Game of Chaos (Game of Gods S...

By cucchiaia

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Spin-off di Game of Gods & Game of Titans, #4 da leggere. Nove fratelli e sorelle, con nomi di Dèi greci, ch... More

Intro + Info 🍒
1 (A) - Forse non avrei dovuto dare fuoco alla bara di mio zio
2 (H) - Le parole
3 (A) - Un martedí sera esplosivo
4 (H) - Le virgole
5 (A) - Vengo costretto a parlare dei miei sentimenti anche se non li ho
6 (A&H) - Il viaggio di Odisseo
7 (A) - Alla fine di tutto si scopre che sono un mammone
8 (A) - Mio nonno è un assassino
9 (H) - I punti di sospensione
10 (A&H) - Gli avverbi
11 (A) - Festeggio il mio non-compleanno
12 (A) - Quasi stermino metà famiglia durante i giochi di Achille
13 (A) - Purtroppo, adoro il drama
14 (H) - Dietro le quinte
15 (A&H) - I punti di domanda
16 (H&A) - Mostro il mio serpente a Hell (purtroppo non nel modo in cui pensate)
17 (A) - Faccio bagnare Hazel
18 (A&H) - Estoy condenado a no olvidarte nunca más
19 (H&A) - Visito la casa di Liam: il circo
20 (H) - Sotto le luci del palco
21 (A&H) - Il predicato verbale
22 (A&H) - Le parentesi
23 (H&A) - Rimorchio grazie alla matematica
24 (A) - Vengo costretto a una riunione di famiglia mai richiesta
24.5 - La mela rossa
25 (A&H) - Ho aspettato di vederti per 6 ore e 15 minuti
25.5 - La canzone di Iperione
26 (H) - Fine dello spettacolo
27 (A&H) - Il mondo visto dall'alto
28 (H&A) - Entro, spacco (un bicchiere), esco
29 (A) - Quasi perdo la testa per colpa di Medusa
30 (A&H) - Ho quasi ucciso i miei nonni
32 (A) - Panta Vrehi
33 (H) - Dio della discordia
34 - L'epilogo
Epilogo - Dove piove sempre

31 (A) - Nella mia storia non sei il cattivo

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By cucchiaia




Cosa accade quando due particelle entrano in contatto dipende dalla natura delle particelle stesse, dalle loro cariche e dalle forze fondamentali che agiscono su di loro. Le leggi della fisica, come quelle di Coulomb per le cariche e le forze nucleari delle particelle subatomiche, regolano queste interazioni.


— Hazel met a boy
with eyes like a man
Turns out her heart fits
right in the palm of his hand
Now he'll be her shelter
when it rains
Little does he know,
his whole world's about to change

(Ho revisionato il capitolo alle 5 del mattino. Mi scuso in anticipo se ci sono comunque errori. In caso, segnalatemeli grazie😭🙏🏻)

🍒
A R E S



Quando apro gli occhi, mi accorgo di essere abbracciato al corpo di Hell. Ho la testa poggiata sul suo petto, un braccio che le circonda il ventre e una gamba poggiata sopra le sue.

E sto sbavando sulla sua maglietta. Merda.

Mi sposto con cautela, per non svegliarla, e scivolo piano all'indietro per liberarla dalla mia presa asfissiante. Mi concedo qualche secondo per osservarla mentre dorme. Il viso è rilassato in un'espressione serena, vittima di un sonno profondo e tranquillo.

È il terzo giorno di fila in cui mi sveglio accanto a lei. La terza notte in cui ci addormentiamo insieme. Il terzo giorno in cui tagliamo fuori il mondo esterno e le mille preoccupazioni, solo per stare nella nostra piccola bolla privata.

Ho perso il conto dei baci che le ho rubato, così come di quelli che lei mi ha dato. E, onestamente, neanche ricordo più come stia Hell con dei vestiti addosso.

Mi sono bastati tre giorni per memorizzare ogni centimetro del suo corpo nudo e per imparare a conoscerlo bene, come se fosse anche il mio. So che adora i baci sul collo e che, se gliene do anche solo uno, le viene la pelle d'oca sulle braccia e sulle cosce. So che se le mordicchio il lobo mentre la penetro con un dito, impiegherà molto meno tempo a venire. So che le piace da morire stare sopra, aggrappata alla testiera del letto con le mani, mentre muove i fianchi contro la mia erezione e si lascia baciare il seno. So che le piace quando getto la testa all'indietro e mi abbandono all'orgasmo, e lei si avvicina per catturarmi la bocca in un bacio, come a volerlo condividere. Ho memorizzato i piccoli gemiti acuti che le scivolano dalle labbra quando la colpisco sul fondoschiena, e ho memorizzato il modo in cui pronuncia il mio nome quando è all'apice del piacere.

Ogni parte di lei è impressa permanentemente nella mia memoria, al punto che la vista e l'udito non mi servirebbero più. So dove poggiare la bocca, so dove mettere le mani. È una sensazione strana, mai provata con altre, e al tempo stesso così bella che mi chiedo perché io ci abbia messo così tanto a impegnarmi seriamente in una relazione.

Be', in realtà la risposta la so già: la vita non mi aveva ancora dato Hazel Fox.

Per questo, stamattina, voglio fare qualcosa di diverso. Domani scadono i sette giorni concessi da Urano, prima che inizi l'ultima fatica, e noi non sappiamo ancora dove si svolgerà e cosa accadrà. Motivo in più per sfruttare ogni secondo che ho con lei.

Scendo piano, dal letto, felice che siano solo le sette del mattino, ed esco dalla camera. Hell non dà cenno di essersi svegliata.

Arrivato nel piccolo salotto all'ingresso, incrocio gli occhi azzurri di Hermes. Se ne sta seduto sul divano, in boxer, con la caffettiera in mano. Prende un sorso senza smettere di guardarmi, poi ghigna. «Buongiorno, coinquy. Sei venuto a inzuppare un vero biscotto?»

Lo ignoro, come ormai ho imparato a fare da quando condivido la camera con lui. «No, vorrei preparare la colazione a Hell e portargliela a letto. Il problema è che non so nemmeno scaldare del latte in un pentolino.»

«Mi stai chiedendo aiuto?»
«Ovviamente, no. Non sono così stupido.»
«Ah, ecco, meno male, perché non so cucinare nemmeno io.»

Hermes si attacca di nuovo alla caffettiera, ma il liquido bollente gli cola sulla pelle e va a colpirgli il capezzolo nudo. Impreca, massaggiandoselo. «Merda, mi finisce sempre lì.»

Vorrei cucinare qualcosa di buono. Magari dei waffles. No, troppo elaborati. Dove cazzo trovo una piastra per waffle, qui? Ma nemmeno i pancakes vanno bene, perché sono la cosa più banale del mondo.

«Vai da Apollo e chiedi a lui», riprende Hermes. Il suo capezzolo, ora, è rossissimo. Si è ustionato? Solo con del caffè?

«Starà dormendo, ora, o no?»
Scrolla le spalle. «Motivo in più per farlo. È bello rompergli le palle, vero?»

Questo mi strappa il secondo sorriso della mattina. «Vero. Non posso lasciarmi scappare un'occasione simile.»

Infilo i piedi nel paio di vans che ho lasciato accanto all'appendiabiti all'ingresso e non mi preoccupo di legare i lacci. Sto per uscire, quando Herm mi richiama.

«Puoi chiedergli anche una pomata contro le ustioni?»
«Come no.» Mi chiudo la porta alle spalle e mi incammino verso sinistra.

Poco più in fondo c'è la stanza condivisa da Apollo e Hades. La stessa in cui non mi hanno voluto ospitare, abbandonandomi senza pietà a Liam e Hermes.

Busso tre volte prima che qualcuno si decida ad aprirmi. E, inaspettatamente, è Cohen. Ha i capelli raccolti con una matita, delle ciocche fuoriescono e ricadono sul collo. Indossa un completo che ha tutta l'aria di appartenere a Hades.

Non appena mi inquadra, aggrotta la fronte. «Oh, no, cos'è successo?»

Mentre mi lascia entrare, mi metto le mani sui fianchi e la fisso con aria offesa. «È questa la prima cosa a cui pensi quando mi presento da te? Che ho combinato qualche casino?»

Annuisce. «Sì, ed è la stessa cosa che hai sempre pensato di me, prima che ti cedessi il posto di protagonista. O sbaglio?»

Okay, vero, Vostro Onore. Un tempo era lei quella che si metteva sempre nei casini, per un motivo o per l'altro. Era ciò che mi spingeva a ritenerci simili, affini, guidati dalla stessa caoticità.

«Mi serve solo l'aiuto di Apollo.» Indico le stanze, chiedendole il lasciapassare. «Tu che fai?»

Indica il libro grosso come un mattone che giace sul divano, aperto a una pagina random. «Studio. Al di là delle follie di questa famiglia, abbiamo tutti una laurea da prendere, no? Comunque, vai pure.»

Ah, sì, a volte dimentico che siamo iscritti all'università. Non che ricordarlo faccia una qualche differenza nel mio modo di affrontare la mia vita universitaria, ma per fortuna sono un genio in matematica di natura.

«Ares?» Il suo tono, d'improvviso dolce e cauto, mi fa temere il peggio.
«Sì?»

Me la ritrovo accanto, le sopracciglia aggrottate e gli occhi che mi scrutano come se fossi un cucciolo indifeso. «Stai meglio?»

«Ho adottato un gattino nero. Si chiama 13.»

Da quando sono tornato a Yale, ho avuto modo di confrontarmi con tutta la famiglia. Oh, Dio, confronto è un parolone. Mi sono seduto in caffetteria con loro e ho finto che la sesta fatica non fosse mai accaduta. Sentivo gli sguardi di tutti addosso, ma la cosa rincuorante è stata scoprire che non erano terrorizzati da me. Erano preoccupati per me.

Ogni volta che qualcuno provava a chiedermi come stessi, rispondevo con la solita frase: «Ho adottato un gattino nero. Si chiama 13.»

Più tardi, la sera, Zeus e Hera mi hanno bloccato in corridoio e mi hanno fatto uno dei loro soliti discorsi strappalacrime. Noi ti vogliamo bene, blablabla. Magari Urano mentiva, blablabla. In ogni caso, eri solo un ragazzino e nemmeno capivi la gravità di ciò che facevi, blablabla. E comunque, lei ti ha quasi ucciso per difendersi, e non si sarebbe fermata, anche se non era più in pericolo, blablabla. Ti vogliamo bene, non scappare da noi, bla, bla e bla.

È stato emozionante. Dentro di me, piangevo. Fuori, avevo l'espressione più stoica di una statua. Almeno, credo che quell'aggettivo significhi... Ah, lasciamo stare.

Prima che possa andarmene, Haven mi circonda il polso e si mette in punta di piedi, con l'intento di raggiungere il mio orecchio. La aiuto e mi chino sulla sua figura, fino a quando le sue labbra non mi sfiorano la guancia.

«Ognuno sopravvive come meglio riesce», bisbiglia. «Tu hai fatto il possibile, e hai fatto una cosa brutta, perché non avevi nessuno che ti aiutasse. Nella mia storia, Ares, non sei il cattivo. Okay?»

Merda. Un'altra parola, e mi metto a piangere. Ricaccio indietro le lacrime e deglutisco con forza. Mi limito ad annuire, e a lei sembra bastare. D'altronde, Haven non mi ha mai forzato. È stata la prima a capirmi e ad accogliermi. La mia prima amica.

Pazienza che all'inizio volessi scoparmela.

Adesso, abbiamo una bella amicizia. E queste sue parole mi fanno pentire di essermene andato, di essere scappato come un idiota, nascondendomi in quell'appartamento di merda di cinque metri quadri che ha Thymos.

Le rivolgo un ultimo cenno e la osservo sistemarsi sul divano, pronta a riprendere lo studio. Avanzo nel piccolo locale; mi fermo davanti alla porta di una camera da letto e abbasso piano la maniglia, ma il legno cigola pericolosamente e decido di entrare di scatto.

Ci impiego poco ad abituarmi al buio e a adocchiare il letto. Non filtra un singolo fascio di luce dentro la camera, e Apollo è sdraiato di schiena, senza maglietta, con la testa sotto il cuscino.

Picchietto sul suo avambraccio, senza sosta. «Ehi, Jared, mi senti? Dormi ancora o sono riuscito a svegliarti?»

Mi arriva un mugugno in risposta. Ottimo.

«Mi serve il tuo aiuto per preparare la colazione a Hell. Vorrei cucinarle qualcosa di buono, ma anche esteticamente carino, e magari non troppo calorico visto che deve seguire la dieta per le gare di nuoto. Lo so che sono un rompipalle e che non mi devi nulla, visto il modo in cui ti tratto.»

Sospiro per prendere tempo. Non è facile essere gentile con Apollo.

«Però... ci tengo tanto a fare bene le cose con Hazel. Insomma, sono un asso a letto, le do degli orgasmi che farebbero crollare i muri di Yale. Ma vorrei anche essere premuroso, fare qualche bel gesto che non si limiti a raggiungere il suo punto G e farla venire. Capisci? Ci tengo, Jared. Anche se sono un deficiente. E solo tu puoi aiutarmi.»

Aleggia il silenzio.
Mi sento un idiota.

«Gesù, risorgi dal tuo sonno, per cortesia. O devo tornare fra tre giorni?»

D'improvviso, Apollo si tira su e mi sbatte il cuscino dritto in faccia, facendomi perdere l'equilibrio. Ondeggio come un ubriaco e cado di culo sul pavimento.

«Non sono Apollo, deficiente», mi sgrida Hades, la voce impastata dal sonno. Ha un occhio chiuso e uno aperto. «Hai sbagliato stanza. Lasciami in pace.»

Oh. Era destino che non dovessi aprire il mio cuore in modo così puro e sentimentale ad Apollo. In ogni caso, avrebbe potuto avvertirmi subito, invece che lasciarmi vomitare tutte quelle cose melense.

«Scusami, Makako. Non disturberò ulteriormente il tuo sonno di bellezza», sibilo, divertito. «D'altronde, una Div...»

«Vattene subito o mi alzo io», minaccia.

Saetto in piedi con un singolo movimento e mi affretto a uscire dalla sua camera. Questo non è il giorno in cui torno da Hell con l'umiliazione di avere un occhio nero, gentilmente regalato da Hades Lively. Mi sono già umiliato abbastanza.

Mi precipito fuori dalla camera e apro la seconda porta. Cilecca, di nuovo. È il bagno. Ne resta solo una, e la mia pazienza si è già esaurita. Perché è così difficile fare dei gesti carini?

Busso una volta, sperando di svegliare Apollo, ed entro senza aspettare. Le prime luci del mattino filtrano dalla finestra e avvolgono la figura di Apollo, sdraiata in un letto perfettamente ordinato. Dorme a pancia in su, con le braccia lungo i fianchi e l'espressione neutra.

Per un attimo, temo che sia morto.
Cazzo, sembra pronto da infilare dentro una bara. Raccapricciante.

Scuoto la testa e mi siedo sul bordo del letto. «Ehi, Apollo?» lo chiamo, piano.

Non si muove di un millimetro.

«Apollo», ripeto, con un colpo di tosse finto.
Niente.

D'accordo, nella vita o sei educato e perdi le occasioni, o sei un maleducato e cogli l'attimo. Lo disse qualche vecchio decrepito in latino, no? Carpe diem.

Afferro Apollo per le spalle e gli do uno scossone violento. Mio cugino riprende vita con un respiro profondo, spalancando gli occhi come se fosse in pericolo. Non appena mi mette a fuoco, esala un sospiro. «E tu che diamine vuoi da me?»

«Devi cucinare qualcosa per colazione a Hell.»

Sbatte piano le palpebre, confuso. «Cosa c'entro io? Non sono il suo ragazzo.»

«Sì, nel senso che devi cucinarla e darmela, così faccio finta di averla preparata io.»

«Non mi pare moralmente corretto.»
«Me ne fotto della morale di uno che ha finto di impiccare mezza famiglia.»

I suoi occhi verdi si assottigliano. Pessima mossa, Ares.

Abbozzo un sorriso. «Dai, sono cieco da un occhio, ho condannato a morte mio padre adottivo, visto morire mia madre biologica che tra l'altro ho provato io ad annegare e finalmente una ragazza bellissima mi degna di attenzione e amore. Non ti faccio pena? Aiutami.»

Lui corruccia le labbra sottili, in un'espressione che mi dà improvvisa speranza. «Be', in effetti ti servirebbe un aiuto per non rovinare tutto, come sei solito fare.»

«Esatto!»

Alza un dito. «Però, le relazioni si basano sull'onestà, e non sull'inganno. Vuoi fare un gesto carino? Ingegnati.»

Mi scansa con pacatezza per aprire il cassetto del comodino in legno, accanto al letto, e ne estrae qualcosa che fa il rumore di... plastica. L'oggetto non identificato atterra sul mio grembo, e io lo afferro con curiosità.

È una ciambellina ricoperta di glassa rosa, dentro una bustina trasparente sulla quale campeggia solo il nome della marca. Gliela sventolo davanti al volto.

«È una merendina confezionata! Una. Merendina. Confezionata. Non posso portarle questo!»

Apollo, con mio orrore, si sta già risistemando nel suo sepolcro, pronto a riprendere il sonno. «Sempre meglio di qualsiasi cosa le avresti cucinato tu. Impegnati e rendila tua. Ciao.»

«Ciao? Ciao?» sbotto. «Apollo, non abbandonarmi proprio ora! Ti prego, ho bisogno di te. Mi pento di tutte le prese in giro e delle parole poco carine. Circa. Be', in realtà non me ne pento, ma...»

Qualcosa mi afferra per le spalle. Due mani grosse mi sollevano dal letto e mi trascinano fuori dalla stanza. Le dita artigliate alla mia pelle mi fanno quasi male, ma sono troppo sorpreso per lamentarmene.

«Che diamine...» biascico.

Hades mi porta fino all'ingresso, il viso livido di rabbia, seppur ancora addormentato. «Hai rotto il cazzo, Ares. Lasciaci dormire.» Mi apre la porta e si incammina di nuovo da dove era arrivato.

Nel tragitto, si blocca e la sua testa si gira di scatto verso Cohen, che sta assistendo alla scena con un sorrisetto divertito. «E tu cosa credi di fare, lontana da me?» In un battito di ciglia le circonda la vita con il braccio e la solleva dal divano. Haven avvolge le gambe attorno all'addome, e si lascia trascinare via. L'eco della sua risatina aleggia attorno a me.

Rimango solo. Confuso, amareggiato e... ancora confuso, sì, una volta non basta. Osservo la ciambella, stretta in mano, e mi arrendo al mio destino.

Tornato nella mia camera, Hermes attende il mio ritorno, forse sperando in una vittoria. La caffettiera è a terra, e lui sta guardando la tv a volume bassissimo. I suoi occhi saettano sulla merendina che ho in mano e percepisco lo sforzo nel trattenere una risata.

«Stai zitto», lo minaccio. «Apollo mi ha dato questa ciambella e mi ha detto di ingegnarmi per renderlo un gesto mio, senza imbrogliare. Lo odio. Lo detesto.»

Comincio a scandagliare ogni anta del mobiletto che abbiamo in salotto. Ce ne sono solo quattro; è un mini-angolo cucina umile e poco attrezzato, ma ogni tanto Herm e Liam lo riforniscono di cibo e porcherie.

L'unico bottino che racimolo sono una banana marrone e delle candeline gialle. Bello schifo.

«Potresti infilare il cazzo nel buco della ciambella. Così sì che lo renderesti speciale e "tuo"», suggerisce Hermes, alle mie spalle.

Ci ho pensato. Ma non mi va di ammettere a voce alta che, a volte, faccio i suoi stessi ragionamenti idioti.

Lascio stare la banana e piazzo quattro candeline sulla ciambella. Rimango a fissare la mia opera con occhio critico.
Ottimo.

Però, che cazzo rappresenta? I 4 neuroni funzionanti che mi sono rimasti?

Preso dallo sconforto, agisco senza riflettere ed estraggo il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Guidato dalla disperazione e dal disprezzo verso me stesso, premo sul numero di Thymos.

Risponde al secondo squillo. «Cosa diamine vuoi, ancora, da me? Non ti sopporto più.»

Ignoro la sua indisposizione. «Senti, mi presti la macchina? Devo andare a comprare la colazione a Hell per fare colpo su di lei, prima che si renda conto che sta perdendo tempo con un deficiente.»

Segue un silenzio che non promette nulla di buono. Credo che stia per dirmi di no.

Hermes mi guarda come se avessi commesso l'errore più grande sulla faccia della Terra.

«Vuoi scherzare, vero? Mi hai distrutto la macchina solo sei sere fa. È già molto che tu abbia ancora la patente», ringhia.

«Chi ti ha detto che ho la patente?» mi sfugge di bocca.

Okay, ora il silenzio dall'altro capo del telefono mi fa temere che fra cinque secondi Thymos piombi a Yale e mi appenda a qualche albero in giardino.

«Non hai la patente?» scandisce bene ogni parola.
«Non ho mai detto di non averla.»
«Ma hai detto che...»
«Non ho mai detto nemmeno di averla. Morirai con questo dubbio.»

Mi arriva un grugnito carico di frustrazione. «Mi hai già distrutto l'auto ed è in officina a riparare. Cosa vuoi, ancora?»

«Speravo che ne avessi una seconda da prestarmi, non saprei...», la butto lì con noncuranza, e l'occhio mi cade sull'orribile ciambella. «Bisogna provarci nella vita. Lo conosci il Cogli l'attimo di Orazio?»

Thymos ridacchia, senza alcuna traccia di ilarità. «E tu lo conosci il Vaffanculo di Catullo?»

Chiude la telefonata prima che possa anche solo emettere un fiato.

D'accordo, ci ho provato in ogni modo possibile, e non ha funzionato. Devo rivedere le mie tecniche oratorie.

Mi presenterò da Hell con questa ciambella infilzata da candeline di compleanno, e pregherò che la mia strabiliante bellezza la distragga dal fatto che non riesco neanche a cucinare un tortino alla vaniglia.

«Sta per cominciare la sessione mattutina di karaoke? Perché, se è così, me ne vado», mi chiede Herm, mentre gli passo accanto.

Mi scappa un sorrisetto. La sessione mattutina di karaoke. Sì. Sono tre giorni che io e Hell seguiamo lo stesso schema: sveglia, qualche preliminare a letto tanto per stuzzicarla, e poi bagno. In genere, lascio la doccia prima a lei, e dopo ci entro io.

Hell se ne sta sempre fuori, seduta sulla tavoletta abbassata del water, mentre mi insapono. Non glie l'ho chiesto io, e non me lo ha mai fatto pesare. Sa che avere qualcuno lì, vicino, mi fa stare più tranquillo. Anche se le mie docce durano cinque minuti contati e chiudo subito l'acqua.

Per distrarmi, ho sempre utilizzato una cassa bluetooth con Spotify collegato. In genere, la musica mi aiuta concentrarmi su altro. Cantare e ballare, lasciandomi trasportare, è l'unico modo per non razionalizzare che mi trovo chiuso dentro un quattro pareti minuscole, sommerso d'acqua.

Hell, lo ha capito. E aspetta fuori, avvolta dall'accappatoio, mentre canta con me. Fino a quando io non esco, completamente nudo, e mi metto a ballare per lei. Le risate le impediscono di continuare con le parole della canzone, e si trasforma tutto in uno show in cui faccio il coglione e mi rendo ridicolo.

«Anche tu adori il karaoke, non fare l'acido», lo rimbecco, con le dita strette alla maniglia, impaziente di raggiungere Hell.

«Vero. Ma io non faccio duetti. Non condivido il palco, capisci?»

«No, ma non mi interessa. Ciao.»

Mi chiudo la porta alle spalle e poggio la ciambella sul comodino. Non appena mi tendo sul letto, puntando le ginocchia sul materasso, il corpo di Hazel prende vita con gesti pigri e lenti. Stende le braccia snelle verso l'alto e si abbandona a uno sbadiglio.

La sua testolina si volta nella mia direzione; un flebile fascio di luce le colpisce la nuca, illuminandole i capelli castani, dai riflessi color mogano. Strizza gli occhi, cercando di mettermi a fuoco, e non appena accade, un sorriso le incurva le labbra carnose.

«Buongiorno, Aressino.»

Dio, la sua voce da appena sveglia non smette mai di eccitarmi. Potrebbe farmi venire un'erezione solo così. Rauca, bassa, e dolce come una cucchiaiata di miele.

«Ehi, Genietto.» La raggiungo in fretta, buttandomi a peso morto sul suo corpicino, per poi cominciare a morderle ogni centimetro di pelle scoperta che mi trovo davanti.

Hell si dimena, ma non prova in alcun modo a sottrarsi alla mia aggressione affettuosa. Al contrario, ricambia dandomi un pizzicotto sul sedere. Il dolore pungente mi paralizza, e Hell ne approfitta per spingermi a pancia in su. Mi blocca contro le lenzuola sedendosi a cavalcioni su di me, con i palmi delle mani premuti sul mio torace.

Nei suoi occhi brilla il divertimento, ma lì dietro riesco a percepire quel pizzico di eccitazione che sento irradiarsi anche in tutto il mio corpo.

Mi prendo qualche secondo per assimilare la sua figura esile. Le cosce nude, ai lati della mia vita, e una mia maglietta addosso. È nera, con una scritta bianca al centro: "The sexiest".

Da buon cliché, le sta grande come un vestitino, e sebbene mi piaccia come le scivola addosso, non mi piace altrettanto che le nasconda il corpo. Con le labbra corrucciate, afferro il bordo della maglia e la sollevo fino a sotto il seno, per poi fare un nodo con il tessuto e lasciare la pancia scoperta.

Sorrido, soddisfatto. Accarezzo la curva del suo corpo, dei fianchi, e mi fermo a lungo sugli slip neri. Aggancio il dito sul bordo e tiro l'elastico, facendolo schioccare contro la sua pelle ambrata. Affondo i polpastrelli nella sua carne e risalgo fino al busto, per poi infilarmi sotto la maglietta e sfiorarle la curva del seno.

Hell sussulta appena, ma si protende verso di me per chiedermi di più.

«Ti ho portato la colazione», sussurro, mentre allungo l'indice e le sfioro l'aureola del capezzolo, già turgido.

Lei si mordicchia il labbro. «Sì?»

«Sì, ed è la colazione a letto più triste e meno romantica del mondo, ti avverto.»

Stanco della maglia, che mi è solo d'intralcio, gliela sollevo sotto il mento e le scopro il seno. Comincio a massaggiarlo, evitando appositamente i capezzoli, perché so che è la tattica giusta per mandarla sull'orlo della disperazione. E io amo vedere quanto mi desidera, quanto agogna il mio tocco. Amo sentirla chiedere di più.

«Non mi aspetto altro da te», risponde dopo un po'.

La faccio scivolare sul mio grembo, il suo inguine si scontra con la mia erezione e trattengo un sibilo sofferente. Mi metto seduto, con lei sopra di me, e Hell ne approfitta per sfilarmi la maglietta di dosso. Mi circonda il collo con le braccia, stringendosi al mio petto. I suoi capezzoli duri sfregano contro la mia pelle.

Devo chiudere gli occhi per qualche istante, solo per mantenere la calma. Allungo il braccio verso il comodino e acchiappo la mia stupida ciambella rosa.

Quando la metto sotto il viso di Hell, la fronte le si aggrotta. Non mi sfugge il sorrisetto che sta trattenendo. «Candeline di compleanno? E cosa festeggiamo?»

Tutti gli orgasmi che ti ho dato. Poco romantico.

I 4 neuroni di Liam che non si sono ancora suicidati. Fuori contesto.

I 4 secondi in più che dovrei aspettare prima di aprire bocca. Accurato, ma non è questo il punto.

La risposta mi scivola dalla lingua senza che neanche me ne renda conto. Spontanea e improvvisa. Forse, mentre le posizionavo e sceglievo il numero, la mia mente ci aveva già pensato in modo involontario.

«I 4 giorni che abbiamo passato insieme senza che tu sia già scappata dal caso clinico che sono», mormoro. «Se vogliamo buttarla un po' sull'ironia.»

Arriccia la punta del naso e sorride. «E se non volessimo buttarla sull'ironia? Se volessi un po' di romanticismo?»

Le sue mani rimpiazzano le mie, e accolgono la ciambellina rosa. Ora libero, le faccio delle carezze sulle cosce, percorrendone l'intera lunghezza dalla piega dell'inguine al ginocchio.

«Se tu volessi un po' di romanticismo... Potremmo dire che sono quattro giorni da quando il ragazzo più figo dell'universo ti ha detto di essersi innamorato di te.»

Hell solleva la testa di scatto, il sopracciglio inarcato. «Avevamo detto solo romanticismo e niente ironia.»

«Non c'è niente di ironico nella mia frase, Alepoú
«Alepoú?»
«Volpe, in greco», traduco.

«Adoro le ciambelle», cambia argomento, di nuovo concentrata sul cibo. «E mi piace la tua colazione a letto poco romantica.» Comincia a sfilare le candeline, per poi chinarsi e lasciarle sul comodino.

La osservo mentre prende un morso. A giudicare dalla sua espressione, sembra piacerle. Ne dà un secondo, dopodiché mi porge la ciambella e mi invita ad assaggiarla. Non me lo faccio ripetere due volte e ne addento un pezzo. In meno di un minuto ce la siamo divisa e la abbiamo finita.

Quando sono sicuro di non darle fastidio, le tolgo con un gesto deciso la mia maglietta e la lascio unicamente con gli slip addosso. Mi piace il modo in cui arrossisce, ogni volta che guardo il suo corpo nudo, e impazzisco anche per il modo in cui non tenta di coprirsi per la vergogna.

«Che c'è? Perché mi guardi così?» domanda, per poi affondare la testa nell'incavo del mio collo e lasciarvi un morsetto.

Ho notato che è un vizio di entrambi. Ci diamo morsi come se fossimo due animali, costantemente.

Le cingo la vita e le massaggio la schiena, applicando più pressione dove sento che i suoi muscoli sono tesi e rigidi. La sua pelle emana calore, al contrario della mia perennemente fredda, ma il contrasto che si crea non la fai mai sottrarre al mio tocco.

«Allora?» sbotta, Hell, dandomi un pizzicotto sul capezzolo.
«Ai!» grido, allontanando la sua mano.

Hell ride e si avventa su di me nel tentativo di darmi altri pizzichi, prendendomi d'assalto. Riesco a malapena a difendermi e parare i suoi colpi; dopo qualche istante, sembra stancarsi. Ed è la mia occasione per agganciarle le gambe e rimetterla distesa di schiena. Le afferro i polsi e li chiudo con una sola mano, portandoglieli sopra la testa. Con il resto del corpo, la blocco contro il materasso.

A un millimetro dalle sue labbra, soffio: «Fai da brava.»

«Quest'aria seria e da duro non ti si addice per nulla», mi prende in giro.

Inclino la testa di lato, scrutandola con attenzione. «Ah, no?»

Non le lascio il tempo di ribattere. Premo le labbra contro le sue, in un bacio casto. Quando Hell apre la bocca per accogliere la mia lingua, però, non la assecondo. Le afferro il labbro inferiore tra i denti e lo succhio, provocandole un piccolo ansito di piacere. Senza lasciarle andare i polsi, mi sollevo appena, solo per infilare una gamba tra le sue e issarmi meglio.

Sento la punta della sua lingua leccarmi l'angolo della bocca; perciò, mi ritraggo e le nego qualsiasi possibilità di controllo. Hell emette un verso esasperato, e io scendo sul suo collo, preoccupandomi di marchiare la pelle con piccoli e ritmati colpi di lingua.

«Non mi prendi sul serio, Hell?» mormoro sulla sua clavicola.

Fa per ribattere. La zittisco con un bacio. Le schiudo le labbra con la lingua e la bacio con tutta la forza che ho in corpo. La bacio per tutte le volte in cui non ho potuto farlo perché ero un idiota, testardo e infantile. La bacio fino a farmi mancare il respiro, concedendomi solo una boccata prima di riprendere il mio assalto, più passionale di prima.

È lei a staccarsi, alla ricerca d'aria. Ma quando provo a baciarla di nuovo, mi ferma con un gesto delicato. Nel suo viso il desiderio è una miccia accesa, ma non arriva allo scoppio incandescente. La fiammella si spegne, bagnata da quella che è preoccupazione.

«Perché mi baci in questo modo? Lo hai fatto in diverse occasioni, negli ultimi giorni.»

«Perché ti amo.»

«No, mi baci come se fosse l'ultima volta che puoi farlo», corregge.

Non pensavo che se ne sarebbe mai accorta, o che avrebbe anche solo potuto ipotizzare uno scenario simile. E, purtroppo, ha ragione.

La verità è che non so cosa aspettarmi dall'ultimo gioco, l'ultima fatica organizzata da Urano. Il processo contro i miei crimini, così lo ha chiamato. Una parte di me è convinta che morirò. La mia espiazione finale di tutti gli sbagli che ho commesso consapevolmente e non.

Se penso al mio futuro, non vedo nulla. Un libro che si interrompe a metà, lasciato incompleto, con pagine su pagine bianche e limpide. Non so se verranno riempite di inchiostro, per proseguire la mia storia, o se si macchieranno di sangue. Il mio. O, peggio ancora, di qualcuno che amo.

Hell aspetta una risposta, ma io non sono pronto a dargliela. Non mi va di sentirmi dire le solite banalità come: «Tu non morirai», «Non ti accadrà nulla», «Non lo permetterò». Si apprezza l'intenzione, ma non l'illusoria speranza che danno. Non mi piacciono queste stronzate.

Così, la libero dalla mia gabbia e scendo dal letto. Hell ribatte, e io la ignoro. Mi protendo per prenderla in braccio, facendo in modo che aggrovigli le gambe attorno al mio busto. La premo contro il mio petto, coprendole il seno in caso Liam dovesse uscire proprio ora dalla sua stanza.

Spalanco la porta della mia, e cammino rapidamente verso il bagno. Solo al riparo da occhi indiscreti e con tre giri di chiave nella serratura la poso giù.

«Ares», mi chiama, perentoria.

Apro il getto dell'acqua e giro la manovella su quella calda, per poi chiudere le ante della doccia. Tiro fuori dal mobiletto sopra il lavandino la mia cassa bluetooth e la accendo. Si connette in automatico al mio telefono, e parte la playlist che stavamo ascoltando anche ieri mattina.

Il mio umore è ufficialmente sottoterra. Non per colpa di Hazel, ma perché la sua domanda mi ha ricordato che domani può cambiare tutto quanto, e io non sono pronto.

Per una volta nella mia vita, mi è stata presentata la felicità. E mi sembra come se non avessi nemmeno avuto il tempo di stringerle la mano, che se n'è già andata via.

Scuoto la testa con forza e mi libero di pantaloni e boxer, restando nudo. Non mi perdo l'occhiata che mi lancia Hell, nonostante l'aria si sia fatta tesa.

Mi concentro sulla musica e taglio fuori il resto. Comincio a muovere la testa a ritmo, man mano che la canzone si fa spazio nella mia mente e cerca di sovrastare il rumore delle mie preoccupazioni.

«Ares...» ritenta, Hell.

Mi volto nella sua direzione solo per prenderle la mano e lasciare un bacio sul dorso. Abbozzo un sorrisetto, seguito dall'occhiolino, e spero capisca che non c'è bisogno di parlarne proprio ora.

Entro nel box doccia, senza chiudere le portine e mi tengo a distanza dal getto caldo dell'acqua. È tutto okay.

Quando vedo la figura di Hell camminare davanti ai vetri, diretta al suo solito posto in cui mi aspetta di solito, allungo il braccio all'esterno e la afferro per il polso.

«Dove vai? Vieni qui con me», le dico.

Sgrana appena gli occhi. Vorrebbe chiedermi cos'è cambiato da ieri a oggi, ma non lo so nemmeno io. Gli altri giorni mi sembrava che la doccia fosse troppo piccola per entrambi, e avevo bisogno di spazio. Oggi, invece, mi sembra troppo grande per starci da solo.

La aiuto a spogliarsi dell'ultimo indumento che la copre e la trascino dentro la doccia con me. Le ante scorrono alle sue spalle, e la posiziono più vicina a me. L'acqua le ricade sul corpo, bagnandole all'istante i capelli corti.

Chino la testa su di lei, perdendomi a osservare le goccioline che si raccolgono sulle ciglia degli occhi da cerbiatta. Una goccia le riga il viso, lentamente, e io premo le labbra su di essa per leccarla via.

Non mi sposto, però. Pian piano, la avvolgo tra le braccia e la stringo a me, fino a nascondere il viso nell'incavo del suo collo. Ora, il getto caldo mi ricade sulla nuca e rimbalza nella mia schiena nuda, dandomi brividi di piacere.

La mano di Hell mi afferra la base del collo, e infila le dita tra le ciocche umide dei capelli. Mi stacco appena, solo per permettere alle nostre bocche di incontrarsi di nuovo. Ogni bacio è più bello del primo, e ogni orgasmo con lei è più intenso del precedente. La sento ovunque. Mi sfiora la mano ed è come se toccasse ogni particella di cui sono fatto.

Forse, in fondo, sono davvero l'eroe. Perché, se fossi così cattivo, sarei già scappato con un biglietto di sola andata per qualche città sperduta dall'altra parte del mondo. Ma ricordo le regole e gli avvertimenti. Se mi sottraggo ai giochi e alle mie fatiche, Urano ucciderà gli altri.

Il getto dell'acqua comincia a darmi fastidio. Scivolo all'indietro; l'acqua mi colpisce in viso e mi finisce in bocca e nel naso. Tossicchio, infastidito, mentre sento la gola bruciare. Mi scanso con uno scatto, che mi fa sbattere la schiena contro il vetro della doccia dietro di me. Il materiale trema così forte che temo si stia per staccare.

Hell abbassa la manovella e dell'acqua restano solo piccole gocce che si perdono ancora prima di toccare il suolo.

Ansimo appena, e tento di concentrarmi di nuovo sulla canzone.

«Domani mattina presto posso portarti in un posto?» mormoro.

Non sono sicuro che mi abbia sentito. Nel momento in cui sto per ripetere, la sento bisbigliare: «Certo.»

Hazel si rovescia un po' di bagnoschiuma nella mano, e con un sorriso gentile comincia a strofinarmi il petto e la pancia. Non le faccio domande, perché mi piace. Per quanto mi senta un bambino stupido, mi piace avere le sue mani addosso, mi piace che si prenda cura di me.

Si blocca per un istante quando parte una nuova canzone. Dal suo sguardo, capisco che la conosce e l'ha riconosciuta dalle prime note, come me.

«Heartbeat, Is comin' in so strong,» armonizzo, sottovoce, per studiare bene la sua reazione.

I'm in love with you, dei The 1975. Ho amato questa canzone dal primo giorno in cui è stata rilasciata. Dal primissimo ascolto. Non mi succede spesso, e questa è una delle poche volte in cui la musica mi è arrivata dritta al cuore.

Hell sorride e mi passa le mani sulle spalle, insaponandomi le braccia.

«Oh, if you don't stop, I'm gonna need a second one», continuo, a voce più alta. Non mi sfugge il tamburellare timido del suo piede, che tiene il ritmo.

Le afferro la mano insaponata e incastro le mie dita con le sue, tirando appena per farle sollevare lo sguardo su di me. «Oh, there's somethin' I've been meaning to say to you, baby. Yeah, there's somethin' I've been meaning to say to you, baby, but I just can't do it

Le sue labbra si stendono in un sorriso a trentadue denti, ormai incapace di fingersi indifferente, mentre io muovo le nostre mani unite e tengo il ritmo della canzone con qualche movimento accennato.

«I'm in love with you, I-I-I-I», canto a voce alta. «I'm in love with you, I-I-I-I.»

Le faccio compiere una giravolta dentro la doccia, e quando la sua roteazione è terminata, sta cantando con me il ritornello. «I'm in love with you, I-I-I-I. In love with you, I-I-I-I.»

In pochi secondi, le nostre voci si fanno rumorose e libere da qualsiasi freno inibitore. Cantiamo a squarciagola, dentro la doccia, e azzardiamo passi di danza ridicoli che ci vengono pure intralciati dallo spazio ristretto.

E per quanto la canzone mi piaccia, non mi cattura più come fa il corpicino nudo di Hell, appena lucido per via dei rimasugli d'acqua. È il momento in cui smetto di preoccuparmi cosa accadrà domani, e mi godo l'oggi, in cui sono riuscito a far divertire la ragazza più bella e sexy del mondo.

È merito mio. Sono io che la sto facendo sorridere così. Sono io che la faccio gemere forte, con la faccia tra le sue gambe e le mani strette attorno alle sue cosce. Sono io che la faccio ridere – con battute di merda – e alzare gli occhi al cielo per non darmi troppa soddisfazione. Sono io, che faccio finalmente qualcosa di buono per qualcuno.

D'improvviso, mi slancio verso di lei e la afferro per i glutei, sollevandola da terra. Hell lancia un urletto entusiasta e si aggrappa a me, mentre io la spingo contro la parete della doccia e premo i nostri addomi per tenerla ferma.

Catturo le sue labbra in un bacio profondo, le sue mani mi percorrono la schiena e stringono i muscoli delle braccia. In pochi secondi sto ansimando, con il cuore che mi martella nel petto per l'eccitazione.

Hell si stacca di pochi millimetri, il suo fiato si scontra con il mio e mi perdo a osservare il modo in cui il suo petto nudo si alza e abbassa con frequenza irregolare.

«Ares», riporta il mio sguardo sui suoi occhi. «Non baciarmi mai più come se fosse l'ultima volta. Baciami sempre, e solo, come se avessi altri miliardi di baci da darmi.»

🌊

Sono da poco scoccate le sei del mattino quando il taxi si ferma. Hell ha una felpa enorme addosso, con il cappuccio tirato sulla testa, e un paio di jeans slavati. Sbadiglia e guarda fuori dal finestrino, per poi aggrottare la fronte.

Mille domande le si stampano in viso. Porgo una banconota da cinquanta dollari all'autista e le faccio cenno di non darmi alcun resto. Anche se da Yale a Bradley Point Beach sono solo venti minuti di auto.

In realtà, ho provato di nuovo a chiedere a Thymos se gli avessero riparato la macchina che ho distrutto e se potesse prestarmela. Ha bloccato il mio numero. Un po' troppo permaloso, quell'uomo.

Raccatto la busta in carta dove c'era la nostra colazione, per buttarla insieme alle cartacce e ai contenitori di caffè. Questa mattina, al contrario di ieri, ho deciso di lasciare in pace Apollo e di comprare qualcosa di buono da consumare durante il tragitto.

Hell fa per aprire la portiera, ma io la fermo con uno schiocco di lingua contro il palato. «No. Aspetta.»

Scendo dalla vettura il più velocemente possibile, ma quando arrivo davanti al bagagliaio i miei piedi si attorcigliano tra di loro e inciampo, finendo con le mani piantate sull'asfalto della strada.

Merda. Spero che Hell non mi abbia visto dallo specchietto.

Mi rialzo in fretta e arrivo dal suo lato, per aprirle lo sportello, un po' trafelato. Lei scende, ringraziandomi sottovoce, e nasconde un sorrisetto che lascia scanso a pochi dubbi.

«Hai visto qualcosa?» domando, con finta nonchalance.

«Cosa avrei dovuto vedere a parte te che abbracci l'asfalto?»
Grandioso. «Nulla.»

Intreccio le mie dita alle sue che sta ancora ghignando sotto i baffi e tiro piano, per guidarla verso la spiaggia. Il cielo è grigio, nonostante stia arrivando l'estate, e privo di nuvole. L'aria fresca mi sferza il viso e mi scompiglia i capelli, e dentro di me prego che Hell non abbia freddo perché non ho davvero la forza di cederle il mio giubbino.

Ci incamminiamo fino a raggiungere la lunga passerella in legno che fa da molo. La distesa d'acqua è piatta e scura, forse sporca e inquinata; l'odore della salsedine mi stuzzica le narici. Sono costretto a intervallare respiri col naso a respiri a bocca aperta.

Non sopporto questo tanfo. Non sopporto nulla, di questo posto. A parte la persona che è qui con me e avanza al mio stesso passo, accanto a me. Hell è più bassa di quindici centimetri, ma ha le gambe lunghe e allenate, e per quanto grandi siano le mie falcate lei non rimane mai indietro. Camminiamo sulla stessa frequenza.

«Perché siamo qui, Ares?»

Nel suo tono c'è una chiara nota di preoccupazione. Come darle torto? Potrei avere un attacco di panico di grandezza colossale da un momento all'altro. Sono una bomba a orologeria.

«Perché...» Sospiro, e per un po' ci accompagna solo il rumore delle nostre scarpe sulle assi in legno del molo. «Perché non ho mai superato la paura dell'acqua, l'odio verso il mare. E fino a quando non accadrà, posso solo cercare di associare a questi posti dei ricordi felici.»

Non risponde, ma rafforza la stretta sulla mia mano.

«Durante la sesta fatica, mi sono reso conto di una cosa, Hell. Non ho mai avuto l'occasione di raccontarti la mia infanzia e l'incidente in mare. Hai scoperto in modo molto... complicato... perché mi rifiuti di nuotare. E non è giusto.»

«Ho sempre voluto chiedertelo, però non potevo farlo. Non volevo essere invadente.»

Sorrido. Certo che no, Genietto, sei perfetta.

Giunti alla fine della passerella, ci mettiamo seduti con le gambe a penzoloni. Le mani sono ancora unite, e io le porto entrambe sul mio grembo. Hell mi si fa ancora più vicina e adagia la nuca sulla mia spalla.

«Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, io ti ascolto.»

Prendo un respiro profondo. O forse due. Magari anche tre. Quattro? Cinque. Decisamente, sei. Inspiro ed espiro per una quantità di tempo che pare infinito, prima di trovare la voce.

«Ricordo il mare e l'odore della salsedine. La mia mano stretta in quella di mia madre, mentre passeggiamo in riva al mare. Ero felice. Felice, perché era la prima volta che mia madre mi portava fuori e stava con me. Era la prima cosa da bambino che, effettivamente, mi concedeva. Ricordo che non parlava, però. Aveva l'espressione stoica e non mi guardava in faccia. Ma cosa poteva importarmi, quando avevo l'occasione di godermi il mare? Neanche sapevo come fosse fatto. Neanche conoscevo la sensazione dei granelli di sabbia tra le dita. Ero davvero felice. Speravo che fosse il segno che mia madre stava guarendo, che stesse iniziando a volermi bene.»

I ricordi di quella giornata sono impressi nella mia memoria. Ma più che essere ricordi visivi, riguardano la sfera dell'olfatto e quella dell'udito. Ricordo più odori e suoni che altro. Eppure, li ricordo con una tale intensità da renderli più violenti delle immagini.

«Mi ha proposto di fare un bagno in acqua. Non ho rifiutato. Avanzavamo, rallentati dal mare, fino a un punto in cui l'acqua quasi mi sfiorava il collo. Lei era più alta di me solo di qualche centimetro. E poi... Ricordo il rumore dell'acqua che si agita. Qualcosa che sbatte. Schizzi di salsedine sul mio viso. Le urla di mia madre. Le mie. Ricordo la sensazione di non riuscire a respirare. Ricordo i suoi insulti. Ricordo che mi incitava a non lottare, per finirla prima. Acqua. Salsedine. Sapore salato in bocca. I polmoni in fiamme. Gli occhi spalancati. Il cuore che cede. La testa che sembra scoppiare. La disperazione. E... il rumore di una sirena. Il vuoto. Le luci asettiche di una stanza di ospedale. Visi sconosciuti, sfuocati. Tante macchie bianche. Il bip di un macchinario. La maschera dell'ossigeno che rende i miei respiri rumorosi. Tutto qui.» Mi sfugge una risatina infelice.

A quanto pare, ho iniziato io. Io ho provato a ucciderla per liberarmi di lei. E lei si è difesa da me. Le ho dato la prova finale che aveva fatto bene a non amarmi, a non volermi. Ho dimostrato di essere un'anima maledetta, venuta sulla Terra per farla soffrire. Forse, in fondo, me lo meritavo.

Le racconto anche del prima. Della trascuratezza, della povertà, dei problemi di droga, dei numeri che scrivevo nel quaderno quando lei era in down e non potevo neanche respirarle accanto. Le racconto della solitudine, della fame, dei vestiti sporchi e usurati, delle maestre che mi guardavano con pietà e del modo in cui la giustizia non è mai esistita per noi. Me ne vergogno, in realtà. Mi vergogno a dire a voce le condizioni in cui ho vissuto. Eppure, è l'unico modo per esorcizzare il dolore.

«Eri solo un ragazzino di undici anni, Ares. Conoscevi solo il dolore e il degrado. Nessuno te ne fa una colpa, a parte tuo nonno che vuole solamente dipingerti come un mostro da temere.»

Un mostro.
Trattengo il respiro.

«Nella mia storia, Ares, tu non sei il cattivo», mormora nel tono più dolce che abbia mai sentito in vita mia.

Lo ripete una seconda volta, come a voler rafforzare un concetto che teme sia troppo banale.
Non lo è.

Nella mia storia, Ares, tu non sei il cattivo. Nove parole. Che potrei stare ad ascoltare fino alla nausea. Nove parole che riportano un po' di luce e mi danno speranza.

Chino il capo e trattengo le lacrime. Tra poco dovrò salutarla senza sapere se la rivedrò, e non è il caso di lasciarle come ultimo ricordo la patetica scena di me che frigno come un poppante.

«Bene», quasi mi si spezza la voce. «Non mi interessa essere l'eroe. Non mi interessa nemmeno essere il cattivo, in realtà. Nella tua storia, Hazel, voglio semplicemente essere il ragazzo di cui sei innamorata. Costi quel che costi.»

Volto il capo. Incontro due paia di occhi lucidi che ricambiano. Hell mi fa una carezza in viso, e io le tengo la mano ferma sulla mia guancia, godendomi ogni secondo di questo contatto.

«Mi dispiace», aggiungo.
«Per cosa?»

«Ti ho fatto perdere tanto tempo, chiedendoti di insegnarmi a nuotare. E non sono mai riuscito nemmeno a immergermi in piscina. Anche adesso sto lottando per non scappare via e rintanarmi in un angolino a vomitare.»

Scuote la testa. «Io ci ho solo provato, senza alcuna pretesa. L'amore non può guarire tutto, Ares, soprattutto dei traumi così profondi e seri. Non sono la tua crocerossina che ti farà da terapia. Sono solo una ragazza che vuole starti accanto. Non ti farò smettere di contare, ma conterò con te. Non ti farò imparare ad amare l'acqua, ma starò al tuo fianco mentre cerchi di sopportarla un po' di più. Mi hai capito?» Mi afferra il viso con le mani, facendo scontrare le nostre fronti. «Io sono fiera di te e della strada che hai fatto.»

Una lacrima mi sfugge e lei la accarezza via con il polpastrello.

«Grazie per non esserti arresa con me.»

«Non ci ho mai nemmeno pensato, mio Anti-Eroe.» Sorridiamo entrambi del nomignolo. Siamo così simili che facciamo di tutto per non darci soprannomi da diabete.

È lei ad accorciare le distanze e baciarmi. Amo quando è Hazel a farsi avanti, perché ho dovuto aspettare tanto prima che mi desse un bacio di sua iniziativa. Il vero bacio che tanto desideravo e chiedevo.

Lo interrompe subito, però, e non ho manco l'occasione di cercare delle spiegazioni perché i suoi occhi scintillano di rabbia. Trasalisco. «Hazel...»

«Ti ho detto di non baciarmi mai più come se fosse l'ultima volta.»

«Ho un brutto presentimento sull'ultima fatica», ammetto.
«Non morirai.»

«Be', lo spero», tento di alleggerire la situazione. «Vorrei godermi almeno un altro Natale. E, poi, noi due abbiamo un tavolo prenotato per il 24 ottobre da Liam, ricordi?»

Riesco quasi a distrarla e farla ridere, ma si rabbuia presto. «Ares, ti prego.»

«Tra poco arriveranno due auto, qui», la informo. «In una c'è tutta la famiglia, e l'autista ha come destinazione l'aeroporto. Prenderemo un volo per la Grecia, torneremo sull'Olimpo e io affronterò la settima fatica. Nell'altra auto, invece, l'autista ha come meta Yale.»

Hell boccheggia.
Ecco la situazione in cui non volevo metterla.

«Non ho la forza di importi di restare qui, per tenerti al sicuro. Ma non posso nemmeno essere così egoista da chiederti di venire con noi. Sappi solo che c'è un biglietto in più per te, e puoi decidere liberamente se partire con noi o restare qui.»

«Ares.»

Poggio l'indice sulle sue labbra, e lo sfrego piano, accarezzandole. Sono screpolate come al solito.

«Nessuno, me compreso, ti giudicherà. Dall'inizio, hai sempre ribadito di non voler essere messa in mezzo ai nostri giochi e alle follie dei Lively. Lo capisco, lo capisco così bene che io non potrei mai arrabbiarmi se decidessi di non salire su quell'aereo con noi. Hazel, mi capisci? Ti prego.»

Hell si tira su e mi dà le spalle, mentre guarda in direzione del mare. Il suo braccio si solleva, come se stesse asciugando qualcosa dal viso. Lacrime?

In cuor mio, so che lei non vuole assistere all'ennesimo gioco. Soprattutto se non sappiamo quanto potrebbe metterla in pericolo. Ho fatto lo stesso discorso ai miei fratelli e cugini, lo stesso identico ragionamento appena esposto a lei.

Hanno scelto di venire. Liam compreso. E se Hell prenderà una decisione differente, lo capirò. Mi limiterò a sperare di rivederla.

Il mio cellulare squilla, ma non rispondo. Lo tolgo dalla tasca solo per chiudere la chiamata. So già che è Hades. Eravamo d'accordo che mi avrebbe fatto uno squillo non appena fossero arrivati in spiaggia. Mi basta lanciare un'occhiata dietro di me per individuare due furgoncini neri, parcheggiati dove si è fermato prima il taxi.

«Dobbiamo andare, Genietto», mormoro.

Lei mi fronteggia, senza alcuna traccia di lacrime in volto. Ci incamminiamo a passo svelto, e io le stringo la mano come all'andata, per farle capire che non è cambiato nulla, tra di noi. La amo in ogni caso.

Forse, una parte di me è persino sollevata nel sapere che almeno uno di noi resterà qui, al sicuro.

A pochi metri dai furgoncini, la portiera della vettura più vicina a me scorre di lato. La testa di Apollo sbuca verso l'esterno, e inquadra prima me e poi Hell.

Capisce ogni cosa, senza che gliela diciamo. D'altronde, lui è il più sveglio di tutti. «Hell, non c'è nulla di male nell'aver paura.»

«Vero», gli do corda. «Non siamo tutti pazzi in culo come Cohen.»

Hell non ride. E il mio cuore manca un battito.

Comincia a muovere la testa con scatti violenti e confusi, in ogni direzione, le mani si agitano appena come se avesse tante cose da fare ma non sapesse da quale partire. Il panico le distorce i lineamenti, e mi rendo conto che non riuscirò a recuperarla.

«Hell?» la chiamo, con cautela.

Nemmeno mi guarda. «Devo andare, scusami. Non ce la faccio. Non riesco a... Non posso... Mi sento in... Scusa», farfuglia, confusionaria, tanto che fatico a mettere in ordine i suoni che escono dalla sua bocca.

La richiamo, provo ad afferrarla, ma lei è più svelta e con poche falcate raggiunge l'altro furgoncino. Spalanca lo sportello e sparisce al suo interno, lasciandomi senza parole e con un grosso peso sul petto.

Non capisco se ho sbagliato io, e mettendola davanti a questa scelta l'abbia fatta solo sentire più in colpa di prima. Oppure, se pensa di avermi deluso scegliendo di tornare a Yale.

«Hell!» grido.

Quando provo a raggiungerla, Apollo mi afferra con prontezza e mi trascina con la forza dentro il mini-van. Per quanto io protesti e lo insulti, riempiendolo di gomitate, lui non mi lascia andare. Incarica Hades e Poseidon di aiutarlo a sistemarmi sul sedile, mentre Hera chiude la portiera.

«Rischiamo di perdere il volo. Abbiamo i controlli da superare. Non c'è più tempo», mi dice Apollo.

«Vaffanculo, stronzo di...»

Mi agguanta il viso per il mento, costringendomi a fissarlo. «Dispiace anche a me, Ares, ma non è più il momento dei sentimentalismi. Dobbiamo. Andare. Via. Mi dispiace.»

Il mini-van in cui si trova Hell ci sfreccia accanto, partendo per primo. Ed è lì che decido di cadere nel mutismo selettivo e nella completa immobilità. Sto seduto, con la cintura e le labbra serrate per non mettermi a gridare.

Nessuno osa parlarmi. Haven mi fa una carezza sul ginocchio, e solo perché è lei, decido di rivolgerle uno sguardo che possa tranquillizzarla un minimo.

«Ares...» tenta Hades.

«Non ora, papà», lo sbeffeggio in tono acido. «Non voglio discorsetti del cazzo.»

Mi lascia in pace, e il viaggio verso l'aeroporto procede in un silenzio tombale, carico di tensione. Non solo per la settima fatica, ma anche per il mio palese malumore.

La città mi passa accanto, attraverso il finestrino, e fa montare in me noia e disperazione al tempo stesso. Vorrei solo che le cose fossero andate diversamente. Forse, avrei dovuto parlargliene giorni fa, e non un'ora prima. Colpa mia, d'accordo.

L'auto si ferma all'entrata dell'aeroporto, e uno sguardo all'orologio sul cruscotto mi avvisa che mancano due ore alla partenza. Ci spostiamo dall'area check-in ai controlli infiniti, fino ai divanetti in cui attendere l'imbarco.

Apollo mi porta un panino come offerta di pace, e io lo prendo solo per farlo andare via.

Quando Liam si siede al mio fianco, Hermes lo fa alzare all'istante. «Amico, ti voglio bene, ma temo che se gli rivolgerai la parola proverà a prenderti a schiaffi. Andiamo a rompere le palle a qualcun altro. Magari Apollo, eh?»

«Non parlargli così», abbaia Zeus, seduto sulla sua carrozzina, poco distante. «Idiota.»

Le gote di Liam si accendono di un rosso sospetto. Hermes, invece che prendersela per il rimprovero, fa un sorrisetto sornione.

Non posso mettermi contro Herm, perché è indubbio che non ho la pazienza di ascoltare le stronzate di Liam, ma avrei anche voglia di avere qualcuno vicino.

Incapace di aspettare, tiro fuori il telefono e scrivo un messaggio a Hell. Non ce l'ho con te. Ti prego, dimmi che va tutto bene.

Sono patetico quanto Makako, è ufficiale. Che schifo.

Lascio il telefono sbloccato, aperto sulla chat di Hell. A distrarmi è un movimento che capto con la coda dell'occhio, proprio alla mia sinistra. Hades mi sta venendo incontro.

Oh, no. Non lui e i suoi discorsi da padre.

Scatto in piedi, pronto a scappare, ma due mani forti premono sulle mie spalle e mi buttano giù. L'impatto del mio culo tondo e sodo con la seduta mi dà fastidio e gemo.

«Stai buono», mi sgrida Hades, sedendosi al mio fianco. «Non ti darò fastidio.»

«Mi dà fastidio la tua semplice esistenza, Malakai, figurati.» Lancio un'occhiata veloce alla chat di Hell. Nessuna risposta.

Hades segue la traiettoria, e io non faccio in tempo a bloccare lo schermo. Ha l'accortezza di spostare subito lo sguardo, per non farmelo pesare, ma non riesce a nascondere un sorrisetto.

«Non sembravi pensarla così quando hai ricambiato il mio bacio, tempo fa.»

Per poco non vomito. «Non ho mai ricambiato quel bacio.»
«Oh, sì.»
«Te lo sei sognato.»

«Raccontati le bugie che preferisci, cucciolotto», mi liquida con un gesto della mano.

Incrocio le braccia al petto e sprofondo contro lo schienale. «Allora, cosa vuoi? Sei qui solo perché pensi che darmi fastidio mi distrarrà dall'insopportabile dolore che mi dilania il petto?»

«Sei diventato un romanticone», mi dice, nel tono che useresti con un bambino piccolo.

«A quanto pare, prima della fatica che probabilmente mi ucciderà, non potrò neanche avere un pompino pre-morte», bofonchio.

Sospira. «Come non detto.»

Restiamo in silenzio. O meglio, io attendo che sia lui a parlare. D'altro canto, è Hades che mi si è avvicinato e mi ha costretto a restare qui. Non gli devo alcuna parola.

Quando mi volto per scrutarlo e tentare di comprendere cosa gli frulli per la testa, mi accorgo che, sebbene sia qui con me, i suoi occhi grigi sono puntati su Haven. Lei, invece, è seduta nella fila davanti alla nostra e sta guardando qualcosa sul telefono di Hermy, che tiene il braccio attorno alle sue spalle e la stringe con dolcezza. Apollo, dietro di loro, sbircia da sopra le loro teste.

«Vorrei che lei fosse qui», bisbiglio.

«Lo so.»

«Avrei voluto chiederglielo, ma sapevo che se lo avessi fatto la sua eccessiva bontà la avrebbe spinta a dirmi di sì, pur non volendolo.» Sbuffo. È tutto troppo complicato per il mio cervello grande quanto una nocciolina.

«Lo so. Ti sei comportato in modo fin troppo maturo. Sono davvero colpito e fiero di te.» La sua mano plana sulla mia schiena, e mi dà una pacca fraterna.

Non mi consola più di tanto. «Ora ho paura che si senta in colpa. O che mi odi. O che...»

«Non hai fatto nulla di sbagliato. Concedere la possibilità di scelta a qualcuno è il regalo migliore che tu possa fargli», mi interrompe. Fa una smorfietta. «Be', ecco, avresti potuto dirglielo prima, in modo da lasciarle il tempo di rifletterci. Ma non possiamo aspettarci troppo da te, no?»

Questo, inspiegabilmente, mi fa sorridere. «No, direi di no.»

«Le cose andranno per il meglio.»
Alzo gli occhi al cielo. «Frase fatta. Non hai niente di più sensato da dirmi?»

«No, non hai capito un cazzo...»
«Tu non hai capito un cazzo.»
«Stai zitto e lasciami spiegare.»
Fingo di cucirmi le labbra e lo invito a proseguire.

«Le cose andranno per il meglio, nel senso che seguiranno il loro corso naturale. Il meglio non è sempre il finale più felice. A volte, è solo il finale più azzeccato fra tutti i miliardi di conclusioni che esistono. È la fine che dobbiamo accettare. Ecco, sono convinto che, alla fine, avrai ciò che meriti. E ti auguro che sia di uscirne vivo, possibilmente con tutte le parti del corpo con cui stai partendo ora.»

«Ah, ottimo. Grande incoraggiamento, King Kong. Ora puoi andare a fare merenda con una banana.»

Ma la frase non suona acida come vorrei, e anche Hades se ne accorge. Perché, in fin dei conti, ha ragione. Le cose vanno sempre per il meglio. Il meglio che la vita decide di darti, fra tutti i destini possibili. Immagino sia una di quelle stronzate per le quali vieni spronato ad avere fede nel fato.

«Ares?» mi strappa dai miei pensieri Hades.
«Sì?»

Si sta mettendo in piedi, e solo ora mi accorgo che due hostess si sono sistemate dietro il bancone del nostro gate. Pronti all'imbarco.

«Nella mia storia, non sei il cattivo.»

Rimango impassibile per non tradire alcuna emozione. Eppure, qualcosa dentro di me si aggiusta. Alla profonda ferita che mi porto dietro da anni, si aggiunge un altro punto di sutura a quelli già cuciti da Haven e Hell.

«Vorrei abbracciarti, ma non lo faccio perché devo continuare a fingere che ti detesto», dico, senza guardarlo.

Mi alzo e raccolgo il mio zainetto. Non abbiamo bisogno di aggiungere altro, ma dal modo in cui mi spettina i capelli capisco che mi sta dicendo indirettamente: «Anche io ti voglio bene, testa di cazzo».

Siamo i primi, in fila. Hades a capo, e Apollo a chiudere.

Thymos ci raggiunge all'ultimo. Oltre a uno zaino da viaggio ha un cuccetta con dentro 13, il mio gatto.

Si aggrega al gruppo accennando a malapena un saluto. Quando i suoi occhi incontrano i miei, agito la mano con un sorrisino.

«Non provocarmi», sillaba con il labiale.

Mostro il mio passaporto e scannerizzo il QR del mio biglietto digitale. L'hostess mi augura buon viaggio e mi affretto a percorrere il tunnel che porta alla pista degli aeromobili.

Il tempo scorre in fretta, quando rinuncio a controllare la chat di Hell in attesa di risposta. Impongo al mio cervello di disconnettersi, di non pensare, di eliminare ciò che mi è attorno e lo incarico solo di seguire gli step fondamentali. Muovi le gambe, attento ai gradini, saluta l'hostess di volo che ti sta accogliendo sull'aereo, e vai a cercare il posto 4A. Unica nota positiva, sono accanto al finestrino.

Hermes, Liam e Poseidon sono dietro di me; ottimo, il trio dei dementi riunito e a una distanza tale da permettermi di sentire ogni singola cazzata che uscirà dalle loro bocche.

Individuo la chioma ramata di Cohen, a svariati metri di distanza. È nella parte centrale dell'aereo, immagino insieme a Hades.

Lascio andare la nuca contro lo schienale e chiudo gli occhi. Devo solo respirare e pregare che il posto accanto a me rimanga libero. In ogni caso, mi ritengo fortunato di non avere Liam a fianco. Bisogna imparare a vedere il lato positivo nelle cose.

Inserisco la modalità aereo e ficco il cellulare dentro lo zaino senza alcun rimorso. L'unica cosa di cui mi pento è non aver chiesto a Posy un po' di erba per aiutarmi a dormire durante le ore di viaggio.

Dopo qualche secondo, percepisco uno spostamento d'aria alla mia sinistra. Qualcuno si è seduto nel posto centrale. Ottimo. Traffica con la cintura, dandomi non una ma ben tre gomitate, e con un'imprecazione volgare riesce ad allacciarla.

Non so chi sia e non mi interessa.

Tengo gli occhi chiusi, ancora, e prego di riuscire ad addormentarmi ancora prima di partire.

Liam, dietro di me, scoppia a ridere.

«Raghy, ho già voglia di vomitare», si lamenta Hermes.
«Ah, è per questo motivo che Apollo mi ha chiesto di fare scambio di posto?» replica Liam.

Strizzo le palpebre. Voglio dormire. Ho bisogno di dormire. Ma come faccio?

«Scusi, posso chiederle un favore enorme? Potrebbe cedermi il suo posto e prendere il mio?»

Una voce femminile e vicinissima irrompe nei miei pensieri. Una voce femminile, vicinissima e familiare. Nel senso più felice che esista. Ne rimango quasi stordito, mentre la sento riecheggiare nella testa.

L'uomo accanto a me sbuffa. «D'accordo, signorina. Dov'è?»

Apro gli occhi, titubante. Non so fino a che punto il mio cervello sia così ammalato d'amore da illudermi e raggirarmi, facendomi credere cose che forse neanche esistono.

Ma lei è qui.
Hell.

In piedi, messa di lato per far passare il mio ex vicino di sedile.

Poi gira il capo e i suoi occhi si incatenano ai miei.

La bocca mi si spalanca in una "o". Boccheggio come un idiota, e una sensazione intensa di calore mi incendia il petto.
«Hazel?»

Aspetto con pazienza che prenda posto, sistemi il suo secondo bagaglio sotto il sedile e regoli la cintura.

«Ciao, Aressino», saluta, alla fine.

«Cosa fai qui? Non devi sentirti...»
«Obbligata? Per nulla. Voglio essere qui.» Pronuncia le parole con convinzione, ma so che la paura è ancora ben radicata.

Mi sporgo in avanti per catturare il suo sguardo, invano. Così, le afferro il viso da sotto il mento e la costringo a girarsi, con dolcezza. «Due ore fa mi sembrava chiaro che non volessi venire.»

«Due ore fa sono entrata nel panico perché non avevo una valigia pronta. Sono corsa a Yale e ho buttato dentro le prime cose che mi sono capitate. L'autista del mini-van ha corso come un disperato. In realtà, ho temuto di morire lì, per strada», spiega.

Non è possibile.

«Ero combattuta, è vero», ammette. «Avevo paura, e ho paura tutt'ora. Ma non ho mai dubitato di volerti stare accanto. Te l'ho detto, no? Con te, fino alla fine.»

Con te, fino alla fine. È solo la seconda volta che me lo dice, eppure sembra già il nostro mantra. La nostra frase.

«Hell, sei sicura? Perché sono pronto a chiamare una hostess e chiederle di farti scendere.»

Le iridi di Hazel brillano mentre mi afferra la mano e si porta il dorso alle labbra. Lo bacia una volta, poi se lo preme contro la guancia e chiude gli occhi. Le labbra rosee si distendono in un sorriso carico di amore, e ogni muscolo del mio corpo comincia a rilassarsi.

«Non mi hai allontana con la forza, impedendomi di seguirti. E non mi hai chiesto esplicitamente di venire con te. Mi hai dato una scelta, sebbene all'ultimo minuto, ma me la hai data. Tu non immagini quanto sia importante.»

Ecco un'altra persona, oggi, che rimane stupita di una scelta matura che faccio.

«Nella mia storia non sei il cattivo, Ares. Sei, esattamente, il ragazzo di cui sono innamorata. Con te, fino alla fine», ribadisce, scandendo ogni parola.

Resto a guardarla, incredulo. Non so se ho voglia di baciarla, di piangere, di trascinarla in bagno e infilarmi tra le sue gambe o di gridare. Sono un miscuglio caotico di emozioni contrastanti che non riesco a gestire. Da quando c'è lei, provo troppo, e tanto. Non ci sono abituato.

E in questo silenzio intimo e condiviso, in cui sembriamo esistere solo noi in tutto l'universo, la voce di Hermes alle nostre spalle grida: «Coraggio, baciala, coglione!»





✨🍒💚

Buongiorno questo capitolo mi ha prosciugata, non credo di voler aggiungere altro 🥲👍🏻

Spero solo che vi sia piaciuto🫶🏻
Ho in programma di aggiornare prima di Natale, magari il 23. Ma non ne sono sicura, vi aggiorno su Instagram 🧘🏻‍♀️

Grazie per leggere GoC💚
Have a nice life🫂
Tiktok: cucchiaiaa
Ig: cucchiaia

E tanti auguri a Ludovica che fa gli anni il 21 🫶🏻🩵🕺🏻✨

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