Game of Chaos (Game of Gods S...

Galing kay cucchiaia

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Spin-off di Game of Gods & Game of Titans, #4 da leggere. Nove fratelli e sorelle, con nomi di Dèi greci, ch... Higit pa

Intro + Info 🍒
1 (A) - Forse non avrei dovuto dare fuoco alla bara di mio zio
2 (H) - Le parole
3 (A) - Un martedí sera esplosivo
4 (H) - Le virgole
5 (A) - Vengo costretto a parlare dei miei sentimenti anche se non li ho
6 (A&H) - Il viaggio di Odisseo
7 (A) - Alla fine di tutto si scopre che sono un mammone
8 (A) - Mio nonno è un assassino
9 (H) - I punti di sospensione
10 (A&H) - Gli avverbi
11 (A) - Festeggio il mio non-compleanno
12 (A) - Quasi stermino metà famiglia durante i giochi di Achille
13 (A) - Purtroppo, adoro il drama
14 (H) - Dietro le quinte
15 (A&H) - I punti di domanda
16 (H&A) - Mostro il mio serpente a Hell (purtroppo non nel modo in cui pensate)
17 (A) - Faccio bagnare Hazel
18 (A&H) - Estoy condenado a no olvidarte nunca más
19 (H&A) - Visito la casa di Liam: il circo
20 (H) - Sotto le luci del palco
21 (A&H) - Il predicato verbale
22 (A&H) - Le parentesi
23 (H&A) - Rimorchio grazie alla matematica
24 (A) - Vengo costretto a una riunione di famiglia mai richiesta
24.5 - La mela rossa
25.5 - La canzone di Iperione
26 (H) - Fine dello spettacolo
27 (A&H) - Il mondo visto dall'alto
28 (H&A) - Entro, spacco (un bicchiere), esco
29 (A) - Quasi perdo la testa per colpa di Medusa
30 (A&H) - Ho quasi ucciso i miei nonni
31 (A) - Nella mia storia non sei il cattivo
32 (A) - Panta Vrehi
33 (H) - Dio della discordia
34 - L'epilogo
Epilogo - Dove piove sempre

25 (A&H) - Ho aspettato di vederti per 6 ore e 15 minuti

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Galing kay cucchiaia

Riassuntino delle puntate precedenti visto che non aggiorno da un po':
Ares esce con Hell anche se ha la febbre perché è sottone. Sviene. Termos li soccorre e lo porta a casa sua. Fanno cose zozze sul suo divano. Poi arriva un bel pacco regalo: un serpente. Fanno una riunione di famiglia a cui partecipa pure il gemello, Eris, e dice ad Ares "non andare da Iperione". Blabla momenti inutili blabla inizia la 5a fatica nel seminterrato. Ci sono due stanze con due interruttori; puoi premerne solo uno e salvare una persona. Da una parte è rinchiuso Iperione, dall'altra Apate, il padre biologico di Ares. Ares ha la possibilità di fare una domanda a Thanatos. Gli chiede dov'è Ipe, ma era quella sbagliata. Perché quando entra e preme l'interruttore di Iperione, scopre che sono invertiti e ha salvato Apate nell'altra. Bene, ora procediamo 🤚🏻






Redamancy (inglese):
un amore completamente ricambiato; amare qualcuno
che ti ama.

— Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you

🍒
A R E S

«Hai paura di noi? Non ti faremo quello che ti ha fatto la tua madre biologica.»
«No, ho paura che cambierete idea e mi riporterete in orfanotrofio.»
«Non ti abbandoneremo, Ares.»
«Non ti credo.»
«Mi guadagnerò la tua fiducia. Sono tuo padre. Resto.»

Sono uno stupido coglione. Non che ci sia arrivato solo ora, ma volevo ribadirlo.

Un deficiente senza speranza.
E per quante volte io possa ripetermelo, non imparerò mai.

«L'interruttore nell'altra stanza salva me», ripete mio padre. «Quello che hai azionato qui, salva il tuo padre biologico.»

No. Non è vero.

La mia prima reazione è di voltargli le spalle e uscire dalla stanza. Mi precipito davanti alla porta in cui si trova quel bastardo di mio padre biologico. La porta è serrata, ma io comincio a riempirla di colpi e di pugni.

«Apritela! Apritela subito! Cazzo, aprite questa porta di merda e fatemi entrare

Le do prima un calcio, poi un secondo. Riprendo battendoci i palmi aperti fino a sentire le mani intorpidite, e quando tento di nuovo con i piedi, una voce alle mie spalle mi interrompe.

«Gli interruttori accendono e spengono la corrente nelle camere», spiega Thanatos con voce annoiata. «Premendo l'interruttore nella stanza di Iperione, hai bloccato la corrente nella stanza di Apate. Ora, la porta non si può aprire.»

Rimango a fissarlo come se mi avesse parlato in arabo. Il mio respiro si fa sempre più irregolare, il petto si alza e abbassa così intensamente che comincia a girarmi la testa e devo reggermi alla prima superficie che trovo.

«C'è una piattaforma di vetro, sotto l'interruttore. Ricordi?» procede Juniper con un sorrisetto divertito. «Il vetro non fa passare la corrente. È l'unico posto in cui salvarsi dalla scarica.»

«Ma Iperione è legato al muro opposto, non può arrivarci», cantilena Thanatos. «Peccato.»

«E allora cosa cazzo l'avete messa a fare?» ringhio.

Alla mia destra mi giungono i lamenti disperati di Hera. Se ne sta inginocchiata a terra, mentre Poseidon la abbraccia da dietro. O meglio, la abbraccia per confortarla e la tiene per impedirle di raggiungerci.

Thanatos allarga il braccio, indicandomi la stanza in cui si trova il mio padre adottivo. «È messo lì perché tu ci salga sopra e faccia compagnia a tuo padre nei suoi ultimi minuti di vita. Vuoi lasciarlo morire da solo?»

«Figlio di puttana!» sbraita Athena dal fondo.

Thanatos alza gli occhi al cielo. «Ha parlato quella che ha sparato un colpo al cuore della sorella, facendola crepare. Stai zitta.»

La sua frase fa calare un silenzio surreale. Athena resta immobile, pietrificata dalle sue parole. Apollo e Hades si muovono all'unisono e la afferrano ai lati. Lei si dimena con foga, tanto che serve anche l'intervento di Thymós per placcarla.

«Posso ancora fare qualcosa per salvarlo», mi ritrovo a dire a voce alta uno dei tanti pensieri che mi affollano la testa. Sono sommerso. Mitragliato da domande, ipotesi, imprecazioni e frasi scollegate che non mi permettono di ragionare in modo lucido.

«Come pensi di salvarlo, Ares?» mi incalza Circe. «La corrente elettrica in quella stanza è di tipo alternato, caratterizzata da un flusso non continuo di elettroni. Parliamo di uno shock elettrico di 25 milliampere. Te ne rendi conto? Sei bravo in matematica e fisica, o ricordo male? Non c'è modo di salvarlo dalla morte.»

25 milliampere.

L'amperaggio necessario a provocare una paralisi dei muscoli respiratori con possibile conseguente arresto respiratorio. Un tipo di morte orribile. Un tipo di morte simile a quello a cui sono andato incontro io, da bambino. La mancanza di ossigeno. Sicuramente non una coincidenza.

«L'unica cosa che puoi fare è andare da lui e...» continua Thanatos.

«No! Stai zitto! No!» sbraito, sovrastando la sua voce.

«...fargli compagnia. Glielo devi. È morto per colpa tua.»

«Smettila!»

«Avevi ancora ventiquattro secondi per pensare alla domanda e non li hai sfruttati. Ci saresti potuto arrivare. Avresti potuto fare la domanda giusta. Invece, stai uccidendo un marito e un padre.»

Mi porto le mani alle orecchie e premo forte, tappandole per eliminare il suono orribile della sua voce che dice... la verità. Avrei dovuto pensarci meglio. Avrei dovuto sfruttare i restanti ventiquattro secondi. La domanda era...

Vedo la bocca di Thanatos muoversi. Non sento nulla. Sposto le mani e lascio ricadere le braccia lungo ai fianchi. Lui ripete.

«In quale stanza devo entrare per salvare Iperione?»

Ovviamente.
Ci sarei potuto arrivare.

Ma avevo così tanta paura per mio padre che ho smesso di ragionare. Avevo così tanta paura di perdere mio padre, che mi sono condannato da solo. E ho condannato mia madre. I miei fratelli. E mia sorella.

Ancora una volta, ho combinato un casino enorme.

Volto la testa in direzione della mia famiglia. Non vedo bene le loro espressioni, ma so che Poseidon e Hera mi stanno guardando. «Volete venire con me a fargli compagnia?»

La cosa più difficile che abbia mai chiesto in tutta la mia vita.

Prima che possano rispondere, e so in maniera affermativa, Thanatos sghignazza.

«Cristo, cosa cazzo c'è ancora? Giuro che ti taglio la lingua e la uso per tapparti il buco del culo.»

Lui ignora la mia minaccia. «La piattaforma in vetro è fatta per sostenere solo il peso del tuo corpo, non potete andare sopra. Altrimenti si sfascia e avete una buona probabilità di restare fulminati anche voi. Chiuderemo presto la porta e quella stanza si allagherà in poco tempo. Ripeto: dovresti sbrigarti.»

Ora sì che il mio cervello va in corto circuito.

Inizio a scuotere la testa, con velocità crescente, e mi guardo attorno alla ricerca dell'ultimo oggetto che potrei trovare qui. «Mi serve una lama. Qualcosa che tagli.»

C'è poca luce e non vedo bene, ma il luogo in cui ci troviamo è spoglio e privo di arredamento. I muri sono sporchi, le tubature che corrono lungo le parti alte delle pareti arrugginite e il pavimento è di un verde scuro a chiazze. A parte il pc, non c'è altro.

«Che diamine dice?» domanda Thanatos a Circe.

«È legato all'altezza dei polsi. Gli taglio la mano e lo porto fuori», spiego, mentre corro verso le altre porte.

Nonostante prema i pulsanti, queste non si aprono. Continuo a tentare, fino a dare veri e propri pugni al bottone, gli occhi che si inumidiscono e la vista che si appanna a causa delle lacrime.

«Andiamo... devo trovare... qualcosa... per tagliargli... maledizione», biascico tra me e me.

Mi passo il dorso della mano in viso per spazzare via le lacrime, con scarsi risultati. Faccio respiri profondi e mi impongo di mettere da parte le emozioni, sono l'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento.

«Ares», dice una voce vicinissima a me, familiare e rassicurante. Posy. Mi prende la mano, e solo il suo gesto mi fa notare che io sto tremando come un pazzo.

Gli occhi di mio fratello sono lucidi, minacciano lacrime che sta trattenendo per restare forte. Almeno uno di noi deve esserlo, è il nostro patto. Hera è a pezzi, ancora a terra, e io sono un caso perso. Poseidon sta tentando di essere quello calmo. Nonostante anche lui stia per perdere il padre.

«Te la senti di andare lì dentro e stare con nostro padre? Non può mo... morire da solo.»

Quando si accorge che sto per replicare, ancora intestardito dall'idea di salvarlo, mi blocca.

«È tempo perso che potremmo passare con lui. Ares, non puoi amputare la mano a papà per salvarlo. Pensa razionalmente e dammi una risposta. Te la senti o vado io?»

Ha ragione. È tutto reale. Sta accadendo. Non ci sono scappatoie.

Trattengo un singhiozzo. «Forse dovreste andare tu o Hera. È colpa mia se ci ritroviamo in questa situazione. Meritate di...»

«No», mi interrompe. «Se tu te la senti, noi siamo d'accordo sul fare andare te. Abbiamo paura che, se non sarai tu a fargli compagnia, potresti non riprenderti mai più.»

Mi sento già così, Posy. Ma non è il momento di spiegartelo e di monopolizzare la scena con gli stupidi sensi di colpa di un ragazzo che ha sbagliato.

Volto il capo e cerco l'approvazione di mia sorella. Hera è inginocchiata sul pavimento, i palmi sulla superficie e il capo sollevato. Mi sembra che stia annuendo. «Vai», aggiunge.

Poseidon mi prende per mano e mi accompagna davanti alla camera in cui si trova Iperione. Mi tiene per mano, come se fossi un bambino il primo giorno di scuola che non vuole lasciare i genitori.

Thanatos e Jennifer ci osservano ridendo a bassa voce. Devo fissare i miei pensieri su mio padre per non distrarmi e andare a picchiarli entrambi.

Ora anche Hera è con noi, le lacrime le scorrono copiosamente e non accennano a fermarsi. Sia lei che Poseidon si sporgono oltre la soglia per individuare il punto in cui è seduto nostro padre.

«Ciao papà», saluta lei per prima.
«Ciao papy», le fa eco Poseidon.

Crono ha insegnato ai nostri cugini a chiamarlo "padre" in greco. Iperione, mai. Iperione sorrideva ogni volta che Poseidon lo chiamava papy.

Abbasso il capo e mi reggo al muro, gli occhi incollati al pavimento. L'acqua avanza in modo pigro, in piccole quantità, ma sta già arrivando a metà stanza.

«Prima che l'acqua raggiunga la porta, per non farla uscire, dobbiamo sigillare tutto», ci avverte Thanatos, a pochi passi da me. Allude con un cenno al pulsante per aprirla. «Se resti fuori, io non ti faccio più rientrare.»

Ovviamente. Dev'essere una enorme bastardata dall'inizio alla fine.

Non vedo mio padre, ma mi giunge forte e chiara la sua voce. «So che non serve dirvelo, ma io lo faccio comunque: non prendetevela con vostro fratello. Per favore.»

Il mio corpo cede e un singhiozzo mi sfugge dalle labbra, riempiendo il silenzio creatosi.

«No, papà, certo che no», risponde la voce spezzata di Hera.

Vorrei che Zeus fosse qui con noi. Vorrei che ci fosse anche mamma. Vorrei che potessimo fargli compagnia tutti insieme. Vorrei aver pensato un po' di più.

Poseidon e Hera fanno un passo indietro, lasciandomi lo spazio per entrare. Una volta all'interno, vado a sedermi sulla piattaforma in vetro, sotto lo sguardo vigile di mio padre.

«Ares...»

Il tormento nella sua voce. Gli occhi lucidi. La gamba, stessa a terra, che si agita in preda a un tic nervoso. Attorno a lui, cavi d'alta tensione scoperti e pronti a creare una reazione letale con l'acqua che sta per inondare la stanza.

Guardo il pulsante. «Posso ripremerlo per annull...»
Iperione mi blocca. «Si può azionare una volta sola, figliolo.»

Una parte di me sa già cosa mi sta per dire.

«Non voglio che tu assista alla mia morte. Per favore, vai via.»

«Non dire cazzate.»

«E tu non rivolgerti a tuo padre in questo modo», mi riprende,  bonario. Anche in un momento simile, sta cercando di alleggerire la drammaticità della situazione.

«Resto con te fino all'ultimo», sussurro con difficoltà.

Lui scuote il capo, piano, e abbozza un sorrisetto. «Ti avevo promesso una cosa quando ti ho adottato, ricordi? Che non ti avrei mai lasciato. Se tu resti in questa stanza e mi guardi morire, mi impedisci di mantenere fede alla promessa. Non voglio abbandonarti, Ares. E non voglio che tu viva il resto della tua vita con il trauma di aver assistito alla morte di tuo padre.»

Il mio cervello è incapace di stabilire cosa sia peggio. Non stare con lui e perdermi gli ultimi minuti con mio padre o viverli e non essere capace di dimenticarli.

Resto o vado?
Dovrei restare? Dovrei andarmene?
Chi sono io per non assecondare la sua ultima volontà?
Ma come posso voltargli le spalle e lasciarlo solo?

Cosa è giusto? Cosa è sbagliato? Ancora una volta, non riesco a stabilirlo. La mia esistenza è un continuo interrogarmi su quale sia la cosa giusta da fare, e non sapere mai se ciò che ho scelto è sbagliato o no.

«Va bene così, Ares», mi strappa dai miei pensieri mio padre.

L'acqua si sta avvicinando pericolosamente alla porta. Tra poco, quest'ultima si chiuderà e io non potrò più andarmene.

Sto per rispondergli, quando il mio telefono comincia a squillare dentro la tasca dei pantaloni. Lo afferro solo perché c'è la possibilità che sia mia madre. Non ho idea di dove si trovi e se sia al corrente di ciò che sta accadendo. Urano potrebbe anche averla legata da qualche parte con un pezzo di nastro adesivo in bocca.

Il numero che mi sta chiamando è sconosciuto. Quando chiudo la telefonata, però, questa riparte ancora prima che lo rimetta in tasca.

Forse, non rispondere è l'ennesimo errore che sto commettendo stasera.

«Pronto?»

Iperione mi guarda, incuriosito. Io scrollo le spalle.

«Un punto per me e uno in meno a te», mormora una voce maschile.

«Chi...»

«Adesso i tuoi fratelli e parenti sapranno che ti ho davvero dato un aiuto, poche ore fa, e che tu non hai voluto ascoltarmi. Sapranno che ho provato ad aiutare tuo padre, e tu lo hai ucciso.»

Eris. Il mio gemello.

«Brucia all'Inferno, stronzo.»

Ride. «E perché mai? Io ti ho aiutato e tu non mi hai ascoltato. Di chi è la colpa, mia

«Cosa cazzo vuoi da me? Cosa speri di ottenere?»

Passa qualche istante di silenzio, poi mi arriva un sospiro. «Non volermene male, Ares. Voglio quello che vuoi anche tu, quello che vogliamo tutti. Una famiglia. E la tua mi piace tanto. Davvero, davvero, tanto. Pian piano gli piacerò anche io e desidereranno di avere me al tuo posto.»

La mia mente sta già formulando una nuova serie di insulti, ma la chiamata si interrompe. Rimango col telefono a mezz'aria.

Mi viene da vomitare.
Da urlare.
E poi di nuovo da vomitare.

Mi ha preso per il culo come se fossi il primo stronzo che passa. Sento la rabbia crescermi alla bocca dello stomaco e allargarsi, come una massa tumorale che si prende tutti i miei organi e potrebbe uccidermi dalla sua intensità. Una rabbia cieca e violenta.

«Tic tac, il tempo scorre, Ares!» strilla Jennifer, con la sua voce di merda, da fuori.

«Ares», mi richiama Iperione. «Avvicinati, in fretta. Per favore, ascoltami e non obbiettare.»

Mi mordo l'interno guancia e lo assecondo, balzando giù dalla piattaforma. Mi inginocchio al suo fianco. Mio padre mi prende il cellulare di mano e apre l'applicazione delle note. Scrive velocemente tre righe in greco e blocca lo schermo, rimettendomi in mano il telefono.

«Fallo leggere a tua madre, quando sarà calma.» Fa una piccola smorfia. «O prima che la mettano in galera con l'accusa di aver ucciso Thanatos e Circe.»

Riesce quasi a strapparmi un sorriso. Quasi. Perché capisco che è il momento di salutarci. Sto per entrare in un futuro in cui lui non c'è più.

«Vieni qui.» Allarga le braccia.

Mi ci tuffo come se fossi un bambino. Eppure, siamo alti uguale e abbiamo quasi la stessa corporatura. Sta per morire, ma è lui a consolarmi e a tentare di rassicurarmi. D'altronde, di cosa mi stupisco? È questo il compito di un genitore.

«Stai accanto a Zeus», sussurra al mio orecchio. «E digli che gli voglio bene.»

Zeus non si perdonerà mai di non essere stato qui. E io non mi perdonerò mai per avergli inflitto un dolore del genere.

«Papà...» la voce mi si spezza.

«Adottarti è stata una delle scelte migliori che abbia mai fatto. Non dimenticarlo mai, Ares.»

Non riesco a parlare. Le lacrime mi inondano il viso e il mio corpo è troppo impegnato nel tentativo di respirare. Non può permettersi di fare uno sforzo in più e parlare.

Lo stringo forte, lo stringo così forte che per un attimo temo di fargli male. Mi aggrappo a lui un'ultima volta, e nella mia testa gli chiedo scusa.

Perdonami, papà. Perdonami, papà. Mi dispiace. Ti voglio bene. Grazie per avermi adottato. Grazie per la vita che mi hai dato, insieme a mamma. Grazie per non esservi arresi. Grazie per avermi fatto capire che potevo disfare lo zaino e mettere i miei pochi vestiti nell'armadio, perché non mi avreste riportato in orfanotrofio. Grazie per non avermi odiato. Grazie per avermi protetto. Grazie per gli abbracci e per i sorrisi. Grazie per i rimproveri e per gli insegnamenti. Scusami se non ti ho sempre reso fiero come gli altri, ma ehi, pensa che almeno io non ho rubato i vostri soldi e sono scappato a Parigi come Nys. Grazie per aver alleviato la sofferenza.

Chiudo gli occhi. Li strizzo forte e so che devo lasciarlo andare.

«Grazie per gli orsetti gommosi alla ciliegia», riesco a dirgli alla fine.

Mio padre ride, ride forte e quando ci stacchiamo le lacrime gli rigano le guance.

Comprava i pacchi di caramelle alla frutta e mi lasciava sempre gli orsetti alla ciliegia, perché erano i miei preferiti. Lo faceva sempre. Era un gesto da nulla, per lui, ed era tutto per me.

Non mi va di salutarlo. Non mi va di dire "ciao". Non mi va di aggiungere nulla. Mi alzo in piedi e cammino all'indietro, fino ad arrivare alla porta. L'acqua è quasi lì. Sta aumentando la portata. La porta, sopra di me, comincia a muoversi. Scende, lenta, e mi sbatte fuori.

Arretro all'ultimo secondo e mi butto a terra, poggiato al muro con la schiena.
Qui sotto, regna il silenzio.
Sblocco il cellulare.

Non parlo il greco bene come gli altri, ma non mi riesce difficile tradurre cosa ha scritto mio padre.

È stato l'onore più grande della mia vita essere tuo marito e il padre dei nostri figli. Proteggi il nostro Cayden e aiutalo a perdonarsi.

Il dolore mi investe in un'ultima ondata violenta. Senza riflettere, scaglio il cellulare dalla parte opposta della sala e mi accuccio con la testa in mezzo alle gambe. Mi strappo la benda dall'occhio. Ricomincio a piangere, fregandomene dei singhiozzi rumorosi e dei versi di dolore simili a quelli di un neonato in preda alla disperazione. Ho il corpo scosso da tremiti violenti, non riesco a controllarlo, non riesco a respirare, non riesco a fermarmi, non riesco a smettere, non so come farlo.
Non voglio farlo.

Eppure, ogni secondo passato a singhiozzare come un matto, non sembra bastare. Non mi aiuta a sfogare la sofferenza. Lei nasce dal mio petto e si espande, la vomito fuori con le lacrime e diventa un'entità reale, qui davanti a me. Mi si mette alle spalle e mi abbraccia. Sento la sua stretta attorno a me. Non me ne libererò mai. Posso piangere fino a prosciugare ogni liquido che ho in corpo, ma non allenterà mai la presa.

Non voglio correre il rischio di sentire alcun rumore dalla stanza dietro di me. Spalanco la bocca e urlo. Grido come un disperato, tra le lacrime che mi scivolano in bocca e mi fanno assaporare il loro gusto salato. Grido fino a quando la gola mi brucia e la voce esce spezzata.

Non ho più la forza nemmeno di urlare.

Ma poi mi arriva. Il suono di una risata maschile. Alla mia sinistra.
Thanatos è lì, in piedi, che assiste e ride.

Scatto in avanti, ma il movimento è scoordinato e finisco per inciampare e cappottarmi sul pavimento. Mi rialzo a fatica, un po' gattonando e un po' strisciando.

Mi avvento su Thanatos, facendo capitombolare entrambi sul pavimento lercio. L'impatto è violento, eppure lui batte appena ciglio, o se lo fa io ho la vista offuscata dalle lacrime.

«Fermateli!» strilla la voce di mia sorella.

«Al massimo vado lì ad aiutarlo a uccidere quel pezzo di merda», risponde Hades.

«Non avvicinatevi o vi faccio uccidere», intima Circe.

Tiro un primo pugno in pieno viso a Thanatos. «Perché? Perché dovete togliermi le uniche cose belle che ho avuto dalla vita? Perché?» Gli assesto un secondo colpo, più forte del precedente, sullo zigomo.

Thanatos emette un grugnito di dolore e prova a spingermi via, ma io gli artiglio il collo con entrambe le mani e stringo forte, stringo forte come non ho mai fatto in tutta la mia vita.

Voglio ucciderlo. Voglio vederlo rantolare alla ricerca d'aria. Voglio vederlo morire sotto i miei occhi. Voglio vedere la vita scivolargli via. Voglio...

Thanatos mi dà una ginocchiata sullo stomaco e mi fa mollare la presa. Bastano questi istanti per farmi perdere la posizione di vantaggio.

Mi ritrovo con la schiena a terra e Thanatos sopra di me. Mi blocca al pavimento con un ginocchio sull'addome. Ho il tempo di un respiro prima che cominci a picchiarmi con violenza.

Le sue nocche si scontrano sul mio viso, e capisco solo ora che a confronto i miei pugni erano delle carezze. Il dolore fisico è così intenso che ora non so per cosa sto piangendo, non più ormai.

Fa male. Fa male da morire. Inizio a pensare che, se nessuno lo fermerà, mi ammazzerà di botte. E forse va bene così.

Chiudo gli occhi e mi lascio colpire.

Una nuova emozione si propaga dentro di me, calda e rassicurante. La gioia. Non sento più il dolore mentale, ma solo quello fisico. Non sento più nulla. Ed è meraviglioso.

Scoppio a ridere tra le lacrime. Rido tra un pugno e l'altro. E, se ne avessi la forza, lo implorerei di non smettere. Lo ringrazierei perché è bellissimo sentire solo i suoi colpi. Una cosa giusta l'ha fatta. Un enorme favore.

«Patetico coglione, che cazzo hai da ridere?» mi urla in faccia Thanatos.

Rido ancora più forte.

Il pugno che vedo arrivarmi dritto in faccia è l'ultimo prima di perdere i sensi.

🦊🔥
H E L L

Non mi piacciono i numeri, li ho sempre odiati. Non mi piacevano perché segnavano il mio peso sulla bilancia, mai adatto alla forma che voleva mia madre per essere una buona nuotatrice. Non mi piacevano perché segnavano i secondi di troppo che impiegavo a finire la vasca, e il mio allenatore ne rimaneva deluso. Non mi piacevano perché segnavano sempre i tre compagnetti di una classe di venti che si presentavano alle mie feste di compleanno.

Erano le date in storia che non mi entravano in testa e mi facevano prendere voti bassi, erano parte degli esercizi di matematica che non riuscivo a risolvere, erano forme bellissime che io non riuscivo a tracciare bene come le parole.

Non mi entravano mai in testa.

Eppure... ora so che sono passate 5 ore dall'ultima volta che ho visto Ares. 300 minuti. 18.000 secondi.

Eppure, so che Thanatos ha dato 24 pugni ad Ares.

Eppure, so che, quando Iperione è morto, Ares ha gridato per 15 secondi consecutivi, senza l'accenno di una pausa.

Eppure, so che potrei stare qui a contare il tempo che manca, a tracciare ogni numero che scorre, fino al momento in cui rivedrò Ares e potrò accertarmi che si è ripreso.

Voglio solo vederlo.

Haven poggia una mano sulla mia gamba, che saltellava senza sosta in preda a un tic nervoso. Mi rivolge l'accenno di un sorriso, nonostante i suoi occhi siano lucidi e tristi. «Vuoi che ti prepari una camomilla?»

«No, grazie, sto bene.»

Haven non mi crede, però non insiste. Con gesti gentili e poco invadenti, mi aiuta a sistemarmi sul divano dell'appartamento di Thymós, in modo da stare più comoda.

Per qualche istante, sembra andare meglio. Ma poi la mia gamba ricomincia a muoversi, frenetica.

Apollo si sposta nell'angolo cucina e spalanca tutti i cassetti dei mobili. «Cerco una camomilla e gliela preparo. Qualcun altro la vuole?»

«Io vorrei alcol puro. Solo il coma etilico può farmi calmare», mormora Hermes, seduto per terra in un angolino. I suoi occhi sono fissi sul telescopio.

Hades lo ha chiamato dopo che Ares ha perso conoscenza e hanno portato via di peso Thanatos, che stava continuando a pestarlo. È arrivato qui con Liam.

Trascinato Ares di nuovo nell'appartamento, Poseidon e Hera si sono chiusi in bagno con lui; lei ne è uscita qualche tempo dopo, per lasciare che Posy facesse una doccia veloce al fratello.

Un'ora fa è arrivato anche Dionysus, il fratello più strano dell'intera famiglia. Il che è tutto dire. Non ci ha salutati. Si è fiondato fuori, sulle scale antincendio, ed è rimasto lì a piangere. Lo abbiamo sentito singhiozzare. Ma quando è tornato da noi, non trapelava alcuna emozione dal suo volto. Anche lui è entrato nel piccolo bagno e non è più uscito.

Sono tutti lì dentro, e non ci arriva il minimo accenno di rumore. Thymós sta fuori, accanto alla porta, adagiato al muro con le braccia conserte. Pietrificato come una statua, non ha rivolto la parola a nessuno.

Attendiamo solo un'altra persona. Sarebbero due, ma non possono portare Zeus con la sedia a rotelle per tutte le scale dell'edificio.

Teia.

Nessuno, qui, è pronto a vederla. Nessuno, qui, è pronto a rivivere il dolore che abbiamo visto in Ares, Hera e Poseidon. Soprattutto perché temiamo che sarà cento volte peggio. Cento? Mille. Mille? Un miliardo.

«Hell?» mi riporta alla realtà la voce di Hades. Se ne sta in piedi, davanti a me e Haven, e mi fissa con la fronte corrugata. «Stai bene?»

Annuisco. «Scusate. È difficile abituarsi a... tutto questo.»

«Lo sappiamo», mi rassicura Haven. «Non ci saresti dovuta finire immischiata.»

«Posso riaccompagnarti a Yale, così vai in camera e riposi», propone Hades. Haven gli fa un cenno di incoraggiamento.

«No», rispondo subito. «Prima, voglio vederlo.»

Non insiste. Mi fa una carezza sulla spalla e va a sedersi a terra, accanto ai piedi della sua ragazza. Le circonda il polpaccio con la mano e la stringe in modo affettuoso.

Il serpente, ancora dentro la gabbia sul ripiano della cucina, emette un sibilo. Apollo, fermo lì di spalle con il bollitore in mano, sussulta per lo spavento e sbatte la testa contro uno sportello ancora aperto. «Merda.»

Hermes trattiene a stento una risatina. «Grazie. Ci serviva qualcosa di divertente.»

«A me non fa ridere», dice Athena.
«Perché tu hai sempre un palo piantato nel culo.»
«Stai zitto o ti...»
«Okay, scusa.»

«Non ha neanche finito la minaccia, Herm, per favore», si lamenta Hades. «Sei imbarazzante.»

Mentre i tre riprendono il battibecco, mi volto verso Haven. Non sta seguendo la conversazione. Ha gli occhi eterocromi persi nel vuoto e la mano, poggiata in grembo, si agita appena. Stesso tic nervoso mio, ma in una zona differente.

Le prendo la mano e intreccio le nostre dita, risvegliandola. Mi mette a fuoco con calma e sorride. «Come stai?» sussurro.

Scrolla le spalle esili. «Sono preoccupata per Ares. E sto cercando di non piangere per Iperione.» Esala un sospiro tremolante. «Stiamo perdendo troppe persone. Troppe. E ho paura che sia solo l'inizio.»

«Non permetteremo che si faccia male nessun altro», interviene Athena, immettendosi nella nostra discussione. «Non perderemo un altro membro della famiglia. L'unico cadavere che vedremo sarà quello di Thanatos. E magari pure quella stronzetta di Juniper.»

Hermes si passa entrambe le mani in viso. «È un incubo.»

Nello stesso momento, Haven mi stringe la mano. Ricambio. E prendo un respiro profondo.

«Volevo chiedere a Iperione di accompagnarmi all'altare.»

Il sussurro di Haven è rumoroso. Mi fracassa i timpani e mi si incastra all'altezza del cuore.

«Cosa?» esclama Athena.

Anche Apollo è immobile, rivolto verso di noi con una tazza fumante in mano.

«Le ho chiesto di sposarmi poco tempo fa», aggiunge Hades. «Siamo ufficialmente fidanzati. Non sarà nell'immediato futuro, ma un giorno accadrà. Quando le cose saranno più semplici, più serene.»

«Non ho neanche fatto in tempo a chiederglielo», riprende Haven. Una lacrima le solca la guancia. «Si è sempre impegnato con me. Dal momento in cui mi ha conosciuta. Capiva il mio dolore, capiva quanto mi sentissi sola e alla deriva, senza neanche un genitore. Ci teneva a farmi sentire inclusa, ci teneva a starmi accanto, a farmi sapere che lui era lì per me. E adesso non saprà mai che io volevo che mi accompagnasse all'altare. Non...» Si interrompe e china il capo.

Mi alzo subito dal divano e lascio il posto a Hades, cosicché possa starle vicino. Lo vedo nei suoi occhi il desiderio di stringerla e consolarla. Lui mi ringrazia con un cenno carico di riconoscenza e si affretta a stringere la sua fidanzata fra le braccia.

Mi accoccolo a terra, accanto a Liam, e ci scambiamo uno sguardo triste.

Conosco questa famiglia da poco tempo, eppure soffro per loro come se ci conoscessimo da una vita. Non perché abbia la pretesa di conoscerli bene, ma perché vivono così intensamente il rapporto che hanno fra di loro, che è impossibile non percepirlo. Loro te lo comunicano in silenzio. Lo vedi, lo senti quanto si amano e quanto abbiano a cuore la famiglia. Non puoi non soffrire insieme ai Lively.

Hermes tira su col naso. Non mi ero accorta che stesse piangendo. Si volta, fronteggiando Haven. «Ti accompagno io all'altare. Non è lo stesso e non cambierà i fatti, ma ti accompagno io.»

Haven resta a bocca aperta. Hades, al suo fianco, sorride debolmente.

«Anche io.» Apollo è tra di noi, con un vassoio pieno di tazze di camomilla. «Lo facciamo insieme.»

«Ragazzi...» bisbiglia lei, la voce carica d'emozione. Altre lacrime le bagnano la pelle. «Grazie.»

C'è uno scambio di sguardi, fra loro tre, a cui evito di assistere perché troppo intimo. Mi ritrovo, però, a provare un immediato sollievo a tutto il dolore.

E, nel silenzio, Liam scoppia a piangere, facendo girare tutti. «Scusate, scusate», esclama, stridulo, mentre si passa le mani in viso. «È stata una scena commovente. Scusate. Siete dei pazzi di merda e sono quasi morto per colpa vostra, ma siete anche così speciali. Scusate...»

Athena ride piano e lo raggiunge, per poi cingergli le spalle con il braccio. «Coraggio, Liam, cerca di riprenderti.»

Il momento di apparente quiete non dura tanto. Tre battiti di ciglia, una battutina di Hermes, e qualcuno bussa contro la porta con forza. Thymós si muove ancora prima di Apollo, a metà strada e ancora con le tazze di camomilla.

Teia fa irruzione nell'appartamento. Ha i capelli legati in una coda spettinata e degli abiti semplici. Il viso è struccato, e pur restando bellissima, la preoccupazione sembra averle dato quindici anni in più.

«Dov'è?»

Apollo è il primo a risponderle. «In bagno con gli altri. Sai già cosa...»

«So tutto», risponde sbrigativa, e fa per aggirarlo.

«Sai anche di...»

«Apollo, so che mio marito è morto. So del gioco. So tutto. Mi ha avvisata Nys. Puoi farmi passare?» Il tono è affilato come una lama.

«Non vuoi sederti un attimo per prendere fiato? Ho una camomilla, qui», propone Apollo, alludendo al vassoio straripante di tazze.

Teia chiude gli occhi per un istante e il suo petto si alza e abbassa nel tentativo di fare un respiro profondo. «Apollo, sto per lanciare quelle tazze per aria. Non ho bisogno di una cazzo di camomilla, okay? Grazie.»

Apollo si fa subito da parte, le labbra corrucciate. Sembra esserci rimasto male. Forse, ha solo bisogno di sentirsi utile per qualcuno, qui dentro. Così, agito piano la mano e richiamo la sua attenzione. «Vorrei una camomilla, per piacere.»

Non se lo fa ripetere e si precipita da me. Adagia il vassoio sul tavolino al centro del salotto e mi porge una tazza nera, con il filtrino dell'infuso che oscilla piano oltre il bordo.

Ora, Teia sta affrontando Thymós. «Sei sicura di non avere bisogno di un momento per riprenderti?»

Teia scuote il capo. «Non c'è tempo per il mio dolore. Devo pensare prima ai miei figli.» Lo supera senza che nessun altro la fermi.

La porta del bagno si apre e si richiude. Ancora, silenzio.

Thymós sospira e va a sedersi al tavolino della cucina.

Io sorseggio la camomilla, e attendo, tenendo traccia del tempo con i numeri che tanto ho odiato. Non mi resta altro.

Dopo venti minuti, Liam comincia a russare, appisolato sul pavimento con la testa poggiata sul divano, il collo piegato in maniera innaturale. Athena, al suo fianco, ha gli occhi spalancati e l'aria vigile. Come se temesse che possa succedere qualcos'altro di orribile.

Dopo quaranta minuti, Hermes si sdraia e usa il grembo di Apollo come cuscino per la testa. Lo osservo addormentarsi. Accade in fretta, la stanchezza lo fa precipitare in un sonno profondo.

Dopo un'ora e due minuti, Hades sbadiglia. Haven gli stringe la mano. Lui se la porta alle labbra e ci posa un bacio.

Dopo un'ora e dieci minuti, Apollo mi dice: «Dovresti dormire, Hazel.»

«Apollo, non provarci con lei che poi si innamora di Hades e Ares ti spacca la faccia», borbotta Hermes, la voce impastata dal sonno. Si gira di fianco e riprende il suo riposo.

Apollo alza gli occhi al cielo.
Gli sorrido. «Voglio aspettarlo», ripeto.

Dopo un'ora e venti minuti, la porta del bagno si spalanca. In ordine, escono Posy, Hera e Nys. Alla fine, Teia. Dai visi dei fratelli si intuisce che hanno pianto, tutti quanti. Ma la madre... Lei è perfetta, così com'era arrivata. Una donna che non si concede di piangere il marito morto, solo per lasciar spazio ai figli.

«Ares vuole...» dice Teia.
Sento tutti gli occhi puntati su di me.

«Haven», concludo la frase di Teia. Perché so di cosa ha bisogno Ares in questo momento.

Haven mi guarda con aria interrogativa. «Io credo che lui, invece, voglia te.»

«No, sei stata la sua prima amica. Sei la sua migliore amica. Vai prima tu.»

Quando incrocio gli occhi di Teia, lei annuisce e mi sorride, in segno di approvazione.

A volte, l'amore non è essere sempre i primi. L'amore, forse, è capire all'istante ciò di cui ha bisogno l'altro e darglielo.

La osservo alzarsi e raggiungere il bagno, lasciando però la porta aperta.

Nel frattempo, Teia raggiunge il vassoio di camomille ormai fredde e ne prende una tazza. Dalla tasca della giacca che indossa estrae una boccetta in vetro di vodka, formato mini, e ne rovescia dentro il contenuto. Si scola il miscuglio in due sorsi, sotto lo sguardo oltraggiato di Apollo.

Posy e Hera la imitano, ma la bevono senza correggerla.

Teia va a sedersi accanto a Thymós e rimane immobile. Hera le è subito accanto, e le due si stringono in un abbraccio che non sembrano intenzionate a interrompere.

Mi alzo per andare incontro a Posy, rimasto solo. Lui si tuffa addosso a me, e affonda il volto nell'incavo del mio collo. «Mi dispiace», mormoro.

«Ce la caveremo.»

«Sei stato bravissimo, stasera», gli dico. «Hai mantenuto il sangue freddo e hai protetto i tuoi fratelli.»

Poseidon trema fra le mie braccia e capisco che sta piangendo di nuovo. «Smettila, Pesciolina, non ne posso più di piangere.» Accompagna tutto con una risatina spezzata.

Hades si alza dal divano e dà una pacca sulla schiena a Poseidon. «Ehi, Pos, vai a sederti lì. Magari riesci anche a dormire un po'. Te lo meriti, forza.»

Poseidon non si oppone. Anzi, sembra sollevato che qualcuno glielo abbia detto. Come se si sentisse costretto a restare sveglio, come se non meritasse di chiudere un attimo gli occhi e recuperare le energie.

Io e Hades lo stiamo ancora osservando, raggomitolato nel divano, con i suoi capelli azzurri sparsi sul bracciolo, quando qualcuno mi sfiora il braccio. «Hell? Vai da lui», sussurra Haven, per non spaventarmi.

Non sprecherei mai tempo spaventandomi. Posso smettere di tracciare il tempo che passa. Posso vederlo. Nel petto avverto un moto di felicità, che forse non dovrei provare viste le circostanze. Ma è più forte di me.

Quasi corro fino al bagno.
Mi blocco sulla soglia.

Ares è seduto a terra, su dei cuscini. Una coperta rossa sulle gambe e il petto nudo. Ha il capo poggiato alle mattonelle bianche del piccolo bagno, già voltato nella mia direzione.

«Ehi, Genietto.»

Devo mordermi la lingua per non piangere come una scema.

Il viso è pieno di ferite. Domani, cominceranno già a comparire dei lividi. Lo hanno distrutto. In ogni modo in cui si può distruggere una persona. E non è ancora finita.

«Vieni qui», aggiunge. «E chiudi la porta.»

Eseguo gli ordini e mi precipito da lui. Ares si sposta di lato, per lasciarmi posto al suo fianco. Non appena ci ritroviamo vicini, uno accanto all'altra, lui lascia cadere la testa sulla mia spalla.

«Non chiedermi come sto, Genietto.»
«D'accordo.»
«Però, dimmi come stai tu.»

Mi asciugo in fretta una lacrima.

«E non piangere, o riprenderò anche io. Ti prego.»

Dirmi di non piangere è il modo più semplice per farmi piangere ancora di più.

Mi volto e lo fronteggio, reggendogli il capo con le mani. Ares ha lo sguardo spento, gli occhi neri sono una pozza cupa in cui vedo il mio riflesso. Sembra ancora sotto choc, eppure, in qualche modo, anche lucido.

«Dovresti essere a Yale, nel tuo letto, a dormire», mi sgrida inarcando il sopracciglio. Segue subito una smorfia di dolore.

«No, devo essere qui.»

Abbozza un sorriso, ma non gli riesce bene. «Avrai aspettato tanto.»

«Ho aspettato di vederti per 6 ore e 15 minuti.»

Qualcosa, nei suoi occhi, cambia. Un bagliore che illumina il nero delle iridi. Dura poco, ma c'è stato.

Mi sporgo fino ad annullare le distanze. Poggio delicatamente le mie labbra sulle sue e gli do un bacio casto, dolce. Niente di eccessivo.

Quando mi allontano, c'è il tormento nei suoi occhi.
«Hazel...»

Lo interrompo. «Non chiedermi di andarmene perché hai paura per me.»

Sospira. «Ancora non lo hai capito che sono un coglione egoista? Ti chiederò sempre di restare.»

.

Ares che scrive i numeri🥹

🏛️🍒

Buon pomeriggio..........😀?
Vabbè non so che dire 😂🤚🏻

Mi sono commossa più volte scrivendo questo capitolo. Non mi capita quasi mai di emozionarmi per quello che scrivo io, ma è successo.
E le cose dovevano andare così, scusatemi 🥲

Ci vediamo al prossimo🫶🏻 grazie per leggere goc ♥️
Tiktok: cucchiaiaa
Ig: cucchiaia

Tantissimi auguri Ludovica❤️, anche se fai gli anni il 13 e ti sto portando sfiga. Vabbè, amo, quest'anno ti casca di venerdì 13. Non posso fare peggio di così 💃🏻❤️

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