Election [I libro, Rose Evolu...

Von Esterk21

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Primo libro della Rose Evolution Saga 2# nel contest Miglior Libri 2016 Sponsor Links & WIAIta "L... Mehr

Diritti d'autore - Election
Revisione Conclusa!
Capitolo I (R)
Capitolo II (R)
Capitolo III (R)
Capitolo IV (R)
Capitolo V (R)
Capitolo VI (R)
Capitolo VII (R)
Capitolo VIII (R)
Capitolo IX (R)
Capitolo X (R)
Capitolo XI (R)
Capitolo XII (R)
Capitolo XIII (R)
Capitolo XIV (R)
Capitolo XV (R)
Capitolo XVI (R)
Capitolo XVII (R)
Capitolo XVIII (R)
Capitolo XIX (R)
Capitolo XXI (R)
Capitolo XXII (R)
Capitolo XXIII (R)
Capitolo XXIV (R)
Capitolo XXV (R)
Capitolo - XXVI (R)
Capitolo XXVII (R)
Capitolo XXVIII (R)
Capitolo XXIX (R)
Capitolo XXX (R)
Capitolo XXXI (R)
Capitolo XXXII (R)
Epilogo | Capitolo XXXIII (R)
Isola di Phērœs
Base Militare Alpha
Special!
LinkS
Genuine Goals

Capitolo XX (R)

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Von Esterk21

La sala era vuota. L'unica cosa, nonché quella da cui non riuscivamo a staccare gli occhi, era una parete rocciosa che s'innalzava dal pavimento sino a sfiorare il soffitto. Dei listelli in metallo colorato erano stati collocati lungo tutta la superfice, creando un effetto a chiazze ancora più ipnotico. Dovevamo usare quelli per salire fino in cima, dov'era incastrato un grosso pulsante.

«Eseguirete le prove in ordine di classifica, l'inizio della prova sarà annunciato attraverso gli altoparlanti. Alexa Dhuter, sarai la prima» la chiamò il Responsabile. Alexa si avvicinò alla parete, a confronto così gracile da poterne essere inghiottita. Alexa era sempre stata la più sfrontata durante gli allenamenti. Anche faccia a faccia con la prova non sembrava intimorita, si prese del tempo per esaminarne le varie sfaccettature. Stava cercando la trappola.

«Le cinghie sono state regolate in modo da bloccarsi a due metri da terra, se e quando cadrete. Nel casco c'è un microfono che vi terrà collegati con il centro di controllo; basterà una parola, nel caso riscontriate dei gravi problemi, perché intervengano. Una volta attivato il meccanismo di sicurezza, non avrete più l'occasione di ricominciare la prova. Scegliete bene ogni appiglio, il primo passo potrebbe essere decisivo».

Osservammo Alexa allacciarsi le cinghie come se ne andasse della nostra vita, ed era proprio così: qualunque trucchetto avevano in serbo per noi, per una volta c'era stata concessa la possibilità di vederlo senza doverlo vivere subito in prima persona. Io, che mi trovavo all'undicesimo posto, avevo altre dieci prove da cui imparare.

Almeno questa è davvero semplice, pensai.

Dopo l'ultima richiesta del Responsabile, indietreggiammo tutti di qualche passo. Internata nel pavimento, un vetro divisorio simile a quello nella Seconda Prova venne eretto. Questo era notevolmente più grande: si estendeva dalla parete di destra a quella di sinistra, proseguendo lungo le stesse fino a toccare il soffitto. Creava una sorta di spazio contenuto, dalla quale non si poteva scappare. Una volta in posizione, Alexa attese il segnale di inizio, già pronta con un braccio e un piede saldamente aggrappati ai listelli. La visuale non era delle migliori, troppo distante per cogliere i particolari, ma sicuramente un enorme vantaggio.

La sirena assordante diede inizio alla prova. Alexa cominciò rapidamente l'arrampicata, muovendosi deciso. La stanza era stata pensata per tenerci non troppo da non vedere ciò che succedeva, senza però lasciarci distinguere i listelli sulla quale si aggrappava. Per una piccola parte del tragitto non accadde nulla di insolito, tanto da farmi credere che non ci fosse alcun trabocchetto. Come, però, ci aveva avvertito il Responsabile, ogni passo lungo la scalata era quello decisivo.

Improvvisamente l'andatura spedita di Alexa rallentò. Apparentemente senza motivo, barcollava ed esitava, come fosse incapace di trovare un listello resistente. Poi, una cascata di scintille verdastre s'infransero al suolo, svanendo al contatto con esso. Alexa le evitò, continuando ad avanzare lentamente. I concorrenti iniziarono ad accalcarsi al vetro nel tentativo di vedere meglio, eppure non c'era modo di capire perfettamente quali colori stesse scegliendo. Riuscì ad andare senza problemi per qualche altro passo, finché le scintille non ripresero a piovere dal soffitto. Rispetto alla prima volta, furono seguite da blocchi grossi quando due pugni. Piovevano fino al limite della barriera, dove li vedevamo infrangersi ai nostri piedi: ricostruzioni di rocce dalla forma mista.

Era una frana.

Alexa non poté far molto, schivò quelli più prossimi e tentò di avanzare ancora. Le rocce cadevano a catenelle, senza alcun accenno a volersi fermare. Ci occludevano parte della visuale, continuare a seguire i suoi spostamenti iniziava ad essere difficile. Man mano che saliva l'intensità e la grandezza delle rocce variavano, finché dalla parete non iniziarono a ruzzolare dei macigni. Rotolavano in direzione di Alexa, infrangendosi dritti davanti ai nostri occhi. La visione di questi grossi sassi che ci investivano fu destabilizzante. Non so cosa accadde dopo, ma la ragazza perse la presa e si ritrovò a penzolare con un braccio dalla parete. Gli ci vollero alcuni tentativi prima di rimettersi in posizione. La vedevamo acquattarsi ogni volta che le rocce la colpivano, era come se la stessero ferendo. Con enorme sforzo saltò tre appigli, avvicinandosi sempre di più al suo obbiettivo: il pulsante. Uno dei listelli scomparve quando cercò di usarlo e la frana stava solo peggiorando. Si riversavano tutti davanti alla vetro, frantumandosi in scintille verdi che riempirono l'intera visuale. La parete e Alexa non c'erano più, era rimasta solo quella luce verde.

Quando il vetro divisorio iniziò finalmente a schiarirsi, i miei occhi passarono in rassegna la parete in alto. Il pulsante era illuminato. Non trovando lì Alexa, passai al suolo. Fu una visione devastante: la ragazza penzolava prona a due metri da terra. Sembrava priva di sensi, o forse era solo esausta dalla battaglia. Una vera battaglia con listelli che si frantumano e massi che cercavano di schiacciarti. Due militari la tirarono giù e quando l'imbragatura fu sciolta, la trascinarono fuori. Sì, trascinarono, perché a stento riusciva a reggersi in piedi.

«Per lo meno, prima di cadere, è riuscita a premere il pulsante» commentò il Responsabile, così che tutti potessimo sentirlo.

Osservai per altre nove volte la stessa scena: la fatica dell'arrampicata, gli appigli instabili e la frana crescente. Poi i massi diventavano così tanti da coprire tutta la visuale, il vetro si tingeva del verde al neon delle riproduzione olografiche e i candidati venivano trovati penzolanti, completamente esausti. Oltre Alexa, in pochi riuscirono a premere il pulsante. Molti si avvicinavano alla cima, ma per la maggior parte cadeva prima. L'unica cosa che mi convinse a guardare tutte le prove, fu la possibilità di trovare un meccanismo che mi permettesse anche solo di minimizzare i danni. Alcune cose le intuii: passata la prima sezioni comparivano le scintile, come fossero innescate da qualcosa; dalla parte centrale in poi gli appigli diventavano instabili e iniziava la prima frana. Più si saliva, più i massi, la loro quantità e la grandezza, aumentavano. Nell'ultima parte bisognava saltare e sperare di colpire il pulsante prima. Qualcosa mi sfuggiva, come il perché tutti i candidati fossero così deboli a fine prova. Chi più, chi meno.

Il penultimo era stato il meno fortunato di tutti, ritrovandosi ingrovigliato tra le cinghie durante la caduta. A essersela passata davvero male, era stata la terza classificata: era arrivata appena alla metà ed era scivolata, attivando il meccanismo di sicurezza nelle cinghie, solo che, furbamente, aveva approfittato della caduta dei massi per risalire, sperando di cavarsela. Un attimo dopo la prova era stata sospesa, i militari l'avevano prelevata e buttata fuori dalla sala. Il Rappresentante l'aveva definita un'imbrogliona. Con tutta probabilità non l'avrebbero eliminata, ma declassata nel Quarto Gruppo per punirla. Gli Osservatori, in qualche modo, stavano guardando meticolosamente tutte le prove, non volevo rischiare di finirci anche io per essere stata scoperta ad auto-sabotarmi. Grazie a Shawn la Rappresentante Engineer ce l'aveva già abbastanza con me.

Shawn O'belion. Naturalmente la sua prova fu una delle migliori, era riuscito a premere il pulsante prima di lasciarsi cadere. Con lui avevo potuto cogliere un altro dettaglio importante, ovvero che se sapevi valutare bene, potevi risparmiarti gli appigli a trabocchetto. Fino ad allora le avevano provate tutte: partendo dal centro, dalle estremità, zigzagando, però in un modo o nell'altro finivi con l'incapparci. Shawn era semplicemente riuscito a risparmiarsene alcuni. Oltre lui, anche Esral fece una delle performance più impressionanti: dopo aver premuto il pulsante, non era semplicemente caduto come gli altri, si era lanciato da solo.

Il Responsabile mi chiamò al patibolo. «Ehvena Johns».

Mi avvicinai alla parete scandagliandola con lo sguardo. Tre colori si ripetevano confusionari: rosso, giallo e viola nella prima metà, nel mezzo vi si aggiungevano verde, arancione e blu. Blu, come sussurrato dalla voce.

"Blu è una buona scelta" aveva detto in quella notte di deliri. Non sembrava avesse alcun senso, finché non era stato collocato nel giusto contesto. Rimandai le domande a dopo, avrei scoperto se potevo fidarmi della misteriosa voce solo arrivando a metà.

Legai bene l'attrezzatura, sistemai il casco e mi misi in posizione; avevo scelto come inizio un listello giallo per la mano e uno rosso per il piede. Le mani già sudaticce sotto i guanti antiscivolo, il cuore che pulsava frenetico all'idea della frana. Mi voltai per vedere aldilà del vetro divisorio, erano rimasti in pochi. William mi fece un gesto di incoraggiamento. Sperai bastasse quello per sopravvivere.

Non importa se cado, mi ricordai. Basta passare la metà prima di farlo.

Chiusi gli occhi, la sirena suonò. Iniziai la scalata in linea retta, tastando gli appigli prima di sceglierli. Nonostante gli allenamenti fatti nell'ultimo mese, era difficile avanzare, la paura che qualche listello scomparisse sotto i miei piedi mi rendeva più cauta, quindi ero anche molto lenta. Quando inizia ad abbassare la guardia, persi un paio di appigli nella fretta di avanzare. La pressione aumentò con l'arrivo delle scintille verdi, quando toccai il primo appoggio della sezione centrale. Erano come piccoli sassolini che mi sfioravano, la sensazione era vera, troppo vera. Un fastidio sopportabile, per il momento. I colori alternavano: rosso, verde, giallo, viola e arancione. Quelli a trabocchetto erano irriconoscibili, e iniziavano ad aumentare. I blu si trovavano ancora più in alto. Accostai l'orecchio alla parere, uno strano rumore di ingranaggi sembrava attraversare la parete. Sperai non si trattasse della frana, anche se ormai era quasi il momento, e iniziai a velocizzare il processo. Non feci più di cinque scarpate che il incubo si materializzò: le prime rocce, grandi come pugni e poco più, iniziarono a rotolare giù, dritti verso di me. Schivarli fu faticoso, ci riscrivo solo stando ferma. Tra una frana e l'altra c'era qualche minuto di pausa e ne approfittavo per avanzare di qualche passo. Sapevo di starci mettendo troppo, e come me dovevano pensarlo anche gli organizzatori. Qualcuno mi contattò attraverso l'auricolare legato all'elmetto. Era una donna.

«Candidata Johns, sta procedendo troppo lentamente» m'intimò.

Avrei preferito non ricevere pressioni mentre scalavo una parete a rischio frane, ma lei non sembrava dello stesso avviso. Provai a darmi una mossa, schivando i sassi ma sbagliando scelta per gli appigli. Mentre un listello mi fuggiva di mano, venni colpita da un sasso verdastro che non ero riuscita a vedere. Il dolore non fu leggero come i ciottoli che piovevano quasi invisibili, un fievole fastidio: faceva male, come se qualcuno mi avesse colpito con un bastone. Mi lasciai sfuggire un verso di dolore ma soprattutto di la sorpresa. Era rimasta aggrappata avidamente ai listelli sani, mentre continuavo a schivare le restanti rocce. Iniziai a intravedere il colore blu e morivo dalla voglia di scoprire se fosse affidabile. Un altro paio di rocce mi colpirono in diversi punti, una piccola come la precedente, l'altra molto più grande. Strinsi i denti e mi allungai verso il primo appiglio blu, constatando che era intatto. Anche dovendo spostarmi a zigzag, scelsi solo quelli blu, tutti sani e affidabili. Questi procedevano solo verso il pulsante, dunque era tutta salita.

Più salivo, più la frana diventava ingestibile. Due macigni rotolarono verso di me e dovetti scendere di due gradini per non finire travolta. Per sbaglio guardai in basso: il pavimento stava diventando una distesa di scintille verdi. Presto mi avrebbero travolta. Salii ancora, e ancora, strillando a ogni masso che mi colpiva. La parete prese a tremare e l'ultima, incessante carica di rocce ebbe inizio. Se anche fossi caduta lì sarei stata salva dal Quarto Gruppo, ma c'ero così vicino! Provai a salire comunque, facendomi strada tra la pioggia di massi dolorosi. I dolori diventavano sempre più profondi, finché alcune parti del corpo non iniziarono a perdere sensibilità. Mi trovai davanti a un punto cieco: non un appiglio blu nelle vicinanze, solo colori a trabocchetto. Rischiai di scivolare altre due volte. Quando altri macigni iniziarono a rotolare, mi spalmai letteralmente alla parete sperando di non essere investita. Mi sfiorò di striscio, ma fu come essere lacerata lungo la schiena. Allungai un braccio provando ad arrivare al pulsante, lì, proprio a qualche scarpata di distanza. Lo sfiorai appena, poco prima di vedermi piombare addosso un enorme roccia.

Il dolore fu indescrivibile, tramortente. Mi oltrepassò, scuotendo meschinamente ogni nervo del mio corpo. Ricaddi all'indietro, ripercorrendo quell'inferno senza più un briciolo di energia. Le cinghie si strinsero fino a farmi male, lasciandomi come ultima visione il pavimento inondato dai resti delle frane.

• • • • •

«Finalmente» disse William non appena ripresi conoscenza.

Ero nuovamente stesa su una brandina dell'infermeria, prona e con la schiena in fiamme. Quando provai ad alzarmi il malessere si intensificò; era un dolore pulsante, come se avessi dei profondi graffi sulla schiena. Non riuscivo a muovere la mano destra, stesa sulle lenzuola come se non mi appartenesse, l'altra riuscivo a piegarla solo in parte. Dopo la pioggia di rocce olografiche il mio corpo bruciava di dolore, come doveva essere dopo essere scampata a una frana. Però, non era una vera frana...

«Vacci piano!» mi ammonì. Anche lui era steso su una brandina ospedaliera, sembrava stare bene, eccetto per un braccio che teneva avviluppato al petto. Nessuna benda o cerotto, era perfettamente normale, anche se dall'espressione sembrava soffrire parecchio. Come me.

«Cosa mi son fatta alla schiena?» gli chiesi provando a toccarmela. Indossavo ancora la divisa da arrampicata, priva di squarci o buchi dovuti ai massi che mi avevano investita; apparentemente non avevo nulla che non andasse, ma al sol sfiorare un punto qualunque della schiena mi veniva voglia di urlare dal dolore.

«Il Responsabile è passato mezz'ora fa per spiegarci di questi ologrammi sensorizzati per migliorare gli allenamenti dei militari e renderli sempre più reali». Sbuffò, dall'espressione confusa non sembrava averci capito molto. «Diciamo che tutti gli ologrammi che ci sono caduti addosso hanno avuto l'effetto di una vera frana, con vero e insopportabile dolore. Hanno detto che ci vorranno ore prima che svanisca del tutto».

«Quindi mi fa male la schiena in questo modo» boccheggiai, un po' dal dolore e un po' dalla rabbia, «perché sono stata investita da un ologramma sensorizzato?»

«Lo so, è da far venir il mal di testa» enfatizzò innervosito. «Sento male al braccio come se si fosse veramente rotto, solo per colpa di qualche pixel!»

Qualcuno rise della sua affermazione, una risata che non sentivo da un po' ma che difficilmente potevo confondere. Provai a voltarmi ma il dolore alla schiena mi bloccò, non potevo muovermi a causa delle mie ferite fantasma.

«Cos'è che ti fa così ridere, Testa Rossa?» Con quella domanda William mi diede la certezza che Shawn O'belion fosse lì dietro. Solo con lui assumeva quel tono rude e scontroso.

«Se ci tieni a saperlo è la tua stupidità a farmi ridere» rispose l'altro con boria. «Per prima cosa sappi che gli ologrammi non sono fatti di pixel, e certamente non possono essere sensibilizzati a quei livelli senza qualcosa che faccia da vettore. Questa uniforme non è fatta del materiale adatto, quindi mi chiedo che genere di tecnologia abbiano usato per causarci tutti questi danni e perché cercano di sminuirla».

«Quali danni?» sussurrai a William. Non potevo voltarmi, né vederlo, a mala pena inquadravo lui.

«La mia gamba, Vèna. Se la frana fosse stata reale, in questo momento sarebbe fratturata in tre diversi punti» rispose Shawn, captando la mia domanda.

Affossai la faccia sul cuscino, non volevo proprio parlargli e mi stupiva il fatto che dopo un mese di silenzio lo stesse facendo lui, così tranquillamente. «Forse sminuiscono la faccenda perché nessuno a parte te conosce la differenza» brontolai dopo un breve silenzio.

«Esral la conosce» ribatté lui, molto tranquillamente.

«Esral?» bisbigliai a William, confusa. Mosse il capo due volte, indicando dritto davanti a sé. Io però non potevo vedere nulla.

«Ci siamo allenati insieme per un mese, possibile che non ti ricordi?» L'intromissione di Esral mi fece trasalire al punto da scuotere anche le zone non doloranti della schiena.

«Tranquillo, Vèna ha dei seri problemi a ricordarsi delle persone» mi schernì Shawn.

Soffiai i capelli da davanti il volto e lancia un'occhiata truce a William, che mi fece spallucce con aria innocente. Non andai a soffocarli tutti con un cuscino solo per via della schiena ridotta a brandelli, o almeno la sensazione era quella: ferite profonde dovute alla superfice rocciosa di quei massi, troppo poco olografici ed eccessivamente reali.

«Chi altro c'è?» Rivolsi la domanda nuovamente a William ma al suo posto rispose ancora Shawn.

«C'è tutto il gruppo dei Positivi e parte degli Effettivi, gli altri stanno ancora effettuando la prova».

Affondai il volto nel cuscino ancora una volta, non potendo far altro. Dalla mia ultima visita sapevo che l'infermeria della Base Alpha era stata pensata per ospitare un gran numero di pazienti. Era ridicolo che mi avessero messa di fronte a Shawn ed Esral, tanto quanto il fatto che quei due si parlassero.

«Ce la fate a stare zitti?» s'intromise Alexa, la voce sofferente.

Mi voltai dal lato opposto, scorgendo la ragazza rannicchiata per il dolore sulla sua brandina. Era stata la prima a effettuare la prova, era stata colta di sorpresa dalla frana e dai trabocchetti dei listelli e si era fatta investire da molti più massi. Essere primi in classifica non era sempre qualcosa di cui andare fieri.

Con lei il cerchio era completo, mi avevano circondata: sul lato destro Alexa e davanti al mio letto Shawn, quando parlava ora riuscivo a collocare la sua voce; accanto a lui doveva trovarsi Esral, proprio difronte a William. Sperai che il dolore svanisse al più presto, volevo alzarmi e scappare per non sentire ancora la voce di quel Pel-Di-Carota, i suoi discorsi sulla prova, e quella parola così nostalgica che non smetteva di ripetere. Vèna. Usava quel nomignolo nonostante mi avesse brutalmente pugnalata alle spalle. Più di una volta.

Per qualche strana ragione la conversazione tra Shawn ed Esral evolvette, William si unì a loro e, tra un bisticcio ed d'un altro, rifletterono sulla prova. Non mi unii a loro, non ne avevo né voglia né forza. Rimasi stesa, immobile, ad aspettare che l'infermeria si riempisse di candidati agonizzanti, appena agli inizi di un lungo strazio. A ogni candidato che ci raggiungeva sentivo il dolore attenuarsi, ma non il bruciore logorante, quello rimase sempre uguale. Era così insopportabile da spingermi a volere un medicina, dovevo ricordarmi costantemente che, in realtà, la schiena non aveva niente che non andasse.

Ogni distrazione aveva il suono della voce di Pel-Di-Carota, del pericoloso Esral oppure del biondino indispettito. Facevano un tale baccano, ma ciò che dicevano iniziava a incuriosirmi.

«Quegli ologrammi sono piuttosto comuni» disse Esral, rispondendo a una delle tante domande di William. Il biondino non sembrava credere alla spiegazione di Shawn sugli ologrammi, anche se la sua mi sembrò più voglia di contraddirlo a tutti i costi. Chiunque ascoltasse Shawn nutriva la stessa voglia di zittirlo, era una delle poche cose che ci metteva tutti d'accordo. Tutti meno Esral, i cui interventi sporadici avevano il temperamento di un sasso.

«Ci sono delle sale come quella, più piccole, nelle Strutture Incondizionate e Numerate per la Convivenza» aggiunse.

«Strutture Incondizionate Nume... Cosa sono?» domandò William confuso.

«Sono i centri SINC» chiarì subito Shawn, strappando un'altra smorfia dal volto del biondino.

«Servono alle forze dell'ordine per allenarsi durante i periodi di licenza. Le tute di cui parlavi non sono dei vettori ma degli attenuatori di dolore, le indossano per non dover restare allettati come noi».

Non potei fare a meno di intromettermi. «Quindi non ci hanno dato la tuta di proposito?»

«L'allenamento viene svolto senza tuta» precisò. «La si indossa solo quando l'individuo non può permettersi del riposo il giorno dopo, e nei giochi olimpici».

«Ne sai molto a riguardo» gli fece notare Shawn.

«Dopo il test d'idoneità per l'Elezione mi sono informato su come funzionano le cose alla Base Alpha. Immaginavo che tutti l'avreste fatto, forse mi sono sbagliato» rispose con freddo distacco.

Potevo immaginare l'espressione di Shawn, in quel momento. La sua doveva essere la faccia di uno che non si faceva ingannare da una scusa, anche se plausibile. Realizzai in quell'istante cosa stava facendo: lo studiava da vicino e carpiva informazioni. Shawn aveva messo su un bel gruppetto perché aveva saputo, in qualche modo, delle intenzioni degli ex membri del Quarto Gruppo. Se non lo aveva saputo, lo aveva di certo capito, e non era il tipo di persona capace di farsi soffiare da sotto al naso i primi posti. Con tutta probabilità stava facendo lo stesso con William, perché io ero un libro aperto per lui e non doveva sforzarsi per comprendermi.

Continuò la sua farsa per il resto del tempo che passammo in infermeria. Quando provava ad alzare il livello della conversazione, m'intromettevo per mettergli il bastone tra le ruote. Dopo avermi data in pasto ai Rappresentanti, mandare a monte qualunque suo piano era una vendetta quasi lecita.

Passammo lì il pranzo – che non toccai per via della schiena – e gran parte del pomeriggio. Gli infermieri passavano per controllare il nostro stato ogni mezz'ora, Esral fu il primo di noi a essere dimesso. La parte più sfiancante, oltre le chiacchiere, era dover costantemente chiedere aiuto per fare qualcosa. Quando avevo sete, William era così gentile da porgermi l'acqua, ma se dovevo andare al bagno – cosa che cercai di non ripetere più – dovetti aspettare che una coppia di infermiere venisse a prendermi. Poi, in tardo pomeriggio, anche William venne dimesso e rimasi sola in mezzo a un mucchio di concorrenti agonizzanti. Quelli del Quarto Gruppo continuavano ad arrivare, il mio dolore diminuiva ma non abbastanza da permettermi di girarmi. Alexa era rimasta per tutto il tempo rannicchiata su se stessa, senza più aprir bocca. Ogni volta che i medici erano andati a controllarla l'avevo sentita mugolare e cercare di mandarli via. Aveva le sue buone ragioni, tutto ciò che facevano era smuovere il dolore nei punti colpiti e abbandonarci ad esso. Shawn, che doveva avere la gamba fratturata in tre punti, era piuttosto silenzioso. In realtà, dopo che Esral e William erano stati dimessi, aveva perso interesse per le chiacchiere.

Quando civenne servita la cena mi rassegnai all'idea di dover passare la notte stesa apancia in giù, con le voci sofferenti dei miei compagni di sventura comesottofondo e la sensazione dello sguardo di Shawn che mi solleticava la basedel collo. Un po' come il giorno in cui lo avevo rivisto, prima del test diidoneità, quando quei suoi occhi verdi non volevano saperne di lasciarmi stare.

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