Game of Chaos (Game of Gods S...

Galing kay cucchiaia

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Spin-off di Game of Gods & Game of Titans, #4 da leggere. Nove fratelli e sorelle, con nomi di Dèi greci, ch... Higit pa

Intro + Info 🍒
1 (A) - Forse non avrei dovuto dare fuoco alla bara di mio zio
2 (H) - Le parole
3 (A) - Un martedí sera esplosivo
4 (H) - Le virgole
5 (A) - Vengo costretto a parlare dei miei sentimenti anche se non li ho
6 (A&H) - Il viaggio di Odisseo
7 (A) - Alla fine di tutto si scopre che sono un mammone
8 (A) - Mio nonno è un assassino
9 (H) - I punti di sospensione
10 (A&H) - Gli avverbi
11 (A) - Festeggio il mio non-compleanno
12 (A) - Quasi stermino metà famiglia durante i giochi di Achille
13 (A) - Purtroppo, adoro il drama
14 (H) - Dietro le quinte
15 (A&H) - I punti di domanda
16 (H&A) - Mostro il mio serpente a Hell (purtroppo non nel modo in cui pensate)
17 (A) - Faccio bagnare Hazel
18 (A&H) - Estoy condenado a no olvidarte nunca más
19 (H&A) - Visito la casa di Liam: il circo
20 (H) - Sotto le luci del palco
21 (A&H) - Il predicato verbale
22 (A&H) - Le parentesi
23 (H&A) - Rimorchio grazie alla matematica
24.5 - La mela rossa
25 (A&H) - Ho aspettato di vederti per 6 ore e 15 minuti
25.5 - La canzone di Iperione
26 (H) - Fine dello spettacolo
27 (A&H) - Il mondo visto dall'alto
28 (H&A) - Entro, spacco (un bicchiere), esco
29 (A) - Quasi perdo la testa per colpa di Medusa
30 (A&H) - Ho quasi ucciso i miei nonni
31 (A) - Nella mia storia non sei il cattivo
32 (A) - Panta Vrehi
33 (H) - Dio della discordia
34 - L'epilogo
Epilogo - Dove piove sempre

24 (A) - Vengo costretto a una riunione di famiglia mai richiesta

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Galing kay cucchiaia





"Il processo di generazione dell'energia elettrica si basa sulla relazione tra magnetismo ed elettricità. Quando un filo o qualsiasi altro materiale elettricamente conduttivo si muove attraverso un campo magnetico, nel filo si presenta una corrente elettrica."



— I don't wanna lose you now
I'm lookin' right
at the other half of me
The vacancy that sat in my heart
Is a space that now you hold
Show me how to fight for now
And I'll tell you, baby,
it was easy
Comin' back into you
once I figured it out
You were right here all along
It's like you're my mirror
My mirror staring back at me

🍒
A R E S




So che Thymós ha voglia di tirare una sberla epica a Posy. Lo so, perché provo lo stesso identico desiderio.

Mio fratello sta tamburellando la mano sul ripiano del tavolino da svariato tempo, ormai. Il rumore comincia a infastidire pure me.

«Bell'appartamento...» rompe il silenzio Poseidon.

È la goccia che fa traboccare il vaso. Thymós sbotta all'istante: «Stai fermo con quella mano!»

Persino Athena si volta con gli occhi sgranati. «Ti vuoi dare una calmata?»

Posy le sorride. «Grazie, Thena. Allora ho fatto bene a difenderti qualche volta quando dicevano che eri una stronza acida.»

Athena sposta l'attenzione su di lui, puntandogli l'indice contro. «E tu smettila con quella mano o te la taglio, stai dando sui nervi anche a me.»

Per distrarli dal litigio che si sta per abbattere su di noi, mi alzo dal divano e mi dirigo anche io all'angolo cucina dell'appartamento di merda di Thymós.

«Ehi, Athena», la chiamo. «Allora, hai avuto modo di chiacchierare con la tua amica serpe? Ti ha detto qualcosa di interessante?»

Athena lancia un'occhiata al serpente, ora spostato in una gabbia apposita dallo stesso Thymós. Non abbiamo ancora deciso cosa farne di lui. Diciamo che io ho proposto di lanciarlo dalla finestra, in un momento di puro panico perché detesto i rettili. Thymós vuole tenerlo ancora un po', prima di lasciarlo a qualche negozio di animali, perché pensa che ci sia qualche messaggio o indizio in quel barile di squame nere.

«Tutto quello che posso dirti è che potrebbe essere un black mamba, uno dei serpenti più velenosi al mondo. Il suo morso uccide in quindici minuti», risponde, alla fine, Athena. Lei e il serpente sembrano essere impegnati in una gara di sguardi.

Non batto ciglio. «E cosa dovrebbe fregarcene di questa informazione?»

Hell, seduta attorno al tavolino, allunga il braccio e mi sfiora la mano. Mi concentro totalmente su di lei, che mi lancia un'occhiata bonaria ma di ammonimento. Okay, è il momento di stare zitto prima che le prenda da Athena.

Una volta messa da parte l'ascia di guerra, Hell scioglie la presa e afferra la bottiglietta d'acqua. Ne prende un sorso e richiude. È da quando siamo qui che continua a bere acqua. Insomma, capisco tutte quelle storie noiose sull'idratazione e sul bere almeno due litri al giorno, ma lei beve un sorso ogni cinque minuti, almeno. Possibile che sia così assetata? Non credo. Sembra più un tic nervoso.

«Si può sapere cosa stiamo aspettando?» esclama Thymós, ormai al limite della pazienza.

«Hades, Haven e Hermes con la colazione», ci informa Apollo, che non aveva ancora aperto bocca da quando siamo arrivati. «Sono andati a prendere caffè e ciambelle per tutti, te compreso. Quindi, vedi di rilassarti.»

«L'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento è un frappuccino di Starbucks», bofonchia Thymós.

Sono passate dieci ore da quando è stato recapitato il serpente nero, chiaramente diretto a me. Ci siamo dati appuntamento qui, a casa di Thymós; ora che sappiamo dell'esistenza di un posto appartato e abbastanza capiente, possiamo evitare di discutere di morti e faccende illegali al tavolo della caffetteria di Yale.

Ci siamo tutti, tranne Hades, Hermes e Cohen. A essere onesto, inizio a stancarmi pure io. Tiro fuori il cellulare e invio un messaggio a Haven. Saremmo molto cohententi se vi muoveste. Dove diamine siete?

La risposta arriva quasi subito, ed è una semplice foto in cui Haven sta inquadrando metà del suo viso e poi Herm e Hades che camminano alle sue spalle. Mi ritrovo a sorridere.

È la prima volta che la vediamo dopo la morte di Newt in Messico, e si nota dai suoi occhi che non è la stessa Haven rompicoglioni e piena di vita. Ma si è decisa a tornare anche e soprattutto per le ultime tre fatiche e per indagare sul serpente.

Il rumore dello sciacquone del water mi risveglia. Rimetto a posto il telefono, in tempo per osservare Liam uscire dal bagno. «Ehi, dovresti comprare un'altra marca di carta igienica. Quella che hai ora è rigida e fa male al sedere, sai?»

Thymós esita, poi decide di lasciar stare.

«Allora, quanto dobbiamo aspettare, ancora? Io ho un appuntamento per pranzo», continua Liam.

Tutti si voltano a fissarlo. «E con chi? Tua madre?» lo prendo in giro.

«Con la collega di corso di Athena», spiega Liam, e cerca la diretta interessa per avere la sua testimonianza a favore.

Athena annuisce. «Una ragazza, poco tempo fa, mi ha fermata per chiedermi di Liam. Così ho organizzato loro un appuntamento.»

Ah. Questa è una notizia abbastanza scioccante. Attendo solo il momento in cui Zeus lo scoprirà. Evidentemente, Hera sta pensando la stessa cosa, perché i nostri sguardi si incrociano e lei inarca appena le sopracciglia in un cenno d'intesa.

Il serpente sibila. Pure lui è scioccato da questo risvolto nella vita sociale di Liam.

«Ehi, Athena, traduci», esclamo.
Lei afferra una bottiglietta d'acqua e me la lancia contro, centrandomi in pieno stomaco.

Un colpo contro la porta fa scattare tutti sul chi va là. «Siamo noi», avverte Haven.

«Uno spioncino non farebbe male, sai?» rimbecco il proprietario di casa.

Thymós va ad aprire, e nonostante non mi stia degnando di uno sguardo, sibila: «Ares, ti avverto che oggi o le prendi da me o da tua cugina Athena. Stai attento a quello che dici.»

Sbuffo a gran voce. A venirmi in aiuto è Liam, che si sta sedendo in braccio a Poseidon, visto che non ci sono altre sedie libere. «In genere è molto più stronzo e insopportabile di oggi, non capisco questo accanimento.»

«Grazie», borbotto.

Hades, Hermes e Haven fanno irruzione nell'appartamento. Solo Herm si guarda attorno, per studiare l'ambiente circostante. A giudicare dalla sua espressione, non ne sembra molto colpito.

Hades sistema le buste in carta sul tavolo e inizia a tirare fuori i bicchieri di caffè e le ciambelle per la colazione, mentre gli altri si affaccendano attorno a Cohen per chiederle come sta e abbracciarla. La prima è proprio Hera, che la stringe in una presa salda e da mamma. Lo conosco, quel tipo di abbraccio, ed è uno dei miei preferiti. Lo batte solo quello di mamma.

Io resto per ultimo, un po' perché non mi va di mettermi in mezzo e un po' perché ho ancora paura che Cohen ce l'abbia con me, nonostante le rassicurazioni che mi ha già dato in quel bagno dell'ospedale in Messico.

«Ehi...» comincio.

Haven mi getta le braccia al collo. D'istinto, aggancio anche le mie attorno alla sua vita e la stringo a me, affondando il viso nell'incavo del suo collo. Ha un profumo familiare. Il profumo che impregnava la nostra camera nei dormitori di Yale e che trovavo tanto rassicurante.

«Mi dispiace», ripeto.
«Non è colpa tua.»

«Mi dispiace davvero tanto, Pupa», tento di alleggerire la situazione con il nomignolo che tanto odiava.

Hades ci passa davanti, con le buste appallottolate per essere buttate. Fa una smorfia buffa e mi spettina i capelli. Il gesto non è delicato, ma il suo significato è carico d'affetto. Un affetto che non so come ho fatto a guadagnarmi, ma c'è.

Un tempo dissi a Haven che lei meritava più di Hades, che lui non era una buona opzione per lei. Mentivo e cercavo solo di tirare fuori le frasi più cattive che mi riuscivano. Proiettavo sugli altri il modo in cui vedevo me. Ora, è la stessa identica cosa che direi a Hell. Hell, meriti meglio di me. Almeno, gliela direi se fossi un po' più altruista.

Ci stacchiamo in tempo per vedere Herm, Posy e Liam che si scambiano dei saluti strani. A turno, si danno il tre con la mano e poi agganciano le dita e le riuniscono in un pugno.

Finita la coreografia, si voltano e si accorgono di avere tutti gli occhi puntati addosso. Herm saluta Thymós con un ampio sorriso. «Noi siamo i TREmendi.»

Thymós non batte ciglio e si allontana, bofonchiando qualcosa a bassa voce. Quando si volta appena, per sbaglio, strizzo l'occhio come un matto per tentare di mettere a fuoco quello che sembra essere un mezzo sorriso.

Herm, nel frattempo, è entrato in modalità segugio gossipparo (una specie di segugio che va alla ricerca dei cazzi altrui) e comincia a perlustrare il piccolo loft. Si ferma solo per dare un buffetto sulla guancia di Haven, dopodiché procede verso il salotto.

Si arresta davanti al divano, con aria pensierosa, e si china in avanti, annusando l'aria con gesti teatrali. Lo indica e ci guarda. «Qualcuno ha fatto sesso su questo divano.»

«Io e la tua gemella, svariate volte», risponde Thymós con naturalezza.

Hermes non batte ciglio. «Conoscendo Daisy, lo avrete fatto anche per terra e contro il muro. No, io intendo di recente. C'è un forte odore di ormoni.»

Alzo la mano. «Io e Hell ieri notte.»
«Ares!» esclama lei, gli occhi strabuzzati.

«Sì, okay, sesso orale. Non vero e proprio sesso.»
«Ares!» Ora è Cohen a rimproverarmi.

«Vabbè, solo io a lei e poi con la man...»

«Allora, perché siamo qui?» chiede Hades, interrompendo la scenetta, con il suo frappuccino in mano. Indica il serpente alle sue spalle, con un cenno del capo. «È chiaro che quel serpente sia collegato a Medusa. Di cosa dobbiamo discutere, allora?»

Cerco gli occhi da cerbiatta di Hazel. Le faccio l'occhiolino, dimenticandomi ancora una volta che non ha senso se ho un occhio bendato, e lei sorride.

«Sentito la Diva? Le state facendo perdere tempo», dice Herm, dal divano. Si è sdraiato a pancia in su, con le braccia piegate dietro la nuca, come se fosse a casa sua.

Per prevenire un inutile battibecco, Thymós fa sentire la sua presenza pestando i piedi sul pavimento. Raggiunge l'angolo cucina e si ferma al tavolo, dove Poseidon e Liam si stanno abbuffando di ciambelle. Ne hanno una per mano e danno due morsi alla volta.

Gli occhi di Thymós sono focalizzati su di me. «Ares, sai che fine ha fatto tua madre biologica?»

Merda. Questo è l'ultimo argomento al mondo di cui vorrei parlare. Sul serio. Preferirei chiedere ad Apollo le dimensioni del suo cazzo in lunghezza e diametro, piuttosto. Ecco quanto odio discutere di quella stronza che ha provato a farmi annegare in mare.

«Considerando che l'hanno beccata mentre tentava di uccidermi, voglio sperare che sia finita in galera.»

Sono anni che cerco in ogni modo di non pensare a lei. Anni che cerco di dimenticare anche il suo nome. Dover riaffrontare la sua esistenza, così all'improvviso, mi fa mancare il fiato.

«E se lei fosse l'organizzatrice di una delle ultime tre fatiche? O magari di tutte», ipotizza Apollo. «Avrebbe senso. Magari è proprio Medusa.»

«È questo il problema», Thymós è lontano dal tavolo, fermo davanti a una valigetta. Ne estrae una cartella e si riavvicina, per poi schiaffarla sul ripiano in legno. «Ho fatto delle ricerche.»

Nessuno osa muoversi. Forse, aspettano tutti che sia io ad aprire quel fascicolo e venire a conoscenza per primo delle informazioni che ha trovato Thymós. Ma io... non ce la faccio. Le mie braccia non rispondono agli input del cervello. Non riesco a muovermi.

Apollo nemmeno mi chiede il permesso. Allunga la mano ossuta e apre la cartella. C'è un solo foglio, dentro, accompagnato da una foto.

Quando i miei occhi incontrano quel viso, ho un tremito alle gambe che quasi mi fa perdere l'equilibrio. Il primo ad affiancarmi per sorreggermi è Hades. Poseidon scatta in piedi, ma Hades gli fa cenno di restare seduto e che non ha bisogno di aiuto.

Il viso di mia madre mi fissa. Ha gli occhi spenti e vuoti, come li ricordavo. Mi guardava sempre così. Mi faceva terrore. A volte, quando uscivo dalla mia camera, la trovavo seduta sul divano logoro con lo sguardo perso nel vuoto. Era immobile. Una statua. Sembrava che qualcuno le avesse tirato un sortilegio e l'avesse tramutata in pietra.

A volte, quando ero piccolo, mi spaventava al punto che mi facevo la pipì addosso. Quando ero piccolo, non controllavo che non ci fossero mostri sotto il letto. Controllavo che mia madre fosse ancora ferma, in salotto, ben lontana da me. Nei miei incubi, c'era lei. E se i bambini vengono rassicurati dai genitori, una volta svegli, per me era il contrario. Mi calmavo solo se mi risvegliavo solo in camera e lei non veniva da me.

Avevo più paura di lei quando mi guardava e basta, rispetto a quando mi picchiava. Perché non sapevo mai cosa le passasse per la testa, se stesse pensando a qualcosa di estremamente brutale al quale sottopormi.

Sono gli stessi occhi neri. Gli stessi capelli neri e lunghi, poco folti e secchi, con le radici unte, la stessa pelle pallida e le guance scavate. Il labbro inferiore tumefatto e gonfio, un livido sulla fronte e le clavicole che sporgono dalla maglia con lo scollo ampio, a V.

Ho un conato di vomito. Il rumore disgustoso aleggia per la stanza, ma sono tutti abbastanza gentili da far finta di nulla ed evitare di guardarmi.

L'angoscia mi travolge. Vorrei gettarmi per terra e piangere come uno stronzo. Non posso sopportare il pensiero che lei sia ancora viva, che possa ritrovarmela davanti, e ancora peggio che quest'ultima non sia solo una possibilità, ma una certezza. Se Urano la trova, è finita.

«Koraline Janson», mormora Apollo. «Qui c'è scritto che è stata arrestata, sì... E che si è tolta la vita in cella, prima di venire condannata.»

Non esclamo vittoria troppo presto. Ho paura di essermi illuso. Guardo Thymós, alla disperata ricerca di un cenno d'assenso. Lui me lo dà, e io tiro un sospiro di sollievo. Ora, potrei piangere dalla gioia.

«È morta. Ed è per questo che sono preoccupato. Mancano tre fatiche. Chi diamine hanno chiamato i vostri nonni?»

A questa conseguenza non ci avevo pensato.

«E non è tutto», aggiunge Thymós.

Mi premo le dita sulle tempie. Cosa cazzo c'è, ancora? Non è abbastanza?

Apollo solleva il foglio e scopriamo la presenza di un'altra foto, finora rimasta nascosta. È sempre mia madre biologica, ma con un cappuccio in testa. Davanti a lei c'è Crono Lively.

Quello che segue è il silenzio più silenzioso nella storia dei silenzi a cui io abbia mai assistito.

«A quando risale questa foto?» domanda Hades, una nota di orrore nella voce.

«Ci sono diverse ipotesi. O lei non è morta in prigione e ha incontrato Crono prima che lui morisse, o entrambi si sono conosciuti prima che lei morisse. O...» Thymós lascia la frase in sospeso.

La completo io. «O Crono non è davvero morto e sta aiutando il padre con le fatiche?»

D'accordo. Questo è il silenzio più muto di sempre, mi correggo.

Hermes esala una risatina nervosa. «Impossibile. Lo abbiamo visto uccidersi. La bara ha preso fuoco. Nostro padre è morto.»

«Anche lei dev'essere morta», aggiungo io. Deve. Per forza. Non è possibile.

«Diciamo che questa è l'ipotesi in cui speriamo. Che si conoscessero prima di morire entrambi. Ma perché? Crono voleva Ares o...?» conclude Thymós, le mani sui fianchi e la fronte corrugata. Come se questa faccenda lo tormentasse da tempo immemore e ora si fosse liberato del peso, condividendola con noi.

«Hai insegnato a tuo padre a risorgere come te, Gesù?» incalzo Apollo. Lui non abbocca alla battuta. Pessimo tempismo.

L'erba cattiva non muore mai. Ma se così fosse e Crono fosse ancora vivo, non avrò problemi a trovarlo e bruciarlo di nuovo. Questa volta, da vivo.

«Basta, queste teorie sono assurde. Perché non ci calmiamo e...» comincia Hera.

Viene interrotta da un colpo alla porta. Ci voltiamo tutti, in contemporanea. Hades e Athena sono già in prima linea, insieme ad Apollo, come se fossero pronti a un combattimento.

Con la coda dell'occhio noto che Hell sta prendendo un altro sorso d'acqua. Le dita le tremano appena.

«Chi altro hai invitato?» chiede Hera.

Thymós ha le mani serrate in due pugni. «Nessuno.» Estrae due pistole dalla cinta legata in vita e si para davanti ai tre fratelli.

Apollo va ad aprire la porta, dopo aver scambiato un cenno con Thymós. Segue uno scricchiolio.

«Porca puttana», esclama Hermes.

Lì, sulla soglia, c'è la mia copia. Identica. Sputata. Fatta con lo stampino. Un ragazzo con il mio stesso volto. Gli stessi capelli. Gli stessi occhi. Cambiano solo i vestiti. Simili, ma dai colori differenti. È come trovarmi davanti a uno specchio. Surreale.

Il mio gemello inquadra le due pistole di Thymós e impallidisce, poi solleva le braccia per aria. «Calma. Non sono qui per...»

Athena gli è subito addosso. Lo agguanta per il collo e lo spinge fino al tavolo. Con un movimento rapido, gli sbatte la faccia contro il ripiano. Poseidon, Liam e Hell scattano all'indietro, facendole spazio.

Il mio gemello emette un verso di dolore. «Non sono qui per fare del male a nessuno!»

Athena non accenna a lasciarlo, anzi, sistema meglio la presa sul suo collo. È Apollo a intervenire, posandole una mano sulla spalla e mimando con il labiale un: «Basta».

È ironico che Apollo faccia molto spesso il pacifista e quello favorevole al dialogo, considerando che tempo fa voleva risolvere i problemi in famiglia impiccando tutti i parenti.

«Io propongo di ucciderlo subito», si corregge Apollo.

«Concordo», mi aggrego, appena stupito.

«Apollo!» esclama Haven.

Lui scrolla le spalle e poi indica Thymós. «Ha due pistole in mano. Approfittiamone. Io dico di farlo fuori, subito, così magari risolviamo una buona parte dei nostri problemi. Chi è a favore?»

Poseidon, Athena e Hermes sono i primi a sollevare le braccia per aria, dando il loro voto.

Liam sgrana gli occhi, fissando Posy. «L'omicidio è troppo esagerato e disumano! Io propongo di rapirlo, legarlo e rinchiuderlo in una cantina.»

«Io propongo di farlo a pezzi e mandarne uno al giorno a nonno Urano.» Athena ghigna, soddisfatta della sua stessa proposta.

Il mio gemello è ancora più pallido di prima e sposta lo sguardo da una parte all'altra, alla ricerca di qualcuno che non appoggi queste idee e che lo aiuti.

Per sua sfortuna, abbiamo una pacifista di merda. Hera si fa avanti e libera il mio gemello dalla stretta violenta di Athena. «Non uccideremo proprio nessuno e ancora meno lo chiuderemo in una cantina! Finitela, tutti quanti!»

«Facciamo così: hai dieci secondi per dirci subito cosa sei venuto a fare qui. Se la risposta ci piace, ti lasciamo vivere. In caso contrario, ti decapito. Veloce, parla», lo incalza Thymós.

Il mio gemello sospira. «Sono venuto ad aiutare Ares con la quinta e prossima fatica, che probabilmente avverrà stasera.»

Okay, forse potrebbe aver appena fornito un buon motivo per non spedirlo al creatore. «E chi ci assicura che stai dicendo la verità?» lo incalzo.

Athena e Apollo stanno alle sue spalle, senza perdersi un suo movimento. Lui lo sa, e mantiene una postura rigida e tesa. «Nessuno, sta a voi credermi. E lo farete, quando stasera comincerà la quinta fatica e capirete che non stavo mentendo.»

Incrocio le braccia al petto e lo raggiungo, parandomi davanti a Hell, fin troppo vicina a questo individuo. «Okay, ammettiamo che sia vero. Cosa ce ne facciamo di questa informazione? Stasera ci sarà la quinta fatica, e quindi?»

«E quindi io posso aiutarti.»

Gli scoppio a ridere in faccia con violenza. Lui, però, non batte ciglio. Quando smetto, è ancora serio.

«Dico davvero. Sono qui per aiutarti. Non conosco l'intero gioco nel dettaglio, ma so abbastanza da poterti dire che, qualunque cosa accada, tu non devi andare da Iperione, tuo padre. Non andare da lui, Ares.»

Cosa diavolo significa? Senza alcun contesto, non ha senso. E, anche se dovesse miracolosamente guadagnarne, chi mi garantisce che sia sincero? Perché dovrei stare lontano da mio padre?

«Termos, sparagli in testa. Mi ha rotto il cazzo e ha parlato per meno di venti secondi», ordino.

Thymós non obbedisce, non sembra nemmeno che mi abbia sentito. «Come ti chiami?»

Ora comincio a innervosirmi. «Vuoi pure chiedergli il segno zodiacale e leggergli la carta astrale? Cristo, uccid...»

«Mi chiamo Kaden. Urano Lively, però, mi chiama Eris.»

Cayden. Kaden. Che bello scherzo della vita. Ammesso che sia uno scherzo e non una cosa fatta proprio a posta.

«Eris era la dea della discordia», ci ricorda Poseidon. «Questa cosa non aiuta la tua posizione attuale.»

Colei che gettò la mela d'oro alle nozze di Teti e Peleo, scatenando la rivalità fra Atena, Afrodite ed Era.

Kaden storce il naso, dapprima incerto su come replicare. Si gratta la nuca, e il movimento repentino fa scattare in avanti Athena, già pronta a malmenarlo. Apollo la acchiappa in tempo, riportandola al suo posto.

«Non l'ho scelto io il nome, vorrei farvi notare. Sono qui per aiutare Ares. Se volete credermi, andrà solo a vostro favore. Al contrario, sarà peggio per voi.»

«Perché vorresti aiutarmi? Perché sei buono o perché Urano ti ha detto di fare il doppio gioco? E, se ci stai davvero aiutando, perché correre questo rischio? Urano potrebbe scoprirti. Non va niente a tuo favore», gli dico.

«Lo so. Ma ho immaginato che se riesco a fare il doppio gioco con lui, allora posso guadagnarmi la vostra fiducia. Tutto ciò che ho sempre voluto dalla vita è stato far parte di una famiglia. Far parte della vostra è meglio che far parte di quella di Urano e Gea», sussurra.

La sua vulnerabilità è sincera. Lo capiamo tutti, qui dentro. Almeno, credo che sia così. Perché lo sguardo che ha in viso e l'emozione nella sua voce sono le stesse che abbiamo noi quando parliamo della stessa identica cosa.

Siamo tutti bambini che volevano una famiglia, qui dentro.

Vedere come i miei cugini e fratelli cominciano a cedere, piano, allentando la presa, mi risveglia dai miei pensieri arrendevoli.

Serro la mascella con forza. «Non mi fiderò mai di te. Non mi fai pena. E mai riuscirai a farmi provare pietà. Vattene, prima che ti ammazzi io.»

Hera mi è a fianco in un istante, e mi sfiora l'avambraccio con dolcezza. «Ares, sei sicuro? Insomma, il gioco devi farlo tu, d'accordo. Ma le conseguenze, in qualche modo, colpiscono più direttamente noi altri di te. Non credi di essere troppo duro, con lui?»

Mi volto a guardarla. Credo che nella mia faccia sia dipinta un'espressione carica di orrore. Come può farmi una domanda del genere? «Se vuole tanto essere d'aiuto e stare dalla nostra parte, perché lo fa solo ora?»

«Ares ha ragione», irrompe la voce di Hell. «Quando l'ho incontrato in Messico, al bar dell'hotel...»

«Mi sono scordato di lasciare la recensione al Tiki Boom Cha e Michelle!» esclama Liam.

Lo ignoriamo tutti.

Hell riprende. «Non aveva buone intenzioni. Anzi, era parecchio d'accordo con Urano sull'ucciderti. Non c'è da fidarsi. Ha ragione Ares.»

L'opinione generale cambia all'istante, e io tiro un sospiro di sollievo dentro di me.

Kaden arretra, scuotendo il capo. «E voi vi fidate di lei? La stessa ragazza che ha rivelato a Thanatos della fobia dell'acqua di Ares? Ci avete mai pensato che la traditrice sia lei? Che sia una spia messa qui in mezzo da Urano, e che ora si inventi questa storia per depistarvi ancora di più?»

«Io non sto mentendo! E non ho mai detto a Thanatos...» protesta Hell.

La interrompo. «Scusa, Hell.» Mi rivolgo a Kaden. «Ti avverto una sola volta: non azzardarti a dire una parola in più su Hell. Che sia negativa o positiva, devi levarti il suo nome dalla bocca. Mi hai capito?»

Kaden emette un verso esasperato. «Io non l'ho mai incontrata, lei. Non sono mai stato in Messico. Non so chi sia. Sta inventando tutto...»

«Smettila», lo avverto di nuovo, le mani che mi prudono dalla rabbia.

Muovo un passo nella sua direzione, e lui ne fa uno indietro. Hades si mette in mezzo, affiancato da Cohen.

Il mio gemello tiene le braccia in aria, in segno di resa e indica la porta ancora aperta. «D'accordo, come preferisci. Io me ne vado e vi lascio in pace. Ma se stasera andrai da Iperione e lo farai morire, fermati a riflettere un po' di più sulle mie parole e sulle mie intenzioni.» Posa gli occhi scuri su Hazel, fissandola con astio. «E magari anche sulle sue.»

«Fuori da qui», gli grido contro, facendolo sobbalzare per lo spavento. «Lo voglio fuori, subito!»

È tutta la vita che ho paura di fidarmi di qualcuno, dopo quello accaduto con mia madre. Iperione e Teia mi hanno insegnato a fidarmi della mia famiglia. Cohen a dare una possibilità anche agli altri, dopo anni di fallimenti. Hell è la prima che comincia a farmi credere che possa esserci un po' di amore anche per me. Non permetterò a quel coglione di demolire tutto quello che sto costruendo. No. Non esiste.

E se avesse ragione?

Mi tappo le orecchie, come se potessi annullare la voce della mia coscienza. Sento gli sguardi di tutti i presenti addosso. Sono insostenibili, e mi costringono a voltare loro le spalle per dirigermi fuori, nell'unica terrazza che ha Thymós in questo buco di culo per topi.

🍒🦊🍒

Non so quante ore passino, mentre io me ne sto seduto sulle scale antincendio del balcone adiacente al soggiorno. So solo che a un certo punto Thymós viene a portarmi un sandwich per pranzo e una bottiglietta d'acqua, prima di sparire. So solo che Hermes e Liam mi salutano di sfuggita, annunciando il loro ritorno a Yale.

Hades e Cohen provano a farmi compagnia, con il loro solito atteggiamento da genitori pronti ad ascoltare e farmi sfogare. Li mando via con tutta la gentilezza di cui sono capace. Quindi, poca. Ma mi conoscono, non se la prendono.

Persino Apollo viene a chiedermi se sto bene.

E Dionysus mi manda un messaggio sgrammaticato: "Ciso, xome vs?".
Vorrei essere come lui.
Sempre ubriaco, da qualche parte a farmi gli affari miei.

Sono felice che Hell non si sia fatta viva. A volte, non vuoi la compagnia neanche delle persone che ti piacciono. E doverle rifiutare fa più male a te che a loro. È difficile da credere, eppure è così.

Rimango seduto sulle scale, con la schiena poggiata alla ringhiera e lo sguardo rivolto ai grattacieli e gli edifici davanti a me. Ho sempre detestato i paesaggi naturalistici, e al contrario sempre amato alla follia gli edifici e le luci dei palazzi.

Un rumore alle mie spalle mi fa irrigidire, fino a quando non compare Thymós in tutta la sua imponenza. Ha la mascella serrata e gli occhi ridotti a due fessure, sotto il braccio una cartella simile a quella letta poche ore prima, su mia madre.

Si piega fino ad arrivare alla mia altezza, le gambe genuflesse e in equilibrio su metà pianta dei piedi. Mi porge la cartella. È più tozza dell'altra, c'è una quantità maggiore di fogli. «Mancavano alcune cose.»

La prendo, ma non mi azzardo ad aprirla. «Cosa intendi?»

«Qui ci sono tutti i reati di cui è stata accusata, in tribunale, dopo il tentato omicidio. A parte il possesso di droga e quantità esagerate di psicofarmaci, ci sono anche tutte le cose che... ha fatto a te. O, almeno, ciò a cui sono risaliti facendoti degli esami in ospedale. Prima li ho tenuti da parte perché non volevo che lo vedessero anche gli altri. Ho immaginato che fosse qualcosa di tuo e personale.»

Deglutisco a fatica. «Hai fatto bene. Grazie.»

«Prego, mocciosetto. Ti lascio tutto o me lo riprendo?»

«Lasciamelo e vai via.»

Lui non fiata e non prova a consolarmi con le solite frasi di circostanza. Sparisce silenziosamente, e io sono di nuovo solo.

Ricordo cosa mi faceva mia madre. Lo ricordo, eccome. Gli schiaffi, i pugni, i calci, gli spintoni contro il muro, il cibo scarso e scaduto. Ricordo le urla e gli insulti. Ricordo le sue mani che mi spingevano sott'acqua. Non mi aspetto di trovare altro. Eppure... sono cose che sapevano anche i miei fratelli e cugini. Perché Thymós le ha nascoste?

Comincio a sfogliare le pagine di carta, le dita che mi tremano appena.

Diversi lividi nella zona addominale e lungo le gambe. Tre costole incrinate.

C'è un referto con i risultati delle analisi del sangue. Non avevo nessun parametro a posto, era tutto irregolare.

Denutrizione. Sottopeso. Carenza di proteine e diversi nutrienti, quali:...

Cambio pagina. C'è un'accurata descrizione dell'appartamento in cui abitavamo. Ambiente sporco e privo di illuminazione, escrementi di roditore rinvenuti in diversi angoli del locale, nel frigo erano presenti solo alimenti scaduti, il bambino dormiva in una piccola stanza, su un letto composto da un solo materasso, poggiante per terra, e un cuscino. Aveva solo due maglioni, due magliette a maniche corte e due paia di pantaloni. Un solo paio di calze. Un solo paio di scarpe. Non aveva biancheria intima, e il tessuto dei pantaloni gli ha causato irritazioni inguinali.

Gli unici effetti posseduti erano il peluche di una volpe, sporco, e un quadernino contente una serie numerica ordinata, che partiva dallo 0. Sul divano erano disseminate almeno cinque siringhe, e sul tavolino c'erano ancora residui di cocaina, mista ad altri farmaci quali lexotan, prozac e vicodin. Il bagno...

Più leggo, più ricordo. A ogni parola su carta corrisponde uno stralcio di ricordo che buca tutti i vuoti di memoria che ho. Tutte le cose che ho tentato di dimenticare. Uno squarcio luminoso nel buio della mia mente.

Il bambino non presenta segni di molestie sessuali, ma sono in corso ulteriori accertamenti.

Se chiudessi gli occhi e mi concentrassi, probabilmente ricorderei molte più cose. Cose che non posso permettermi di far tornare.

Eppure, la testa non sta sempre dalla nostra parte. La mia, in questo momento, mi sta sabotando. Sta facendo riaffiorare tutto.

Le umiliazioni. Gli insulti. Lo stomaco che brontolava per la fame. Il sapore acido del cibo. La speranza che, una volta tanto, fosse buono. I colpi. Le sue mani ovunque. L'uomo che si portava a casa e...
Mi manca l'aria.

Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
Cinque.
Sei.

«Spero che tu muoia prima o poi.»

Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
Cinque.

«Bambino, vieni qui!»

UnoDueTreQuattroCinqueSeiSetteOttoNoveDieciUndiciDodiciTrediciQuattordiciQuindici.

«Sedici, diciassette, diciotto...» I miei pensieri diventano parole che viaggiano per aria, e vanno a sfrecciare tra i palazzi attorno a me. Scappano dalla mia bocca, perché nemmeno loro reggono il peso del mio dolore. Nemmeno loro mi sopportano.

La porta del terrazzo si apre, cigolando, e dei passi delicati mi raggiungono. So che è Hell. Mi arriva il suo profumo e inquadro le sue scarpe, ma non riesco a concentrarmi su altro.

Lei si inginocchia davanti a me e fa l'ultima cosa al mondo che mi sarei aspettato.

«Trenta, trentuno, trentadue, trentatré, trentaquattro, trentacinque, trentasei...» comincia a contare a voce alta con me. La sua voce si mischia alla mia, e insieme procediamo con la successione di numeri.

«Hell...» la chiamo, interrompendo la conta.
Si blocca anche lei. «Sì?»

Finalmente, i nostri occhi si incontrano. Boccheggio, incapace di tirare fuori ciò che sto pensando. Ti prego, baciami. Ti prego, abbracciami. Ti prego, continua a contare con me e fammi sentire normale. Ti prego, resta qui. Ti prego, ripetimi che il mio gemello mentiva e che tu sei dalla mia parte. Ti prego, non smettere di guardarmi in quel modo.

Lei sembra capire tutto, perché mi afferra il viso con la mano, e fa scorrere fino a incastrare le dita tra le ciocche di capelli. Mi avvicina a sé e unisce le nostre bocche. È un bacio dolce, delicato, e mi ricorda che una persona che ti bacia così non potrebbe mai tradirti.

Non mi muovo. Non la tocco. Il bacio è suo. Lo ha iniziato lei. Lo ha voluto lei per prima. Sta a Hazel toccarmi, sfiorarmi, modellarmi tra le sue manine e fare di me ciò che vuole. Io resto qui, in balìa della sua volontà, come un fedele che prega Dio e aspetta una sua risposta, pur sapendo che è difficile che arrivi.

Le nostre labbra schioccano, producendo un rumore che mi fa venire la pelle d'oca.

Si stacca, ma rimane vicinissima. I nostri fiati si mescolano tra di loro e la sua punta del naso strofina sulla mia. «Non posso farti smettere di contare, Ares. Non ho le competenze per riparare ciò che ti è stato rotto. Ma posso contare insieme a te e farti compagnia mentre guarisci. Spero che basti.»

Sebbene le sue parole siano cariche di affetto, non mi sfugge l'esitazione tipica di quando hai paura di essere andata troppo oltre con qualcuno che stava bene dov'eri prima. A distanza.

Sorrido appena e le afferro anche io il viso, accarezzandole la guancia con il pollice. «Se ogni volta, poi, mi baci pure, direi che abbiamo trovato l'accordo perfetto.»

Si mordicchia il labbro per trattenere una risata. Con la mano libera, le sfioro la pelle e schiocco la lingua contro il palato, indicandole di mollare la presa e non tormentarsi la bocca.

«Non ti ho mai tradito, Ares», bisbiglia.

«Lo so.» Lo spero, corregge la vocina nella mia testa. Dio, no, ti prego. Non altri problemi nel fidarmi della gente.

Non è il momento di discuterne, però. Non so quando inizierà la fatica, non so quanta pace mi sia ancora concessa.

Picchietto sul posto accanto al mio, dopo aver spostato la cartella, e Hazel si accomoda al mio fianco. Tiene il capo basso, e mi ricordo solo ora che non le piacciono tanto le altezze.

«Perché continuavi a bere acqua, prima?» le chiedo.

Hell abbozza un sorrisetto e attende un po' prima di rispondere. «Nodo alla gola. Mai sentito nominare?»

«No. Cos'è?»

«Viene chiamato anche bolo isterico, ed è la sensazione di avere qualcosa bloccato in gola, quando in realtà non c'è nulla. È legato a sintomi di ansia e stress, in genere. Ho cominciato a soffrirne al terzo anno di liceo.» Fa un colpo di tosse e si porta la mano al collo. «Quando sono particolarmente agitata, sento una massa ferma in gola, e non importa quanto io deglutisca, non riesco a farla scendere e a liberarmene. La notte è un incubo, molto spesso devo prendere ansiolitici. Ma quando si presenta durante la giornata... bere piccoli sorsi d'acqua mi dà la sensazione temporanea che sparisca. Mi aiuta molto, anche se è stressante per tutta la pipì che faccio.»

Sorrido alla sua conclusione. «Perciò... non passa perché è qualcosa che crea la tua testa, giusto?»

«L'unico modo è distrarmi.» Deglutisce con sforzo, poi ride piano. «Più ci penso, più la sensazione si acuisce. Se mi distraggo, se faccio qualcosa che mi occupa la mente, non lo sento. A volte passo mesi in queste condizioni prima di tornare alla libertà.»

Merda. Dev'essere orribile.

Solo dopo qualche istante di silenzio, arrivo alla conclusione più importante di tutte. «Sei rientrata in un periodo di ansia, Hell? È colpa mia e di questi giochi?»

Lei affonda i denti nel labbro inferiore e sospira, l'aria dispiaciuta. «Io...»

La blocco. Non voglio che indori la pillola. Va bene che sia colpa mia, non mi offendo. «Se hai paura, puoi andare via, Hell. Lo capisco. Davvero.»

Hazel resta a guardarmi come se fossi un problema di matematica difficilissimo. Non è una metafora, perché l'ho già vista guardare le pagine degli esercizi di matematica e non riuscire a cavarne piede. Sono diventato uno di quelli.

Alla fine, adagia il capo contro la mia spalla. «Io resto qui. Se non ti dispiace.»

Non essere sottone. Sii più disinvolto. Coraggio, coglione.

«Un po' sì, in realtà. Non mi piaci.»

Ride.
E il mio petto si fa più leggero.
Allungo il braccio e le circondo le spalle, dandole una stretta affettuosa.

«Ehi, Hell», sussurro contro i suoi capelli, inspirandone il profumo dolce.
«Mmh?»

«Se tu conti con me... io posso deglutire piccoli sorsi d'acqua con te.»

Forse non è uscita romantica come speravo. Dovrei chiedere a Hades di scrivere un manuale di consigli per conquistare le donne.

1) Lasciale un frutto morsicato in mano
2) assicurati prima che piaccia a tuo fratello e poi rubagliela
3) insegnale a dire "fammi bagnare bello stallone" in greco
4) prendila a pugni in un incontro di boxe.
Fatta.

«Suona molto carino», rompe il silenzio Hell, eppure una punta di divertimento le altera la voce. «Però anche strano. Strano come solo tu riesci a essere.»

Ora scappa da ridere anche a me. «Sì, forse era meglio stare zitto.»
«Quello...»

Un boato ci fa quasi saltare sul posto. Segue il rumore assordante di un allarme antincendio, forse persino di volume più alto del normale. Hell per poco non scivola in avanti. La acchiappo per la vita e la aiuto a rimettersi dritta. Una volta stabile, la faccio alzare insieme a me.

Dall'appartamento, sento le voci di chi è ancora qui. Quella di Thymós prevale su tutte le altre, e solo dopo pochi istanti con l'orecchio testo riconosco anche il mio nome.

«Andiamo», borbotto, prendendo Hell per mano.

Dentro casa, la porta d'ingresso è spalancata e Posy e Hera ne stanno varcando la soglia proprio quando arriviamo anche io e Hell. «Che cazzo succede?» grido.

Thymós ha la sua valigetta in spalla e sta dando delle pacche ad Apollo e Athena, per spronarli ad abbandonare il posto per primi. Il serpente nero, però, è sparito.

«C'è una fuga di gas nell'edificio. Dobbiamo evacuarlo all'istante. Coraggio, muovetevi pure voi.»

Hell si ferma solo per afferrare la sua giacca in jeans dallo schienale della sedia. Io la aspetto, per accertarmi che esca, e poi presidio alla porta. Lascio passare Haven, dopodiché Hades mi fa cenno di seguirla. «Grazie, papà», gli dico ironicamente.

L'edificio ha quindici piani, ma non esiste alcun ascensore, talmente è vecchio. Scendiamo le scale di fretta e furia, le suole che picchiano sul pavimento, unite all'allarme, mi stanno per mandare al manicomio.

«Non c'è davvero una fuga di gas, vero?» urlo per sovrastare i rumori dei nostri passi e della sirena.

«Non pensavo lo avrei mai potuto dire, ma spero di sì», risponde Thymós. «Purtroppo, credo che stia iniziando il gioco.»

Vorrei far uscire Hell. E anche Cohen, perché non merita altre preoccupazioni. Quasi quasi, pure quello stronzo di Apollo. Anzi, farei uscire proprio tutti per affrontare il gioco da solo. Ma non è possibile. Avere un po' di pubblico è ciò che diverte ancora di più i miei adorabili nonni.

Arrivati sul pianerottolo, le porte sono bloccate. Due uomini in completi eleganti stanno lì davanti, fermi come statue. Non sembrano intenzionati a spostarsi per farci uscire.

«Prego, da quella parte», dice uno, indicando qualcosa alle nostre spalle.

Mi volto. C'è un'altra porta, e a giudicare dal cartello affisso su di essa, conduce al seminterrato. Storco il naso. Non accade mai nulla di buono nei seminterrati.

Sono il primo a muoversi e a raggiungerla. La porta dà su una rampa di scale angusta, le pareti sono verde acido e l'aria è umida, dall'odore sgradevole. Mentre scendo i gradini, sento una fitta alla coscia, segno che l'effetto dell'antidolorifico sta svanendo. Una rottura di coglioni in più con la quale convivere.

Le scale terminano con un ampio corridoio male illuminato. C'è una sola luce, che sembra stia lottando per rimanere accesa. Quattro porte indicano la presenza di quattro stanze ai lati, tutte chiuse.

Davanti a me, tra tutta l'oscurità, si accende una seconda fonte luminosa, che getta un fascio su un nuovo oggetto. Una cassa in metallo con sopra un computer portatile acceso.

«Avvicinati al pc, Ares, coraggio», mi incoraggia una voce familiare, alle mie spalle.

Dietro di noi, proprio in fondo alla scalinata che abbiamo appena sceso, compare Thanatos, con la sua fedele Jennifer Benson al seguito. Entrambi vestiti coordinati, di nero, e con le solite espressioni che ti fanno venir voglia di cavar loro i bulbi oculari.

«Ecco i miei due testicoli, sempre in coppia, sempre insieme», li saluto con un sorrisetto ironico.

Apollo mi lancia uno sguardo di ammonimento.

D'accordo, forse è meglio non provocarli senza nemmeno sapere che tipo di gioco devo affrontare. Siamo chiusi in un seminterrato, e potrei scommettere che dentro queste stanze non ci siano cose belle e piacevoli.

Mi guardo alle spalle, prima di andare a controllare il pc. Attualmente, per colpa mia, sono in potenziale pericolo Hell, Haven, Hades, Posy, Apollo, Athena, Hera e Thymós. Solo Liam, Herm, Dionysus e Zeus sono salvi. Meglio di nulla.

Premo un tasto a caso del computer e lo schermo prende vita, mostrandomi il viso di un uomo a me sconosciuto. Se ne sta seduto contro un muro, ma non capisco dove possa essere. Ha gli occhi azzurri e vacui, la barba incolta e neanche un capello in testa. Le rughe gli marchiano la pelle del viso.

«Ciao, Ares», mi saluta senza neanche guardarmi.

«E tu chi cazzo sei, ora? Non dirmi un altro Lively, perché potrei impazzire.»

«Puoi chiamarmi in tre modi», mormora. Fa una smorfia. «David Johnson, il mio nome di battesimo, per esempio...»

«No, non mi piace. Pelatone ti aggrada?»

«Ares, giuro che se non ti ammazza nostro nonno, lo faccio io», mi minaccia Hades, a qualche metro di distanza.

Ora, Thanatos e Circe li hanno relegati all'angolo più lontano, per non farli interferire. Non promette bene questa cosa.

«Oppure puoi chiamarmi Apate, sono il master di questa fatica», riprende. «Ricordi chi è Apate? Potrei spiegartelo, rifilandoti tutte le stronzate che tuo nonno mi ha raccomandato di raccontarti, solo per apparire colto e incuterti un po' di timore. Ma a me, in realtà, non frega proprio un cazzo di niente di tutto questo. Voglio solo fare questo gioco, vincerlo e prendermi i soldi promessi.»

Apate, dal greco: "inganno". Di bene in meglio.

«E il terzo modo in cui posso chiamarti?»

Ghigna. «Papà?»

La saliva mi va di traverso, provocandomi un attacco di tosse che mi fa salire le lacrime agli occhi. «Come, scusa?»

«Sono l'uomo che quella puttana drogata di tua madre si è scopata in cambio di una dose. Peccato le sia andata male», spiega.

Chissà perché, la mia testa non è mai tornata a lui. Non mi è mai importato sapere qualcosa del mio padre biologico, tanto meno conoscerlo o incontrarlo. E, invece, ora è qui. Si è fatto corrompere da Urano e dice di chiamarsi Apate. Tutto nella norma.

«Questo è il gioco dei padri, Ares», irrompe la voce di Thanatos. Lo sento camminarmi attorno, per poi raggiungermi e fermarsi dietro la cassa con il pc. «Prima di Athena, c'era Zeus, prima di Zeus c'era Crono, ma prima di Crono c'era Urano... E prima ancora di Urano, c'era il Caos. L'origine di tutto.»

E quindi? Cosa cazzo significa?
Chi manca? Zeus? Oppure comparirà Crono, confermando le nostre terribili teorie secondo le quali è ancora vivo?

Mio padre biologico mi regala un sorriso sghembo, mettendo in mostra i denti storti e gialli. «Ci vediamo presto. Forse.»

Cazzo. Lui è qui. In una delle stanze.

Thanatos chiude con uno scatto lo schermo del pc. Indica le due porte alla sua destra e sinistra. «Ci sono due stanze. In una c'è tuo padre biologico, Apate. Nell'altra, quello adottivo, Iperione...»

«No!» strilla Hera, dal fondo. Poseidon la afferra per la vita e la tiene ferma, prima che corra verso di noi e si metta a picchiare Thanatos e Circe.

Purtroppo, capisco la sua disperazione e la condivido. L'idea che mio padre sia in pericolo mi fa venire voglia di vomitare tutti gli organi che ho in corpo.

Thanatos riprende come se nulla fosse. «Entrambi sono in pericolo, e tu puoi salvarne solo uno. Ti basta abbassare l'interruttore della corrente che c'è dentro la stanza. Entrambe ne hanno uno. Quando lo premi, però, non puoi più tornare indietro. La scelta è fatta.»

Un'altra luce si accende, proprio sopra le porte delle stanze. Non sono porte normali. Sono quelle stupide porte meccaniche che scorrono in verticale.

«Tutto chiaro?»
Annuisco. «Ma come faccio a...»

«La spiegazione del gioco finisce qui», continua Circe. Mi scivola accanto, e nel farlo mi sfiora i capelli. «Ma c'è una regola in più. Hai a disposizione una sola domanda, Ares. Una e basta. Puoi farcela, e noi ti diremo la verità. Nessun inganno, nessun imbroglio. Risponderemo in modo onesto.»

Apro bocca, già pronto.

Thanatos solleva l'indice. «Attento, Ares. Ne hai una. Pensa bene a cosa ti serve sapere davvero di questo gioco.»

«Non c'è un modo per non dover fare questa scelta? Un modo per salvarli entrambi e non rischiare?» indago.

Circe si sposta, andando oltre. Si ferma davanti a un punto poco illuminato. «C'è una terza stanza. Puoi entrare tu, qui, e morire al loro posto. In questo modo, saranno entrambi salvi.»

I miei famigliari cominciano a gridare. Ancora una volta, sopravvalutandomi. Pensano davvero che terrei in considerazione una scelta del genere? Insomma, amo i miei genitori e morirei per loro, ma non è così che deve andare.

«Oggi non ho in programma di morire, grazie. Penso che giocherò e salverò Iperione.»

Circe fa spallucce. «Come vuoi, fifone.»

Quando Athena prova a urlarmi un suggerimento, Jennifer Benson si alza in punta di piedi. «Voi dovete stare zitti e immobili. Ci sono degli uomini alle vostre spalle, pronti a spararvi se fate il minimo movimento. Chiaro?»

«Racchia di merda», la apostrofo. Ora che so le regole, posso insultarli.

«Hai due minuti per pensare a una domanda, dopodiché devi scegliere quale porta far aprire.»

Sullo schermo del pc compare un conto alla rovescia. 1:59, 1:58, 1:57.

D'accordo. Cosa mi serve sapere? Dov'è mio padre, in quale stanza si trova. Giusto?

È la domanda più logica, e al tempo stesso quella che sembra più banale. Me l'hanno fatto capire anche loro. La domanda più scontata è anche quella che non dovrei porre. Ma che senso ha chiedere una qualsiasi informazione, se poi non so dove si trova mio padre?

1:30, 1:29, 1:28.

I secondi scorrono davanti ai miei... al mio occhio. Più li fisso, più sembrano passare velocemente. Mi stringo le ciocche di capelli fra le dita, elencando tutte le domande possibili e provando a immaginarne i risvolti. Qualsiasi cosa io chieda, è inutile se non so dove si trova mio padre.

00:58, 00:57, 00:56, 00:55.

Poi mi tornano in mente le parole di Kaden, Eris, il mio gemello. Mi diceva di non andare da Iperione. Ore fa, non aveva senso e puzzava di tranello. Adesso, però, sembra avere un suo perché. Ma io posso fidarmi di lui? Se fosse psicologia inversa? O psicologia inversa della psicologia inversa?

Ha detto a Hell di volermi morto.
Non posso.
Ma aveva ragione sulla fatica.
Però, potrebbe esserci Urano dietro.
Forse vogliono farmi credere che la domanda più scontata sia sbagliata.

00:29, 00:28, 00:27...

«In quale stanza si trova Iperione?» grido, veloce, prima di pentirmene.

Il conto alla rovescia si blocca a ventiquattro secondi.

Le labbra sottili di Thanatos si incurvano in un sorrisetto inquietante. Senza proferire parola, solleva il braccio e indica la porta alla sua destra, sinistra per me.

Mio padre è lì.

Ma io devo andare da lui? Anche questa, sembra la scelta più logica, così scontata da diventare errata. Eppure, che alternativa ho? Nessuna. Non posso andare da mio padre biologico. Entrare nella stanza equivale a salvare la persona che c'è al suo interno. Sì? O no?

Merda.
Merda.
Merda.

«Non ti conviene esitare, Ares, perché se attendi troppo, nemmeno l'interruttore potrà salvare la vita della persona nella stanza», mi redarguisce Thanatos.

Si sta divertendo come un matto. E mi divertirò anche io, a fatiche terminate, quando lo appenderò per il muro inchiodandogli i coglioni.

Non posso più tormentarmi.
Mio padre rischia di morire, a prescindere dalla porta che varcherò.

Perciò, scelgo la stanza in cui c'è lui.

Poseidon mi grida di sbrigarmi.
Hera pure.

Haven mi dice di scegliere l'altra stanza, prima che un colpo di pistola sparato al soffitto faccia zittire tutti gli spettatori di questo massacro.

Premo il pulsante accanto alla porta automatica, e questa si alza dandomi il via libera.

Mio padre è legato a un angolo. Attorno a lui ci sono dei cavi scoperti, che emettono flebili scintille. Dalla parte opposta, invece, si muove pigramente dell'acqua, pronta a scontrarsi con i cavi elettrici e fulminare mio padre.

Il suo viso si illumina quando mi vede, ma un'ombra di tristezza mi fa esitare. La porta si chiude alle mie spalle.

«Ares...» mi chiama, stanco.
«Dov'è l'interruttore?»

Indica la parete davanti a sé. C'è una levetta rossa, da abbassare. Non indugio un secondo in più e mi fiondo in quella direzione. Sotto di essa, noto esserci un cubo fatto a grandezza d'uomo, in un materiale che sembra vetro. È l'unica zona in cui l'acqua non può arrivare, l'unica zona in cui puoi metterti per non finire fulminato. Al contrario di mio padre.

Attendo qualche secondo, prima di accorgermi che non cambia nulla.

«Papà?» lo chiamo, il panico che si sta già impossessando di me.

Iperione abbandona il capo contro il muro. È legato a un gancio. «Sono invertiti gli interruttori, Ares. La leva in questa stanza, salva tuo padre biologico nell'altra. E la leva nella stanza in cui si trova tuo padre biologico, salva me, qui.»

🍒🔥

Riuscite a capire qual è la domanda che avrebbe dovuto fare Ares, se solo ci avesse pensato meglio? 👀
Vi do la soluzione più tardi :-)

Approfitto di questo spazio per fare gli auguri di compleanno a Giorgia, che compie gli anni il 26 e quindi le sto un po' portando sfiga ma....
vabbè dai, TANTI AUGURI GIORGIAAAAAAAAAAAAAA la tua ragazza mi ha scritto su IG dicendomi che ti avrebbe fatto piacere perciò spero sia davvero così!

Ci vediamo al prossimo capitolo ♥️ questo fine settimana sono impegnata e martedì sono a Milano per il concerto dei 5SOS, quindi se ne parla nel prossimo weekend 🧍🏻‍♀️ vi lascio spoiler su tiktok e il countdown su ig come al solito

Grazie per leggere GoC.
Secondo le mie stime, mancano circa 10/12 capitoli alla fine 🦊✨

Tiktok: cucchiaiaa
Ig: cucchiaia

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