Catch My Breath

By skeIetonflower

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USA, 2034. Dopo una catastrofe nucleare di dimensioni apocalittiche, la popolazione si è dimezzata notevolmen... More

And then there was white.
Turn your back to me.
Kiss my ass.
Drink up, baby.
You can run away with me.
Are you with me?
No crimes.
Let's cheer to this.
City of ashes.
The sound of silence.
The day we tried to live.
Whisper of a thrill.
Lambda Point.
Protect me from what I want.
Disasterology.
Catch my breath.

Prologo

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By skeIetonflower

L'uomo alzò lo sguardo verso il cielo nero e greve.

Amava camminare per le strade della sua città quando calava la sera, quando la gente si zittiva e il silenzio regnava sovrano. L'unico suono era quello dei suoi passi sul marciapiede, mentre calpestava foglie secche e cartacce e fischiettava un motivetto della sua infanzia.

La sua città .

D'accordo, forse non era proprio il termine adatto.

Quella città  non apparteneva a nessuno, oh no, non ancora. Era ancora agli inizi, e la gente stava ancora ricostruendo le case, seppellendo i morti e rimettendo insieme i pezzi frantumati dei loro cuori. Erano passati soltanto due anni dall'Incidente, e chi, come lui, proveniente dalla Città  Alta, scendeva nei Bassifondi per una passeggiata notturna, poteva ancora respirare l'odore di morte, povertà , stanchezza e disperazione.

Ma un giorno sarebbe stata sua. Un giorno, avrebbe avuto in pugno tutto.

Un giorno. E quel giorno, poteva scommetterci, era molto vicino.

Svoltò in un vicolo in cui ricordava ci fosse uno dei pochi bar rimasti in circolazione. Non sapeva come facesse ad avere ancora la licenza per servire alcolici, ma si ripromise che, con lui al potere, sarebbe presto cambiato tutto.

Il mondo aveva bisogno di un cambiamento, un cambiamento drastico. L'Incidente aveva mandato a puttane la mente delle persone, e per rimettere tutti in riga bisognava forzare un po' la mano.

E se serviva sì, usare le maniere forti.

Perché le città  non si ricostruiscono con le carezze, né con la negligenza o la pietà.

Le città  si ricostruiscono con il potere.

Puro, semplice potere.

E lui voleva, desiderava, e aveva bisogno, un bisogno vitale, di quel potere.

Entrò nel bar.

Era piccolo, un vero e proprio bugigattolo, dove una decina di uomini ammassati l'uno sull'altro al bancone si passavano bottiglie di birra di dubbio marchio e provenienza, sotto la fievole luce di un lampadario e con nessuna finestra a far andare via il puzzo di sudore e alcol e respiri pesanti.

Non era più così facile reperire alcolici. Nessuno più correva il rischio di svolgere mestieri come il contrabbandiere, e quella poca merce contraffatta che arrivava in città  era sempre scadente.

Ma se la facevano bastare.

Lui non avrebbe mai capito come potevano quegli uomini basare la propria vita su vizi così assurdi e dissoluti. Perché rovinarsi in quel modo? Perché pur avendo la consapevolezza di star uccidendo la propria salute, l'uomo continuava a farsi del male?

Era per questo che quel paese aveva bisogno di un cambiamento.

E lui, lui era il cambiamento.

Non appena entrò nel bar, tutti gli occhi si puntarono su di lui. Non indossava mai gioielli e non portava mai con sé più dei soldi necessari, quando scendeva nei Bassifondi, ma in qualche modo il suo abbigliamento fece insospettire tutti i presenti.

Sapevano che era della Città  Alta. Lo sapevano benissimo. E per un attimo, lesse la paura nei loro sguardi. Magari era un Vigilante in incognito. Magari era lì per sbatterli tutti in prigione e chiudere quell'ultimo bar rimasto in giro.

Ma no, non era ancora il momento. Avrebbe voluto davvero spedire tutte quelle teste di cazzo a passare qualche mesetto in cella, ma ogni cosa andava fatta a tempo debito.

Il suo momento sarebbe arrivato presto.

Sorrise, avvicinandosi al bancone e sedendosi ad uno sgabello. -Salve. - disse gentilmente, aprendo la giacca di pelle e passandosi una mano fra i capelli. Fece un cenno di saluto ai due uomini accanto a lui.

Quelli ricambiarono il cenno, ancora dubbiosi.

Lui indicò la birra. -Posso?

L'uomo più vicino a lui gliela passò

-Grazie.

Si portò la bottiglia alla bocca, bagnandosi appena le labbra.

Non sapeva perché lo facesse. È che adorava immergersi nella realtà , in quella realtà . Vedere come erano le cose lì. Quanto squallida era la gente, quanto sporchi erano i locali, quanto tanfo di sudore si respirava. Lo aiutava a sentirsi potente. A sentirsi superiore.

-Beh, non la finisci? - chiese il tizio che gliel'aveva passata.

Lui fece un mezzo sorriso. -So che ne avete poca. Ecco, passala anche agli altri - e con due dita spinse la bottiglia verso di lui.

L'uomo annuì piano, approvando le sue parole. E si rese conto che non c'era più sospetto nei suoi occhi.

Come era facile ingannare le persone. Quanto stupidi erano.

Ben presto, però, si rese conto anche che c'erano tre tipi, in fondo al bancone, che non facevano che fissarlo. Continuamente.

Lui ricambiò lo sguardo un paio di volte, ma mai troppo a lungo. A volte se le cercava, ma questa non era una di quelle volte. Non aveva la pistola con sé, e si maledisse per questo.

Forse era meglio tornare a casa. Capiva sempre quando la situazione stava per sfuggire al suo controllo, e non poteva mettersi nei guai.

Si alzò, e vide subito gli occhi di quei tre scattare su di lui. Fece un cenno di saluto al tizio lì accanto, che lo fissò confuso, e si diresse verso la porta.

Uscì subito fuori, respirando di nuovo aria fresca e non il fetore di quei corpi luridi e sudaticci. Si diresse verso l'uscita del vicolo, ma si bloccò quando sentì la porta del bar spalancarsi di nuovo.

"Non voltarti e continua a camminare" pensò tra sé e sé.

-Ehi! Tu!

Chiuse gli occhi, inspirando a fondo.

Si volto'. -Si'? - chiese gentilmente, fingendo disinteresse.

-Sei uno di quei ricconi vero? Quelli della Città  Alta. - disse uno dei tre, il più basso, con una barba incolta e gli occhiali con le lenti spaccate.

-Ma certo, uno di quelli che i soldi gli escono dal culo - commentò l'altro, sghignazzando.

-Che ne dici se ne condividi un po' con noi, mmh? Un po' di carità  fraterna?

-Non ho soldi con me - rispose impassibile lui.

-E ti aspetti che dovremmo crederti? - chiese il terzo, quello con l'aria più incazzata.

Lui sospirò. No, non se ne sarebbero andati. Aprì il giubbotto, mostrando le tasche vuote. -Guardate, non ho nulla. Sul serio. Andate a tormentare qualcun altro.

Il terzo uomo annuì, facendo un ghigno divertito. Si avvicinò piano, indicando i pantaloni. -E lì dentro? O magari potremmo anche tagliarti un orecchio e spedirlo a tua moglie, per vedere se la tua famiglia è abbastanza ricca da pagare il riscatto?

Lui degluti'. Si metteva male. E non aveva via di fuga. Non poteva chiedere aiuto perché se i Vigilanti l'avessero beccato da quelle parti a quell'ora, sicuramente poteva dire addio alla sua carriera, e magari anche alla sua libertà .

Doveva vedersela da solo.

L'uomo si avvicinò ancora, seguito dagli altri due.

Lui sospirò.

Il tizio allungò la mano in uno scatto fulmineo e gli afferrò il collo, sollevandolo quasi da terra.

Iniziò a soffocare.

-Mi sa proprio che con un bel faccino così riceveremo una lauta ricompensa, che ne dite, ragazzi? - e gli altri due tipi risero e annuirono, divertiti.

Gli mancava l'aria. Non riusciva più a inalare ossigeno, e non riusciva nemmeno a levarsi quella dannata mano di dosso.

In un attimo si rese conto che avrebbe potuto non superare quella notte.

E si rese conto che sarebbe potuto morire nel modo più stupido del mondo.

Senza realizzare nulla di ciò che si era prefisso.

E poi, proprio in quell'istante, l'uomo lasciò la presa, cadendo all'indietro e crollando a terra, colpito in pieno da un sasso grande quanto un pugno.

Lui si liberò e fissò sbalordito il tizio a terra, che cominciava a sanguinare, mentre gli altri due si guardavano intorno cercando di capire chi avesse lanciato il masso.

-Ehi voi! - urlò una voce infantile, e una figura saltò giù dal tetto, cadendo proprio accanto ai due tizi.

Caricò di nuovo la fionda, colpendo in pieno sulla fronte uno dei due e si lanciò addosso all'altro, tirandogli un calcio nelle parti basse e facendolo piegare in due di dolore. Il colpo di grazia fu una gomitata sulla faccia che lo stese completamente.

Lui fissò scioccato quel bambino che aveva le forze di un adulto e il corpicino di un dodicenne.

Gli andò incontro. -Grazie - disse, davvero riconoscente, e il bimbo lo squadro' da capo a piedi.

-E' vero che non hai nulla? - domandò con la voce di uno che non mangia da giorni. Aveva il pantalone lacero e la t-shirt sporca e ridotta ormai a brandelli, ma lui vide la fierezza nel suo sguardo, e una voglia e una volontà  di vivere e lottare ancora che aveva scorto in pochi occhi fino ad allora.

-Sì, più o meno. Ma mi hai salvato la vita, e te ne sarò eternamente grato.

Il bimbo aggrottò la fronte. -La gratitudine è soldi? O cibo?

-No...

-E allora non me ne faccio niente della tua gratitudine. - Si voltò e stava già  per andarsene, quando lui si allungò e gli afferrò il polso, costringendolo a voltarsi.

-Come ti chiami, ragazzo?

Il bimbo esitò. -Frank - disse infine, guardandolo dritto negli occhi.

Lui contemplò uno degli anelli d'oro che aveva al dito, e decise che avrebbe compiuto un atto di carità , almeno per quella sera.

-Quanti anni hai, Frank?

-Dieci, signore.

-Bene. Ecco qui - disse lui, sfilandosi uno dei due anelli, quello con il sigillo della sua famiglia, e infilandolo al pollice del bambino, dato che le altre dita erano ancora troppo piccole e magroline.

Frank fece una smorfia di disappunto. -Un anello?

-Sì, e so che è d'oro ma non dovrai venderlo. - Gli prese il mento tra le dita, accovacciandosi di fronte a lui e fissandolo negli occhi. -Ascoltami, Frank. Non darlo mai a nessuno, d'accordo? Nascondilo, o fa' quello che vuoi, ma non lasciare che nessuno lo prenda.

-Perché?

-Questo è il tuo lasciapassare per il mondo dei grandi, Frank.

Il bimbo rimase in silenzio, rigirandosi l'anello e guardandolo come se fosse una delle sette meraviglie del mondo.

-Quando avrai bisogno di me, io ci sarò. Te lo giuro sulla mia stessa vita. È questa la mia gratitudine.

Frank sollevò gli occhi verso di lui. Annuì.

Poi scappò via.

Donald non sapeva se l'avrebbe rivisto ancora. Ma quel ragazzo gli piaceva, e vederlo vivere in quello stato gli aveva ricordato di quando era lui a passare le giornate in mezzo allo squallore e alla sporcizia, senza un tozzo di pane o un po' di acqua pulita.

Perciò, se mai fosse tornato da lui, l'avrebbe aiutato.

E quell'atto di carità  poteva benissimo bastare per il resto della sua vita.

Perché le città  si costruiscono con il potere, e Donald Way era il potere.





D'accordo, eccoci alla mia terza ff. Come al solito non posso stare troppo tempo senza scrivere dei frerard, o senza scrivere in generale, perciò eccomi qui. Per chi sta leggendo questa storia su wattpad, ringrazio la mia kuora Alex (HomophobiaIsWay) per la cover ideata da lei (bc io sono un'incapace e si è visto con la copertina di destroy me, rido).

E niente. Questa storia è diversa dalle altre due. È completamente diversa da tutto ciò che ho scritto finora, ma adoro reinventarmi e credo che questo sarà  un bell'esperimento per vedere come me la cavo con roba distopica. Ovviamente questo è solo il prologo e non vi prometto niente, ma forse ci sarà  da soffrire, eh già  :- )

Ringrazio tutti quelli che mi sopportano ancora, e che leggono ancora imperterriti le mie cagate. Tanti cuori per voi <3

Alla prossima!

M.

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