REVENGE

By DomeeWriter

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(Volume 3 di RESISTANT) Dopo anni Skye si ritrova di nuovo al punto di partenza: Dover. Il luogo in cui è cre... More

Dedica
1. Casa
2. Dimissioni
3. Il Piano
5. Un lungo viaggio
6. Confini
7. Battersi per amore
8. Il suo centro di gravità
9. La forma della paura
10. Rimedi naturali
11. Destinazione inferno
12. Il vuoto rispose
13. La realtà
14. La fortezza
15. Il Dominatore
16. Le Origini
17. Finn
18. Ci Si Può Curare Da Soli
19. Ormai è Tardi
20. Resilienza
21. Una strana squadra
22. Enigmi

4. Miglia

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By DomeeWriter

Nella sua vita erano successe un sacco di cose strane e per niente preventivate.
Una delle quali, era stato proprio il salvataggio di Saleem durante la serata dello spettacolo.
O il suo arruolamento.
O anche il fatto che aveva dovuto uccidere una vera e propria Regina.
E infine si era innamorata di un Re che tra l'altro pensava suo nemico.
Tutte quelle cose, messe insieme erano surreali. A quella lunga lista però avrebbe dovuto aggiungere anche quella di George sorseggiare del tè nel suo soggiorno di Dover.
Era stata sua madre a fare gli onori di casa e a invitarlo ad entrare, una volta servitogli il tè però non aveva smesso un attimo di ronzare intorno a loro in cerca di informazioni su come si fossero conosciuti.
Effettivamente non era solito vedere un uomo sulla quarantina bere tè da una tazzina rosa con ancora indosso la divisa del Villaggio, ovvero la solita canottiera nera e i pantaloni mimetici verdi che aveva indossato anche Skye una volta. George era sporco da cima a piedi e aveva tutta l'aria di aver appena attraversato una tempesta di sabbia a piedi e avesse camminato fin lì.
Incurante delle occhiate curiose di sua madre però, il soldato la guardava con un sorriso smagliante che prometteva avventure strepitose e pericoli imminenti. Skye fremeva nell'attesa che Grace girasse alla larga per storcergli tutte le informazioni che poteva. Ad esempio, com'era arrivato fin lì? come sapeva dove abitava? ma soprattutto, aveva un modo per riportarla indietro?
Skye non era mai stata così felice di rivederlo, ed entrambi erano impazienti e impacciati nei loro posti troppo stretti mentre cercavano il momento giusto per poter parlare in santa pace.
«Quindi? Come vi siete conosciuti?» ripeté la domanda Grace, come se la prima volta entrambi non l'avessero sentita. Posò un vassoio colmo di biscotti zuccherati sul tavolino in mezzo a loro.
Immaginò che anche sua madre moriva dalla curiosità di saperne di più. Lo strano individuo che si era palesato fuori alla sua porta, era alquanto malconcio e denutrito eppure non poteva smettere di guardare quell'uomo entusiasta di poter scoprire qualcosa di più su ciò che era successo a sua figlia. Oppure capire che tipo di rapporto c'era tra di loro.
Rispose l'uomo prima che la figlia potesse prendere fiato per parlare. «Siamo amici di vecchia data»
Spiegò senza divagare troppo. Allora Grace puntò i suoi occhi chiari sulla divisa malandata e guardò la figlia, chiedendole silenziosamente ulteriori spiegazioni.
«Ci siamo conosciuti a Parigi» mentì lei e prima che potesse porgerle ancora altre domande, trillò «Lì in accademia gli avevo promesso che gli avrei fatto assaggiare la torta al burro che cucinavi. Per caso potresti?...» Grace batté le palpebre più volte e guardò il soldato che sottolineò subito «Oh si. Mi ha parlato benissimo della vostra torta al burro» nascose un sogghigno mentre reggeva il gioco dell'amica.
Dopo un lungo attimo di esitazione, sua madre annuì frastornata. Di tutte le cose che si aspettava di ottenere, quella immaginò fosse l'ultima. Tuttavia non voleva essere scortese verso il suo nuovo ospite, quindi acconsentì a quella richiesta seppur un po' scettica. «Certo... devo solo... andare...andare a comprare il burro ecco» incespicò nelle sue parole. Skye pensò che il market non era molto distante da casa loro. Ma anche solo venti minuti sarebbero andati bene affinché George potesse raccontarle tutto.
«Ottimo direi» sentenziò Skye sorridendogli fin troppo allegra. «Aspetterò per mangiarla» commentò George. La madre annuì ancora mezza interdetta e si alzò afferrando il cappotto e il capello di lana dall'attaccapanni accanto all'ingresso. Lanciò un ultimo sguardo nella loro direzione, finse un sorriso educato e chiuse la porta d'ingresso dopo essere uscita.
Entrambi attesero per sicurezza svariati minuti, che parvero interminabili, prima di riprendere parola. Fu allora che, incapace di intrattenersi oltre, domandò d'impeto «Come sei arrivato fin qui?» si avvicinò a lui e si accomodò sul bracciolo della loro poltrona.
George si allungò per afferrare un biscotto e solo guardandolo da vicino, Skye si rese conto di quanto fosse stremato il soldato.
D'un tratto, tutta l'euforia nel vederlo sparì, lasciando posto alla preoccupazione.
«Hai bisogno di qualcosa? Un bagno caldo forse? Qualcosa di consistente da mettere sotto ai denti?» corresse subito la sua domanda nel vederlo divorare ad occhi aperti tutti quei biscotti. Non voleva offenderlo, ma lei stessa aveva vissuto nel Villaggio e aveva conosciuto cos'era la fame. Il soldato annuì e posò l'ultimo biscotto.
«Sarebbe...grandioso» rispose deglutendo. Poi la guardò desolato. «Giuro che poi ti racconterò tutto» non voleva si scusasse per quello, era un suo diritto riposare e chissà per quanto aveva viaggiato. Skye fece un gesto di mano per lasciare andare il discorso e saltò in piedi, conducendolo nella cucina collegata al soggiorno da un piccolo arco.

Attese infine che mangiasse tutti i cinque toast al prosciutto e formaggio che gli aveva preparato, poi ne chiese altri che non divorò all'instante ma che chiuse in un fazzoletto e mise nel tascone. Mangiò altro, robe a caso trovate nella dispensa come una barretta di cioccolato e un sorso di birra dalla bottiglia aperta lasciata in frigo. Fece anche una doccia calda, e lei si adoperò per frugare nelle cose di suo padre e prestargli una camicia larga stile hawaiana, che non aveva mai visto indosso a suo padre, ed un paio di jeans che tenne ben fermo alla vita con una cintura molto stretta.
Quando finalmente ebbero tempo per parlare, Skye non stava più nella pelle e sua madre avrebbe fatto ritorno a breve. Immaginò potesse sembrare ambiguo il cambio look di George cosi decise di portarlo nella vecchia scuderia del nonno, lì avrebbero avuto tutto il tempo per parlare.
Aveva lasciato un bigliettino sulla tavola con su scritto frettolosamente: "Torneremo presto" sapendo già che leggerlo l'avrebbe allarmata.
Ma non le importava poi molto.

Quando entrò nella scuderia muovendo la maniglia arrugginita, sembrò ritrovarsi in un altro luogo.
Quello non aveva per niente l'aria del posto in cui era cresciuta.
Era già a conoscenza che sua madre aveva venduto i cavalli di suo nonno. Ma vedere quella stalla così desolata e spoglia, le fece stringere un po' il cuore nel petto.
Qualcosa di cosi bello era andato perso per sempre e temeva che anche nei suoi ricordi più belli tutto sarebbe cambiato.
Nonostante era abituata ormai a certi tipi di sofferenza nella corte, vedere quella stalla così era difficile da sopportare. Come un nodo in gola impossibile da mandare giù.
Il vuoto che lambiva ogni angolo si impossessò anche di lei, come se avesse riconosciuto un suo simile, ovvero la voragine che portava dentro da quando aveva perso quella battaglia.

Guardò George e non dovette incitarlo a parlare perché lo fece da solo. «Allora vediamo... cosa vuoi sapere per prima cosa? Da dove inizio?»
«Come stanno tutti?» chiese subito. George tirò un gran sospiro. «Non lo so» rispose rassegnato.
«Icaro ha vinto la guerra?» sparò a raffica, senza dargli neanche il tempo di riprendere fiato. «No» rispose. «E dove sono?» chiese, il soldato fece oscillare lentamente il capo. «Non so neanche questo. Immagino che questo non sia un buon inizio» Skye si costrinse a fare un respiro profondo per evitare di perdere la pazienza. Oppure ancora più infantile, scoppiare a piangere. Camminò lungo il corridoio vuoto dove erano rimaste soltanto qualche ciuffo d'erba estirpata e due vecchie selle appese ad un gancio arrugginito.
«Allora dimmi quel che sai» borbottò soffiando affinché una ciocca di capelli le volasse via dalla faccia. «Tipo da dove vieni e come hai fatto a trovarmi» precisò. George l'affiancò con due grosse falcate.
«A questo ho delle risposte» disse trionfante per poi diventare subito serio.
«Il giorno della battaglia non ero al Palazzo. Ero appena arrivato nella Nuova Capitale e quando ho visto l'esercito proveniente dall'Iran uscire fuori dalla stradina che puntava alla collina dove intravedevo il castello mezzo ceduto, ho capito subito. Sono corso a mettere in salvo alcuni civili che ho trovato per le vie. Ero da solo ed ero arrivato troppo tardi» ammise con sguardo assente. «Dopo essermi accertato di aver messo momentaneamente in salvo tutti quelli che riuscivo a raccattare, ho provato a salire su fino al castello»
«Ti prego, dimmi che c'era ancora qualcuno» sperò ma dal suo viso teso ebbe solo la conferma opposta.
«Non c'era più nessuno. Maicol li aveva fatti tutti prigionieri. In cambio però era rimasta una ragazza» strinse i pugni. «Ricordi il suo nome?» la voce di Skye si ridusse in un sussurro impercettibile.
Ginevra era stata vittima dei giochetti di Maicol.
Giun aveva tradito la sua fiducia rivelando a lei e Icaro della lettera che aveva intercettato.
Ronald e Wave erano feriti e necessitavano di cure.
Era andato tutto in un verso maledettamente sbagliato.
«Sì, non potrei comunque dimenticarlo. Me l'ha ricordato ogni ora finché non sono arrivato qui da te. Per tutti gli altri invece...li abbiamo cercati per più di una settimana, siamo andati anche a vedere lungo un'ala del deserto. Verso Nord. Ma non li abbiamo mai trovati. Non so se Maicol li abbia portati in Iran o chissà dove» abbassò la tonalità della voce, anche lui stava bisbigliando. Dalle spalle e il capo chino intuiva che si sentisse impotente e lei capiva bene quella spiacevole sensazione.
«Non sapevo dove andare o cosa fare» ammise infine, passandosi una mano sulla nuca rasata.
«È stata la ragazza a dirmi che Maicol non ti aveva fatta prigioniera, ma spedita come un pacco postale da dov'eri venuta. Ovvero su quest'isola. Ha insistito affinché seguissimo questa pista e ci accertassimo che eri ancora viva e che infondo quel bastardo non stava bluffando» Skye si accigliò. «Come si chiama questa ragazza?» chiese con il cuore in gola che batteva frenetico.
«È una piccoletta tutto sale e pepe» la informò, stiracchiandosi le grosse braccia. Sebbene era dimagrito, i suoi muscoli erano ancora tonici e allenati. «Si chiama Koraline» rispose e balzò su di lui prima che potesse fare un solo passo falso. Gli afferrò il colletto della camicia.
«Dov'è? Gli hai fatto del male?» disse con voce minacciosa e George arretrò sorpreso, finché non si scontrò con la parete dietro stante che sembrò tremare all'impatto. «Certo che no! Ma che ti prende?» si scrollò via la mano di Skye con un gesto e la guardò in cagnesco. Anche lei lo guardò con la stessa intensità. Poi soffocò un urlò di frustrazione e capì che quello di fronte a lei che la guardava confuso era un suo amico. Un suo alleato. Non un nemico. Non Maicol. «Scusa George è che...sono molto nervosa, non volevo prendermela con te» non ebbe il coraggio di riguardarlo per questo fece scivolare lo sguardo verso il pavimento.
«Ci credo. Ho fatto migliaia di chilometri per venire a vedere come stavi» infondo se avevano perso quella battaglia non era di certo per colpa sua. «Hai ragione, scusami ancora» ritornò a fissarlo e lui annuì poco convinto.
«Comunque sta bene la piccoletta. È nel furgone che t'aspetta» la frenesia di rivederla vinse su tutto scacciando la vergogna e tutti gli altri sentimenti.
Fece per fare retromarcia e ritornare fuori dalla stalla quando l'afferrò per un braccio.
«Calma. Hai un piano?» le chiese, fermandola.
«No ma scommetto che tu sì» infondo lui e Adil erano gli unici che conoscevano bene tutte le mappe del deserto.
Proprio come si aspettava, George annuì e osservò un punto indefinito dietro alle sue spalle. «Ti lasceranno andare via facilmente?» Skye fissò le luci accese dentro la sua vecchia casa, si intravedevano a malapena dal piccolo spiraglio socchiuso del cancello.
«Non sarà un problema. Troverò un modo» rispose celere e determinata.
Le lasciò andare il braccio ed emise un grugnito disapprovato, anche se infine le disse «Okay. Ti aspetterò questa notte infondo alla strada. Fa i bagagli. Noi saremo nel furgone giallo qui fuori parcheggiato sul ciglio» lo vide incamminarsi, non attese che gli desse conferma, aveva percepito quanto anche lei desiderava andarsene via da Dover.
«Aspetta, non abbiamo ancora finito di parlare!» squittì ma lui non rallentò. «Tranquilla, ti racconterò tutto strada facendo, abbiamo tempo. Devo ritornare da Koraline prima che si faccia venire qualche brutta idea» con quelle parole la piantò lì nel bel mezzo della stalla. E solo allora capì che i toast che aveva conservato erano per lei.

Quando ritornò a casa c'era sua madre alle prese con la torta. «Eccovi!» proruppe sollevata e uscendo dalla cucina, affacciandosi dallo stipite. Si accigliò «Dov'è il tuo amico?» Skye stava pensando ancora a come l'aveva trattato, al fatto che solo nominare ciò che le era attualmente rimasto del suo Palazzo, l'aveva fatta impazzire. e perdere il controllo.
«Lui...è dovuto andar via. Tornerà domani mattina per assaggiarla, ha avuto un contrattempo e ha detto che gli dispiaceva» inventò una scusa mentre si lasciò cadere come un sacco di patate sul divano del soggiorno.
«Capisco... gliene conserveremo metà allora» farfugliò Grace rientrando subito dopo nella cucina. Il forno era ancora acceso e già un dolce profumo inebriava l'aria.
«Sta arrivando anche Cal a cena» l'avvisò fra il frastuono delle pentole e padelle che cozzava tra loro, Skye stava invece riflettendo sul perché Koraline non si era presentata fuori alla porta insieme a George. 
«D'accordo» mormorò, sarebbe stato sicuramente complicato fare le valigie in sua presenza. E cosa avrebbe poi dovuto mettere nel borsone? Dubitava vi fossero armi decenti in quella casa, o qualcosa che potesse essere veramente utile per la loro missione.
«Mamma» chiamò, dopo pochi secondi sentì i passi frettolosi della donna raggiungerla, stringeva un canovaccio fra le mani pieno zeppo di impasto appiccicoso. I capelli sottili erano sfuggiti quasi tutti dalla crocchia morbida. «Dimmi tesoro» i suoi occhi azzurri erano perennemente preoccupati. Per giunta si comportava come se Skye fosse ritornata una bambina troppo imprudente che non sapeva più riconoscere alcun pericolo.
«Dov'è l'anello di Yuri?» Grace inclinò la testa di lato confusa. «Di chi?» Skye scosse il capo e si corresse. «L'anello con il diamante viola» specificò e allora la madre capì.
«Ah certo! Quello!» uscì dalla stanza e iniziò a frugare nella borsa nera che aveva sull'attaccapanni, la stessa che aveva visto in ospedale.
Poco dopo si avvicinò con il fazzoletto dove l'aveva racchiuso, lo aprì e quando glielo porse, Skye ammise che era ancora più bello di come lo ricordava.
La guardò accigliata e osservò la sua mano steccata. «Tesoro, sai che non puoi ancora indossarlo» mormorò con un tono apprensivo. «Lo so, lo metterò all'altra mano per il momento» rispose facendola annuire poco entusiasta.
«Allora...Yuri eh. Ti andrebbe di raccontarmi di lui? Voi due...» si interruppe, probabilmente leggendo l'afflizione che passò velocemente sul volto della figlia. «Siete davvero sposati?» riuscì comunque a concludere.
No.
«Sì» nella corte del Palazzo, quello dove Icaro si era trasferito dopo aver distrutto la Vecchia Capitale, Skye aveva imparato ad essere una bugiarda e un'assassina. Sedotta dal suo Re, era stata capace di fare qualunque cosa.
Si domandò se sua madre poteva immaginare che essere era diventata.
«E ti hanno costretta?» quella frase, avrebbe voluto che potesse ritirarla seduta stante. Scosse frenetica il capo. «Non mi ha costretto a fare un bel niente» fra lei e il Re c'erano stati patti, alleanze, e infine altro.
Ma mai, neanche quando lo odiava, l'aveva costretta a fare qualcosa.
Eccetto lasciare la base e il Villaggio. Anche se quello l'aveva fatto per uno scopo che andava oltre le sue aspettative, ovvero proteggerla.

Sua madre non avrebbe capito l'intensità dell'amore che Yuri aveva provato per lei. Invece Skye, che aveva vissuto sulla sua pelle tutto quello, lo capiva. Infondo l'aveva riportata indietro nella sua tenuta, stretta tra le braccia, nonostante lei aveva fatto esplodere due ordigni. Aveva subito da lei ogni affronto possibile. Eppure l'aveva sempre aspettata. Aveva percepito il suo amore ogni volta che la toccava, scorgendo immensità nella premura con cui faceva determinati gesti. 

Yuri l'aveva amata. E questo era innegabile a chiunque.
«Con noi puoi parlare, lo sai» provò Grace ma Skye si alzò, già triste.
Poteva sembrare rude nei confronti della sua famiglia, ma non lo era. I suoi genitori non l'avevano mai ascoltata in niente. Da loro, aveva ricevuto soltanto il supporto per la sua carriera come ballerina. Probabilmente perché era stato il desiderio di sua nonna. O forse perché un tempo anche sua madre era stata una ballerina, ma la sua carriera era iniziata troppo tardi e finita troppo presto perché rimase incinta di lei.
In quel momento vide quelle mura, e capì che anche se un malvivente fosse entrato da quella porta e avrebbe cercato di sparare alla loro figlia, dubitava che l'avrebbero protetta.
"Ucciderei per te."
Ricordò le parole di Icaro e sentì le lacrime accumularsi agli angoli degli occhi.
«Cosa dovrei dirti?!» Era furiosa ma ben presto quella furia lasciò spazio ad altro. Al vuoto nel suo petto.
«Ho perso l'uomo che amo» sussurrò prima che una lacrima le scivolasse via sul viso. Strinse l'anello fra le sue dita.
«Raccontami di lui» insistette la madre, chiaramente addolorata di fronte alla sua reazione. Era come se non la riconoscesse. Skye non si chiudeva più nei suoi silenzi, nella sua camera o nell'accademia.
Era lì che si reprimeva dall'urlarle contro tutti gli sbagli che avevano fatto come genitori.
«Non voglio. Ma sappi che se mai dovessi cercare di raggiungerlo di nuovo, sarò felice nel farlo. E desidero che nessuno me lo impedisca» Grace impallidì e premette le labbra in una linea sottile. Sapeva che quell'affermazione equivaleva a dirle che sarebbe ritornata indietro. Avrebbe preferito darsi per dispersa piuttosto che stare ancora un minuto in più in quella casa con loro. Prima che potesse rinfacciargli altro, la porta si spalancò e suo padre le guardò sorpreso indugiando dall'ingresso.
Dietro di lui, c'era Cal.
«Skye» il suo amico fu l'unico a trovare il coraggio di avvicinarsi a lei per abbracciarla.
Suo padre e sua madre avevano sempre invidiato il tatto che quel ragazzo sembrava avere con lei. Come se la capisse in un modo in cui loro non riuscivano.
«Vuoi andare su?» annuì contro il suo petto e si fece trasportare via.
Quando chiusero la porta alle spalle, Cal chiese «Cos'è successo?» lei scosse il capo appoggiandosi sul letto.
«Niente di nuovo dopotutto» rispose secca provando a nascondere la voce rotta dal pianto. Forse aveva i nervi a fior di pelle, o gli ormoni in delirio, perché era strano che piangesse per quello. Ma sembrava che non riusciva più a trattenersi.
Cal provò a cambiare discorso per farla stare meglio. «Allora, hai pensato al tuo piano?» e ci riuscì. Come spesso accadeva, trovò il modo di distrarla dai suoi demoni interiori.
Annuì, e probabilmente quella era stata una domanda fatta tanto per, perché non aveva calcolato la sua risposta.
«Davvero?» disse, chiaramente sorpreso.
«Questa mattina mi ha trovata un vecchio amico» gli disse, alzandosi e guardandosi intorno in cerca di qualche contenitore su cui poteva iniziare a buttare i suoi vestiti.
«E con vecchio amico intendi qualcuno di ?» Skye tirò su con il naso e annuì. «Esatto. Ha un furgone e un'altra mia cara amica. Partiremo a breve» a quelle parole, Cal gli si piazzò davanti. Stava per aprire l'anta del suo armadio quando lui gliela richiuse con una mano. «E se non fossi venuto qui te ne saresti andata senza salutarmi o dirmi niente?» si morse un labbro per evitare di mentirgli, ma alla fine disse ugualmente. «Sarei passata da te per un saluto veloce» non voleva ferirlo. Lei voleva bene a Cal, ma aveva altre priorità in quel momento, decisamente più importanti. «Bugiarda» la smascherò. Poi fece un sospiro e osservò come Skye tirava dal fondo dell'armadio un vecchio borsone da palestra.
«Mi avresti lasciato qui da solo quindi» costatò scettico. Afferrò dei vestiti vecchi e li mise sbadatamente dentro assieme ad un paio di scarpe.
«Tu hai Bonnie, non sei solo» gli rammentò ma la sua risposta non sembrò accontentarlo. «Non mi è sufficiente» protestò. Allora Skye si fermò dal preparare la borsa e lo guardò confusa. «Cosa non ti è abbastanza? questa è la tua vita, Cal. Devi solo fare come se io non fossi mai ritornata» ma a quelle parole sembrò sul punto di esplodere. Non l'aveva mai visto cosi. «Sai cosa credo?» lei scosse la testa, era ovvio che non lo sapeva. «Che il fatto che tu sia stata rapita, è stata la miglior cosa che ti fosse mai capitata» era così infatti, era contenta l'avesse capito anche lui. «E che ora tu voglia essere egoista con me. Aspettavi da tempo di poter evadere da Dover e Parigi» non capiva il senso di ciò che stava dicendo finché non glielo spiattellò in faccia. «Proprio come me» strinse i manici del borsone. «Cosa stai cercando di dirmi?» lo incitò e lui fece un passo verso di lei. «Voglio venire con te» era un'idea folle.
«Cal, ti rendi conto che non sto andando a corte. Ma nel bel mezzo di una guerra?»
«Sopravvivrò» ne dubitava. Non aveva tempo di difendere anche lui, tanto meno desiderava che si ferisse in qualche modo, anche se in entrambi i casi sarebbe successo.
«Fuori questione» proclamò chiuso il discorso. Ma lui insistette dicendogli «Non puoi decidere anche per me» replicò, ma lui non aveva un biglietto di sola andata per il deserto. Lei sì.
«Io lo amo Cal. Devo raggiungerlo e non posso restarmene semplicemente qui» chiarì e vide l'amico ridere amaramente. «Non lo sto facendo per te. Ma per me» sospirò, guardandolo combattuta.
«Cosa devo fare per convincerti?» chiese, sorridendole civettuolo.
L'aveva detto lui che era una bugiarda quindi gli rispose «Tieniti pronto domani all'alba. Fuori a questa strada» disse a denti stretti mentre deviò il suo sguardo e lo puntò sul borsone, stava tradendo il suo amico. Sarebbero partiti quella notte stessa e non alle prime luci dell'alba.

Cal annuì sollevato. «Ci sarò»

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