REVENGE

By DomeeWriter

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(Volume 3 di RESISTANT) Dopo anni Skye si ritrova di nuovo al punto di partenza: Dover. Il luogo in cui è cre... More

Dedica
1. Casa
2. Dimissioni
3. Il Piano
4. Miglia
5. Un lungo viaggio
6. Confini
7. Battersi per amore
8. Il suo centro di gravità
9. La forma della paura
10. Rimedi naturali
11. Destinazione inferno
13. La realtà
14. La fortezza
15. Il Dominatore
16. Le Origini
17. Finn
18. Ci Si Può Curare Da Soli
19. Ormai è Tardi
20. Resilienza
21. Una strana squadra

12. Il vuoto rispose

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By DomeeWriter

I ghigni dei due soldati svanirono quando arrivarono di fronte ad un'enorme palazzo incastonato sotto ad un monte che si stagliava verso il cielo. Alto com'era alta la Torre.
Socchiudendo gli occhi, una volta che tutta la sabbia cadde a terra, Skye vide che non era affatto un semplice palazzo. Bensì qualcosa che assomigliava più ad una fortezza.
Le pareti esterne sembravano fatte in acciaio che risplendeva sotto alla luce solare, probabilmente anche sotto alla luna. A tenerlo ben nascosto era il monte stesso che lo circondava, racchiudendolo come in un abbraccio. Come se la fortezza fosse una perla preziosa.
I due non persero tempo ad afferrarla per i cappi intorno ai polsi, facendola scendere frettolosamente dal blindato che si era fermato nel frattempo.
Quando gli stivaletti misero piede a terra, perse l'equilibrio e cadde rovinosa sulla sabbia cocente.
«Su. Andiamo» comandò spazientito il vecchio guidatore.
«Questa qui non si regge neanche in piedi» sghignazzò l'altro. Come se la fame e la stanchezza fossero due cose che lo divertivano invece di impietosirlo. Non perse tempo ad afferrarla per un braccio, costringendola in modo brusco a rimettersi in piedi.
Nel farlo Skye si diede una veloce occhiata alle spalle, chiedendosi se George, Cal e Koraline fossero riusciti a seguirla o avessero perso le loro tracce. O peggio ancora, non li avessero proprio visti lasciare Nuova Capitale.
«La Regina eh» scherzò l'uomo dagli occhi azzurri, entrambi la condussero sbrigativi verso la porta principale, sfoggiavano un sorrisetto ostile incredibilmente soddisfatto.
Quando furono prossimi all'ingresso, alzò il naso diritto verso le mura luccicanti. Da vicino, perfino quell'acciaio sembrava corroso. Il deserto non risparmiava nessuno.

Come aveva fatto Maicol a conoscere quel posto? Gliel'aveva forse confidato Gor in passato?

Anche se spaventata, capì che una fortezza come quella era decisamente un posto perfetto per imprigionare un Re.
Al solo pensiero il suo cuore sembrò saltellarle nel petto. Forse proprio lì, nascosto da qualche parte, c'era il suo Re e Saleem.
Ronald, Joseph, Lama, Wave... erano tutti lì dentro?
Se fosse stato così, doveva decisamente capire dove li tenevano prigionieri. Guardando di sbieco il sorriso glorioso del soldato, sperò la conducesse proprio da loro.
«Ma almeno sai che aspetto dovrebbe avere una vera Regina?» colui che le camminava alle spalle la spinse in avanti e rise compiaciuto quando incespicò. A quella provocazione, inevitabilmente i suoi pensieri finirono alla notte del falò e al vestito argentato che aveva indossato che illuminava così tanto la notte da sembrare essere fatto pieno zeppo di stelle.
Infine la sua mente le giocò il brutto scherzo di farle ricordare anche il volto di Constance. Tutto in lei, dal suo portamento regale alla sua innaturale bellezza ed eleganza urlava che fosse una Regina.
Non represse il sorrisetto crudele che affiorò sulle sue labbra secche quando ricordò il suo corpo che cadeva giù dalla terrazza del Palazzo. Nonostante stesse rimembrano qualcuno che aveva ucciso lei stessa, ne rimase stranamente imperturbabile.
Forse perché quella era stata l'ultima volta che sentiva di aver avuto il controllo e il comando su qualcosa nella sua vita. L'ultima volta in cui aveva avuto la vittoria dalla sua parte.
E anche l'ultimo momento prima di perdere tutto.
Da allora, tutto il suo mondo le era scivolato via dalle dita, non era più riuscita ad aggrapparsi a niente. Stringeva il vuoto nella speranza di riafferrare di nuovo qualcosa.

«Regina o no, vedrai che qui sarai solo un pezzo carne succulento, non verrai sprecata, bambolina» cantilenò il soldato assonnato.
Si limitò ad evitare di mostrare quanto quel commento raccapricciante la disgustasse.
Tenne la testa alta e il collo diritto mentre fecero gli ultimi passi che li separavano da quell'enorme portone in quercia.
Immaginò che una Regina avrebbe fatto anche quello. Dimostrassi inattaccabile.
Notò altre due guardie, entrambe le lanciarono occhiate incuriosite seppur non scomposero il loro busto rigido in quella che era la solita postura da soldato in allerta. Prima che uno dei due potesse porre inutili inconvenienti, aprirono il portone e spostarono lo sguardo interrogativo sui loro colleghi, attendendo taciturni delle spiegazioni.
«E questa qui chi è?» domandò impaziente uno di loro. Era più snello dell'altro, più alto e aveva la carnagione più scura. A quanto pareva aveva anche la parlantina più pronunciata.
Nella sua vita Skye non si era mai sentita bassa, tranne di fronte alla sua sagoma slanciata. Era cosi alto che il suo collo protestò quando si accinse a guardarlo di rimando.
«Dice di essere una Regina» ghignò l'uomo che manteneva ancora i suoi ceppi.
Tutti e quattro risero divertiti da quella risposta. L'uomo alto fece un cenno distratto di testa verso quella che parve l'entrata. Si era preso la briga di ignorarla completamente. Come se Skye non fosse nessuno, né una donna, né una Regina e nemmeno un essere umano.
Piuttosto era come se l'avessero già schedata a priori come una degenerata. Un folle.
Non ci pensò ulteriormente. Decise che l'opinione che i due uomini si erano fatti di lei, infondo non le importava poi granché. Entrando, si ritrovò in un corridoio sottile e privo di qualsiasi luce naturale. Se non avesse appena visto con i suoi stessi occhi il sole essere alto nel cielo limpido, avrebbe stentato a credere a quell'insolito buio.
Si lasciò alle spalle le risate degli uomini, anche se decise di non darlo a vedere, Skye annaspava in cerca di terreno ad ogni passo nella scarsa luce. Si chiese come avesse fatto a vivere nel Villaggio per tutto quel tempo.
I due dietro di lei, che la stavano scortando attenti come falchi, sembrarono ballerini in confronto a lei. Sapevano esattamente dove mettere i piedi, come spostarsi e perfino quando parlare. Come se fossero nati in quei corridoi.

Nonostante il Villaggio, Skye pensò che non si sarebbe mai potuta abituare.
Approfittando di quelle tenebre, si lasciò sfuggire un piccolo sorriso vittorioso. Era stata picchiata, degradata e derisa. Eppure nessuno ancora sospettava di lei. E questo avrebbe solo giocato a suo favore. Percorsero i cunicoli all'interno della fortezza e ad ogni singolo passo, sembrava che il suo cuore riconoscesse l'assurda vicinanza con il suo Re. Ansioso e bramoso che il piano riuscisse, batteva famelico e lo sentiva pompare fin dentro le orecchie.
Solo l'idea di rivedere ancora Maicol le faceva invece sudare tutte le mani. Non era neanche passato un giorno da quando le aveva urlato da oltre il dirupo che lei non era una Regina.

«Che dici, la portiamo direttamente da Maicol?» alzò la voce l'uomo che dal suo fianco si era spostato dietro di lei, scocciato di reggerle i polsi. I corridoi erano cosi stretti da consentire solo un passaggio a fila indiana. Le pareti lì... sembravano fatte di acciaio fino ad una certa altezza e poi delle pietre secolari si stagliavano in alto, era quasi impossibile intravedere un tetto. E probabilmente non c'era, perché da lì in poi cominciava il monte che nascondeva il rifugio.
«Questa svitata? Certo che no! Se gli facciamo perdere tempo quello ci ammazza» protestò il collega. Skye si girò di scatto verso il soldato che aveva guidato il blindato.
«Cosa?» annaspò e la voce le morì in gola dallo stupore. La costrinsero a svoltare in un altro cunicolo stretto, identico a quello precedente, finché non scesero dei gradini in ferro, circondati da una ringhiera e delle grate. Andarono in quello che aveva tutta l'aria di essere un seminterrato.
Non c'era più nessun pavimento grezzo. Nessun rivestimento in acciaio. Solo terra secca e pietre.
Skye riconobbe il sottoterra, ci aveva vissuto in passato per diversi mesi. Era simile al Villaggio.
Quando il soldato notò il suo sguardo disapprovato prese di nuovo parola «Che c'è bambolina?! Credevi davvero che portiamo ogni singolo pazzo che troviamo da Maicol? Quello lì a ben altro da fare che perdere tempo con una come te» la derise, beffandosi di lei ancora una volta.
In quel momento, desiderò voler fare a quell'uomo, ciò che aveva fatto ai soldati che avevano sorvegliato Edwin. Fantasticò di conficcare la sua lama nel suo collo e recidergli a metà il pomo d'Adamo troppo pronunciato.
Saldò i piedi a terra e fece per svincolarsi, ma i due la tennero stretta e la riafferrarono meglio.
«Sta calma, non decideranno oggi stesso le tue sorti» le comunicò l'altro per tranquillizzarla. Ma dal modo in cui aveva l'aria annoiata, come se fosse stanco di rivedere la solita scena ripetersi ogni giorno, non sarebbe riuscito a tranquillizzare nessuno.
«Vieni da questa parte. Sceglieremo per te la cella più bella...mia Regina» scherzò provando a reprimere l'ennesimo sorriso divertito. Le illustrò il percorso facendo un cenno ampio con la mano, come per mostrarle un bel panorama.
Dubitava che in quel seminterrato ci fosse qualcosa di bello ad attenderla. Tutt'altro, riusciva a prevedere solo una cella senza finestre e senza Yuri.

«No» pronunciò con la gola secca, inchiodò di nuovo i piedi sul terreno e cercò di rimanere ferma con tutta la forza che possedeva. Doveva parlare con Maicol. Doveva salvare Yuri.

Fu allora che l'uomo già spazientito le assestò un calcio dietro agli stinchi, costringendola a cadere di nuovo sulle ginocchia con un piccolo tonfo.
Le sue gambe protestarono per l'urto, lo stesso che aveva ricevuto qualche ora prima in Nuova Capitale.
«No?» urlò, schioccando la lingua e digrignando i denti aguzzi già ingialliti dal tabacco.
«Tu non ci dai ordini. Tu non decidi un bel niente. Tu non sei nessuno!» sbraitò e la sua voce riecheggiò come un eco intorno a tutte le pareti. In un lampo la disarmarono da tutte le sue armi lasciandole scivolare a terra molto lontano da lei.
«Ora alzati prima che decidiamo che Maicol non avrà mai il piacere di poter fare la tua conoscenza» minacciò. In risposta l'altro si limitò a tirarla in piedi e per sua grazia le liberò i polsi.
«Voi non capite. Devo incontrarlo e devo farlo ora» supplicò. Ma ebbe scarsi risultati. A quel punto immaginava che ormai il suo panico era ben palese.
La guardia sbruffò ancora, ma almeno quella volta non le diede di nuovo un calcio. Aumentò solo il passo sbrigativo, desiderando che tutta quella sceneggiata finisse al più presto.
Capì che il suo piano stava fallendo miseramente appena sbucarono in una stanza piena di porte serrate da chiavistelli e sbarre.
«Che ne dici qui?» le indicò una piccola porta semichiusa, immaginò essere l'ennesima cella. L'altro soldato scosse la testa e si allontanò, aprendo una serratura con più mandate.
«Mettila qua e facciamola finita» borbottò al collega.
Lui annuì e trascinò Skye con sé.
«Non mi va di sentirla lagnarsi» borbottò il collega come spiegazione. Skye osservò di soppiatto l'ambiente circostante.
L'unica via di fuga presente era il corridoio che avevano appena percorso. Il segno che non vi fossero altre guardie a sorvegliare le celle non le dava conforto, sembrava come se quei due fossero convinti che nessuno poteva mai uscirne vivo da quel luogo.
Inferno... l'avevano chiamato. E la sensazione di esserci finita per davvero incombeva in lei.
Le altre celle erano chiuse tutte da una porta in acciaio, dietro ad esse non proveniva nessun suono. Erano forse tutte vuote?
«Entra» ordinò l'uomo, spalancandole infine la porta.
«No» lottò per non entrare in quel tugurio logoro e stretto dove vi era a malapena lo spazio per potersi sedere a terra e stendere le gambe.
L'uomo sghignazzò davanti alla sua reazione. C'era qualcosa di contorto e perverso nel modo in cui sembrava godere ogni volta che lei invece si sentiva di morire.
«Che c'è? Ora non mi sembri più tanto convinta di essere una Regina» non le diede il tempo di replicare perché il soldato la prese per il busto e come un sacco di patate la lanciò dentro la stanza.
Urtò subito contro le pietre della parete, provò a girarsi ma la porta le venne sbattuta in faccia e nel mentre toccava la maniglia, essa venne subito chiusa con più mandate.
«Maledetti! apritemi!» batté inutilmente i palmi sull'acciaio che riecheggiò in suoni ovattati.
La risata fragorosa di uno dei due, insieme ai loro passi che si allontanavano, le diedero la conferma che aveva perso, di nuovo.
«Altrimenti? Cosa farai?» chiese quello che gli si era seduto accanto, la voce ormai oltre il corridoio.
Skye non rispose. Fece scivolare via i palmi dalla porta e si chiese la stessa identica cosa.
Cosa avrebbe potuto mai fare in quelle condizioni?
Si guardò intorno e non ci volle molto per perlustrare ogni perimetro di quella cella.
La stanza era a malapena grande quanto quattro passi laterali e frontali.
Si lasciò cadere a terra premendo la schiena verso il muro cosi da lasciare più spazio alle sue gambe e cercare di stenderle.
«Bastardi» imprecò sottovoce, mordendosi un labbro tremante.
Dubitava che lì, messa alle strette nel peggior sottoterra, avrebbe potuto rincontrare presto il suo Re. Una parte di lei sperava che lui non fosse lì. Rinchiuso senza sole e spazio.
In quel momento, pensò all'ipotesi che Maicol la lasciasse a marcire per sempre in quella maledetta cella. Nel vederla così si sarebbe sicuramente accertato che Skye non rivedesse mai più la luce del giorno.

Esasperata chiuse gli occhi e ricacciò indietro le inutili lacrime di frustrazione.
Fra quella rabbia però, emerse un pensiero che le fece alzare un angolo della bocca. Per mesi, Skye aveva pensato che un giorno, una volta accettato il patto, a tenerla prigioniera sarebbe stato proprio Icaro. Non il suo fratellastro.

Passò del tempo che non sapeva quantificare, le parve un'infinità. Aveva avuto gli occhi puntati sulla porta per tutto il tempo senza battere ciglio. La vecchia lampadina aldilà della porta era l'unica fonte della luce, essa trapelava dalla piccola fessura della chiave e anche tra la porta e quel pavimento composto da terra e sabbia.
Non riusciva però ad illuminare tutta la cella.
In mezzo a quella penombra fioca, si abbracciò le ginocchia e affondò il capo in esse, cercando di elaborare un piano per evadere e concludere finalmente la sua missione.

«Di nuovo prigioniera eh?» la voce che sentì sembrò soffocata dalle pietre spesse, anche se non era certa fosse solo per quello.
Alzò la testa di scatto e batté le palpebre temendo di essersi addormentata.
Quando non ottenne risposta, sentì di nuovo quella voce.
«Ora so anch'io come ci si sente» era più alta di prima, come se avesse tentato di urlare pur di farsi sentire da lei.
Sebbene era a conoscenza che tutto quello poteva essere solo frutto della sua immaginazione, rispose.
Si alzò e guardò la parete a destra poi rantolò con un soffio «Saleem».
Lui si limitò a chiamarla. «Skye» addolcì appena il suo classico tono freddo.
Anche se era in una netta situazione di svantaggio, in un posto putrito e angusto che rispecchiava il suo peggior incubo, sentir dire il suo nome da lui la rinsanì.
«Che ci fai qui e come stai?» domandò a raffica, incredula ancora di trovarsi nel sottoterra con lui nei paraggi.
«Tu cosa ci fai qui. Credevo fossi...» non finì la frase eppure Skye rammentava bene il momento in cui l'aveva lasciata andare. Era successo al Palazzo. Aveva deciso ancora per lei, ignorando il suo volere. Lasciando che Maicol la rispedisse a Dover. E nonostante sapesse in cuor suo che l'aveva fatto per risparmiarle la guerra e per metterla in salvo, non riusciva ad addolcire la pillola.
Evitò di dirgli che era ancora furiosa con lui per quello. Lo era perché...era incredibilmente stanca di essere sempre salvata da qualcuno. Di non avere mai voce in capitolo nella sua vita.
Lei voleva rimanere lì, da viva o da morta, quello era il suo posto.

«Non potevo lasciarvi qui» borbottò con tono aspro, poi si schiarì la gola secca.
«Ne usciremo presto, vedrai» aggiunse con fare rassicurante rivolta alla parete.
Il vuoto rispose:
«E come pensi che accadrà?» aveva il brutto presentimento che Saleem fosse lì da molto tempo. Forse da quando l'aveva visto per l'ultima volta al Palazzo. Se cosi era...poteva solo intuire le condizioni in cui si trovava.
Ma almeno era vivo. Di questo era grata.
«Non lo so ancora» sospirò affranta, lasciandosi andare di nuovo contro il muro che si trovava subito dietro di lei.
«Non mi hai risposto. Come stai?» cambiò argomento. Ci fu un attimo di silenzio prima che le dicesse «Mai stato meglio, ora. Credevo che non avrei mai più risentito la tua voce» non poteva biasimarlo essendo che c'era stato un tempo in cui anche lei l'aveva pensato.

Un nodo le si formò alla bocca dello stomaco. Skye sorrise anche se lui non poteva vederla e pensò che in quel momento era solo un bene.
«Anch'io» ammise, aprendo i palmi verso il terriccio freddo e affondando le unghie in esso.

Di nuovo susseguì un lungo silenzio.

«Immagino che ora abbiamo del tempo per parlare» non riusciva a capire dov'era esattamente la sua voce, sembrava lontana ma quanto?
C'erano cosi tante cose da dire. Eppure sembrava non trovarne neanche una.
«Suppongo di sì» tracciò delle linee sui residui di sabbia, come se stesse componendo una sorta di griglia.
«Sai, non l'avevo immaginato cosi il nostro prossimo incontro» rise amaramente.
Lo capiva, neanche considerando varie ipotesi, aveva pensato che per parlargli doveva guardare uno stupido muro in pietra. «E come l'avevi immaginato?» chiese invece, disegnando delle spirali, poi cancellò tutto.
«Mhm. Qualcosa di nettamente diverso» disegnò di nuovo una griglia, questa volta con una croce al centro. Immaginò rappresentasse lei.
Aveva fatto la prima mossa.
«Diverso in senso positivo?» indagò.
«Credevo a qualcosa simile al bacio che ci siamo scambiati in quei giardini» rispose e Skye spalancò gli occhi di fronte a quell'audacia.
Non aveva dimenticato quel bacio, scambiato al Palazzo nel bel mezzo della battaglia. Ricordò che era stata cosi contenta di rivedere Saleem che non aveva pensato ad altro.
Supponeva che infondo, nonostante fosse arrabbiata con lui, una parte di sé sarebbe sempre stata contenta di rivederlo.

Disegnò un cerchio sotto alla croce.
Granelli di sabbia scivolarono sulle sue dita mentre tracciava la forma.
«Beh neanche io avevo immaginato di incontrarti qui» in una cella dimenticata da ogni Dio. Avrebbe voluto aggiungere ma la sua voce si spense prima.
Una leggerissima risata ironica giunse dalla penombra che incorniciava la porta.
«Già...ho immaginato per mesi diverse ipotesi in cui ti avrei rivisto e no, in nessuna di queste c'era questo lurido seminterrato» constatò mentre lei si concentrava sulla partita a tetris che stava giocando silenziosamente. Tracciò un altro cerchio e cambiò argomento.
«Cos'è successo?» ritornò per un attimo ad osservare la parete come se potesse vederlo anche attraverso quegli strati.
«Niente di imprevedibile. Maicol ha ordinato ai suoi soldati di portarci tutti qui e da allora...non ci siamo più mossi» tutti lì. Si concentrò su quelle due uniche parole. Dopotutto quella parte del piano reggeva e come aveva sospettato, Maicol aveva preferito tenerli tutti insieme sotto stretta sorveglianza.
Disegnò una croce nell'angolo in alto, questa era per lei.
«Dove sono gli altri? Lama, Joseph, Wave, Ronald, Pierre...» iniziò ad elencare.
«Non ne ho la più pallida idea. Da quel giorno non ho più rivisto nessuno di loro» non era la risposta che cercava. Si concentrò sulla partita mentre chiese con finto disinteresse «E Yuri? Sai dimmi dov'è?» provò a tenere a bada la speranza che montava in lei, voleva reprimerla per non sentirsi più così debole ed esposta eppure c'era. Inaffondabile.
Sapeva che a Saleem gli doveva ancora una miriade di spiegazioni eppure non poteva fare a meno di domandarglielo.

Silenzio.

Poi rispose «So che Maicol lo teneva vicino a sé. Non so altro» il tono della sua voce era cambiato. Osservò la griglia dove due croci tracciavano una linea in diagonale, mancava ancora l'ultima mossa. Studiò anche i due cerchi vicini.
Sapeva che non gli piaceva parlare di suo cugino, ma doveva mettergli in chiaro la verità perché Icaro non era come lui credeva fosse ancora.

«Quel giorno...» la voce di lui sembrò per la prima volta titubante e si affievolì prima che riprendesse di nuovo a parlare. «Indossavi la divisa del Palazzo» concluse con riluttanza ma non sotto forma di accusa.
Ricordò la giacca blu con lo stemma reale dell'aquila incisa sul petto, lo stesso tatuaggio che Yuri aveva tatuato sulla pelle.
Disegnò il cerchio mancante accanto ai due, poi strisciò i polpastrelli delineando una linea sui tre pallini.
Aveva vinto e lei sentiva di aver perso.

«Mi stai per caso chiedendo del perché la indossassi?» non seppe perché indurì la voce, ma lo fece. Ingoiò giù un grosso groppo.
«Sì» affermò e Skye immaginò di star parlando di fronte ai suoi begli occhi neri.
«Perché è quella la parte dove desidero restare. Saleem io... le cose sono cosi assurde e strane che forse a malapena ci crederesti» mormorò esasperata, portandosi una mano fra i capelli e tirandosi le leggermente le punte.
«Proverò a fare uno sforzo per capirlo» non era mai stato cosi propenso a parlare.

Da dove doveva iniziare?
Dalla tenuta?
O da ciò che provava?

«Durante il tempo in cui...Sono stata lontana» soppesò bene le parole da dire «Ho conosciuto meglio Yuri» forse Saleem pensava che suo cugino l'avesse tenuta prigioniera chissà dove. E probabilmente era stato proprio per quel motivo che le aveva detto poco prima ''Di nuovo prigioniera eh?'' ma doveva assolutamente sapere che non era stato affatto cosi.

«Yuri non Icaro...l'hai detto anche quel giorno al Palazzo» la interruppe con una voce che non riuscì a decifrare. In quel momento più che mai avrebbe voluto vederlo in faccia per cercare di capire le sue emozioni. Non che prima, al Villaggio, l'avesse mai capito cosi bene.

Era come se Saleem avesse sempre eretto uno scudo contro il mondo. Dove a malapena riusciva ad entrare. Ma quelle volte in cui ci era riuscita... se n'era innamorata.

«Ci tengo a lui» sparò rivolta al vuoto prima che potesse rimangiarsi ogni parola. Ormai sembravano che tutti sapessero dei suoi sentimenti. Tutti tranne il diretto interessato. Durante il silenzio che susseguì dopo le sue parole, Skye si afferrò lo stomaco come se avesse potuto tenere a bada la sensazione di vomito che le risaliva a galla. Molto probabilmente avrebbe davvero vomitato se non fosse che aveva già riversato tutto il contenuto nel suo stomaco sull'elicottero.

Forse, da vigliacca, gliel'aveva detto soltanto perché sapeva che lui non potesse raggiungerla e fargli cambiare idea. Si era nascosta in quelle quattro mura piuttosto che guardarlo in faccia e dirgli che si era innamorata di un altro uomo.
E non di uno qualsiasi. Ma di Icaro.

Quella volta, già sapeva di non riuscire ad entrare nello scudo che Saleem aveva eretto. Stava per supplicarlo di parlare, di dirle qualsiasi cosa quando finalmente lo sentì. «Non mi allontanerai di nuovo da te» una ruga d'espressione si formò tra le sue sopracciglia. Osservò interdetta la porta. «Saleem io...» la interruppe con una risata fragorosa che fece tremare sia la prigione che le ossa. «No. Skye, non lo farai di nuovo. Non inventerai altre scuse solo per tenermi lontano e tentare di proteggermi. Non te lo permetterò di nuovo . Niente di ciò che dirai mi scalfirà» boccheggiò più volte in cerca di una risposta.

La situazione le si stava ritorcendo contro, prendendo una piega del tutto inaspettata.

«Saleem, non sto mentendo. Lui non è come pensi, è diverso. Tutto quello che ha fatto è stato solo per proteggere il suo regno» annaspò le prime parole che le venivano in mente.

«Credimi, conosco bene mio cugino» il disprezzo che percepì nella sua voce le creò una strana sensazione. Simile a quella che aveva provato la prima volta con Constance, quando aveva insultato il suo Re. Chiuse la bocca e rifletté tre volte prima di replicare seccamente «No, tu non lo conosci» lo sentì subito rispondere. «E tu credi di si invece?» non gli nascose il tono irrisorio. Anche se non poteva vederla, serrò i pugni e si alzò in piedi. «Se solo non fossi troppo cocciuto nelle tue convinzioni e mi ascoltassi per una buona volta, ti dimostrerei che sì, lo conosco e meglio di quanto credi. Conosco ogni singola ferita che gli hai inferto ogni singola volta che vi siete visti dopo l'omicidio dei suoi genitori. Conosco il motivo per cui li ha uccisi e del perché mi ha portata via dal Villaggio e inoltre conosco...» la interruppe ancora. «E ti sta bene Skye? tutto questo ti sta davvero bene?!» esplose. Anche a quella distanza, percepì chiaramente la sua irascibilità sull'argomento.
«Ti sta bene che abbia ucciso delle persone? che ti abbia sottratta al Villaggio? Sottratta da me?!» si passò di nuovo le mani tra i capelli secchi e imprecò sottovoce. Convincerlo del contrario era più difficile del previsto.
«La Skye che conoscevo sa cos'è il giusto e cosa non lo è. Andiamo! Icaro è il diavolo in persona! so che lo sai perfino tu» forse era vero. Forse aveva commesso più peccati con Icaro che con chiunque altro al mondo. Ma lo conosceva. E sapeva che anche il diavolo era stato un angelo.
Il più potente e il più devastante.

«Non sono cambiata su questo aspetto» precisò emettendo un respiro profondo per calmare i suoi nervi.
Fu libera quando calò ancora il silenzio ed entrambi decisero di lasciar perdere quell'argomento, almeno per il momento.
Dopo poco, Saleem prese a raccontarle di ciò che nel frattempo era accaduto al Villaggio. Del fatto che avevano lasciato la base e di Muna e Indie alle prese con nuove cure.

Sentendolo parlare, gli mancò quel posto. Avrebbe voluto rivedere presto Adil e tutti gli altri. Quando era arrivato al momento in cui lui si era allontanato da loro per cercarla, Skye scivolò controvoglia in un sonno poco profondo. La voce di Saleem che continuava a parlare e a raccontargli del deserto la cullò e per un attimo, credette di averlo al suo fianco.

Ma quando chiuse le palpebre ormai troppo pesanti, non vide lui. Ma soltanto due occhi verdi.

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