò dell'altro, se non eseguirai i miei ordini», il motivo per cui voleva che io bevessi sangue umano era chiaro: voleva umiliarmi, farmi sentire un mostro proprio come loro.

«Quando c'era mia mamma non mi avete mai fatto male» osai ribattere, non ero una schiava senza carattere e sapevo che prima o poi questo mi avrebbe portata alla morte. Ma non m'interessava, non ce la facevo più ad essere continuamente umiliata.

«Sai come si dice? Quando il gatto non c'è, i topi ballano», rise di gusto e malignamente, tanto da farmi paura. «Sei la mia schiava, posso farti tutto ciò che voglio» tuonò poi e anche Zach sotto di lei sussultò per la paura. Con lo sguardo comprensivo mi invitava a compiere il mio dovere, sapeva anche lui che era meglio così per me.

«Avanti, bevi!», a quel punto cominciai a leccare la ferita del giovane e quando il sangue mi arrivò in gola per poco non trattenni un conato di vomito.

Io, che il sangue l'avevo sempre odiato. Io, che quando da bambina mi usciva dal naso piangevo come una disperata. Io, che alla prima mestruazione non avevo avuto il coraggio di ripulirmi. Io, che di sangue non volevo nemmeno sentirne parlare. Ero stata costretta a berlo, dietro le risate di una spregevole donna che dalla vita aveva tutto, ma non era mai soddisfatta. E lei sapeva bene, cosa provavo nei confronti del sangue eppure continuava a tenere premuta la mano sulla mia nuca, incitandomi a bere.
«Ti trasformerei in una di noi per il solo gusto di vederti soffrire nel dover bere sangue continuamente» non sarei mai diventata una di loro, non volevo esserlo. Potevano uscire soltanto di notte, senza bearsi della luce solare, a meno che non indossassero amuleti magici. Questa io la definisco prigionia. Erano dipendenti da una sostanza dal sapore ferroso, costretti ad uccidere numerose persone giorno dopo giorno. Loro erano malefici, spietati. Io, no. «Ma non vorrei mai donarti la vita eterna» continuò beffarda, credendo di darmi dispiacere. Ma non sapeva che io non avrei mai voluto vivere lì dentro per sempre, a servire i succhiasangue. Anzi, non vedevo l'ora che arrivasse il mio giorno, la mia vita era fin troppo pietosa.

«Basta!» esordì d'un tratto e nel sentire quelle parole fui tremendamente sollevata. «Pulisciti il muso vicino al tuo grembiule e poi va' a sistemare i miei vestiti, adesso devo divertirmi io con il mio amato Zach.»

Non ci pensai su due volte, mi alzai di scatto e nonostante non volessi imbrattare e rovinare il mio vestito - che allo stesso tempo sembrava quello di una prostituta - , mi ripulii il muso da quella schifezza rossastra e trattenni il vomito che minacciava di uscire.

In fretta sistemai i suoi vestiti nell'armadio, così belli e preziosi, dovevano tutti essere costati un accidente. Magari avesse speso quei soldi per dare a me e mia madre una stanza migliore o almeno un letto poco rovinato. Ma la verità era che lei di soldi per farci stare meglio ne aveva fin troppi, semplicemente non voleva utilizzarli inutilmente.

«Io vado, con permesso» salutai con un inchino ma non ottenni alcuna risposta, come d'altronde capitava spesso. Noi eravamo obbligati ad essere gentili e cordiali con i padroni, ma loro ci trattavano come delle stupide pezze da usare soltanto.

Corsi in camera poiché ero allo stremo e vomitai. Dalla mia bocca uscì un denso liquido rosso e la sola vista mi procurò altro vomito. Terrorizzata Bernadette entrò nella mia camera e mi venne vicino, sostenendomi. «Oh, mio, Dio! Eloise, cosa ti è capitato?»

«La padrona...» tentai di spiegare, ma le mie parole furono interrotte da altro vomito, altro liquido scuro che fuoriusciva dalla mia bocca.

«Cosa, la padrona cosa?», Betty immaginava già tutto, ma non voleva crederci. Non voleva che fosse vero.

«Mi ha costretta a bere il sangue da un umano.»

«Come fanno quei...» le parole le si fermarono in gola, si portò le mani alla bocca sempre più sconvolta.

«...quei mostri, sì, quei mostri cara Betty» continuai io al suo posto.





ANGOLO AUTRICE

Sì, sì, lo so. Perdonate il mio ritardo ma sono giorni -anzi, settimane- di fuoco. Spesso mi chiedo perché io abbia scelto il Liceo Classico, oh, ancora non riesco a trovare una risposta. Non ho il tempo nemmeno per respirare e andare a dormire ogni sera a mezzanotte a causa dello studio mi provoca dei mal di testa così forti, che ogni mattina quando devo alzarmi mi sembra di dover andare al patibolo.

Angolo sfogo terminato, perdonatemi.

Dunque, veniamo a noi. Christina parte ed è soltanto il primo giorno, cosa capiterà ad Eloise durante la sua assenza? Non che cambi molto, lei è sempre stata una schiava e quindi le sarà riservato sempre lo stesso trattamento. Solo, sarà sola, tremendamente sola. E adesso, cosa vorrà Luke da lei? Beh, io non vi anticipo nulla, ma chi lo sa. E Agatha? Ah, 'sti potenti che non si accontentano mai. Povera la nostra schiava, Agatha è perfida e l'ha costretta a bere sangue. Tra l'altro Eloise odia il sangue!

Sostenetela da lontano, per cortesia, ne ha bisogno.

Ci vediamo... beh, spero presto!

Un bacio, miei adorati.

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