Game of Chaos (Game of Gods S...

Galing kay cucchiaia

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Spin-off di Game of Gods & Game of Titans, #4 da leggere. Nove fratelli e sorelle, con nomi di Dèi greci, ch... Higit pa

Intro + Info 🍒
1 (A) - Forse non avrei dovuto dare fuoco alla bara di mio zio
2 (H) - Le parole
3 (A) - Un martedí sera esplosivo
4 (H) - Le virgole
5 (A) - Vengo costretto a parlare dei miei sentimenti anche se non li ho
6 (A&H) - Il viaggio di Odisseo
7 (A) - Alla fine di tutto si scopre che sono un mammone
8 (A) - Mio nonno è un assassino
9 (H) - I punti di sospensione
10 (A&H) - Gli avverbi
11 (A) - Festeggio il mio non-compleanno
12 (A) - Quasi stermino metà famiglia durante i giochi di Achille
13 (A) - Purtroppo, adoro il drama
14 (H) - Dietro le quinte
15 (A&H) - I punti di domanda
16 (H&A) - Mostro il mio serpente a Hell (purtroppo non nel modo in cui pensate)
17 (A) - Faccio bagnare Hazel
18 (A&H) - Estoy condenado a no olvidarte nunca más
19 (H&A) - Visito la casa di Liam: il circo
20 (H) - Sotto le luci del palco
21 (A&H) - Il predicato verbale
22 (A&H) - Le parentesi
24 (A) - Vengo costretto a una riunione di famiglia mai richiesta
24.5 - La mela rossa
25 (A&H) - Ho aspettato di vederti per 6 ore e 15 minuti
25.5 - La canzone di Iperione
26 (H) - Fine dello spettacolo
27 (A&H) - Il mondo visto dall'alto
28 (H&A) - Entro, spacco (un bicchiere), esco
29 (A) - Quasi perdo la testa per colpa di Medusa
30 (A&H) - Ho quasi ucciso i miei nonni
31 (A) - Nella mia storia non sei il cattivo
32 (A) - Panta Vrehi
33 (H) - Dio della discordia
34 - L'epilogo
Epilogo - Dove piove sempre

23 (H&A) - Rimorchio grazie alla matematica

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Galing kay cucchiaia



"L'algebra booleana è un sistema di logica matematica a due stati, dove le variabili (dette variabili booleane) possono assumere solo due stati: vero (1) o falso (0)."

— Baby,
it's all yours if you want me,
all yours if you want me
Put it down if you want me,
tonight
Said it's all yours if you want me,
all yours if you want me
Put it down if you want me,
let's collide


Be'..... 🌶️🌶️ 🌝🌚

🦊
H E L L

«Sei in ansia? Ti senti agitata? Ti sudano le mani? Hai le palpitazioni? Ti sembra che non arrivi la giusta quantità di ossigeno? Hai voglia di vomitare? Ti senti come se...»

Athena solleva una mano per aria, bloccando Hera. «Dacci un taglio. Non sei d'aiuto.»

Hera si abbandona sul divano della camera, i lunghi capelli arancioni le svolazzano attorno. «Mi preoccupavo per lei. Sfogare tutti i sentimenti negativi aiuta a eliminarli e superarli.»

Do un'ultima passata di burrocacao sulle labbra e lo rimetto nella borsa, per poi voltarmi e fronteggiare le mie nuove compagne di stanza. «Sto bene, non sono agitata per l'appuntamento.»

«Hell, è Ares. Dovresti esserlo. Mio fratello è fuori di testa», mi avverte Hera, ma ha un sorriso carico di affetto. «Non sai mai cosa aspettarti da lui.»

Athena agita la mano in aria e poi schiocca le dita, attirando la mia attenzione su di sé. «Passiamo alle cose importanti. Gliela darai?»

Spalanco la bocca.
Hera non si trattiene e scoppia a ridere.

«Per sapere!» si affretta ad aggiungere Athena. «Così, magari, evitiamo di farci trovare in camera e vi lasciamo un po' di privacy. Tanto, quanto ci vorrà? Un minuto riesce a durarlo Ares oppure oggi mi sono svegliata troppo gentile?»

«Ma io non voglio andare via dalla nostra stanza solo per far scopare mio fratello», protesta Hera.

Prima che Athena possa ribattere e dare vita a un lungo battibecco, fingo un colpo di tosse e le riporto alla calma. Indico la porta alle mie spalle e sorrido. «Ragazze, io vado. Grazie per non essere state minimamente d'aiuto e per avermi messo un po' di ansia. Mi piacerebbe davvero tanto fare sesso, visto che è un evento che non si verifica da un anno almeno, ma non credo che stanotte accadrà.»

Hera e Athena annuiscono, in silenzio, e quando penso che non aggiungeranno altro, la prima fa una smorfia. «In effetti, non ha ancora recuperato completamente la vista dall'occhio buono. Potrebbe non trovare il buco.»

Athena si spalma la mano contro la bocca per non ridere.

Io sospiro e abbasso la maniglia della porta, pronta ad andare. «Non è un problema. Posso sempre guidarlo io.»

Athena sgrana gli occhi. Hera, invece, abbandona il capo contro lo schienale del divano ed emette un verso di lamento. «Dio, quanto vorrei scopare anche io.»

«Se magari provassi ad avvicinare ragazzi con i quali non hai alcun legame di parentela, credimi che ci riusciresti», la sbeffeggia Athena, senza pietà.

La prima reazione che mi viene naturale è quella di ridere, ma mi trattengo perché non so quanto in là posso spingermi. Non le conosco bene, e non voglio che mi detestino.

Athena mi viene in aiuto senza neanche saperlo. Solleva la mano, chiusa in un pugno, in modo che sia diretta verso di me. «Pugno d'intesa a distanza, Hell.»

Sollevo anche il mio e fingiamo di farli scontrare, anche se siamo lontane.

Hera non ci resta male, anzi, ridacchia, passandosi le mani sul viso e spettinandosi i capelli. «Avete ragione. Basta con i fratelli.»

«Non significa che ti darai ai padri adottivi, vero?» le domando.

Athena grugnisce nel tentativo di non ridere di nuovo. «In effetti, zio Iperione è un bel bocconcino.»

Hera le assesta un colpo sul braccio. «Piantala!»

Athena si sistema meglio sul divano e si slega i capelli, solo per rilegarli in una treccia laterale. Con l'elastico stretto fra i denti, mi lancia un'occhiata. «Allora, Hell? Non te la lasciamo libera la camera?»

Scuoto il capo con un sorrisetto. «No, grazie. Anche perché vorrei ricordarvi che i suoi compagni di stanza sono Hermes e Liam. Hermes avrà già sgomberato tutto, lasciandoci un sentiero di preservativi che va dalla porta al letto di Ares.»

Athena annuisce. «Vero. È molto probabile.»

Be', io ero in gran parte ironica.

«Allora, ci vediamo», le saluto. Sono quasi le otto, l'orario a cui ci siamo dati appuntamento io e Ares, fuori dai cancelli di Yale.

«Divertiti, Hell», Hera mi manda un bacio volante e Athena osserva il gesto come se mi avesse, in realtà, sputato addosso. «E ricordati di pagare la cena per fargli capire chi comanda.»

«Assolutamente no!» protesta Athena, lo dice con così tanta enfasi che le sfugge l'elastico di bocca e lascia andare la treccia a metà. «L'emancipazione va bene, ma a uno stronzo come Ares devi far pagare anche la sovrattassa di cento dollari per avergli concesso un appuntamento.» Mi indica. «Hell, siamo ricchissimi. Se trovate un parcheggio gratuito, costringilo ad andare in uno a pagamento.»

Mi mordo l'interno guancia. Ares e Athena sono un'accoppiata davvero strana. Non li ho mai visti rivolgersi uno sguardo gentile, ancor meno una parola gentile. Si dicono "ciao" come se fosse un insulto.

Esco dalla stanza prima che possano intrappolarmi con qualche nuovo argomento. Le sento parlare con enfasi persino quando ho chiuso la porta. Faccio un respiro profondo e mi incammino verso l'uscita laterale.

Athena voleva farmi indossare un lungo abito rosso, aderente, con uno scollo da vertigine. "Certo, dobbiamo mettere un push-up per valorizzare le tue tette, ma ci sta!", è stata l'ultima cosa che le ho permesso di dirmi. Hera, al contrario, proponeva dei jeans e una camicetta. Niente di male, è esattamente lo stile che piace a me, ma avevo voglia di andare un po' oltre.

L'abito aderente era troppo. Ma quello che indosso, bianco e in pizzo sangallo, con le maniche a palloncino e la gonna vaporosa e lunga fin sopra il ginocchio, è più da Hazel. Ai piedi ho messo degli anfibi neri e li ho abbinati a una borsa a tracolla del medesimo colore.

Hera e Athena mi hanno riempita di complimenti; o meglio, Hera. Cosa aveva detto, Athena? Ah, sì. "Stai bene, anche se io avrei optato per le tette di fuori e il rosso".

Sogghigno tra me e me, mentre percorro il giardino del campus e mi avvicino ai cancelli spalancati. Ho cambiato stanza e compagne da tre giorni scarsi, e temevo che mi sarei sentita di troppo. Invece, hanno fatto il possibile per includermi e mettermi a mio agio. Una parte di me ha paura di trovarsi troppo bene con loro, perché non so mai cosa potrebbe accadere in futuro.

È un clima diverso. È un clima che mi mette a mio agio e non mi fa sentire in difetto se parlo meno degli altri.

Sono passati tre giorni da quando tutti i Lively hanno fatto ritorno a Yale. Tra i corridoi, gli altri studenti si chiedono che fine abbiano fatto Zeus e Newt. Qualcuno ipotizza morti tragiche, e fin lì niente di sbagliato. L'agitazione è palpabile, non perché questi ragazzi si preoccupino di altre vite umane, ma perché cercano da sempre una conferma della colpevolezza dei Lively. Non oso immaginare cosa accadrà quando Zeus tornerà qui, sulla sedia a rotelle, e si spargerà la notizia che Newt è deceduto.

In compenso, io e Ares ci siamo visti. Due giorni fa con il solito allenamento dentro la vasca, per aiutarlo con l'acqua. Fa piccoli passi avanti, ma niente di significativo. Non credo che riuscirò mai a farlo entrare in una piscina o in mare, ma che riesca a lavarsi senza avere attacchi di panico è già un grande traguardo. Per lui, e per me.

Ieri, invece, mi ha dato ripetizioni di matematica, come da accordo. Due ore di totale serietà, intervallate da piccole pause per fare battutine stupide che purtroppo mi fanno sempre ridere e aumentano il suo ego. Una volta conclusa la lezione, Ares si è fatto visibilmente nervoso e mi ha salutata in modo impacciato. Non è trascorso nemmeno un minuto prima che bussasse di nuovo alla porta della camera e mi chiedesse di vederci stasera, per il famoso appuntamento.

Non so cosa aspettarmi. E, in realtà, non mi va nemmeno di aspettarmi nulla. Perché so che andrà bene. Dovrei sentirmi nervosa, come capita sempre ai primi appuntamenti, ma sono... calma. Ormai, credo di conoscere Ares. Le nostre personalità si aggiustano insieme in qualsiasi contesto.

Trovo Ares all'istante. Impossibile non farlo, visto quanto è ingombrante e rumorosa la sua presenza.

È dentro una macchina blu, metallizzata, modello SUV. Riconosco subito il marchio dell'Audi. I finestrini di davanti sono completamente abbassati, e permettono di sentire la canzone che sta pompando a massimo volume dallo stereo.

È... Britney Spears. Tipico.

Ares se ne sta al posto del guidatore, un braccio fuori dal finestrino e l'altra mano che tamburella a ritmo, sul volante. Indossa una camicia nera, con i primi bottoni slacciati e le maniche arrotolate fino al gomito. Muove la testa a tempo, canticchiando la canzone.

«...addicted to you, don't you know that you're toxic?»

I pedoni sul marciapiede scivolano accanto alla macchina con espressioni diverse; chi ammira il modello costoso, e chi è divertito dalla scena di Ares che canta Toxic della Spears.

A lui non frega niente di nessuno. Ho sempre ammirato il suo menefreghismo patologico.

«Ehi», esclamo a gran voce.

Per un attimo, temo che non mi sentirà. Invece, lui si volta con uno scatto repentino e sussulta non appena mi inquadra. Sto per avanzare e aprirmi la portiera, quando lui mi grida "aspetta!". Si slaccia la cintura con gesti frettolosi e scende giù dall'auto.

Con una corsetta poco aggraziata, forse dovuta alla ferita alla coscia, arriva al posto del passeggero e mi apre lo sportello. «Ecco...» la voce gli muore in gola non appena inquadra il mio corpo, perlustrandomi da capo a piedi così tante volte che mi sento arrossire.

E sarebbe tutto perfetto, se solo la macchina non sparisse dalle sue spalle.

«Ares!» esclamo.

Il SUV sta scivolando all'indietro, con lo sportello aperto e Toxic di Britney che pompa dalle casse interne. In una strada vuota, sì, ma in discesa.

«Merda, il freno a mano!» grida Ares, lanciandosi all'inseguimento della vettura.

Mi copro il viso con entrambe le mani, lasciando due spiragli per gli occhi, mentre osservo la scena tanto drammatica quanto divertente. Ares corre per strada, lanciando un verso di dolore mentre si tocca la gamba ferita e salta sull'auto in movimento. Passano pochi istanti prima che si blocchi, e capisco che deve aver inserito il freno.

L'auto avanza, di nuovo, e si arresta accanto a me. Dal finestrino ancora abbassato, vedo il chiaro movimento del braccio di Ares che solleva il freno di stazionamento e tira altre tre volte, per assicurarsi che sia propriamente inserito.

Scende come se nulla fosse e riapre la portiera. «Entra veloce, Hell, mi stanno fissando tutti», borbotta. Non sembra in imbarazzo, tutt'altro. Non potrebbe importargliene di meno.

Serro le labbra in una linea retta e lo ringrazio mentre prendo posto.

Ares mi è accanto in un battito di ciglia. Si volta per lanciarmi un'occhiata. «Hai la cintura? Possiamo andare?»
«Sì.»

L'Audi parte con un movimento fluido, il motore è silenzioso e Toxic di Britney è solo un rumore di sottofondo, ormai a livello basso e soffuso.

Ora che la situazione è stabile e il pericolo ormai un ricordo lontano, Ares mi rivolge la parola. «Ciao», saluta con un sorrisetto.

Si ferma a un semaforo rosso «Tutto bene?» domando.

Ares adagia la nuca sul poggiatesta e si volta, pietrificandomi sul posto con i suoi occhi neri. Oggi non ha messo la benda. «Nell'arco di cinque minuti ho quasi avuto un'erezione, mi è sfuggita un'auto costosa e noleggiata che ho dovuto rincorrere zoppicando e ho pure appena sbagliato strada. Non dovremmo essere a questo semaforo, Hell.»

Sorvolo sull'erezione. «Cose che possono capitare a chiunque.»

«Cose che speri non capitino al primo appuntamento con una ragazza su cui vuoi disperatamente fare colpo», bofonchia inserendo la prima e ripartendo.

Non commento la sua frase, nonostante mi incendi il cuore nel petto. Mi limito a guardarlo mentre guida, a seguire ogni suo gesto. Dalla presa sul cambio per inserire la terza, ai suoi occhi che controllano lo specchietto a sinistra prima di cambiare corsia; finendo per la mano che, a palmo aperto, fa ruotare il volante per una svolta a destra. La sua guida è calma e sicura, non supera mai i limiti e non frena in modo brusco.

Osservandolo meglio, però, mi accorgo di una gocciolina di sudore che gli cola dall'attaccatura dei capelli e gli scivola lungo la tempia. La spazza via quando arriva all'altezza della guancia.

«Pensavo di cominciare con la cena. Ti va?»

Mi schiarisco la voce. «Dipende da dove vuoi mangiare. Sto ricominciando la dieta per prepararmi alle gare di nuoto di questa estate.»

Si illumina in viso, come se avesse sperato in questa mia precisazione. «Ho fatto delle ricerche e ho trovato un ristorante molto carino. Stando al loro menù, hai un'ampia scelta di carne, verdure, insalate e pesce. Liam ci ha prenotato un tavolo in terrazza, se ti va. Altrimenti puoi prendere il mio telefono e cercare qualcosa che ti ispiri di più o che ti vada meglio. Sentiti libera di...»

«Ares», lo interrompo con gentilezza. «Va benissimo, non preoccuparti.»

Lui tira un sospiro di sollievo. «Okay, okay.» Lancia uno sguardo al suo cellulare, bloccato sul cruscotto. «Non dovrebbe essere lontano.»

Alza di nuovo il volume dello stereo. C'è sempre Toxic di Britney, ma è una versione fatta al piano.

Il tempo che resta, lo passiamo in silenzio. Ares canticchia ogni versione di Toxic che si sussegue, e io scorro sul suo telefono per controllare cosa offre il menù del ristorante. Ogni tanto, sento il suo sguardo su di me. Solo una volta non riesco a resistere e lo ricambio. Lui reagisce con un sorrisetto malizioso e torna a prestare attenzione alla strada.

«Eccoci», annuncia, dopo aver toccato un palo nel tentativo di fare un parcheggio a S.

L'insegna del ristorante è a qualche metro da noi: La dolce vita. Italiano. Di sicuro non ordinerò un'insalata, stasera, allora. Nessuno mi priverà di un bel piatto di cacio e pepe, la mia pasta preferita in assoluto.

Scendo dalla macchina prima che Ares riesca a raggiungermi per aprirmi lo sportello.

«Ti senti bene?» gli chiedo, mentre chiude l'auto con il telecomandino. Un'altra gocciolina di sudore gli sta imperlando la fronte, scorrendo sulla sua pelle pallida.

Ares neanche la sente, mi fissa stralunato. «Sì, certo, perché non dovrei?»

Ha lo sguardo vacuo e il suo tono non mi convince, però non mi dà l'opportunità di indagare ulteriormente. Affretta il passo, zoppica una sola volta, e poi si ferma per tenermi la porta e farmi entrare per prima nel ristorante.

Gli interni sono moderni e sui toni del nero, con dettagli in oro. Piante dalle foglie smeraldo arredano gli angoli. I tavoli, tutti coperti da tovaglie bianche dall'aria costosa, sono occupati. Non ce n'è uno libero in tutta la sala. Dev'essere un posto parecchio frequentato.

Il ragazzo al bancone d'accoglienza ci sorride. Sulla camicia ha appuntata un'etichetta con il nome Leroy. «Buonasera. Avete prenotato?»

«Tavolo per due, in terrazza. A nome Lively», risponde Ares.

Leroy controlla sullo schermo del computer. I secondi passano, e la sua espressione si fa sempre meno incoraggiante. Aggrotta la fronte. «Qui non risulta alcuna prenotazione, per stasera. Siete sicuri di aver dato il nome corretto? O di aver prenotato?»

Ares si immobilizza. «Sì. Abbiamo... Ha chiamato un'altra persona proprio stamattina.»

Leroy sospira e riprende la ricerca. Dura pochi istanti. «Oh», esclama. «Chiunque abbia chiamato stamattina, ha prenotato per il ventiquattro ottobre, in realtà. Mi dispiace.»

Ventiquattro ottobre?

Io e Ares ci scambiamo un'occhiata.

«Sta scherzando, vero?» esclama Ares, piantando le mani sul bancone e sporgendosi oltre. Leroy volta lo schermo del computer e gli mostra il calendario delle prenotazioni. A ottobre ce n'è una sola, ed è a nome Lively.

Intervengo prima che Ares possa dire qualcosa di compromettente. «Non avete nemmeno un tavolo libero, stasera?»

Leroy mi rivolge un sorrisetto dispiaciuto. «Purtroppo, no. È tutto pieno fino all'orario di chiusura. Sono molto spiac...»

«Vado ad ammazzare Liam», esclama Ares, già lontano dal bancone e con il cellulare stretto fra le dita.

Leroy sbianca, e io mi affretto a rimediare. «Sta scherzando, ovviamente!» Fingo una risata, sperando che lo contagi, ma non accade.

«Tiro fuori la pistola che ho nascosto sotto il letto e gli sparo un proiettile in fronte!» continua Ares, questa volta con il telefono premuto contro l'orecchio. Sparisce fuori dal ristorante a grandi falcate.

Io e Leroy ci guardiamo. Sembra combattuto tra il fare finta di nulla e chiamare la polizia. «Andiamo», lo sgrido. «Sei americano anche tu. Davvero ti sconvolgi per un banale possesso di arma da fuoco?»

Non era la frase giusta da dirgli. Vedo l'esatto istante in cui vuole cacciarmi via dal locale; perciò, arretro con le mani alzate e gli auguro una buona serata. Quasi corro per raggiungere Ares.

È fermo sul marciapiede, a pochi metri dalla porta. «Liam! Cristo Santo, hai prenotato per ottobre! Non per stasera! Siamo a maggio, razza di idiota.»

Pausa.

«Non me ne frega un cazzo se Posy ti aveva appena fatto provare l'erba.»

Altra pausa. Una coppia di signore gli passa davanti, osservandolo.

«No, quel mazzo di fiori non è per te! Li ho presi per Hell ma li ho dimenticati in camera, grazie per aver appena infierito...» Si blocca. Il suo viso viene attraversato dall'ira. «Cosa cazzo vuol dire che ne avete tagliato alcuni per rollare i petali insieme all'erba?» grida.

Ora, anche la gente che sta passeggiando sul marciapiede davanti al nostro lo fissa con curiosità e divertimento. Ares se ne accorge, ma non dà segno di voler abbassare il tono di voce.

Con uno sbuffo, lo raggiungo e gli strappo il cellulare di mano. «Grazie per averci provato, Liam. Buona serata.» Chiudo la telefonata e gli rendo l'iPhone.

Ares ammutolisce, incerto su cosa dire.

«Possiamo andare da qualche altra parte», lo rassicuro. «Non fa nulla.»

«No, no, no...» inizia a farfugliare. «Non sta andando come avevo programmato! Ho pure scordato i fiori. Ti avevo fatto fare un bouquet con uno di tutti i tipi perché non sapevo quale fosse il tuo preferito. Ho camminato mezz'ora fino a Yale starnutendo come uno stronzo, perché sono allergico al polline. Avevo il moccio che mi colava dal naso. Ma almeno ero contento di andare in questo ristorante, e poi... Poi...» Si mangia le parole e non riesce più a continuare.

«È così bello che ci tenga in questo modo», mormoro, e mi avvicino a lui, poggiando la mano sul suo petto. «Il fatto è che io sono Hell, e tu sei Ares. Ci adattiamo alle situazioni senza problemi, no? Non importa.»

Lui si mordicchiai il labbro. Ha gli occhi lucidi.

Perché ha gli occhi lucidi?
Non sta per piangere, lo capisco subito. Qualcosa non va.

Faccio risalire la mano fino al suo viso e la adagio sulla guancia. Sento subito lo sbalzo di temperatura. Non è quella che dovrebbe avere una persona che sta bene. È bollente.

«Ares, scotti», gli dico, in apprensione. Sposto il palmo sulla sua fronte, mettendomi in punta di piedi. «Hai la febbre!»

Lui scuote la testa. «No, no, sto benissimo.»
«Ares!»

Mi circonda il polso e riabbassa il mio braccio, senza lasciarmi andare, però. «Sto bene, Hell. È solo un po' di febbre a 39. Ho preso del paracetamolo prima di uscire. A breve, si abbasserà.»

Cosa?

«Perché sei uscito con la febbre? Devi tornare in camera e stare sdraiato!»

«Non potevo darti buca per nessun motivo al mondo», ammette in un sussurro.

Un ragazzino gli passa alle spalle, dandogli una spallata senza neanche accorgersene. Ares non protesta, non si incazza, tiene gli occhi fissi nei miei e mi implora silenziosamente di non rimandare l'appuntamento.

Ma come posso assecondarlo? Devo riportarlo a Yale. Lo lego al sedile del passeggero e guido al suo posto.

«Andiamo, Ares, dammi le chiavi», gli ordino. Mi volto per individuare il parcheggio in cui ha lasciato il SUV. «Ares?» continuo.

Mi arriva il rumore di un tonfo sordo, e quando mi giro Ares non c'è più. Abbasso lo sguardo, trovando il suo corpo privo di coscienza a terra.

🍒
A R E S

«Dovremmo portarlo al Pronto Soccorso?» domanda una voce femminile, ovattata.

«È solo un po' di febbre, sopravviverà», replica una maschile e più profonda.

«Dimentichi che è un maschio.»
«Non hai tutti i torti.»

La conversazione prosegue, ma io sono troppo impegnato a ritornare nel mondo reale per prestarle attenzione. Lentamente, i miei occhi si aprono e solo uno dei due comincia a mettere a fuoco il posto in cui mi trovo.

Sono sdraiato su un divano troppo piccolo per me, visto che le mie gambe, dal polpaccio in giù, penzolano fuori, oltre il bracciolo. Cerco di mettermi seduto, e mi muovo piano. Ho la testa pesante e ogni gesto repentino rischia di farmi venire i capogiri.

Sono in un loft, sicuramente all'ultimo piano di un palazzo. Una vetrata enorme, alla mia destra, dà sui palazzi illuminati della città, e sulle macchine che sfrecciano per strada, a metri di distanza. I muri sono fatti di mattoni rossi, incastonati senza alcuna copertura. A parte il divano sul quale sono sdraiato, non c'è altro. È un salotto con cucina annessa, nell'angolo alla mia sinistra. Per il resto, c'è solo una porta che conduce, spero, a un bagno.

Solo all'ultimo momento un oggetto cattura la mia attenzione. È alle mie spalle, e devo girarmi di lato col corpo per poterlo vedere con l'occhio buono. È un... telescopio? Sembra abbastanza professionale, ed è posizionato al lato della grande vetrata, come se fosse lì per essere usato e al tempo stesso nessuno ne avesse ancora avuto l'occasione.

Ora sono davvero curioso di sapere a chi appartiene questo posto.

Nell'angolo cucina c'è un tavolino tondo, minuscolo, con due sedie attorno. Lì, stanno sedute due persone. Hell. E Ken Greco.

Cosa diavolo ci faccio qui, in un loft da quattro soldi insieme a Hell e la guardia del corpo di Aphrodite?

«Si è svegliato!» esclama Hell, scattando sulla sedia. Le gambine strisciano sul pavimento, producendo un rumore stridulo.

Thymós la segue a ruota. «Non mi sembra molto sveglio.»

E prima che possa spostarmi, afferra una bottiglietta d'acqua, messa ai piedi del divano, e la apre.
In un istante, il liquido mi inonda il viso. È gelida ed è come ricevere uno schiaffo.

Sputacchio qua e là, mentre Hell indietreggia per non farsi bagnare. «Che cazzo di problemi hai?»

Thymós mi fissa con un sorrisetto soddisfatto. «Adesso mi sembri decisamente più sveglio.»

Mi passo una mano sul viso e tra i capelli umidi, ormai. Sapevo di avere la febbre, prima, e io per primo mi sentivo ribollire. Ora, la mia temperatura corporea sembra scesa. Ho ancora un vago senso di stordimento, ma potrebbe andare peggio.

«Dove sono?»

«Nel mio appartamento», spiega Thymós. «Siamo a venti minuti d'auto da Yale.»

«E perché siamo qui? Che è successo?»

Hell si siede per terra, accanto a me, e io ho l'istinto di sollevarla per i fianchi e metterla qui sul divano.

«Sei svenuto fuori da un ristorante», continua Thymós. «Hell ha chiamato Hermes...»

«In realtà, ho chiamato prima Poseidon», corregge. «Ma era strafatto e non sono riuscita a tirarne fuori una conversazione decente. Così, mi ha passato Herm.»

Ken alza gli occhi al cielo al solo pensiero. «Hermes ha poi chiamato me. Rispetto a dove eravate voi, il mio appartamento è praticamente nel palazzo dietro il ristorante. Era più facile portarti qui che guidare fino al campus e trascinarti per tutto il giardino, incosciente.»

Faccio una smorfia. Sono d'accordo. Basta figure di merda, per oggi. Mi hanno già visto zoppicare mentre rincorrevo la macchina.

Arrivo con qualche minuto di ritardo alla conclusione. «Aspetta. Mi hai di nuovo preso in braccio e portato via?»

Thymós mette due mani sui fianchi e abbassa il capo, le spalle vengono scosse da un profondo sospiro. «Sì, Ares. Sei davvero un mocciosetto.»

Hell sta voltando il capo per non farmi vedere l'accenno di una risata.

«Comunque sia», riprende Tramontino, «siamo tutti d'accordo che resterai qui, stanotte. Domani mattina ti riaccompagnerò a Yale. Nel frattempo, io riporto Hazel al campus.»

Cosa? No!

Devo avere un'espressione allarmata, perché entrambi mi fissano, confusi. Almeno, Hell è confusa. Thymós ha l'aria di uno che ha capito tutto. Per un po', attende che sia io a dire a voce alta "ti prego, falla restare qui". Devo fargli pena, stanotte, perché decide di aiutarmi.

«Hazel, perché non resti anche tu, fino a domani mattina? Pensandoci meglio, io ho delle commissioni da fare e non è il caso di lasciarlo da solo nel mio appartamento. Non mi fido di lui.»

«Non ti fidi di...» protesto.
Thymós mi fulmina sul posto. «Stai zitto. Ti sto aiutando.»

Hell si gratta il capo, i capelli corti sono spettinati e alcuni ciuffi ribelli stanno dritti, rendendola la cosa più buffa e adorabile che abbia mai visto. «Se per te non è un problema... be', sì, posso restare a tenerlo d'occhio.»

Ghigno. «Mi farai da infermierina? Vieni a misurarmi la temperatura corporea, Genietto.»

Hell mi tira un buffetto sul naso. «Thymós hai un termometro anale? Così posso procedere a ficcarglielo su per il culo.»

Mi ritraggo, andando a spalmarmi quanto più posso contro lo schienale del divano. «Dal mio culo le cose escono e basta, ma non entra nulla. Sia chiaro.»

Thymós emette una risatina sprezzante, prima di voltarci le spalle. «Ce ne siamo accorti dall'enorme quantità di cazzate che spari dalla bocca.»

E, mentre Hell se la ride, lui acchiappa una giacca in pelle dall'appendiabiti accanto alla porta d'ingresso e si accerta di avere le chiavi.

«Perché ho l'impressione che voi due abbiate fatto amicizia, mentre io ero incosciente su questo divano a grandezza di gnomo?»

«Abbiamo parlato un po', sì», conferma Thymós. «Hazel è una brava ragazza. Mi piace molto.»

«Piace nel senso...» lascio la frase in sospeso, allungando la "o" finale.

«Ares», mi sgrida lei, in chiaro imbarazzo.

«Sei davvero uno sfigato», mi apostrofa Thymós prima di spalancare la porta e chiudersela alle spalle con un botto.

Be', non ha poi torto. Però, sono uno sfigato molto affascinante e bello. Qualcuno si è accorto di avermi fatto perfetto, e ha dovuto aggiungere qualche piccolo difetto prima di spedirmi su questo mondo. Fa nulla, lo capisco.

Rimasti soli, nel silenzio di questo appartamento da quattro soldi, mi rendo conto di cosa significa. Io e Hell siamo soli, in un posto che è tutto per noi. Non ci sono Herm e Liam che rischiano di irrompere in camera, con le loro solite cazzate. Non c'è quella serpe di Athena a spaccare i coglioni e... Vabbè, Hera non fa mai nulla di male.

Hell è ancora seduta per terra, si mangiucchia l'unghia del dito medio.

Ritraggo le gambe fino a tenerle piegate, lasciandole un posticino sul divano. «Perché non ti metti qui? Mi dà fastidio vederti a terra.»

Lei sobbalza, forse rendendosi conto solo ora di essere ancora sul pavimento. Si alza e prende posto davanti a me, ma non ha nemmeno finito di aggiustarsi che io mi allungo e la afferro per la vita. La sollevo senza problemi, anche se sono ancora stanco e provato dalla febbre, e me la metto in braccio.

Mi aspettavo un gesto più fluido e sexy, ma questo divano è così piccolo che ci incastriamo e una gamba le scivola a terra. Ridacchiando, lei si aggiusta in modo tale da avere le cosce ai lati delle mie gambe. Quando il suo inguine si adagia sul mio grembo, la saliva mi va quasi di traverso. Anche Hell sembra essersi accorta della posizione in cui ci troviamo, ma mostra più disinvoltura di me.

«Stai meglio?»
Premo l'indice sulle tempie e massaggio. «Meglio di quando eravamo al ristorante, di sicuro.»

«Tra qualche ora prendiamo altro paracetamolo, così puoi dormire in pace. Anzi...» Si solleva appena e indica la cucina alle sue spalle, pronta ad andare via. «Ti serve qualcosa? Acqua? Cibo? Fazzoletti?»

La blocco prima che possa scappare, e la faccio scendere di nuovo sul mio grembo. Per poco non mi si mozza il respiro. «Mi serve che tu resti qui con me, Hazel. Nient'altro. Puoi farlo, per favore?» bisbiglio.

Non mi sfugge la pelle d'oca sui suoi avambracci, e i peli castani leggermente in aria, elettrizzati. «Okay.»

«Avrei voluto che andasse diversamente», bofonchio. Ho lieve dolore diffuso sulla nuca.
«Non fa nulla.»

«Il ventiquattro ottobre noi saremo a quel tavolo in terrazza», annuncio come se fosse un giuramento solenne.
Lei sorride, e poi si frena. «Ottobre è tra sei mesi. Le cose possono cambiare.»

Ha poca autostima in se stessa o ha poca fiducia in me?

«Esatto», fingo di assecondarla. «Fra sei mesi avrò imparato a inserire il freno a mano prima di scendere dall'auto per aprirti lo sportello.»

Le sue gote si fanno color porpora, ma non accenna a interrompere il contatto visivo. Adoro quando fa così. Tutto, nel suo corpo, urla che è in imbarazzo. Ma i suoi occhi continuano a fissarti con sfrontatezza e coraggio. Al punto che cominci tu a sentirti in soggezione.

Devo trovare qualcosa di cui parlare, qualche argomento innocente con cui distrarmi, prima che le infili le mani sotto la gonnellina del vestito. Dio, impazzirò.

Butto fuori la prima cosa che mi capita. «Secondo te perché Thymmy ha un telescopio? Che diamine se ne fa?»

La sua espressione si rattrista. «Era di Aphrodite. Glielo ha spedito Rea, a quanto pare, dopo che lei è morta...»

Merda. Fra tutte le cose di cui potevamo parlare, ho scelto involontariamente la peggiore. «Ah.»

Lei sembra percepire il mio disagio e poggia la mano sul mio petto, ancora fasciato dalla camicia, ma aperta fino a metà. Il suo palmo preme contro la mia pelle ancora calda e mi distrae. «E gli occhi, invece? Come vanno?»

Nessuno me lo chiede più, motivo per il quale la sua curiosità mi lascia senza parole. Pensano tutti che abbia preso benissimo questo piccolo incidente, perché sono Ares, il cazzone a cui non importa di nulla. La verità è ben diversa. Solo mia madre, ogni tanto, mi chiede come va la vista e come lo sto affrontando. Solo con lei mi sento di poter essere debole e ammettere cosa provo.

«A volte sogno di vedere», mormoro. «Faccio dei sogni bellissimi, Hell. Sogno di vedere con entrambi gli occhi, e per qualche strano motivo, i colori del mondo sono ancora più intensi e brillanti di com'erano prima. Mi sveglio sempre con il cuore a mille e la speranza che sia cambiato qualcosa. Eppure, la mia vista è comunque dimezzata e non c'è modo di recuperarla. È orribile. Fa schifo, anzi», mi correggo con un ringhio. «Però, penso anche che, se avessi perso la vista completamente, sarebbe stato molto peggio. Quindi mi sforzo di non tormentarmi troppo e di non fare lo stronzetto ingrato.»

Lei mi osserva con un sorrisetto dolce. «Solo perché poteva andare peggio non significa che tu non abbia il diritto di lamentartene.»

«Non importa. Alla fine, riesco comunque a vedere le cose fondamentali.»

Inarca un solo sopracciglio. «E quali sarebbero?»

«Be'...» Faccio scendere la mano dalla sua vita al braccio, sfiorandole la pelle con i polpastrelli. «Vedo benissimo che hai la pelle d'oca e le gote arrossate, mentre te ne stai seduta in braccio a me.»

«Si chiama blush, e si mette proprio sulle guance.»

«Si chiama sei una bugiarda, Genietto», la rimbecco.

Copro la sua mano con la mia e gliela sposto, facendogliela infilare sotto il tessuto della camicia. Lei non oppone resistenza, e lascia che si fermi sul mio pettorale. Quando mi sfiora il capezzolo, è già turgido al solo pensiero del suo tocco su di me.

«Se ripeterti queste bugie ti aiuta a stare meglio...» insiste, ostinata a non darmela vinta.

Mi esce uno sbuffo carico di esasperazione. I miei pensieri si rincorrono tra di loro, e lottano con i rimasugli di febbre che ho per formulare un ragionamento intelligente. Controllo l'orologio che ho al polso. Mancano due minuti all'una. L'idea che finalmente prende una forma concreta nella mia testa mi fa gongolare.

«Ti va di fare un gioco, Hell?»
«In realtà, no.»

Mi scappa una risatina. «Giusto, dimentico che a te non frega un cazzo della mia famiglia e di giocare. Vediamo...» Mugugno a bassa voce. «Non è un gioco pericoloso. È come il nascondino dell'altra sera. Mi pare che ti fosse piaciuto.»

Alza gli occhi al cielo.
«Allora? Giochiamo?»
«Ares, hai ancora la febbre e dovresti riposare. Davvero vuoi metterti a...»

«Sì», la interrompo. «Sì, sì, e sì. Ti basta?»
«Me ne pentirò.»

Lo prendo come se avesse accettato, ormai. «Deve essere l'una precisa per cominciare, però. Manca un minuto.»

Hell aggrotta la fronte e la vedo pronta a farmi domande, ma io le poggio l'indice sulla bocca e la faccio ammutolire. Resisto, a fatica, alla tentazione di strofinarle il labbro e scivolo meglio, seduto.

«Scusa, ho bisogno di togliermi la camicia. Ho caldo», mento. Be', in parte è vero. Al dieci percento. Il restante novanta è perché voglio spogliarmi davanti a lei. Voglio sentire la sua pelle sulla mia, anche se dovesse essere solo quella della sua mano.

Mi sfilo la camicia senza sbottonarla e me la lancio alle spalle. Hell non fa nulla per evitare di guardarmi. Anzi, mi osserva, mi studia con sfrontatezza. I suoi occhi percorrono ogni centimetro del mio addome, perdendosi tra i contorni dei pettorali accennati e il profilo delle spalle.

I boxer cominciano a starmi troppo stretti. Perché, se sono io quello che si è spogliato e lei quella vestita, sono io ad avere il principio di un'erezione e a essere su di giri? Cristo, Hell, non è giusto.

Fingo un colpo di tosse per richiamare i suoi occhi nei miei. «È l'una.»

«Dunque, come funziona il gioco?» Si sistema meglio sul mio grembo e io emetto un sibilo di pura frustrazione.

«Esiste un tipo di algebra, chiamata booleana, dal suo inventore Boole. In matematica e logica è il ramo in cui le variabili possono assumere solo due valori: vero e falso. In genere, il falso viene indicato con lo 0 e il vero con l'1. Fino a qui mi hai seguito? Non scenderò nel dettaglio, stai tranquilla.»

Annuisce.

«È l'una, giusto? L'ora Booleana della verità. Per questo voglio che, ora, a turno, ci diciamo una verità. Niente bugie o tranelli. Qualsiasi cosa che non ci siamo mai detti uscirà fuori adesso. Ci stai? Mi fido di te, Hell, e confido nel fatto che sarai onesta.»

Lei storce il nasino a patata. Non sembra felice del gioco, ma è anche rassegnata al fatto di non potersi tirare indietro. «Per questo non potevamo cominciare a mezzanotte?»

«Be', da noi la mezzanotte è segnata come 12. In altri paesi del mondo, invece, è 00. Ho fatto aggirato un po' la cosa.»

I suoi occhi da cerbiatta brillano. Fatico a capire se sia interessata al gioco o se io mi stia illudendo e stia solo risalendo la febbre.

O forse è anche peggio. Forse le brillano perché ha già in testa la sua confessione, e tenta in ogni modo di non darlo a vedere per depistarmi. Mi basta inclinarmi appena verso di lei, accorciando le distanze, e strizzare l'occhio buono per non avere dubbi. Il suo imbarazzo è palpabile.

«Direi che inizi proprio tu.»

Serra le labbra in una linea retta. Beccata. Avevo ragione. Non che me ne stupisca. Di rado ho torto, io. A parte quando sostenevo che era un'ottima idea dare fuoco alla bara di Crono. O quando ho aperto quel link che ha ricevuto Zeus via messaggio, dalla banca, che si è rivelato una truffa. O quando Posy ne ha ricevuto uno uguale la settimana dopo e ho insisto che il suo, in realtà, fosse autentico. E poi è arrivato anche a me e... Sì, insomma, fa nulla. I truffatori stanno migliorando. I messaggi sembrano sempre più realistici.

«Coraggio, Hell, è l'ora della verità. E non c'è nessuno, a parte me, ad ascoltarla. Quello che ci confidiamo dall'una alle due, resta fra di noi e non verrà rinfacciato in futuro. Lo giuro.» Incrocio le dita e le bacio.

Lei china il capo, come faceva quando aveva i capelli più lunghi e li sfruttava per lasciarli ricadere davanti al viso e nasconderlo.

«Ti vergogni?» la provoco.

I suoi occhi sono subito nei miei, determinati e impavidi, e per poco non mi strozzo con la saliva. «Non mi vergogno di quello che vorrei confessare. Mi dà fastidio solo dartela vinta.»

Oh, oh. Sono cose interessanti, allora.

«Come sai... io scrivo, ma mi piace anche leggere», comincia, e la sua mano fa disegni immaginari sul mio petto. «Leggo tanto. In realtà, leggo più di quanto scrivo. Perché odio tutto quello che esce dalla mia testa, e quando trovo un libro che mi piace, mi sento così inferiore che penso: "perché scrivere qualcosa di mio se nel mondo ci sono persone così brave? Chi ha bisogno delle mie storie, quando ci sono già scrittori pieni di talento?". E quindi...»

«Non smettere mai di scrivere, Hell. Tu...» mi affretto a dirle.

La sua mano risale e mi tappa la bocca. «Lasciami finire. Non è il momento in cui ti vomito addosso le mie paranoie e tu mi consoli. Non è il momento in cui faccio la vittima.»

Rispondo con un cenno d'assenso, e lei mi libera, tornando a tracciare percorsi inventati sul mio busto.

«E quindi io leggo tanto. Vorrei poterti dire che leggo i classici, o trattati di filosofia e cose da intellettuali... La realtà è che mi piacciono i romanzi rosa. Da morire. Amo leggere dell'amore, Ares. Amo quei libri pieni dei soliti cliché che ti fanno battere il cuore come una ragazzina alla prima cotta. Non posso farci nulla, sono schiava delle commedie d'amore e dei drammi d'amore. A fatica riesco a leggere altri generi.»

«Okay», ribatto. «Non penso ci sia nulla di male. Almeno, leggi libri. Io leggo solo l'etichetta del bagnoschiuma in bagno, mentre faccio la cacca.»

Hell non riesce a restare seria e abbozza un sorrisetto, per poi scompigliarmi i capelli. «Piantala.»

«Dunque, dove vuoi andare a parare con questa lunga premessa?» Mi poggio al bracciolo del divano e la fisso dal basso. Torreggia su di me in un modo in cui mi è impossibile non immaginarla nuda, che si muove sopra il mio corpo e...

«In molti di questi libri ci sono scene... ehm, mature. Sì, insomma, vengono raccontati e descritti anche gli aspetti più intimi dei personaggi.»

«Insomma, le scopate.»
«Ottimo riassunto.»
«Grazie. Vai avanti.»

«E io... è da un po' di tempo che, quando mi capita di leggerne una, devo fare il possibile per togliermi te dalla testa e non immaginare noi due, mentre leggo.»

La confessione viene fatta a voce alta, niente toni sommessi o esitanti. Hell me lo dice con sicurezza, forse un lieve tentennamento sulla fine, ma impercettibile.

Mi lascia a bocca aperta. Spalancata. Non riesco a richiuderla. Mi porto la mano sul mento e spingo, per aiutarmi, ma non ho la forza di cambiare espressione. Hell scoppia a ridere e si nasconde il viso tra le mani.

«Non è finita, vero? Oh Dio, non hai finito!» grido.

Lei saltella appena sul posto e si pettina i capelli, con gesti nervosi e rapidi. «No, non ho finito.»

«Continua, Hell, ti prego.» Pendo dalle sue labbra.

«Dopo aver giocato a nascondino...» mormora. «Me n'è capitata un'altra, di un libro che ho quasi finito. C'era una sola scena di quel tipo, ma io ho immaginato noi due. E...» Le sue gambe, allargate sul mio grembo, hanno uno scatto involontario, come a volersi chiudere, spinte da un formicolio sul suo inguine che cerca disperato sollievo.

Merda.
Porca puttana.

«Hell...»

«Sì, puoi ridere. È ridicolo. Ti dispiace solo lasciarmi andare in bagno mentre lo fai? Magari non sento.»
«Hell.»

«Sul serio, non mi offendo, però...»

«Hazel», pronuncio il suo nome con voce bassa, come se fosse doloroso mettere insieme le lettere. «Voglio che mi faccia leggere le pagine di quel libro e che mi permetta di replicarlo nella realtà. Voglio darti quello che hai letto. Subito, cazzo.»

Non posso credere a quello che ho sentito. Dovrei fermarmi e riflettere bene, perché potrebbe anche essere uno scherzo. Un esperimento per mettermi alla prova. Potrebbe dirmi "Ares, ero ironica, sei proprio un coglione illuso". Farei un'enorme figura di merda, ma forse ne vale la pena rischiare. Sì, 'fanculo tutto.

«Ares, hai ancora la febbre. Non sai cosa stai dicendo.»

Hell prova a scendere dal mio grembo, ma io la precedo e la spingo all'indietro, facendola sdraiare di schiena sul divano. Mi alzo, in modo da lasciarle tutto lo spazio, e mi reggo sui gomiti per starle sopra e non gravarle addosso.

«Hell, so cosa sto dicendo. E se vuoi te lo ripeto pure.»
Evita i miei occhi. «Sento il tuo corpo bollente.»

«Ti faccio caldo? Puoi togliere questo vestitino e...» mi si mozza il fiato. È troppo. «Stavo per dirtelo quando ti ho aperto la portiera, ore fa. Prima che quella auto di merda scivolasse all'indietro. Sei bellissima, stasera, Hell. Hai proprio l'aspetto di qualcosa fatto apposta per farmi impazzire.»

Mi zittisco subito. Sono riuscito a dire una frase quasi carina e ho paura che, se continuerò a parlare, me ne uscirò con una cafonata delle mie.

Hell non fiata per quelli che mi sembrano anni. Ma poi, si smuove. Qualcosa cambia nell'aria, perché la sua gamba si solleva e si piega, avvolgendomi con esitazione il fianco. La gonna del vestito scivola in basso, scoprendole la coscia e il bordo delle mutandine in pizzo bianco che indossa. Non è abbastanza, però, non la sento quanto vorrei.

Serro i denti con uno scatto e cerco di focalizzarmi sul suo viso. Non che mi sia molto più di aiuto, in realtà.

«Hell, ho bisogno che tu dica qualcosa», la supplico. «Dimmi qualcosa, prima che dia di matto.»

«Non ho il libro qui con me.» Con una lieve pressione delle mani, mi fa cenno di rialzarmi. Lei si sistema in ginocchio sul divano, e mi indica di imitarla, in modo tale da trovarci faccia a faccia, uno di fronte all'altra.

Deglutisco a fatica. «Allora, raccontami la scena.»
«Non ricordo tutto nei dettagli.»

Mi avvicino, prendendo una boccata d'aria generosa per assaporare il suo profumo. Vaniglia. Tanto comune e semplice, quanto buono, perché si mischia all'essenza della sua pelle e assume una sfumatura diversa, più particolare.

«Vorrà dire che improvviserò, Genietto, ma raccontami quello che ricordi», mormoro contro il suo orecchio.

Lei sussulta appena e si ricompone all'istante. Senza aggiungere altro, si volta di spalle, e retrocede fino a adagiare la schiena contro il mio petto. Abbandona il capo nell'incavo del mio collo, e si sposta il tanto da inclinare il viso così da far incontrare i nostri occhi.

«Nella scena, lui la prendeva da dietro...» soffia, le parole che escono delicate tra le sue labbra carnose e screpolate. «E le abbassava la scollatura del vestito, sfiorandole il seno e i capezzoli con una mano. L'altra, invece, andava in mezzo alle gambe e le provocava piacere attraverso il tessuto del vestito.»

Cristo. Dio.

Ricomponiti, Ares. Hai praticato BDSM con una ragazza di trent'anni che veniva dalla Russia. Puoi toccare un paio di tette e un clitoride attraverso il pizzo delle mutande di Hell, senza che ti esploda il cuore.

No, non posso, perché Hell è Hell.

«Perché solo attraverso il tessuto?» Aggancio la mano sul suo fianco e scendo fin sotto la gonna, agguantandole la coscia. Non mi azzardo a risalire fino all'inguine. «Non posso sfilarti le mutandine, Hell?»

«No. Almeno, in quella scena il senso era che lui le aveva promesso di farla venire anche attraverso il doppio strato di vestito e mutande.»

Le labbra mi si incurvano in un sorriso. Sfida accettata. Anche se è più probabile che venga prima io di lei, dentro i boxer.

«Posso?» le domando, con la mano già pronta sulla scollatura del vestito.

«Ares.» Il modo in cui pronuncia il mio nome mi riverbera nell'anima. «Vorrei davvero continuare a fingere di non essere terribilmente attratta da te, ma non ci riesco. Ho bisogno che tu... mi tocchi.»

Non pensavo che le avrei mai sentito dire una cosa del genere. Un'ondata di eccitazione mi travolge, e posso quasi sentire il sapore della felicità sulla punta della lingua.

Sfilo la mano da sotto la gonna e, attraverso il vestito, la chiudo attorno al suo inguine, afferrandola con sicurezza ma anche con dolcezza. Hell si scioglie tra le mie braccia ed emette un mugolio basso.

Strofino le labbra contro il suo orecchio, per gioco, e quando non ne può più, mi decido a parlare. «Voi donne siete creature meravigliose. Tutto, in voi, è un chiaro segno che, chiunque abbia creato gli esseri umani, preferiva le donne agli uomini. Ed è per questo che so che le mie dita non potranno darti lo stesso piacere che ti danno le tue, però... Ti prometto che proverò a soddisfarti, Hazel. Dio, se mi impegnerò per regalarti un orgasmo.»

Dischiude le labbra, e per un attimo ho paura che proverò vero dolore fisico se non la bacerò. Ma non voglio. Deve mettere lei fine a questo gioco e baciarmi.

Hell aspetta il mio passo, aspetta che la baci e rincorra la sua lingua fino a farle mancare l'aria. Io ghigno, le mordo piano il collo e con un gesto fluido abbasso la scollatura del vestito.

Il suo seno fuoriesce, appena stretto dal tessuto aderente che preme sotto. Purtroppo, non posso fare di meglio. Ma... è uno spettacolo. Mi manda in tilt il cervello, corto circuito. I miei neuroni sbattono fra di loro, mentre il mio occhio cieco muore di invidia perché non può vedere nulla.

Il seno di Hell è piccolo, sarà a malapena una seconda. Ma è tondo e ambrato, la pelle liscia e luminosa. I capezzoli sono due bottoncini di carne, più scuri e già turgidi, in attesa che incontrino le mie dita.

D'un tratto, non capisco più nulla e mi chino con il viso, intenzionato ad afferrarle un capezzolo e succhiarlo fino a sentirla urlare contro il mio orecchio. Voglio che le sue grida di piacere mi spacchino i timpani.

«No. Solo le mani. La scena era così», mi blocca lei, con difficoltà. Lo vuole quanto me.

Mi ritraggo, un po' infastidito. «D'accordo. Vorrà dire che per stasera farò da bravo, solo per te. Ma solo stasera, Hell.»

Lei fa per ribattere, io la bocco afferrandole il seno sinistro a palmo pieno. Le sfugge un versetto di piacere. La mia mano racchiude la sua carne alla perfezione, nonostante sia più grande, e massaggia il seno con movimenti circolari, che crescono di intensità man mano che passano i secondi.

Le afferro il capezzolo tra il medio e il pollice, e mentre lo tiro facendola gemere piano, muovo la mano in mezzo alle sue gambe alla ricerca del punto in cui si trova il clitoride. Capisco di averlo trovato quando Hell si contrae e sussurra: «Sì, ti prego». Un aiuto che non volevo, ma che mi ha facilitato il compito.

Mentre la mia mano sinistra passa da un seno all'altro, e la destra affonda tra le sue cosce, mi dissocio. Vorrei poter vivere la scena dall'esterno, per assicurarmi che stia davvero accadendo. Per accertarmi che Hazel Fox sia davvero abbandonata contro di me e si stia lasciando toccare in questo modo. Al contempo, vorrei anche di più.

Vorrei strapparle il vestitino, senza romperlo però, e lasciarla nuda su questo divano. Vorrei affondare la faccia tra le sue gambe e raccogliere i suoi liquidi come se fossero acqua per un povero uomo rimasto nel deserto per giorni; leccarla fino a consumarmi la lingua. Vorrei scoparla senza pietà, con spinte feroci e rapide, e vorrei anche scoparla con dolcezza, mentre premo le labbra contro il suo orecchio e gemo a ripetizione per farle sentire quanto la desidero. Vorrei farla inginocchiare e sentire le sue labbra attorno al mio cazzo, mentre la mia mano si infila tra i suoi capelli e la guida, scopandole la bocca.

Vorrei incollarmela addosso e implorarla di baciare ogni centimetro di pelle di cui sono fatto.
La supplicherei di marchiarmi con i denti, di lasciarmi i segni, perché rispecchino i profondi solchi con cui ha già contaminato la mia anima.

«Più forte, ti prego», implora Hell.

Non so a cosa si riferisca. Nel dubbio, le strizzo il capezzolo tra le dita e poi riafferro tutto il seno, e in contemporanea aumento la pressione sul suo clitoride e sfrego così forte che quasi sento male al polpastrello.

Hell indietreggia ancora, e i suoi glutei sbattono sul cavallo dei miei pantaloni. Neanche a farlo apposta, la mia erezione preme perfettamente nello spazio fra le sue natiche. Non oso muovermi, non voglio prendermi più di ciò che mi ha concesso.

È Hell a farlo. Si alza e abbassa, piano, strusciandosi contro la mia erezione.

«Hell, se continui così mi abbasso i pantaloni, ti sollevo la gonna e ti penetro da dietro. Ti prego, fermati», la avverto, le parole che a malapena escono dalla bocca.

Sembra che la mia minaccia le abbia dato l'input finale. Le gambe le tremano, e smette di muoversi. Abbandona tutto il peso del suo corpo su di me, l'orgasmo la travolge e la sento scomporsi in miliardi di pezzi tra le mie braccia. Inclina il bacino verso l'alto, aiutandomi con delle spinte finali, e poi si blocca.

Respira veloce, con fatica, ma le labbra sono curvate in un sorriso compiaciuto e soddisfatto. Ora, posso riempire entrambe le mani con il suo seno, e nel frattempo le inumidisco il collo con una scia di baci.

«La timida e introversa Hell...» la sbeffeggio, con una punta di tenerezza.

«Essere timidi e introversi non significa non avere carattere», corregge, subito. La sua voce è ancora affaticata. «Non significa essere deboli e non sapersi far valere. E, soprattutto, non vuol dire non apprezzare il sesso e non sapere come chiedere ciò che si vuole.»

«Non era quello che intendevo.»
«Lo so, ma ci tenevo a specificarlo.» Ora mi guarda, il petto ancora nudo si muove a un ritmo più lento e regolare.

Non riesco a trattenere un sorriso. Continuo a fissarla, sorridendo come un cretino. Non riesco a smettere. Eppure, dovrebbe essere facile; i miei muscoli facciali non rispondono. «Hell?»

«Sì?» La sua vocina è flebile, carica di desiderio. Ne vuole di più. Ne vuole ancora. È come me, lei. È me, se fossi una persona migliore.

«Baciami.»

«Perché?» Volta il capo, facendo scontrare i nostri sguardi.

Non ho bisogno di pensare a una buona motivazione, come era successo in passato. Non ho bisogno di scervellarmi per cercare una frase romantica e profonda. E non ho bisogno di mentire a me stesso rifilandole la cazzata del: "Perché voglio scordarmi di te".

«Perché non sopporto di vivere un secondo in più della mia vita senza avere le tue labbra sulle mie.»

La risposta più naturale e sincera del mondo.

Anche Hell lo percepisce. Lei, che è brava con le parole, sente quanto le mie sono cariche di genuinità.

So di averla convinta, ma vuole fare la difficile e mettermi davanti a quella che spero sia l'ultima prova. «Le hai...»

Un rumore sordo contro la porta d'ingresso ci fa scattare come due molle. Mi affretto a risollevarle il vestito e coprirla. Hell quasi cade dal divano, ma la afferro in tempo, e la rimetto seduta.

«Ferma.»
«Perché...»

Tengo gli occhi incollati alla porta, come se qualcuno potesse sfondarla e fare irruzione. Considerato quanto è svitato mio nonno, devo metterlo in conto.

«Thymós non busserebbe. È casa sua. E ha preso le chiavi prima di uscire, l'ho visto.»

Hell fa per alzarsi, di nuovo, ma io la fulmino sul posto e le faccio cenno di non azzardare un solo movimento in più.

Il tempo passa, scandito dai battiti accelerati del mio cuore e dai miei respiri irregolari. Chiunque fosse lì sul pianerottolo, pochi minuti fa, deve essersene anche andato. Almeno, lo spero. Ma non lo scopriremo mai se non mi decido a controllare.

Dio, vorrei essere l'eroe protagonista. Invece, sono l'anti-eroe scemo che col cazzo che si mette in pericolo per il bene comune. Salvatevi il culo da soli e non rompetemi le palle.

Devo fare bella figura con Hell, però.

Prendo un respiro profondo e raggiungo la porta, per poi spalancarla. Non c'è nessuno. Tiro un sospiro di sollievo, senza farmi vedere da Hell. «Libero», la avviso.

Hell mi è accanto in un baleno. E ha notato qualcosa che a me è sfuggita, perché indica in basso. Sullo zerbino c'è una scatolina nera. La spingo all'indietro, facendole da scudo.

«Torna sul divano.»
«No.»
«Sì.»
«No.»
«E se fosse una bomba?» la incalzo.
«Mi farei male anche se fossi sul divano. Raccogli la scatola e aprila.»

Ha più coraggio lei di me, non c'è dubbio.

Prima di prenderla con le mani, le do un colpetto con la punta del piede e la sposto di pochi centimetri. Se fosse stata una bomba, sarebbe già esplosa. Credo. Non lo so, io non so un cazzo.

Stufo della mia stessa codardia, la raccolgo e rientro nell'appartamento. Chiudo a chiave e porto la scatoletta fino al tavolino della cucina. Hell è seduta lì, e si tortura il labbro inferiore con i denti.

Faccio scattare la serratura in metallo e aggrotto la fronte, davanti a ciò che mi si presenta. Devo impormi la calma più totale per non fare un salto all'indietro e urlare come un bambino. «Hell, non avvicinarti», le intimo.

Dentro la scatola c'è un serpente. Non so di quale razza, e manco mi interessa. C'è un cazzo di serpente, nero, arrotolato nello spazio angusto della scatoletta.

Hell, dall'altra parte, obbedisce, ma la sua preoccupazione è evidente. «Ares? Cosa succede? Cosa c'è lì?»

Non voglio farla preoccupare. «Nulla, stai tranquilla, solo un'amica molto stretta di... Athena.»

Il serpente sibila, e io raccolgo quel briciolo di coraggio che ho per abbassare il coperchio con uno scatto e richiuderlo al suo interno.
Ho un'idea in testa, e non mi piace.

🍒
Non mi dilungo ulteriormente perché sono di pessimo umore da giorni e voglio solo dormire-sbattermi la testa al muro- dormire 👍🏻
Spero che vi sia piaciuto 🫶🏻 e in bocca al lupo a tutt* per il nuovo anno scolastico ❤️

Penso che arriverà prima la 5a fatica dei giochi di Hera. Purtroppo, non mi viene in mente un gioco carino per lei. Cioè, dovrebbe essere sulla scia di quelli di Aphrodite, ma mi escono solo cose pericolose e mortali e quindi non vanno bene ☠️👍🏻

Grazie per leggere GoC, ci vediamo al prossimo 🦊🍒💚

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