Election [I libro, Rose Evolu...

By Esterk21

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Primo libro della Rose Evolution Saga 2# nel contest Miglior Libri 2016 Sponsor Links & WIAIta "L... More

Diritti d'autore - Election
Revisione Conclusa!
Capitolo I (R)
Capitolo II (R)
Capitolo III (R)
Capitolo IV (R)
Capitolo V (R)
Capitolo VI (R)
Capitolo VII (R)
Capitolo VIII (R)
Capitolo IX (R)
Capitolo X (R)
Capitolo XI (R)
Capitolo XII (R)
Capitolo XIII (R)
Capitolo XIV (R)
Capitolo XV (R)
Capitolo XVI (R)
Capitolo XVIII (R)
Capitolo XIX (R)
Capitolo XX (R)
Capitolo XXI (R)
Capitolo XXII (R)
Capitolo XXIII (R)
Capitolo XXIV (R)
Capitolo XXV (R)
Capitolo - XXVI (R)
Capitolo XXVII (R)
Capitolo XXVIII (R)
Capitolo XXIX (R)
Capitolo XXX (R)
Capitolo XXXI (R)
Capitolo XXXII (R)
Epilogo | Capitolo XXXIII (R)
Isola di Phērœs
Base Militare Alpha
Special!
LinkS
Genuine Goals

Capitolo XVII (R)

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By Esterk21

Mi scortarono fino all'ascensore, uno diverso da quello che avevo preso per scendere, dalla quale sbucammo nell'area dei Latori. C'era una seconda stanza a cupola connessa con il centro di controllo, nel versante opposto. Asia, William e la sua Assistente, mi avevano aspettata per tutto il tempo. Scoprii presto che tutti gli altri candidati avevano terminato i loro colloqui molto prima di me, mentre io ero rimasta chiusa in quella stanza con gli Osservatori per circa 50 minuti. Per un po' rimasero a fissarmi, cercando di capire com'era andata solo dalla mia espressione. Non colsero la gravità della situazione perché stavo ancora cercando di elaborare quello che era accaduto, dovevo sembrare solo molto confusa.

William spezzò il silenzio per primo. «Ti hanno fatto il terzo grado per metterci così tanto? Io sono stato mandato via dopo mezz'ora».

«Ehvena?» mi chiamò Asia. «Com'è andata?»

Li guardai per un istante, la poca speranza rimasta alla mia Assistente le zampillava dalle pupille. Non avevo ancora detto una parola da quando il colloquio era terminato, e non mi aspettavo che le prime venissero fuori con così tanta collera. «Si sono comportati come dei gran bastardi...» spiegai digrignando i denti. Non mi capitava di essere così stanca di chiunque mi stesse attorno, di voler disperatamente essere lasciata in pace, da quando avevo lasciato Shawn.

«Non importa» si affrettò a dire Asia. «La prossima volta sarai preparata, non accadrà più. Inoltre, lo scopo principale del colloquio è quello di mettervi sottopressione, quindi è tutto nella norma».

«Nella norma?» contestai con un filo di voce. «La prossima volta, tu dici... No, grazie» aggiunsi, allontanandomi a grandi falcate.

Potevo sentire Asia tacchettare dietro di me, finché di colpo non si fermò. La mia idea su di lei si rafforzò: era un'ottima Assistente, soprattutto perché riusciva a riconoscere una causa persa e a lasciarla stare. Percorsi a ritmo di corsa quasi metà del campo all'aperto dei Latori, pieno di cadetti in addestramento, con la voce di Bogaert che ripercorreva a ritroso le domande, prima di venir acchiappata da William. Mi aveva seguita in attesa del momento giusto per rapirmi.

«Lasciami!» strepitai tanto da far voltare alcuni soldati.

«Mi sono stancato di ricevere ordini da te: non mi toccare, vattene via, lasciami, levati... Sai dire solo questo?» mi sgridò mentre, con estrema facilità, mi trascinava lontano dagli spettatori.

Mi lasciò andare solo quando raggiungemmo un punto isolato, lungo le pareti esterne di un canale connettivo. «Che ti prende?!» gli gridai contro.

«Cosa prende a me? Cosa prende a te!?» ribatté, fuori di se. Gli occhi ingigantiti dalla rabbia, la voce bassa almeno di due toni, era irriconoscibile. «Quella povera donna è in pena per te e l'unica cosa che riesci a fare è andartene!»

«Quello che faccio con la mia Assistente non ti riguarda» gli feci notare.

«Normalmente no, ma se vengo trattato, per la seconda volta di seguito, nello stesso modo, la cosa mi riguarda eccome!»

La sua voce non era mai stata più profonda e virile di così. Da arrabbiato non era più così innocuo, tuttalpiù aveva l'aria di qualcuno capace di creare seri problemi. Mi ricordava Paterson, e questo mi spaventava. Quando fece un passo verso di me, la differenza d'altezza diventò un problema.

«Cosa intendi?» bofonchiai, cercando di smorzare l'atmosfera un po' troppo pesante.

Si premette due dita sulle tempie e mi osservò innervosito, come se d'improvviso avesse mal di testa e fossi stata io a procurarglielo. «Lo sai che esistono altre persone oltre te? Povere persone che non capiscono quello che ti passa per la testa e che, comunque, tentano di aiutarti». Sospirò, esasperato. «C'ero anche io ad aspettarti con lei. C'ero dopo che sei stata aggredita, quando sei fuggita dalla mensa e anche quando non mi hai creduto».

«Pensavo l'avessimo già risolta questa questione» gli ricordai. Feci per andarmene, prima che riuscissi a muovermi mi tagliò la strada. Era intenzionato a finire quel discorso, con o senza la mia approvazione.

«Anche io lo credevo, ma visto come ti comporti penso che bisognerà riaffrontarla».

«Perché ti dai così tanto da fare per stare dietro ad una che non vede oltre se stessa?»

Ero sull'orlo di una crisi e lui non mi stava aiutando. Se ero davvero così insopportabile ed egoista, poteva semplicemente lasciarmi stare. Cosa che forse avrebbe dovuto fare subito dopo essere scesi dal pullmino.

«Probabilmente è perché sono un idiota!» sbottò.

«Bene, visto che lo sai...» Provai nuovamente ad andarmene, con un movimento rapido mi spinse nuovamente all'angolo. Non ci mise neppure un briciolo di forza bruta.

«Sì, sono un idiota a cui piacciono le sfide. In più mi sei simpatica, non posso farci niente. Questa per me è una combinazione perfetta, quindi non ho intenzione di lasciarti in pace fino a quando non mi dirai, anche solo per una volta, cosa diamine ti passa per la testa. Voglio solo esserti amico, è così difficile da capire?» pronunciò l'ultima frase come una supplica.

Rimasi a bocca aperta, letteralmente. Non sapevo cosa dire, proprio non capivo perché si fosse avvinghiato a me in quel modo e non volesse lasciarmi andare. Essere considerata solo una sfida mi infastidiva, però, aveva anche detto che gli ero simpatica e sentirlo, per un attimo, mi aveva fatto piacere. Le relazioni con le persone, qualunque esse fossero, erano complicate, per questo preferivo evitarle. William, però, mi mandava in confusione con la sua spontaneità e semplicità. Non era la prima volta che diceva di volermi essere amico. Ma cos'era un amico? Lo avevo dimenticato. L'unico che consideravo tale era morto tanti anni fa, tornato in vita solo per torturarmi.

«Sì, per me è difficile da capire» ribattei. Una nodo alla gola si stava formando, bruciava e mi rendeva debole. Era difficile da tener sotto controllo, ma ci provai comunque. «Questa è l'Elezione, qui i concorrenti non trovano amici ma nemici».

«Io non la penso così» mi contraddisse con convinzione. «Proprio perché si tratta dell'Elezione, perché siamo costretti a svolgere le prove, che avere un amico è fondamentale. Qui viviamo tutti alle stesso modo, possiamo capirci a vicenda. Possiamo confortarci».

«E come si fa ad avere degli amici se poi durate le prove devi...»

La pressione del nodo fu troppa da sopportare. Odiavo piangere davanti a qualcuno, soprattutto quando con quella persona ci stavo litigando. Quando iniziavo, difficilmente riuscivo a smettere.

«Non sei stata l'unica ad aver affrontato la prova: anche io l'ho passata. Sai chi c'era nella mia stanza? Alcuni miei amici finiti nel Quarto Gruppo. Li ho ingannati e storditi con una miscela chimica e credimi, non dormirei la notte senza le scosse».

«Non... Non lo sapevo» dissi solo. In un certo senso mi sollevò sapere di non essere stata l'unica ad essersi infangata le mani. Probabilmente, tutti se le erano sporcate quel giorno.

«Certo, non te l'ho detto. Non ho voluto, in realtà» precisò. «Stavi passando un brutto periodo a causa di Paterson e non volevo stressarti ancora di più. Sai, non sono affatto bravo quando c'è da rassicurare qualcuno. Riesco solo ad essere divertente e questo a molti dà fastidio».

Pensai a tutte le volte che, con insistenza, mi aveva fatta ridere. Tutte quelle battute, le ore passate a dire cose irrilevanti, fin quasi a seccarsi la bocca, erano servite solo a distrarmi? Ero certa che parlasse solo per il gusto di farlo, invece... Mi asciugai le lacrime, prima che pensasse di avermi fatta commuovere.

«Al colloquio me l'hanno chiesto» continuò. «" Come si è sentito a dover affrontare la prova con i suoi amici in quella stanza?". Volevo tirargli un pugno, ma non potevo. Per te deve essere stato molto peggio».

Provai a trattenere ancora le lacrime, finirono col sgorgare più numerose. «Hanno detto che l'ho colpito solo per vendicarmi. Volevano farmi passare per bugiarda, un'altra volta».

«È già successo?»

«Dopo l'aggressione la Rappresentante mi ha accusata di averlo istigato intenzionalmente, solo per fare in modo che venisse eliminato dalla competizione»

«Incredibile! Sembra una così cara donna» esclamò stupito.

«Non lo è affatto. Mi ha attaccata per tutto il colloquio, come anche l'Osservatore. Ormai sembra che tutti si divertano a prendersela con me!» piagnucolai. In cima alla lista c'era Shawn, anche se non dissi nulla a riguardo. Non volevo che nessuno sapesse di lui.

Si avvicinò esitante, con la manica della sua maglietta mi asciugò delicatamente le lacrime. Lo fissai scontenta, senza provare a scansarmi. «Non sono bravo a rassicurare le persone, però so come asciugare le lacrime di una donna» scherzò.

«Dopo averle fatte piangere, immagino» lo schernii.

«Forse» disse. «Per lo più erano quelle di mia madre».

Il volto gli si rattristò, smise di picchiettare per qualche secondo, fissando un ricordo lontano, perso nella sua memoria. Quando si riprese, mi arruffò i capelli affettuosamente e sorrise. Se era vero che lui non era bravo a rassicurare le persone, era vero anche che io non sapevo da dove iniziare. Non chiesi nulla a risguardo, e in un certo senso mi sembrava di star finalmente equilibrando con lui tutte le vicende omesse che riguardavano Shawn. Ognuno aveva i suoi segreti, anche William-Lo-Spensierato. Quelle ombre c'erano sempre, in chiunque, solo che non mi ero mai fermata a guardare qualcuno abbastanza allungo da vederle.

«Secondo te sono davvero così egoista?» domandai. Era stato lui il primo a dirmelo, anche prima lo aveva ripetuto. A fatti compiuti, sembrava essere così.

William mise l'indice sul mento e fece finta di meditare con fare buffo. Pensavo stesse per dirne una delle sue, si rivelò molto più maturo. «Signorina Johns, l'egoismo è una malattia. Come tutte le malattie va solo curata nel modo giusto».

«Una malattia?» chiesi scetticamente.

«Sono un medico, so quel che dico»

«Quasi medico» lo corressi.

«Si, si, stessa cosa» fece un gesto con la mano, come a volersi sbarazzare di quel "quasi". «Posso prescriverle la cura se vuole».

«Sentiamo». Tirai su con il naso, scacciando l'ultima patina umida dalle guance.

«Per guarire le servono tre cose: un bellissimo e biondissimo ragazzo che l'accompagni durante il percorso di "rinascita". Se di nome William ancora meglio» iniziò. Scoppiai a ridere quando si indicò. «Deve trovare la forza di volontà necessaria per reprimere i propri comportamenti egoistici provando, magari, ad instaurare qualche rapporto con qualcuno dei duecento concorrenti a sua disposizione. Se con uno di nome William ancora meglio. Un buon inizio è già quello di parlare, invece di scappare. E magari evitar di far piangere le persone...»

Ripensai a Quiana e a come si era trovata sull'orlo delle lacrime quando non l'avevo riconosciuta. Ancora non ero certa di sapere chi fosse, ma un'idea iniziavo ad avercela. «Ha fatto tutto lei!» dissi in mia difesa.

«Infine, deve provare a partecipare all'Elezione».

Lì la mia voglia di starlo a sentire morì.

«No, questo no» esclamai subito, ripiombando nel mio piccolo mondo egoista.

William sospirò, esasperato. «La quarta cosa da fare è accettare consigli da chi te lo offre con tanta gentilezza».

«Non erano solo tre?»

«Il suo caso è difficile signorina Johns».

«Hai visto le prove?» lo rimproverai. «Come riesci a pensare di poter restare ancora».

«Non le ho solo viste, le ho anche provate di persona. Penso sia meglio affrontale, tanto al termine della quinta prova potrò comunque decidere di andarmene. Non voglio tornare a casa e pensare sempre a come sarebbe potuta andare» provò a spiegare. Gli bastò guardarmi in faccia per capire che la sua spiegazione non era bastata a convincermi. «Per di più le scuole e le università sono chiuse fino al termine dell'Elezione, non saprei che fare fino ad allora. Mancano ancora tre mesi».

«Giusto, meglio farsi torturare».

«Queste sono le mie motivazioni, non posso di certo importele. La decisione resta tua, solo... cerca di non fare cose stupide e impulsive».

Immaginai si stesse riferendo a un possibile sabotaggio nella prossima prova. Ormai certe cose erano chiare a tutte, soprattutto la questione Quarto Gruppo. Volevo andarmene, davvero, però non volevo rischiare di finire nel Perimetro penitenziario di Porebury. Anche se non lo avevano usato con Paterson, vista l'antipatica che aveva la Rappresentante verso di me, sarei stata la prima a finirci.

«Le cose stupide e impulsive sono la mia specialità» rimarcai.

«Non si era capito» proferì, tornando ad essere il William giocherellone. «Potrebbero comunque eliminarti alla prossima prova, non sei così brava. Anzi, potrebbero averlo già fatto».

«Potrebbero aver eliminato anche te».

«Già, potrebbero... Ci converrà passare questo tempo prezioso facendo cose divertenti insieme invece di litigare, non credi?»

Annuii, incerta. Il biondino rendeva le cose sempre troppo semplici: restare nell'Elezione, essere mio amico, prendersi cura di me anche se mi conosceva a malapena... Io non ero così, forse per questo riuscivo ad apprezzare i suoi sforzi. Non lo avrei mai ammesso davanti a lui, ma quando aveva detto di voler essere mio amico mi ero sentita lusingata. Erano anni che nessuno ci provava, e io non rendevo loro le cose facili. Finivo col farmi dei nemici, invece di amici, come con Paterson. Non potevo immaginare che la mia completa dedizione alla cucina e disinteresse per le altre persone avrebbero creato un essere tanto meschino.

Forse era quello il prezzo da pagare per l'egoismo.

«Schiaffeggerai anche me se ora decido di darti un altro consiglio?» osò ancora.

«Probabilmente sì, ti stai facendo prendere un po' la mano...»

«Vorrà dire che rischierò» dichiarò, prendendomi sotto braccio e trascinandomi chissà dove a passo di lumaca. Si stava prendendo davvero troppe libertà. «Ho un piano per rendere la nostra permanenza nell'Elezione più sicura, sempre che tu decida di non fare qualcosa di stupido prima».

«Un piano?» gli feci eco. Passeggiavamo sottobraccio come una coppietta di stralunati in giro per la Base. Non eravamo una gran visione, ma mi godei quel momento. Erano anni che non facevo qualcosa di bizzarro con qualcuno, una volta era una persona molto divertente.

«Mentre tu eri occupata a farti nemici e terrorizzare le ragazzine, io ho sondato il terreno con molti concorrenti e ne ho trovati alcuni che possono essere degni di collaborare con noi. Ovviamente li ho passati allo scanner anche per te, so che sei molto critica con le persone. Infatti ci ho messo solo un mese perché ti fidassi, almeno un pochino, di me» ci scherzò sopra.

L'idea non mi piaceva. Non mi fidavo di nessuno lì dentro, avevo iniziato a farlo a con William ma, come aveva detto lui, in un mese. Dopo tutti i suoi sforzi non volevo tornare sulle mie, rischiando di ferirlo ancora. Infondo, anche lui mi era simpatico e l'unica parte positiva di tutto quel mese era stata lui. «E in che modo ci aiuterebbero?»

«Un'alleanza ci permetterà di affrontare i prossimi conflitti in maniera più preparata. Se veramente abbiamo superato la Seconda Prova, ci vorrà un mese prima della Terza. Non intendo veder accadere certe cose un'altra volta, quindi ci serviranno rinforzi».

«Significa che sarai ancora il mio difensore?»

«Quando mai ho smesso!» asserì con un sorriso da parte a parte.

Ero ancora certa che un'amicizia all'interno dell'Elezione non poteva funzionare, ma forse William era un'eccezione. Un'eccezione che iniziava a piacermi sempre di più.

• • • • •

La classifica arrivò l'indomani mattina. Mi svegliai più sollevata sapendo che la voce, tornata a sussurrare il mio nome, era un riverbero dei miei pensieri, una scappatoia a quella prigione. Non dovetti uscire dalla stanza per sapere l'esito della prova: il pass sul comodino aveva una spia rossa accesa che squarciava il buio della stanza. Nell'angolo dei dettagli, dove una volta compariva il numero 7, ora c'era il numero 11. Il gruppo non era cambiato, facevo sempre parte dei Positivi.

Tirai un sospiro di sollievo, il Quarto Gruppo era ancora molto lontano. La calma non durò molto, giusto il tempo di vedere affiorare pensieri legittimi. Ero in bilico con le autorità che manovravano l'Elezione, la Rappresentante non mi vedeva di buon'occhio e questo si stava ripercuotendo su tutto il resto. Autoeliminarmi non sembrava più la scelta migliore, e neppure restare. Grazie a William mi ero ricordata di una cosa: le prime cinque prove erano obbligatorie ma, al termine di queste, i concorrenti erano liberi di andarsene. Un modo sano di mandare avanti solo chi era realmente interessato alla carica e al futuro dello Stato.

Potrei anche essere eliminata prima, mi dissi speranzosa.

Uscii per la mia passeggiata mattutina un po' più sollevata di quanto non fossi giorni prima. Forse era la consapevolezza di avere qualcuno a sostenermi, e non si trattava solo di William. Dopo il chiarimento con lui ero tornata dalla mia Assistente per scusarmi. Come avevo già confermato, Asia era davvero una grande donna: aveva già capito da tempo che vincere non era nelle mie intenzioni e questo non l'aveva fermata dal compiere il suo dovere, anzi, aveva promesso di rendermi le cose più semplici per le prove e i colloqui a seguire.

Nella base c'era del movimento, lo trovai inconsueto visto che a quell'ora non iniziavano mai nessuna attività. Trovai le porte di accesso interno agli hangar completamente spalancate e mi insospettii. Sgattaiolai all'interno, provando a osservare di nascosto dalla soglia. Vidi le porte degli Scriblet aperti e un gruppo di militari che caricavano all'interno delle valige. Poco più in là i proprietari di quei bagagli si stavano riunendo con aria assonnata, il capelli argentei di Lusyelle furono la prima cosa che distinsi. Dovevano essere i candidati eliminati, in procinto di essere rispediti alle loro abitazioni.

«Deve salutare qualcuno?» disse un uomo alle mie spalle.

Mi voltai di soprassalto, scorgendo la figura intimidatoria del Comandante Benedikt. Mi aspettai una ramanzina e l'elenco delle ragioni per la quale non dovevo trovarmi lì, ma si limitò a ripetermi la domanda. Scoccai un'occhiata a Lusyelle, appesa amorevolmente al braccio di Jefferson. Era l'occasione giusta per presentare quelle scuse. Risposi con un cenno, mentre il Comandante si avviava verso di loro. Rimasi alle sue spalle, rallentando in cerca delle parole giuste: in un certo senso era come se mi nascondessi dietro di lui, sperando di non essere notata. Mi sentivo in colpa e imbarazzata, non volevo parlargli ma neanche sprecare l'occasione. Il Comandante si fermò proprio vicino a Lusyelle. Non me ne sorpresi, in quel posto tutti sapevano tutto.

«È concesso un breve saluto» la informò.

Ero sicura che non volesse vedermi, invece mi sorrise come aveva sempre fatto. Forse anche meno sincera. Era tornata la splendida ragazza di sempre, così lontana dall'immagine fragile e impaurita che mi portavo dietro.

«E-Ehvena» disse sorpresa. Lei e Jefferson si scambiarono un'occhiata veloce, poi guardarono me e infine il Comandante, che non era intenzionato ad andarsene.

«Lusyelle, volevo scusarmi per quello che è successo nella...» iniziai incerta.

Prima che terminassi mi avvolse in un abbracciò inaspettato, per nulla caloroso, quasi soffocante. «Ricambia il mio abbraccio e fa come se ci stessimo salutando» sussurrò al mio orecchio. Qualcosa nella sua voce era cambiata, anche la stretta divenne più rigida. Jefferson, alle sue spalle, fissava il Comandante di sbieco. Le avvolsi le braccia intorno alla vita, accostando meglio l'orecchio. «Per quello che è successo con Jeamur a me e Jeff dispiace molto, parte di quello che è accaduto è soprattutto colpa nostra. Sono sempre stata invidiosa delle tue abilità e l'Elezione ha fatto uscire la parte peggiore di me» confessò. La sua mano si muoveva come una lastra di metallo sulla mia schiena, freddo e inanimato. Il tocco suo era completamente diverso da quello di William.

«Per questo e per quando hai voluto risparmiarti in quella stanza, ti darò un avvertimento: sta attenta ai ragazzi che sono saliti in classifica, dopo la prova nessuno di loro si farà più scrupoli» detto ciò mi lasciò andare, il sorriso falso incollatole al volto. Era lo stesso che rivolgeva a me e alla mia famiglia da sempre, forzato e necessario.

«Non devi scusarti, è tutto apposto. Non ero fatta per l'Elezione» scherzò.

Prima che me ne accorgessi fu il turno di Jefferson. Anche lui mi strinse tra le braccia, solo per sussurrarmi dei nomi. «Brunuas, Esral, Eoin e Iruwa. Il loro gruppo è il peggiore».

Si staccò, lasciandomi con una pacca sulla spalla. «Ci vediamo a lezione».

Entrambi si imbarcarono sullo Scriblet, tenuti d'occhio dal Comandante. Cercai di mostrarmi il più normale possibile, ma fu difficile dopo quanto avevano detto. Il Quarto Gruppo si stava dimostrando ogni giorno più pericoloso.

«Ora dovrebbe andare» mi intimò.

Lanciai un'occhiata agli ex candidati che stavano salendo a bordo degli Scriblet. Con Lusyelle e Jefferson ne contai una cinquantina, ma nessuno di loro era Paterson.

«Il candidato Jeamur Paterson non è qui» disse, anticipando la mia domanda. «Stia tranquilla, non sarà più un problema per lei. Lo abbiamo mandato via dopo la Seconda Prova, ora starà già scontando la sua pena».

«Quale pena?»

«Ha infranto le regole dell'Elezione più di una volta, aggredendola prima e durante una delle prove. Come da regolamento dovrà scontare una pena di tre mesi all'interno del Perimetro penitenziario» spiegò, accompagnandomi fuori dall'hangar. «L'Elezione è un'istituzione rigorosa, non perdona le trasgressioni» proferì, poco prima di far calare la porta basculante e lasciarmi fuori.

Assistetti al decollo degli Scriblet dal campo dei Latori. Li vidi sfrecciare nel cielo, liberi dalla morsa di ferro della Base. La mia speranza di scappare sparì con loro. Non mi ero sbagliata su Lusyelle e Jefferson, ciò che avevano confessato ne era la prova, ma grazie a loro avevo ricevuto due preziosi avvertimenti. Il terzo, in modo brutale e velato, era stato lo stesso Comandante a fornirmelo: Paterson era stato punito per ciò che aveva fatto, solo dopo essere stato usato per punire me. L'Elezione non era uno scherzo, questo lo avevo capito, uscirne di propria volontà era troppo rischioso. Il piano di William non mi sembrava più così stupido, anzi, iniziai a pensare che fosse un bene averlo conosciuto su quel pullmino e che volesse, così disperatamente, essermi amico.

La routine della Base Alpha tornò subito a girare nel verso giusto: i nuovi allenamenti erano stati fissati e incontrai William durante la mattinata, qualche ora prima di pranzo. Non riuscii a raccontargli le novità riguardo al Quarto Gruppo, o ciò che era successo al mio aggressore, perché la prima cosa che disse fu il suo posto in classifica: 12° nel gruppo dei Positivi. Essere finalmente nella mia stessa classifica lo rese molto felice, troppo ad essere sinceri, e inspiegabilmente rasserenò anche me. Detto ciò, la prima cosa che fece fu provare a convincermi ancora del suo piano.

«Sono d'accordo» gli avevo risposto.

Ci aveva messo un po' a capire che non stavo scherzando, secondo lui non dovevo sentirmi bene per avergli dato ragione ma avevo esaurito le alternative e la sua proposta era la migliore. Il primo mese alla Base era stato un disastro, non volevo ricapitasse. Se per cavarmela dovevo circondarmi di persone, be', sarei sopravvissuta. E poi, i concorrenti che aveva proposto non erano poi tanto male: il primo era il ragazzo dai ricci cespugliosi, Maximilian Howard, seguito da Quiana Meir; un paio dei suoi amici, Foma e Detrar, ma non quelli che aveva dovuto affrontare nella prova. Il piano era semplice da attuare, bastava che non aprissi bocca e lasciassi che William parlasse per entrambi. Secondo lui era il più indicato a trattare con le persone, e anche qui dovetti dargli ragione.

Incontrammo Maximilian e Quiana alla mensa, William aveva passato molto tempo con loro essendo stati nello stesso gruppo per un mese. Lui mi aveva fatto già una buona impressione, con i modi di fare poco invasivi e l'essere taciturno. Quiana, al contrario, con la sua bizzarro rapporto con Shawn non faceva pensare altrettanto bene, soprattutto perché, secondo Pel-Di-Carota, la conoscevo anche io. Se era la persona a cui la mia memoria aveva associato il nome, ovvero una ragazzina svenevolmente dolce e assillante che mi venerava fino a darmi sui nervi, allora io e lei avremmo avuto un futuro difficile.

«Com'è andata la prova?» domandò William. Tutti e tre lo guardammo di sbieco, la domanda era davvero inopportuna. «Si fa per dire...» mormorò.

«Primo posto nella classifica degli Effettivi» disse Maximilian tra un morso ed un altro.

Quiana s'intimidì, iniziando a fissare la sua bevanda nel tentativo di sviare la risposta. Quando capì che non era possibile, rispose con un filo di voce. «Quindicesima negli Effettivi».

Nessuno la biasimò, più in basso ti trovavi nella classifica meno le tue mani si erano macchiate di colpa. Il mio posto tra i Positivi era commisurabile agli atti commessi in quella stanza. Se avessi fatto io le classifiche mi sarei piazzata anche più in alto.

«Dopo una prova del genere chissà cosa ci aspetterà» intonò William grave. Aveva detto di lasciar fare a lui ma non sembrava poi così capace.

«Sicuramente sarà qualcosa di diverso» commentò Maximilian.

La conversazione era sul punto di morire lì a causa del biondino che, d'un tratto, iniziava a farsi venire l'ansia da prestazione. Ci pensò Quiana a ravvivare il discorso, portando in tavola l'argomento più interessante del momento.

«Paterson è ancora in gara?» domandò con aria innocente.

Cercai di apparire neutrale nella risposta, anche se non vedevo l'ora di mettere in giro la voce. Così facendo ci avrebbero pensato due volte prima di rifare una cosa del genere. «Lo hanno mandato via dopo il termine della prova, sconterà una pena di tre mesi nel Perimetro penitenziario per la sua cattiva condotta».

William non trattenne un sogghigno, aveva fatto i salti di gioia quando glielo avevo detto; Quiana ne parve sollevata mentre Maximilian annuiva poco interessato. La notizia avrebbe presto fatto il giro dei candidati, e qualcosa mi diceva che Quiana lo avrebbe subito riferito a Shawn. Volevo che fosse uno dei primi a saperlo, non nego di aver sperato in una punizione anche per lui e la sua boccaccia.

Nel pomeriggio ricominciarono gli allenamenti e, come previsto, la notizia era giunta a tutti. Il gruppo era cambiato quasi radicalmente, quelle poche persone rimaste dalla scorsa classifica erano anche le più antipatiche: Alexa e Karter c'erano ancora, Shawn naturalmente non si era mosso, insieme a quella bambolina bionda di Adele. Anche con la mia fervida immaginazione non riuscivo a figurarmela mentre tramortiva tre candidati, magari rischiando di spezzarsi un'unghia. I restanti concorrenti erano tutte facce nuove, saliti in maggioranza dal Quarto Gruppo. Molti di loro passavano il tempo a schernirsi, quindi si crearono fin da subito situazioni poco piacevoli tra i nuovi arrivati e chi aveva già avuto a che fare con la prima classifica. Osborne diventò molto più brutale, la vecchia serie stritola muscoli divenne solo un ricordo e iniziò a farci lavorare sulla resistenza attraverso una corso di campo infinita. Tre giri di tutta l'area esterna dei Latori, una pausa e qualche sorso d'acqua, finché la tortura non ricominciava. Quelli delle classifiche più basse, soprattutto chi era stato nel Quarto Gruppo, sembravano cavarsela meglio, quasi avessero vissuto di peggio. Non avevo avuto modo di vedere uno dei loro allenamenti con Maguerez, potevo solo immaginare.

«Basta!» esclamai esausta, mentre trascinavo le gambe lungo quell'immenso campo.

«Avanti ne mancano solo altri tre.» mi invogliò William prendendomi sotto braccio.

«Altri tre?! Se faccio qualche altro passo muoio!» nonostante mi stessi lamentando non osai fermarmi.

«Forza, forza. Ce la possiamo fare...» dalla voce William traspariva la sua stanchezza.

William mi sostenne quasi per un intero giro, almeno finché Osborne non se ne accorse.

«Candidata Johns si stacchi dal candidato Born! Durante la Terza Prova non avrà nessuno a cui appoggiarsi, quindi si dia una mossa. La voglio a distanza da lui!» squarciò la distanza con la sua poderosa voce militaresca. Mi staccai di mala voglia, rifilando a William una smorfia, e accelerai un po' per seminarlo, anche se sarebbe più preciso dire che lui rallentò, facendo contento Osborne che, però, non era completamente soddisfatto. In qualche modo ce l'avrebbe fatta pagare più avanti.

A causa della sua scenata iniziarono tutti a darci della coppietta di innamorati. I commenti a tavola e nello spogliatoio non mancavano, soprattutto da un concorrente di nome Eddie che, già una volta aveva provato ad attaccar briga, e un ragazzi di nome Derek Vermeulen. Era uno della vecchia combriccola di William, con la quale non sembrava andare particolarmente d'accordo. Aldilà di quei pettegolezzi, le vere coppie che si creavano e si lasciavano erano anche troppe. Io non credevo si potesse fare amicizia nell'Elezione, figuriamoci trovare un partner. Per quanto mi facesse arrabbiare la stupidità di alcuni concorrenti, era bello trovarmi nello stesso gruppo di William. Se fosse stato così fin dall'inizio, probabilmente nessuna delle cose brutte che mi erano accadute si sarebbero verificate. Avere qualcuno a sostenermi era inappagabile, ci capivamo al volo e le giornate passate nella Base Alpha iniziavano a diventare più tollerabili. I miei timori c'erano sempre, mitigati dalla presenza di William e degli alleati con la quale iniziammo a circondarci, ma quando ero sola mi piombavano addosso sempre più pesanti. La pace mi veniva donata dalle scosse, dove la voce nella mia testa tentava di confortarmi.

Un paio di giorni dopo scoprimmo causalmente i volti dei candidati più pericolosi, quelle i cui nomi mi erano stati detti da Jefferson. Tre di loro si trovammo proprio nel nostro gruppo, io e William li sorprendemmo a complottare nello spogliatoio prima degli allenamenti. Dalla porta socchiusa riuscimmo ad ascoltare tutta la loro conversazione.

«Ho voglia di prenderli tutti a pugni!» sbraitò uno di loro. Più avanti lo identificammo come Brunuas Sherpal, un metro e ottantacinque di muscoli e cattiveria. Era al limite d'età, venticinque anni, il suo temperamento aggressivo era piuttosto intimidatorio.

«Fallo e ti ritroverai nel Perimetro del penitenziario com'è successo a quello lì» aveva risposto il suo compagno, Esral Rivas. Fisico allenato, la suo costituzione era la metà dell'amico, durante gli allenamenti lo avevo sorpreso a studiarci. Ora sapevo il perché.

L'unica ragazza del gruppo, Iruwa Mazur, capelli lunghi fino alla vita, pelle color cioccolato e un aspetto pericoloso quanto quello di Brunuas, disse: «Sai che mi importa! Lo voglio secco quell'idiota che mi ha stordita durante la prova!»

«Iruwa, abbassa la voce» l'ammonì Esral, come aveva fatto con Brunuas.

«Non sei arrabbiato per quello che hanno fatto?» ribatté la ragazza.

Esral sembrava il più ragionevole dei tre. «Certo, ma lo sono più con gli organizzatori che con loro».

«Io invece ce l'ho con entrambi. Hai visto come li allenano?» continuò Brunuas.

«Maguerez ci ha torturati fino all'ultimo giorno, mentre loro se la cavavano con la metà del lavoro. Che rabbia!» esplose Iruwa, ancora.

«Io dico di fare qualcosa. Spaventiamoli un po', così capiranno chi comanda» suggerì Brunuas.

«Sì, cominciamo con quella testa rossa!» asserì Iruwa, sempre più eccitata all'idea. Potevo capire la sua voglia di prendersela con Shawn, non c'era persona a cui non desse fastidio.

«No, non facciamo niente per ora» s'intromise Esral. «Continuiamo con il piano, facciamoli scendere alla prossima prova».

«Solo?» si lamentò la ragazza.

Come solo? Lanciai uno sguardo a William, sconvolto quanto me.

Brunuas ricominciò a parlare. «Con i primi in classifica che facciamo? Qui sanno tutti il fatto loro, chi ci assicura che arriveremo primi alla prossima prova?»

«Per questo dobbiamo allenarci. Quando arriverà la prova faremo di tutto per occupare i primi posti e portare loro nel Quarto Gruppo» sentenziò Esral.

Prima che potessi ascoltare altro, William mi trascinò oltre il corridoio prima che ci scoprissero. «Questa storia non mi piace...» fu la prima cosa che disse.

«Oltre alle minacce non hanno altre carte da giocarsi. Le prove sono troppo imprevedibili, falliranno» dissi subito. Non potevo esserne certa, ed era questo pensiero che aveva reso William così serio.

«Loro hanno il loro gruppo, noi abbiamo il nostro» disse pensieroso. «Avevi detto che c'era un altro nome nella lista: Eoin. Chiaramente non c'è tra i Positivi, e anche senza questa quarta persona sembravano fin troppo sicuri di loro».

«Allarghiamo il gruppo» tentai.

«Ehvena Johns che suggerisce di aggiungere persone, quale onore!» scherzò lui. «Hai ragione, però dobbiamo trovare persone nella nostra stessa classifica».

«Tutto fuorché Pel-Di-Carota».

«Tranquilla, non lo voglio tra i piedi. Pensavo più ad Alexa e Karter, anche se vanno troppo d'accordo con la Testa Rossa e Adele. Che ne dici di Derek?»

Scossi il capo. Era l'idiota che durante gli allenamenti si divertiva a darci della coppia di innamorati, odiavo i cafoni come lui.

Ignorò il mio disaccordo. «Tanto mica devi parlarci tu. Io parlo e tu annuisci, ricordi?»

«Certo, perché fino ad ora è andato tutto liscio come l'olio...»

«Che ragazzina impertinente» borbottò, riprendendomi sottobraccio.

Passeggiare con lui, in quel modo, stava diventando pericolosamente confortevole.

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