Game of Chaos (Game of Gods S...

By cucchiaia

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Spin-off di Game of Gods & Game of Titans, #4 da leggere. Nove fratelli e sorelle, con nomi di Dèi greci, ch... More

Intro + Info 🍒
1 (A) - Forse non avrei dovuto dare fuoco alla bara di mio zio
2 (H) - Le parole
3 (A) - Un martedí sera esplosivo
4 (H) - Le virgole
5 (A) - Vengo costretto a parlare dei miei sentimenti anche se non li ho
6 (A&H) - Il viaggio di Odisseo
7 (A) - Alla fine di tutto si scopre che sono un mammone
8 (A) - Mio nonno è un assassino
9 (H) - I punti di sospensione
10 (A&H) - Gli avverbi
11 (A) - Festeggio il mio non-compleanno
12 (A) - Quasi stermino metà famiglia durante i giochi di Achille
13 (A) - Purtroppo, adoro il drama
14 (H) - Dietro le quinte
15 (A&H) - I punti di domanda
16 (H&A) - Mostro il mio serpente a Hell (purtroppo non nel modo in cui pensate)
17 (A) - Faccio bagnare Hazel
18 (A&H) - Estoy condenado a no olvidarte nunca más
19 (H&A) - Visito la casa di Liam: il circo
20 (H) - Sotto le luci del palco
21 (A&H) - Il predicato verbale
22 (A&H) - Le parentesi
23 (H&A) - Rimorchio grazie alla matematica
24 (A) - Vengo costretto a una riunione di famiglia mai richiesta
24.5 - La mela rossa
25 (A&H) - Ho aspettato di vederti per 6 ore e 15 minuti
25.5 - La canzone di Iperione
26 (H) - Fine dello spettacolo
27 (A&H) - Il mondo visto dall'alto
28 (H&A) - Entro, spacco (un bicchiere), esco
30 (A&H) - Ho quasi ucciso i miei nonni
31 (A) - Nella mia storia non sei il cattivo
32 (A) - Panta Vrehi
33 (H) - Dio della discordia
34 - L'epilogo
Epilogo - Dove piove sempre

29 (A) - Quasi perdo la testa per colpa di Medusa

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By cucchiaia





"Volgiti indietro,
e tien lo viso chiuso:
che se il Gorgon si mostra,
e tu il vedessi, nulla sarebbe
del tornar mai suso."
(Dante Alighieri, canto IX, Inferno)



— It must be exhausting always rooting for the anti-hero

⚠️
TW: abusi sessuali (non descritti), violenza (descritta il meno possibile perché fa impressione pure a me ☠️🙏🏻)

🍒
A R E S

«Quello sguardo è una richiesta indiretta di scopare?» domando a Hell.

Lei se ne sta dall'altra parte del tavolino, con la fronte aggrottata e il labbro inferiore pinzato fra i denti. I suoi occhi marroni si fissano su di me per un istante, prima di ritornare alla pagina del libro.

Okay, presumo di no.

La sua bocca si muove e mi arriva un suono indistinto.
Tendo l'orecchio. «Come, prego?»

«Non capisco un cazzo di matematica!» sbotta, lasciandosi ricadere sul pavimento. Adagia la schiena contro il bordo del divano e piega le gambe, avvicinandole al petto. Lo sguardo è ancora rivolto al libro di matematica.

Lancio un'occhiata ai miei appunti. Le ho preparato degli schemi, perché facessero da accompagnamento al manuale. Ma non credo che siano serviti poi tanto.

È da tre giorni che la aiuto con l'esame di matematica. Ci vediamo il pomeriggio e studiamo fino all'ora di cena. Alle otto andiamo in caffetteria con il resto della famiglia e Liam, e poi noi due torniamo nella sua stanza per riprendere.

Da quanto ho capito, Thymos le ha regalato una parte dei soldi di Barbie, così che Hell potesse pagarsi la retta del corso di Lettere. Nonostante gli abbia promesso che avrebbe riscosso l'assegno, Hell vuole comunque dare l'esame in cui è stata bocciata solo due mesi fa. Ha deciso che abbandonerà il corso solo dopo averlo superato.

Storco il naso, davanti alla disperazione di Hell. E, nel silenzio creatosi, avanzo una proposta. «Be', allora... scopiamo?»

Le strappo un mezzo sorriso, e il mio cuore manca un battito. Detesto quando non riesco a farla ridere.

«Vado un attimo in bagno», annuncia. E ancora prima che possa fermarla, scatta in piedi con un solo movimento e si precipita in bagno. La porta sbatte alle sue spalle.

Di norma, non mi faccio mai gli affari miei. Se si tratta di Hazel Fox, ancora meno. Conto fino a tre prima di raggiungerla. Busso contro la parete, con le nocche della mano, e attendo.

«Ho quasi finito. Dammi un minuto.»

Qualcosa non va. Se fossi come Hades, le direi: "capisco che sei turbata e non entrerò fino a quando non mi dirai di sì, io resto qui ad aspettare". Ma, per fortuna, non lo sono. Anche se vorrei le labbra morbide come le sue.

Abbasso la maniglia e spalanco la porta. Hell sussulta, aggrappata con le mani al lavandino. Il suo riflesso nello specchio mostra una ragazza stanca e frustrata. Ha gli occhi lucidi.

«Hazel.»
«Ti avevo detto di aspettare.»

Mi avvicino, mettendomi al suo fianco, e le cingo la vita con il braccio. «Lo so. Purtroppo, non mi importa.»

Ares, non guardare in basso. Non guardarle il culo, che poi ti distrai. Tieni lo sguardo puntato in alto. Non è il momento di farsi venire un'erezione.

China il capo in avanti e sospira.
Io non so cosa dire. Non sono bravo a consolare la gente.

«Hell, non devi darlo per forza l'esame. Cambia corso e lasciati tutto alle spalle. Non devi dimostrare niente a nessuno, lo sai?» mormoro.

«E tu non sei costretto ad aiutarmi. Capisco che possa essere esasperante...»

«Scordatelo. Io ti aiuto fino a quando lo vuoi.»

In realtà, insegnarle la matematica è divertente. Soprattutto quando, tra un esercizio e l'altro, posso rubarle un bacio a fior di labbra. O quando le spiego la teoria, tenendo una mano incollata alla sua coscia nuda.

Oh, Dio, forse sono io il problema. Sono troppo bello e le pulsioni sessuali che le provoco la distraggono dalla matematica.

La costringo a voltarsi e le afferro il viso tra le mani, poggiando la mia fronte contro la sua. «Hell, sii sincera. È colpa mia se non capisci tutto? Dimmelo, davvero. Non mi offendo.»

«Colpa tua?»

«Sì. Ti attraggo troppo e mentre ti aiuto in matematica tu pensi solo a scoparmi. Puoi ammetterlo. Possiamo risolvere la situazione.»

Per un attimo, resta in silenzio a soppesare le mie parole. Poi, scoppia in una risata e mi dà un pizzicotto sul braccio. «Sei un cretino.»

Non capisco cosa ci trovi di divertente. Io ero serio. Forse è così che si sente Liam quando apre bocca.

«Che ne dici se vado a prendere due caffè dalla caffetteria, prima che chiuda? Facciamo una piccola pausa e poi riprendiamo.»

«Oppure potresti cambiare insegnante», irrompe la voce di Athena, che passa davanti alla porta del bagno e si ferma sulla soglia, squadrandoci. «Secondo me, non sei tu il problema Hell. È Ares.»

Tendo l'orecchio nella sua direzione, stampandomi in viso un'espressione confusa. «Ehi, Hell, hai sentito anche tu il sibilo di un serpente o me lo sono immaginato?»

Un asciugamano arrotolato mi plana dritto in faccia, ancora prima che possa battere ciglio. L'urto non fa male, ma è fastidioso e mi lascia un attimo destabilizzato. Questo sì che fa stampare un enorme sorriso sul volto di Hazel.

Be', pazienza. Tutto pur di vederla più serena.

«Vado al volo e torno.» A malincuore, mi allontano da Hell e scivolo accanto ad Athena. Raccatto il mio portafoglio, all'ingresso, e controllo di avere tutto ciò che mi serve.

«Io vorrei un tè nero, caldo, con una fetta di limone dentro», mi dice Athena. Nel frattempo, si è spostata nel piccolo salotto e se ne sta appollaiata sul divano, con un libro in grembo. Sembra avere mille pagine, quel mattone.

«Ottima scelta», rispondo. «Vai a prendertelo, allora.»

Il suo sguardo saetta nel mio. «Ti conviene non fare lo spiritoso con me. Posso rubarti la ragazza in cinque minuti.»

Alzo l'occhio al cielo e mi sistemo gli occhiali da vista. Comincio a detestarli, anche se mi permettono di vedere meglio. «Ficcati la testa nel cesso e tira lo sciacquone, Serpe.»

E non rompere le palle a me e alla mia ragazza, aggiungo mentalmente. Perché, d'altronde, io e Hell non ci siamo dati ancora quell'etichetta. Ma, nella mia testa, lei è la mia ragazza.

Prima che la discussione possa sfociare in altre offese, mi affretto a raggiungere la porta e me la sbatto alle spalle velocemente. Dall'altra parte, sento le urla di Athena che mi riversa contro insulti.

Cammino in fretta per i corridoi quasi deserti. Ci sono pochi studenti in giro, e qualche luce è già spenta.

L'arrivo di un nuovo messaggio mi distrae dalla mia meta, e rallento per leggerlo.

Liam mi ha appena mandato una foto di Apollo, mezzo accasciato sul pavimento della nostra camera, con i capelli spettinati e gli occhi rossi, che fissano il vuoto.

Ne arriva un secondo, però da Hermes. Devi venire in camera! Apollo è fatto come una pigna. C'è da divertirsi.

Merda. Li odio. Proprio quando devo aiutare Hell fanno fumare marijuana a Jared?

Suppongo, però, di poter fare un salto. Solo cinque minuti. Il tempo di fargli un video e godermi un po' la scena. Cambio direzione all'ultimo, e quasi corro per raggiungere l'altro dormitorio del campus.

Quando arrivo, la porta è socchiusa e mi giungono delle risate, miste a conversazioni.

Sul divano, se ne stanno seduti Hermes e Poseidon. Zeus, in carrozzella, è in un angolino che tenta di guardare il telegiornale alla tv. Liam è a terra, a pochi passi da Apollo.

Sul tavolino, invece, c'è una teglia di brownies. Non ne restano molti. Chissà quanti cazzo se n'è mangiato Apollo.

A giudicare dalla condizione in cui riversa, parecchi. Ha i capelli spettinati e sta sdraiato a pancia in giù sul pavimento. Un braccio è proteso in avanti, con l'indice in fuori. Fissa un punto lontano, con aria vacua. Ha gli occhi così rossi da far paura.

«Ci mancava un altro deficiente in questa camera», borbotta Zeus, quando si accorge di me.

«Ehi, Aressino! Che bello vederti», mi saluta Hermes, mezzo nudo. Anche lui è fatto, ma regge molto meglio la marijuana.

Apollo rotola a pancia in su, e agita le gambe come una tartaruga che non riesce a rimettersi dritta. «Mi sento libero e leggero come una farfalla, che si libra nel cielo e si gode il suo primo e ultimo giorno di vita.»

«No, ti senti solo fatto, Jared, stai sereno», lo correggo.

Neanche mi sente. O, più probabile, mi ignora. Spalanca gli occhi d'improvviso. «Mi manca scopare. Sono stanco di masturbarmi.»

Nella stanza cala il silenzio, interrotto solo dalla voce del giornalista che racconta di un incidente in città. Anche Zeus, ora, è voltato verso Apollo e si interessa al suo monologo.

«Avete presente il mito che Platone racconta nel Simposio?» continua, Apollo.

Faccio una smorfia. «Ovviamente no. Chi cazzo legge Platone.»

«Si dice che ognuno di noi, in origine, fosse un tutt'uno con la propria anima gemella. Ma il potere che emanavamo spaventava Zeus, che ci divise a metà e lasciò che ci disperdessimo in ogni angolo della Terra...»

Liam solleva l'indice. «Mi dispiace interromperti, ma la Terra è tonda. Non può avere angoli.»

Zeus abbozza un sorrisetto.

Apollo continua, imperturbabile. «Così, le anime gemelle si crearono e si divisero. Con lo scopo ultimo di ritrovarsi, prima o poi, e di riunirsi. Ecco, io credo di non averne una. Sono nato solo e morirò solo.»

Liam emette un verso di dispiacere e si allunga verso di lui, per accarezzargli i capelli. «Non dire così. Non morirai mai solo. Ci saremo noi in letto di morte a guardare la vita scivolarti via dal corpo.»

Apollo sembra riacquistare un minimo di lucidità. Sospira. «Ripensandoci, forse morire in solitudine non è tanto male.»

Senza dare l'occasione a nessuno di noi di consolarlo – meno male, perché anche io comincio a pensare che morirà solo e con le palle piene – si rimette in piedi a fatica e si avvia verso il mini-angolo cucina.

Poggiandosi al bancone, incrocia le braccia al petto e inclina la testa di lato. Chiude gli occhi e non si muove più.

«Raghy...» dice piano, Herm. «È morto? Dorme? Dobbiamo preoccuparci?»

Ne ho abbastanza di queste stronzate. E se lo dico io, è grave. «Fategli dei video, in caso cominci a fare qualcosa di interessante. Io ho un impegno.»

Esco dalla camera che Apollo sta ancora a occhi chiusi, in piedi. Hermes e Posy prendono altri brownies e Signor Zeus e Liam si mettono a guardare la tv insieme.

Ho la brillante idea di controllare l'ora solo quando una singola svolta mi separa dalle porte della caffetteria. Sono le undici. Ciò significa che deve aver appena chiuso.

Ma quando arrivo lì davanti, le luci sono accese e alcuni tavoli sono ancora occupati. Ci sarà almeno una ventina di studenti, qui dentro. Quando oltrepasso la soglia, tutti i presenti si voltano nella mia direzione e mi fissano.

Mi pietrifico sul posto. Perché questa cosa?

Poi me lo ricordo.
Sono bellissimo e sono uno dei Lively. La gente mi guarda, niente di nuovo.

Rivolgo un sorriso sfavillante a un gruppo di ragazzi del primo anno e mi fermo al bancone.

Una donna di mezza età, con i capelli neri raccolti in uno chignon mi rivolge un sorriso materno, carico di dolcezza. Come se fosse felice di vedermi. «Buonasera, Ares, cosa posso darti?»

Estraggo la carta di credito dal portafoglio e la picchietto sul ripiano in legno. «Due caffè lunghi. Uno senza zucchero ma con un goccio di latte e l'altro con tre cucchiaini di dolcificante.»

«Arrivano subito!» trilla.

Sono un po' confuso. Nessuno è mai gentile con me o felice di vedermi. Forse sto cambiando e diventando una persona migliore, più facile da avere attorno. Chi lo sa.

La donna poggia il primo cartone di caffè, a pochi centimetri dalla mia mano. «È una nuova miscela, questa. Spero che sia buona, la stiamo provando da stamattina. Molti si sono lamentati che ha un sapore pessimo. Fammi sapere se a te, invece, piace.»

Quando mi dà di nuovo le spalle per preparare il caffè macchiato di Hell, io afferro il mio e me lo porto sotto il naso. L'odore sembra normale, il solito sentore amaro del caffè. Ne assaggio un primo sorso, lasciando che il liquido caldo mi bagni la lingua e il suo gusto mi arrivi alle papille gustative.

Non sento alcuna differenza con il caffè solito che compro qui. Così, ne prendo un altro assaggio, più abbandonante. Mentre sto mandando giù il terzo, mi accorgo che la donna dietro il bancone è voltata di un quarto nella mia direzione e mi spia. Non appena se ne accorge, si affretta a tappare il macchiato di Hell e me lo porge.

«Nove dollari e cinquanta.»

Le passo la mia carta di credito ed effettuo il pagamento.

«Allora, è buono?» chiede, prima che possa andarmene.

Apro bocca per rispondere, ma un capogiro mi fa perdere l'equilibrio. Mi aggrappo al bancone ed esalo una risatina imbarazzata. Che diavolo mi prende?

«Stai bene?» indaga la signora.

Una vampata di calore improvviso mi incendia il petto. I battiti del mio cuore subiscono un'impennata anomala, e d'un tratto non sembra arrivarmi il giusto quantitativo d'aria.

Il mio corpo ha un altro scossone.

La donna mi sfiora il palmo della mano con la sua, gelida, e io mi ritraggo di scatto.

Qualcosa non va.

Le pareti, attorno a me, si stanno avvicinando, come se volessero intrappolarmi e schiacciarmi tra il cemento. Poi, si riallontanano. In contemporanea, il pavimento sotto le mie suole si inclina.

«Ares?» mi richiama la sconosciuta.

Buonasera, Ares. Come faceva a sapere il mio nome? Io non l'ho mai vista prima. E continua a toccarmi le mani, con le sue luride zampe da stronza.

«Cosa hai messo nel mio caffè?» la aggredisco a denti stretti. Le parole escono confuse, e sono costretto a ripeterle, ancora più incazzato di prima.

Le sue labbra si distendono in un sorriso sornione. «Tranquillo, ti stordirà un po', ma poi ti riprenderai.»

Devo chiedere aiuto.

A fatica, mi volto in modo da darle le spalle e fronteggiare la sala. Tutti i presenti mi stanno fissando. In silenzio. Hanno assistito alla scena, e forse hanno pure sentito il nostro breve scambio di parole.

«Chiamate qualcuno! Un medico... L'ambulanza... I miei frate...» non riesco a continuare la parola. Le lettere mi si ingarbugliano attorno alla lingua.

Gonfio il petto e uso le mie ultime forze per gridare: «Aiuto!»

Nessuno si muove.

Forse non sono studenti di Yale. Così come la donna dietro al bancone non è un'impiegata, qui.

È tutto sbagliato. E non mi resta che soccombere e arrendermi, sperando che desistere mi porterà allo scopo finale per cui sono appena stato drogato con un cazzo di caffè da quattro dollari.

Il mio corpo cede e crollo a terra come un sacco di patate. Dura poco, perché qualcuno mi afferra per le ascelle e mi rimette dritto. Non riesco a stare in piedi, motivo per cui si affianca una seconda persona e vengo retto da entrambi i lati.

Qualcuno mi sta trascinando fuori.

«No...» protesto, debolmente. «Cosa cazzo succede?»

Mi arriva una risatina alla mia sinistra. Potrei giurare che si tratti di Thanatos. Agito il braccio, nell'umiliante tentativo di sferrargli un pugno, che non va a segno.

«Stai buono», mi rimprovera una voce femminile, dall'altra parte.

«È ora di giocare. Lei ti aspetta.»

Sbatto le palpebre per l'ultima volta, poi restano chiuse.





Spalanco le palpebre.
Ma il mio unico occhio funzionante impiega qualche secondo a catturare i colori e le forme davanti a me.

Il mio cervello ce ne mette il doppio per rendersi conto che, in realtà, non c'è molto da vedere.

La prima cosa che noto è il buio davanti a me.

La seconda, sono le sagome di alberi altissimi e spogli, con i rami secchi. Come se la primavera, qui, non fosse mai arrivata.

La terza è la posizione in cui sono messo. Sono seduto, ma ho le braccia legate dietro la schiena e qualcosa mi tiene la testa contro un ripiano freddo. Provo a muoverla, piano, e quando sollevo lo sguardo sopra di me, la saliva mi va di traverso per lo choc. Una lama affilata emette un piccolo bagliore.

È una ghigliottina.
Sono legato a una dannatissima ghigliottina.

«Ehi!» grido, agitandomi sul posto, come se potessi davvero liberarmi dai lacci che mi costringono all'immobilità.

Nessuno mi risponde.

Continuo a urlare, ma ne approfitto anche per guardarmi attorno e provare a farmi un'idea del posto in cui mi trovo. Sono in una... radura? Una radura in mezzo a un bosco, probabilmente, fuori dal centro cittadino del New Haven. Lontano da Yale.

Il cielo è cupo, privo di stelle, e si abbatte sopra di me come una maledizione.

La parte peggiore, però, arriva quando infosso il mento sul ripiano e guardo davanti a me.

Ma cosa cazzo...

A dieci metri di distanza c'è un'altra ghigliottina, che sembra identica alla mia. La persona condannata, però, indossa una tunica nera e un cappuccio. Non c'è una singola parte del suo corpo scoperta. Nemmeno un indizio su chi possa essere. Anche le maniche sono così lunghe da coprirle le mani, fino alla punta delle dita.

Il frusciò dell'erba alla mia destra mi fa scattare.

Ed eccoli lì.
Al lato di quello che dev'essere il tabellone da gioco, c'è una seduta per gli spettatori della partita. Tutta la mia famiglia. Hades, Hermes, Apollo, Liam, Poseidon, Zeus, Dionysus e... persino Thymos, con i suoi soliti vestiti e l'espressione così incazzata che potrebbe cominciare a prendere a pugni l'aria.

La mia attenzione si sposta in fretta su chi si trova in prima fila: Urano e Gea Lively. Accerchiati da uomini vestiti di nero, ciascuno con un fucile in mano. Sono sei, quattro dei quali impiegano le armi puntandole sui miei fratelli e cugini. Qualcosa mi dice che qui ce ne siano di più, e che si nascondano nel buio.

Un momento.

Ricontrollo tra il pubblico.
Mi guardo attorno.

«Ah, te ne sei accorto», esclama una voce rauca e femminile. Non capisco da dove provenga, ma è amplificata da un microfono che oltre ad alzarne il volume, è come se lo propagasse nell'aria, rendendo impossibile individuare il punto in cui nasce. «Mancano le donne.»

Athena, Hera, Cohen, Teia... e Hell.

«Chi sei? E dove sono?»

«Una cosa per volta, Ares, non affrettiamo i tempi, per piacere», mi rimprovera in tono bonario.

«Mi hai drogato il cazzo di caffè. Tre sorsi ed ero steso a terra. Potevi semplicemente mandarmi un messaggio e sarei venuto a giocare, stronza», sbraito.

«In effetti avrebbe almeno potuto farglielo finire. Costa quattro dollari a Yale», commenta Liam.

La risatina di Apollo squarcia il silenzio carico di tensione, e tutti ci giriamo per osservarlo. Non è una cosa molto da lui, anzi.

Hermes, al suo fianco, gli cinge le spalle con un sorrisetto nervoso. «Abbiamo fumato e lui è strafatto. Lasciatelo stare.»

Hades si irrigidisce e si volta. «Cosa

«Ehi, fratello, tu conosci il mito raccontato da Platone nel Simposio?» riprende Apollo, forse per propinare anche a lui la sua autocommiserazione sull'anima gemella.

«La volete piantare?» sbraita Urano.

«Scusi, eh», si difende Liam a mani alzate. «Era la serata brownies. Lei si è messo in mezzo rovinando i nostri piani. Avrebbe potuto spostare il gioco a domani.»

Zeus afferra il polso di Liam e lo tira in disparte, per evitare che Urano estragga una pistola da una tasca segreta e gli spari dritto in fronte.

La figura che si nasconde nel buio non fa commenti sullo scambio appena avvenuto. «Io sono Medusa, è un piacere fare la tua conoscenza. E questa, Ares, è la tua sesta e penultima fatica.»

Le sue "s" sono sibilanti come il verso di un serpente. Urano dà ai suoi partecipanti un aumento se si calano nella parte? Che puttanata. 

Faccio una smorfia. «Sì, a questo punto della serata mi era già chiaro.»

Una fitta alla tempia mi mozza il respiro. Sento il dolore martellarmi come se stesse scavando nel mio cervello, ma dopo qualche secondo sparisce. Dio, che cazzo di droga mi hanno dato? Ho ancora i postumi. Non dev'essere passato troppo tempo da quando l'ho ingerita.

Non solo devo giocare svantaggiato perché sono un coglione. Sono persino rallentato dalla droga.

«Ora veniamo alle regole del gioco», riprende Medusa. «Come puoi ben vedere, almeno spero visto che sei mezzo cieco, ci sono due ghigliottine. In quella davanti a te... c'è una persona che conosci, ma di cui non puoi sapere l'identità. Non adesso, almeno. Posso solo dirti che è una figura femminile molto importante nella tua vita.»

Una figura femminile importante. Considerando che mancano mia sorella, mia cugina, Cohen e mia madre... «Okay, allora di sicuro non è Athena. Di lei non me ne frega un cazzo.»

Mi arriva una risatina roca. Wow, allora faccio ridere qualcuno, oltre a Hell.

Hera. Mia madre. Hell. Haven. Una di loro quattro è sotto quella tunica.

«Può esserci Haven Cohen...»

Medusa viene interrotta da Hades, che scatta subito in piedi, pronto a correre verso il vuoto a picchiare chissà chi. Letteralmente, dato che non si vede nulla. «Non ti devi azzardare a toccare la mia r...»

Uno degli uomini di Urano lo fa ammutolire, dandogli un colpo di fucile dritto in faccia.

L'impatto è così violento che Hades capitombola a terra, e persino io trasalisco nel vedere il suo corpo tra l'erba, immobile. Urano fa un cenno a Hermes e Apollo, indicando loro che hanno il permesso di soccorrere il fratello. I due scemi gli sono subito accanto e lo sollevano, aiutandolo a riprendersi.

«Oppure Hazel Fox, la ragazza di cui sei innamorato.» Si interrompe. «Oh, scusa, volevi che lo sapesse prima da te? Be', pazienza.»

«Crepa, stronza», sibilo.

«O ancora la tua sorellina Hera. E, in fine, la cara mammina Teia. Da poco vedova. Non sarebbe meglio che morisse anche lei? Così potrebbe ricongiungersi a suo marito.»

La sola idea che mia madre possa fare la stessa fine di papà mi fa inumidire gli occhi. Le mani mi tremano. Non so se per la rabbia che mi sta incendiando ogni terminazione nervosa di cui sono fatto, o per la disperazione dell'ennesima situazione di merda in cui mi trovo.

«Nessuno deve morire», chiarisco. «Questa volta farò le cose per bene. Niente più inganni e trucchetti. Ci sono cascato una volta, non accadrà una seconda.»

Almeno, spero. Non credo a una singola parola che dico.

«Chi ti ha detto che ci sono trucchetti? Le regole sono semplicissime e non c'è alcun inganno.»

«Dimmele, allora!»

Ricevo il silenzio.

La cosa che trovo più assurda di tutte è che Urano e Gea non parlino. Assistono come se fossero estranei al gioco tanto quanto il resto della famiglia. Eppure, sono loro i colpevoli. Loro hanno voluto tutto questo.

Qualcosa non va. Ma cosa? Cosa mi sta sfuggendo, per l'ennesima volta?

«C'è un modo per impedire che la ghigliottina venga attivata. Ed è abbastanza semplice e banale. Devi solo rispondere a una domanda, Ares», continua Medusa. Ora, mi sembra che la sua voce arrivi
alle mie spalle. Come se fosse dietro di me e mi sussurrasse contro il collo.

Una folata di vento freddo mi fa venire i brividi.

«Devi solo dire la data della tua nascita», conclude. «Giorno e mese. Quelli che la tua madre biologica non ti ha mai rivelato.»

Strabuzzo gli occhi. Cosa? «Come diamine faccio? Solo lei la sa! Non l'ha nemmeno registrata all'anagrafe, quella stronza. Come cazzo faccio a dirtela...»

Mi interrompe con un "ssh" dolce. «Come fai a saperlo? Perché Teia e Iperione ti hanno riferito che non è mai stata registrata? Perché Thymos ha trovato quel fascicolo ridicolo, in cui non è segnata? Sai quanto è facile far sparire delle informazioni del genere, avendo anche la più piccola delle conoscenze?»

Merda. Ciò significa che...

«Io la so», conferma le mie ipotesi. «Così come la sanno Urano e Gea. E, in fondo, la sai anche tu.»

«Io non la so!» mi difendo all'istante. «Non potete farmi questo. Non è giusto. C'è un limite anche alla difficoltà dei giochi, cazzo!»

Mi dimeno sulla sedia, come un pesce fuor d'acqua che lotta per tornare nel suo elemento. Metafora ironica, in effetti, visto che annego in una pozzanghera.

Ogni sforzo è vano. Le corde che mi legano i polsi sfregano sulla mia pelle, scorticandola. Una lacrima mi riga la guancia.

Non posso perdere anche mia madre.
Non posso perdere mia sorella.
Non posso perdere la mia migliore amica.
Non posso perdere la ragazza che mi fa sembrare l'amore una cosa improvvisamente vicina e tangibile.

Non posso far morire qualcun altro per colpa mia. Non posso fallire, di nuovo.

«Invece, la sai. Tu sai la data, Ares. Te la abbiamo detta in ogni modo possibile, da quando sono cominciate le fatiche. È così scontata che è praticamente impossibile perdere a questo gioco. Persino uno stupido come te può arrivarci.»

Mi pietrifico, rinunciando al tentativo di fuga dalla ghigliottina a cui sono legato come un salame.

La so? Me la hanno detta con le fatiche?

Le fatiche sono sette. Quindi, il numero 7 c'entra di sicuro. Che sia il giorno?

Mi resterebbe il mese. Ho dodici tentativi. Eppure, se è così banale come sostiene Medusa... Possibile che...

7 fatiche.
7, il giorno.
Fatiche. F, 1, a, 2, t, 3, i, 4, c, 5, h, 6, e, 7. Sette lettere.

Possibile che sia il settimo mese, allora? 7 luglio.

Può essere davvero così stupido, come indovinello?

«Sono sicura che ci stai arrivando. O forse ci sei già arrivato, non è così, Ares?»

«Stai attento! Non commettere gli stessi errori», grida Zeus, le mani chiuse a coppa davanti alla bocca per farmi arrivare ancora più forte il suono della sua voce.

Anche nel suo viso sembra esserci tanta confusione.

Ha ragione. Ammesso che sia così semplice da risolvere, è tutto qui? Io dico la data e la ghigliottina si ferma?

«Ah, giusto, dimenticavo», cattura la mia attenzione Medusa. «Ovviamente, se blocchi la ghigliottina davanti a te, sblocchi la tua. Uno di voi due deve morire. Semplicemente, il primo che capisce la data si salva. Non è facile ed equo?»

La voce mi muore in gola. Ho una lunga lista di insulti da riversare fuori, eppure non mi esce alcun suono.

Invece che fare l'impulsivo come mio solito, decido di prendermi qualche secondo per ragionare. Questo gioco è mirato a uccidere qualcuno. Probabilmente, me. Come tutte le altre fatiche. Quindi, è una prova per vedere se sacrificherei la mia vita per quella di qualcuno che amo. Giusto?

Eppure, manca ancora qualcosa.

La persona nell'altra ghigliottina è immobile. Non sembra nemmeno cosciente. È sveglia? È stata drogata come me? Chi è? Perché non parla? Cosa mi sta sfuggendo?

Non mi hanno dato un limite di tempo, come per il gioco dell'elettricità. Forse per compensare lo svantaggio dell'essere stato drogato.

Manca qualcosa.
Manca. Qualcosa. Cazzo.
Cosa?

«Allora, Ares? Vuoi parlare? O lasci che sia la donna nell'altra ghigliottina a farlo? Lei sa già la data», mi risveglia Medusa.

Qualcosa scatta nel mio cervello. Lei sa già la data. Perché la sa già? Lentamente, tutti i tasselli del puzzle vanno al loro posto. Ce n'era uno nascosto, che non riuscivo a trovare, eppure ora mi sembra di tenerlo in mano e di vedere con chiarezza.

«Ci sei tu nell'altra ghigliottina», esclamo a voce alta. «Tu, Medusa. Sei davanti a me.»

In fondo, c'era davvero un imbroglio.

Aspetto che neghi, che Urano intervenga, che accada qualcosa. Invece, aleggia il silenzio, la calma assoluta. E, mentre i battiti del mio cuore accelerano a dismisura, la figura incappucciata davanti a me prende vita. Anche lei è bloccata, ma riesce a mostrarmi il viso. Con un colpo di collo fa calare il cappuccio, rivelando la faccia. Un microfono è incastrato dietro il suo orecchio e penzola davanti alla bocca.

Io la conosco. È cambiata tanto, ma i lineamenti sono familiari. Lunghi capelli neri, scarmigliati come se avesse preso la scossa. La pelle del volto è pallida e ha delle occhiaie così profonde che le vedo persino da dove sono io, con un solo occhio funzionante.

Mi rivolge un sorriso che mi fa tremare le ossa. È un sorriso di pura pazzia. Un bagliore sinistro la illumina, rendendola spaventosa.

«Sei mia madre biologica», decreto, da solo. Per questo lei sa già la mia data.

Risponde con un cenno d'assenso. «Ciao, Cayden. Ti ho dato proprio un bel nome, vero?»

Eccola qui, la donna che mi ha dato al mondo contro la sua volontà. La donna che ha provato a uccidermi in mare. Medusa.

«Non capisco», ammetto, alla fine. «Non capisco il senso del gioco. Perché non dovrei esitare a dire la data e ucciderti? Perché hai scelto di partecipare? Non c'è niente che desideri di più di vederti...»

Morire? Soffrire? Voglio davvero vederla morta? Sono così cattivo e senza pietà?
Forse.

Dal lato opposto a quello in cui si trovano gli uomini della famiglia, si accendono due torce grandi, e illuminano le figure della parte femminile. Athena, Hera, Hell, Haven e Teia, immobili e sorvegliate da altre guardie, con delle bende in bocca. Pian piano, vengono liberate tutte. Ma nessuna ha la forza di parlarmi.

In un istante, cambia tutto e la mia attenzione vene dirottata altrove.

«Perché Urano mi ha promesso che, se avessi partecipato, avrebbe ucciso tuo padre. È l'unica giustizia che posso avere, ormai.»

Mia madre scoppia a ridere in modo sguaiato. Inclina il capo all'indietro, quanto le riesce visto il laccio che la tiene ferma al banco della ghigliottina. La sua risata isterica e sfrenata riempie l'intera radura, rimbalzando tra gli alberi spogli e colpendomi da ogni angolazione. L'eco è raccapricciante. Ride così tanto che le vengono le lacrime agli occhi. In pochi secondi, il riso si tramuta in pianto.

E, mentre lei continua a singhiozzare e urlare, Urano si decide ad alzarsi in piedi. Cammina piano, fasciato dal suo completo elegante, e si ferma a metà strada tra me e Medusa.

Si volge nella mia direzione. «Quando l'ho trovata era al limite della civiltà, in quel logoro appartamento, con siringhe ovunque. L'ho portata in una clinica, ma la sua testa è ormai andata.»

Non mi riesce difficile crederlo. La sua risata sguaiata minaccia di farmi perdere anche l'udito.

«Lo sai perché tua madre ti odiava così tanto?»

Non rispondo.

«Perché sei il frutto di un abuso sessuale», spiega, come se fossi uno stupido che non riesce a collegare i punti.

Scatta un interruttore nella mia testa bacata. Pian piano, le cose cominciano ad acquistare senso. Per quanto questa situazione irreale in cui mio nonno mi sottopone a sette fatiche mortali abbia senso.

Ovvio. Medusa.

«In origine, Medusa era una splendida fanciulla. L'unica mortale di tre sorelle, denominate le Gorgoni. La sua bellezza aveva attirato l'attenzione del dio del mare, Poseidone, che l'avrebbe violentata in un tempio sacro di Atena. Furiosa per la profanazione del suo tempio, Atena avrebbe trasformato Medusa in un mostro con la capacità di pietrificare chiunque incrociasse il suo sguardo», racconta Urano.

Non riesco a staccare gli occhi di dosso da mia madre, che continua a piangere e ridere, sconsolata. Ma cerco di concentrarmi sulle parole che sta pronunciando Urano.

«Non è affascinante il modo in cui tutto è collegato? Pensaci. Il semidio Perseo venne inviato da Polidette, re di Serifo, per ucciderla. Proteggendosi con uno scudo di bronzo, decapitò Medusa e conservò la sua testa per difendersi nelle sue altre imprese. Terminate queste, consegnò il capo di Medusa ad Atena. Motivo per cui, tra l'altro, il suo viso viene raffigurato nello scudo di Atena. Come ti facevi chiamare tu, tempo fa, quando eri in incognito a Yale per spiare Haven Cohen? Percy. Perseo. E, ora, hai l'occasione di tagliare la testa al mostro che ti ha rovinato la vita. Medusa.»

D'accordo, posso ammettere che questo collegamento è abbastanza azzeccato. Una coincidenza che ha del surreale. Però...

«Manca ancora qualcosa. Voglio la storia completa», ordino.

A mio nonno non sembra piacere il mio tono di pretesa, perché fa una piccola smorfia ed estrae un sigaro dalla tasca interna della giacca. Si prende il suo tempo per accenderlo e, dopo aver sbuffato il fumo nell'aria fredda della notte, continua.

«Tuo padre biologico era un delinquente. Spacciava droga nei bassifondi del Bronx. Tua madre era una delle sue clienti. E diciamo che molte delle tue convinzioni su di lei sono... errate.» Si gira un istante a guardarla. «Lei non vendeva il suo corpo a quell'uomo per avere la droga. Era lui che se lo prendeva con la forza, senza lasciarle scampo. Purtroppo, uno dei tanti abusi sessuali subiti l'ha lasciata incinta di te e del tuo gemello.»

Mi viene da vomitare. E per quanto aver scoperto questo dettaglio mi rattristi, ciò non giustifica l'abbandono del mio gemello e il mio quasi omicidio in mare.

«Tua madre ha persino provato a denunciarlo.» Urano ride. «Ma alla giustizia non importa né delle donne né delle persone povere. Lo sappiamo tutti, ormai. Non viviamo nel mondo delle favole. Se hai problemi e vivi nel degrado, è più comodo lasciarti morire che assisterti. Sei solo un peso. Perciò, la mandarono via. E lei, chiaramente, non poteva scappare da quel monolocale per sfuggire al mostro che la violentava e drogava. L'unico modo per sopravvivere era accettare la droga e rendersi così incosciente da non capire nemmeno cosa le accadeva attorno.»

Serro i denti con uno scatto. Non so se sono pronto a sentire l'altra parte della storia. Perché qualcosa mi dice che le verità scioccanti non sono ancora finite.

«C'è dell'altro», mormoro.

Urano guarda prima me, poi il pubblico che assiste col fiato sospeso. «Tua madre ti trattava male, sì. Perché era sempre strafatta e vittima di violenza psicologica e sessuale. Non si accorgeva del frigo vuoto, del cibo scaduto, delle tue scarpe bucate e delle condizioni in cui riversavi. Ma...»

«Ma

Dio, potrei morire da un momento all'altro per l'angoscia e la curiosità che mi stanno divorando.

«Lei non ha mai provato ad annegarti in mare.»

Scatto all'indietro. Ho sentito male. Ho sentito male?

Come se potesse leggermi nella mente, Urano ghigna e fa un altro tiro di sigaro. «Tua madre non ha mai provato a farti annegare in mare. È stato l'esatto opposto. Tu hai provato a ucciderla, e lei per difendersi ha quasi affogato te.»

Scuoto la testa. «No, non...»

«È vero», conferma Gea, ancora seduta comodamente, come se stesse guardando un film. «Le cartelle della polizia ne sono la prova.»

«Ma io le ho lette! Me le ha date Thymos!» urlo.

«Sì», mi viene in aiuto Apollo. «Ce le ha fatte vedere la settimana scorsa. La madre è stata anche in carcere con l'accusa di tentato omicidio e Ares trasferito in un orfanotrofio. State mentendo.»

Urano sbuffa. «Secondo voi io permetterei mai che qualcuno vicino a voi possa avere dei documenti veri? Thymos è un agente della CIA, in caso non lo sapeste, ma credete che anche nella CIA siano tutti incorruttibili? Ancora non avete capito che io controllo la vostra vita? Passato, presente e futuro!» La sua voce si alza di un'ottava, alla fine.

Si liscia la giacca, come a volersi calmare, e ostenta un sorrisetto pacifico.

Thymos è nella CIA?

Ora, tutte le attenzioni sono concentrate su di lui, che se ne sta in piedi con l'aria di uno che è stato beccato. Non prova nemmeno a negare; d'altronde, che senso avrebbe?

«Sei un agente della CIA? Termos?» strilla, Hermes.

Nemmeno lui lo sapeva? Nessuno ne era conoscenza? No, ne dubito. Aphrodite, di sicuro, sì.

Liam comincia ad agitarsi sul posto, preso da un nervosismo improvviso. «Io non ho assunto marijuana prima. È tutta colpa di Poseidon! Ha due piantine nascoste in camera, posso fartele vedere, lo giuro!» Parla a raffica, senza prendere fiato.

Ancora una volta, qualcuno interviene per calmarlo. Hades gli tappa la bocca e lo riconsegna a Zeus, incaricandolo di tenerlo d'occhio.

Vorrei avere più tempo per soffermarmi su questa nuova informazione, ma la mia priorità è un'altra.

«Oh, Ares, non prenderla così male.» Urano mi viene incontro e mi dà una pacca sulla spalla. «Se ti può consolare, io capisco perché tu abbia provato a ucciderla. Eri un ragazzino, e quella donna ti trascurava e trattava male. Anche se non ne sapevi il motivo, tu cercavi di difenderti con la violenza. Perché era l'unica cosa che avevi conosciuto crescendo. Un po' drastico e crudele, ma lo comprendo.»

No, essere compreso da un pazzo assassino come Urano non mi consola affatto. Se possibile, fa aumentare il profondo senso di colpa che mi si sta incastrando in gola. 

Ogni mia convinzione crolla. Il mondo che mi ero costruito, si sgretola. Cessa di esistere. Un'esplosione opposta al Big Bang lo cancella. E, attorno a me, non rimane nulla. Il vuoto. Per un istante, mi sembra di aver fatto la sua stessa fine.

Io ho provato a ucciderla. Non lei. Io.
Com'è possibile?

«La tua mente ha manipolato i fatti, facendoti credere di essere stato tu la vittima», mormora. «Meccanismo di difesa per aiutarti a superare il trauma e ricominciare. Non farti troppe domande, stronzetto. Sei il cattivo della tua stessa storia, e quindi? Non tutti possono essere degli eroi.»

E questo chiarisce le frasi criptiche che mi ha detto qualche sera fa, dopo la cena di beneficenza all'Hotel.

Il cattivo della mia stessa storia. Ho sempre saputo di non essere l'eroe, eppure mi avevano convinto di non essere l'antagonista. Credevo di potermi etichettare come l'antieroe. Invece...

Sono io il mostro? Non lei?

Nemmeno ricordo il suo nome. Ricordo solo il male che mi ha fatto. Ma non ricordo di essere stato io a tentare di ucciderla.

«Lei... io...», balbetto come uno stupido. Sembro più drogato adesso di prima, in caffetteria.

«Tua madre sapeva di non potervi crescere e amare come si deve. Il tuo gemello si è salvato. È riuscita ad abbandonarlo, ma con te ha fallito e, per non essere scoperta e arrestata, ha dovuto portarti via a casa con sé», prosegue Urano. Emette un sospiro triste. «Non tutti possono essere genitori, Ares. Lei non voleva figli. E l'unico che si è trovata a dover crescere le ricordava ogni secondo di tutti gli abusi sessuali subiti. Lei ti guardava e vedeva quello, il mostro che l'aveva stuprata e drogata. Fino a quando la droga non l'ha resa completamente insofferente al mondo e alle persone attorno a lei. Fino a quando non l'ha incastrata in un loop infinito d'irascibilità e apatia.»

Chiudo gli occhi con uno scatto. Non voglio più sentire nulla. Non voglio più fare i conti con la vita di una donna che non ha avuto... scelta. Che ha avuto ancora più sofferenza di me.

«Sei ancora dell'idea di volerla vedere morta?» mi incalza Urano.

Bastardo. Stronzo. Vecchio di merda.

Ecco perché il gioco era troppo facile. L'indovinello era banale, ma la parte difficile era decidere se risolverlo.

Posso salvarmi, come credo di meritare. Oppure posso salvare la donna che mi ha messo al mondo e mi ha fatto pensare di non meritarmelo.

«Cayden.»

La voce di mia madre arriva debole. Ha smesso di piangere e gridare.

«Se avessi potuto, ti avrei voluto bene.»

Qualcosa si rompe dentro di me. Qualcosa che non pensavo nemmeno di avere.

«Ti prego...» la supplico. Ti prego, non dire altro.

«Di' quella cazzo di data e salvati!» sbotta Zeus, furioso. Sia Poseidon che Hermes si voltano verso di lui, sconvolti dalla sua brutalità.

È sempre stato così.

Ma quando guardo gli altri membri della famiglia, mi accorgo di una cosa orribile. Anche loro non sembrano volere la morte di questa donna che, in fin dei conti, è tanto vittima della vita quanto me.

Com'era la frase detta in quel capolavoro moderno di "Sex & the city"? Ah, sì. Siamo tutti cattivi nella storia di qualcuno.

Non esistono personaggi solo buoni o solo cattivi. Posso essere buono nella storia di Hell, ma cattivo in quella di mia madre. Una cosa è certa: non era lei il vero cattivo della mia. O, almeno, non interamente.

Cosa dovrei fare, allora? Farmi decapitare per salvarla? Sacrificarmi e darle l'occasione di una rivincita? Potrebbe, ora, riprendere a vivere e avere una vita più dignitosa?

«Io...»

«Allora?» mi interrompe Urano, provocante come un Diavolo che sta per comprare la tua anima. «Finisci quello che hai iniziato anni fa, in mare. Eri troppo piccolo per riuscire a ucciderla. Ora, puoi. Dimmi quella data e taglia la testa a Medusa, Perseo.»

Sette luglio.
È quella.
Ma lei...

Quella donna mi guarda con gli occhi annebbiati dal dolore, ancora lucidi per il pianto disperato.

Voleva darmi via, per non costringermi a essere cresciuto da lei. Non mi ha mai voluto, non ha mai voluto figli. Mi detestava perché ero il frutto della violenza sessuale subita. Non ha mai provato a uccidermi, come credevo.

E ora? Sono io a doverla uccidere.
Non è giusto.
Niente di tutto questo è giusto.

È solo cattiveria? Noia? Voglia di farmi vedere chi ce l'ha più grosso?

Comincio a pensare che questo accanimento di Urano e Gea nei miei confronti non sia dovuto solo all'aver mancato di rispetto a Crono e alla sua cazzo di bara. C'è altro.

No. Il puzzle non è completo come credevo. Manca ancora un tassello. A giudicare da Urano, non lo scoprirò stanotte. No, il gran finale lo conserva per l'ultima fatica. Ammesso che io ci arrivi.

«Coraggio, Ares, lo sappiamo che sei troppo egoista per salvare gli altri», taglia corto Gea. Ha le gambe accavallate, e il piede chiuso nel decolleté oscilla avanti e indietro. «Facciamola finita.»

«Ares!»

Una voce femminile, che non appartiene a mia madre biologica.

Cerco attorno a me, come meglio riesco, e mi rendo conto che ci sono altri spettatori, avvolti nel buio. Perché quella che ho sentito è la voce di Teia, ne sono certo.

«Ares, forse c'è una scappatoia. Non devono morire altre persone!» si aggiunge Cohen.

Certo, facile dirlo quando non sei tu in questa situazione. Facile, quando sei un asso nei giochi e io solo un cretino adottato per sbaglio.

Urano mi si para davanti, per impedirmi di continuare a cercare le voci delle donne a cui tengo. «D'altronde, non è facile, Ares? Se ci fosse stata un'altra donna, una davvero importante nella tua vita, ti saresti salvato il culo e l'avresti lasciata morire. Come hai fatto con Iperione. Te l'abbiamo resa facile, stronzetto. Speravamo di fregarti, di nuovo, facendoti sacrificare come non sei riuscito con Iperione. Peccato. Adesso, puoi far morire una sconosciuta e darle la pace dopo anni di sofferenze.»

Ovviamente. L'intento è mettermi in cattiva luce davanti a tutti. Ma come mi si può chiedere di sacrificarmi per quella che, ormai, è una sconosciuta per me? Anche sapendo che lei non ha mai voluto farmi del male?

Non posso morire ora. Perché, se muoio ora per lei, significa che ho lasciato morire invano Iperione.

Non ho scelta.
Nemmeno provo a pensare a una scappatoia.

«Sono nato il sette luglio», sussurro di getto.

Voglio finire le fatiche e continuare con la mia vita. È così sbagliato non essere un martire? Perché gli eroi devono sempre sacrificarsi? A volte, è più eroico scegliere di vivere. A volte, è più eroico affrontare il dolore e riprovarci.

Urano si volta con un sorriso. «Come, prego? Alza la voce, stronzetto.»

«Sette luglio, sacca di scroto», grido, sputando fuori tutta la rabbia. «Sono nato il sette luglio!»

Le parole riecheggiano fino a darmi la nausea. L'ho detto davvero.

«Mi dispiace!» aggiungo, rivolto a mia madre biologica. «Davvero, mi...»

I suoi occhi stanno urlando ancora più forte della mia voce. Gridano il tradimento che sta subendo. Gridano il dolore di una vita che sta per terminare. Gridano la resa. Non c'è più speranza.

Ed è colpa mia. Un'altra vita che grava sulle mie spalle. Un'altra persona che non lo meritava.

«Va bene. Non sono riuscita a farmi amare da qualcuno nella vita», dice mia madre. «È normale che, per me, finisca così. È normale, è normale, è normale... È normale. È normale...»

Comincia a ripeterlo all'infinito. Senza pause.

Continua a ripetere le stesse due parole fino a quando la lama della ghigliottina non si sblocca, e scende in picchiata sul suo collo. Un taglio netto e deciso, che almeno non la farà soffrire.

Anche da questa distanza posso vedere lo schizzo del sangue.

Un urlo femminile rimbomba nella radura fredda e spoglia.

Il mio cuore manca un battito.

Urano finisce il suo sigaro e lo mette in mano a uno dei suoi scagnozzi, solo per poter fare un applauso. Lento ed energico, i palmi sbattono tra di loro per secondi infiniti.

«Complimenti, Perseo, hai battuto Medusa. Ma forse, il mostro vero sei tu.»

Due uomini mi affiancano ancora prima che li veda muoversi nella mia direzione. Mi liberano le braccia da dietro la schiena e sganciano la chiusura del laccio che mi bloccava la testa sul ripiano.

«Ora, vai e prendile la testa», ordina mio nonno.

Esito, convinto di aver capito male. «Come?»

«Vai e prendi la testa di Medusa in mano, come fece Perseo. Muoviti.»

«Non ci penso nemmeno. Non farò una cosa del...»

Urano fa un cenno con la mano, e la canna di un fucile mi sbatte contro la tempia. «Veloce. Non ho altro tempo da perdere con te, qui.»

Ingoio il groppo in gola e mi alzo, stando attento a non fare movimenti bruschi, ancora con l'arma premuta addosso. Lo scagnozzo mi segue fino a quando non supero la figura di Urano, che tiene gli occhi fissi su di me.

Da vicino, la scena mi fa rivoltare lo stomaco e risalire un conato. Più tento di non guardare, meno ci riesco. Non avevo mai visto un corpo decapitato, e questa è una prima volta che non avrei mai voluto avere.

Afferro la testa di mia madre per i capelli e la sfilo dal laccio, ormai inutile. Il sangue cola per terra, e mi finisce anche sui jeans. La sposto, tenendola lontana da me, e tento di non guardarla.

«Complimenti al nostro antagonista», dice Urano, riprendendo ad applaudire.

«Prima o poi ti ammazzerò, te lo giuro», lo minaccio, il corpo scosso da tremiti di rabbia. «Ti farò a pezzi per lasciarti soffrire il più a lungo possibile, e poi ti darò fuoco come ho fatto con la bara di quell'uomo di merda e patetico che era tuo figlio.»

Un lampo di fastidio gli adombra il volto rugoso e da pazzo, ma non si scompone, perché tanto ha vinto lui. Lo scopo del gioco era farmi morire, sacrificandomi in nome della convinzione che in questa ghigliottina ci fosse Teia. In qualche modo, però, ho perso comunque.

«Non sono il cattivo», mi difendo, ancora. «Ho solo dovuto compiere una scelta sofferta e ingiusta. Sei tu lo stronzo della storia, vecchio di merda dalle palle secche.»

Urano getta il capo all'indietro e fa una risata sprezzante. Gea, nel frattempo, lo ha raggiunto e si sistema la borsetta, pronta ad andare via. Se pensavo che Rea Lively fosse un blocco di cemento capace di provare emozioni, mi sbagliavo. Gea è ancora peggio.

«Pensi che sia finita qui, con te? Manca ancora una parte della verità, Ares.»

No, no, no, no. Basta. Non è possibile che ci sia altro, su di me. Non è possibile che i miei ricordi siano così tanto compromessi e manipolati.

«Non ci credi? Te l'ho detto: è il vaso di Pandora. Perché ti abbiamo fatto dire solo giorno e mese della tua nascita? C'è dell'altro, stronzetto.»

Urano infila la mano dentro la giacca, e rovista qualche istante prima di estrarne un foglio. Lo getta a terra, il più vicino possibile ai miei piedi. «Vuoi un assaggio? Guarda. E giudica tu.»

La curiosità mi divora. Scatto in avanti e afferro il foglio, convinto di trovare qualcosa su di me.

Ciò che leggo, invece, riguarda un'altra persona. E non so se avrei preferito un'altra orribile verità sulla mia vita.

«Non è possibile...» mormoro.

Una scheda su Aphrodite, rilasciata dal medico dei Lively che ha fatto l'autopsia al suo cadavere, prima di cremarla. Una scheda che dichiara che non è stata l'unica a morire, quella notte sul tetto di Yale. Erano in due. Lei, e il feto che portava in grembo.

La testa di mia madre lì accanto mi fissa, a occhi spalancati, e perde altro sangue. Il liquido macchia l'erba verde e mi fa venire un altro conato. Lascio cadere il foglio, lì vicino, che in pochi istanti si sporca di sangue.

«La tua ultima fatica sarà un vero e proprio processo contro i tuoi crimini», esclama Urano, più rivolto alla famiglia che a me. «E, ovviamente, avverrà fra sette giorni e sette ore.»

Crollo in ginocchio.
Urano se ne va, seguito dalla moglie e dai suoi uomini.

Comincio a contare.
Arrivo a 246.
Nessuno mi si è ancora avvicinato.
D'altronde, nessuno si avvicinerebbe mai ai mostri.

🥲🥲🥲

Buonasera, non so perché oggi abbia scelto di aggiornare alle 21.
Non lo avevo mai fatto, ma ieri ho messo il countdown su instagram che scadeva a quest'ora. E stamattina mi sono chiesta "wtf.... perché" VABBO

Non ho molto da dire, in realtà.
Ci tengo solo a precisare che, personalmente, io non giustifico nè Ares nè Medusa, la madre. Nessuno dei due ha ragione, anche se effettivamente Ares era solo un bambino maltrattato, senza educazione, che non trovava altra soluzione al suo problema.

👀Ma c'è ancora una cosa che non sapete su Ares. Ve la dirò con l'ultima fatica. Conto di arrivare e chiudere GoC a 35 capitoli, e poi iniziamo con Hermes.

Come sempre, grazie per leggere GoC e trovare un po' di tempo per me 💚
Ci vediamo al prossimo🍒

Tiktok: cucchiaiaa
Instagram: cucchiaia
Have a nice life

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