Painful melody

By Sofiacuofano

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ATTENZIONE: SONO PRESENTI SCENE DI SESSO ESPLICITO E DI VIOLENZA!!! Lei è nata nell'agio della famiglia più p... More

PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 35
CAPITOLO 36
CAPITOLO 38
CAPITOLO 39
CAPITOLO 40
CAPITOLO 41
CAPITOLO 42
CAPITOLO 43
CAPITOLO 44
CAPITOLO 45
CAPITOLO 46
CAPITOLI 47
CAPITOLO 48

CAPITOLO 37

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By Sofiacuofano


MIHAI

Oggi...


Mi infilai una maglia nera.

Sapevo dove stavo per andare ma non mi importava di vestirmi elegante per un luogo del genere e per una donna simile, non lo meritava, come non meritava molto altro ma sarebbero stati il karma, il destino e la vita a punirla al posto mio. Non mi sarei neanche dovuto sforzare di far qualcosa.

Se non a scendere a patti con il diavolo.

Un gesto che probabilmente superava anche il "qualcosa" che tralasciavo.

Ma ero disposto a tutto pur di far tornare a galla la verità, smascherare la vera identità del tanto temuto Christian Martin e fottere tutta la sua famiglia, una volta per tutte, per avermi tolto il mio migliore amico.

Un Martin con il sangue di un Kovacs.

Era sempre stato più fratello mio che figlio loro.

Una volta tirata fuori la verità dal loro mare di menzogne, avrei avuto la mia vittoria e avrei fatto affondare il loro impero, nel bel mezzo di tutto il sangue che già immaginavo fosse stato versato a causa loro, tutto il dolore che quella famiglia aveva causato al mondo.

Una spruzzata di profumo e poi mi sedetti sul bordo del letto per infilarmi un paio di scarpe che avevo lasciato nell'armadio e che ancora mi andavano, delle semplici scarpe bianche di cui mi ero dimenticato, ancora nuove, non le dovevo aver usate molto dopo averle comprate, ipotizzai.

Ero quasi pronto, poi sarei semplicemente dovuto scendere al piano di sotto, uscire di casa e raggiungere quel dannato hotel con la macchina di mio fratello. Era il dopo che mi rendeva nervoso, il pensiero di dover rimanere per un'intera serata da solo con lei mi rendeva irrequieto. Era talmente imprevedibile da farmi confondere.

Quella donna era una strega.

Un mostro.

Un incubo talmente bello da sembrare un sogno.

E odiavo sapere che il desiderio di incontrarla era più forte dell'odio che provavo nei suoi confronti.

Quella donna. Dio, se la odiavo.

Una volta pronto uscii dalla camera per scendere al piano di sotto e raggiungere l'appendi abiti per infilarmi il giubbotto di pelle coprendo la benda che mi avvolgeva il braccio. Dopo che mio fratello e Stefany avevano visto ciò che mi era sotto ero stato più attento a nascondere ogni cosa per non avere altri problemi. Ma il pensiero che anche lei potesse vedere i miei tagli mi rendeva ancor più irrequieto. Come avrebbe reagito? Mi domandai tra me e me. Probabilmente non le sarebbe importato.

<<Mihai, ho fatto i popcorn, ci guardiamo un film->> La sua voce mi raggiunse alle spalle portandomi a voltarmi colto di sorpresa. <<Ah, stai uscendo?>> Piccola e sorridente, stretta in uno di quei suoi semplici pigiami, composti da una maglia a maniche corte e un pantaloncino, mi guardava con una ciotola enorme ripiena di pop-corn e quegli occhi lucenti di un miele caldo. Aveva pensato di passare del tempo insieme, io però invece me ne stavo andando per un impegno che mi resi conto di ritenere molto più importante. Odiavo anche me stesso.

A poco a poco, quel sorriso prese a diventare sempre più tenue e il suo viso perse quella luce che le brillava sempre intorno, le avevo tolto l'allegria, la voglia di fare qualcosa, di passare la serata insieme. Ma non dovevo dipendere da lei. <<Stasera non posso.>> Fui schietto. <<Come mai? Non mi avevi detto di dover uscire.>> Avevamo passato la giornata insieme ma non le avevo parlato di tutto, ne ero consapevole, sapevo di essere un infame ma era meglio che non si mischiasse nei casini che stavano per inondare la mia vita. Quella cena avrebbe cambiato molte cose. <<Ho un impegno.>> A quel punto il suo sorriso era totalmente svanito, sapeva che le stavo nascondendo qualcosa. <<Va bene, non importa.>> Era delusa come lo ero io, sapevo di star per commettere l'errore più grande che esistesse ma era troppo tardi per tornare indietro, ormai avevo fatto la mia mossa e in quel gioco non era plausibile.

<<No, P-Paige->> Mi sentii in colpa. <<Tranquillo vai.>> Aveva capito.

Mi sentii un'idiota, non meritava un simile trattamento, ma non potevo farci niente.

La mia mente, i miei pensieri, ogni mio respiro non le apparteneva. Il diavolo si era impossessato di ogni cosa.

<<Torno presto, promesso.>> Mi dispiaceva lasciarla lì così come se non me ne fosse fregato nulla, però avevo cose a cui pensare che mi toglievano maggior attenzione. Scelte che stuzzicavano maggiormente il mio interesse.

Dunque uscii da quella porta deciso ad affrontare ciò che mi attendeva senza alcun indugio. Nulla avrebbe mai potuto scalfire le mie convinzioni. Avevo il controllo assoluto di quella serata.

Montai nella macchina di mio fratello e guidai fino a quell'hotel senza mai fermarmi, fino a che non mi rirtrovai di fronte a quel palazzo. Uno dei luoghi più visitati da chi non si ricordava neanche più a quanto ammontasse la somma racchiusa nel proprio conto in banca, lo conoscevo, ma alla fine non esisteva persona che non lo conoscesse quel posto.

Il luogo che avrebbe accolto la mia fine, il mio patto con il diavolo.

Parcheggiai la macchina e mi avvicinai all'entrata accolto dalle porte girevoli che mi condussero all'interno dell'atrio, un enorme atrio lucente ed elegante dove decine di coppie passeggiavano, agghindate e ben vestite, per raggiungere il ristorante o la propria camera. Tutto lì dentro trasudava lusso.

Ma io non ero lì per soggiornare tra le comodità di quello splendore, così non mi soffermai neanche poi tanto a guardarmi intorno e mi diressi alla reception.

<<Salve, avrei bisogno di un'informazione.>> Il ragazzo dall'altra parte della scrivania alzò lo sguardo dal suo computer per guardarmi, ma non gli occorsero altre mie parole per capire cosa volevo, quella donna doveva aver già istruito bene chiunque lavorasse lì dentro per far andare quella serata come lei desiderava. Ma non sapeva che la conoscevo bene, anche dopo dodici anni sapevo come agiva e l'avrei affrontata con la stessa crudeltà.

<<Buonasera signor Kovacs, la signorina Martin ci aveva già avvisati del suo arrivo, la sta aspettando al ventiseiesimo piano.>> Mi stava aspettando, ripetei tra me e me. Una donna con un potere come il suo e una fama invidiabile stava perdendo il suo tempo per attendere me, sapevo come ragionava quella donna e se era disposta a fare un tale sforzo voleva dire che c'era in gioco più di quanto pensassi. Vite, vi erano in gioco delle vite. <<La ringrazio.>> Aveva già organizzato ogni cosa, ogni persona lì dentro era una sua pedina che muoveva a suo piacimento sulla sua scacchiera. Non mi stupì. Mi allontanai allora, per raggiungere uno degli ascensori e vi entrai pigiando sul tasto ventisei, che scoprii essere l'ultimo, il tasto che portava all'ultimo piano. Gli ultimi tre piani erano la parte dell'Hotel destinata alla ristorazione, posti così in alto appositamente per garantire una vista eccezionale su tutta la città. Ma lei non aveva scelto il ventiquattresimo o il venticinquesimo, aveva scelto appositamente l'ultimo, la punta di quel grattacielo.

E quando lo raggiunsi compresi anche il perchè.

Le porte dell'ascensore si aprirono di fronte ai miei occhi ed ecco che mi ritrovai su una terrazza vasta e ben arredata, ma completamente vuota. Vi erano pochissimi tavoli, posti ben lontani l'uno dall'altro per garantire maggior privacy tra i commensali e soprattutto anche perchè prenotare un tavolo lì costava così tanto che in pochi se lo potevano permettere. Ma in quel momento erano completamente vuoti, eccezion fatta per uno che era ben apparecchiato, decorato persino con delle candele nel centro.

Di lei però non vi era traccia.

Mi mossi lentamente, con i piedi di piombo e lo sguardo attento. Ero nel suo spazio, nel suo regno, rischiavo grosso. Mi guardai meglio intorno. Vi era un lungo divano in pelle bianca con un tavolino posto a meno di un metro da quest'ultimo, con sopra una busta nera, un secchiello ghermito di ghiaccio con una bottiglia di champagne dentro e due bicchieri. Aveva pensato ad ogni cosa.

<<M'hai persuaso a sorbire distrazione,

inosservato t'eri insinuato,

esile precordio ricolmo di venature.

Dentro un calice di giuramenti

il sangue emerge,

gioccola bramoso d'un posto emarginato

le palpebre calate,

destinate alla rovina di un riscatto infido.>>

La sua voce arrivò alle mie orecchie come una suave, calda e sensuale melodia premonitrice, di quelle che conducevano ad un passo dalla morte, senza la minima esitazione. Il canto di una sirena che ammaliava e uccideva con la stessa facilità.

Mi voltai di scato ed ecco che la vidi.

Ecco che davanti ai miei occhi si stagliò l'esatta divisione tra inferno e paradiso.
Sopra le nostre teste regnava lo sconfinato notturno cielo ricoperto di stelle che avrebbe che condotto le anime al paradiso, e poi vi era lei, che segnava l'inferno, formando una linea, una vera spaccatura tra la dannazione eterna e la pace dei sensi.

Indossava un abito lungo da sera di un verde pantone che le accarezzava le curve morbidamente, con una scollatura profonda sulla schiena che si fermava poco prima del fondoschiena. Quei capelli lunghi e scuri le ricadevano ondulati lungo la pelle scoperta mentre mi dava le spalle, leggendo alla luna una delle poesie che tanto amava fin da quando aveva sedici anni, se non anche da prima.

Con un gesto secco richiuse quel cumulo di pagine ingiallite e lo posò su un tavolino lì accanto, per voltarsi verso di me e permettermi di guardarla meglio.

Sul davanti quell'abito, che probabilmente era uno tra i più casti che avesse, mostrava ciò che non aveva paura di celare. Uno spacco le lasciava scoperta la gamba arrivando fino all'inguine, il cui dettaglio che fosse sprovvisto di intimo non passò inosservato alla mia attenzione. Come anche il seno che si ergeva nudo sotto la scollatura a "v" presente anche sul davanti dell'abito. Sotto al quale i suoi capezzoli già turgidi spiccavano insoddisfatti.

Dentro di me mi rimangiai i pensieri, nulla di ciò che indossava era casto proprio perchè lei stessa non conosceva purità, era la perversione fatta in persona, tutto di lei gridava peccati.

<<Sapevo che non mi avresti delusa Mihai.>> Quegli occhi blu addosso facevano più male di mille coltelli conficcati nel petto, ma li sfidai con la stessa caparbietà, quella notte solo uno dei due avrebbe vinto la battaglia e a quel punto lei avrebbe conosciuto cosa voleva dire perdere.

<<Ho preso in considerazione l'idea di non venire, ma poi la curiosità ha preso il sopravvento.>> Quelle pietre di cielo mi percorsero interamente, mi guardava come una predatrice si pregustava la propria preda peccato che non sapeva che quella sera ero pronto a giocare anch'io, quel suo gioco perverso composto da sguardi, movimenti e parole usate per stuzzicare.

<<Il desiderio di rivedermi è stato più forte, vero?>> Il rumore dei suoi tacchi che incontravano il pavimento la condusse a me con una lenta sfilata che mosse quell'abito sul suo corpo, illudendo i miei occhi di poter vedere ciò che a stento copriva, ma tenendo a loro celate quelle grazie.

<<Quando si parla di te vi è solo il desiderio.>> Ormai tutto ciò che la riguardava si racchiudeva a quello, il più torbido desiderio che poteva esistere tra un uomo e una donna, era il sogno proibito di qualsiasi uomo, il vaso di pandora che tutti sognavano di aprire. <<Finalmente inizi a capire.>> Su quelle labbra colorate di un rosso sangue, scuro, si tesero in un sorrisetto infido che le illuminò il viso, da vicino era ancora più bella, un dolce che avrei voluto divorare ma che mi stavo trattenendo anche solo dallo sfiorare.

<<Ti ho iniziata a capire già da molto tempo.>> Era un continuo botta e risposta.

<<Se fosse veramente così non saresti qui.> > Quella risposta mi confuse e la serietà che per un secondo si stazionò sul suo volto mi sorprese, non riuscii a dedurre cosa voleva insinuare, ma prima che potessi anche solo farle una domanda si allontanò da me per avvicinarsi al tavolo imbandito che ci attendeva.

<<Ho prenotato l'intera terrazza solo per noi due.>> Cambiò di nuovo maschera, dalla serietà tornò a rivestire il suo personaggio. <<Mi sembrava un ottimo gesto per ripagarti dopo che hai speso una tale cifra solo per ballare con me.>> Accarezzò con la punta del dito la tovaglia ben stirata. <<Non l'ho fatto per avere qualcosa in cambio.>> L'avevo fatto perchè lo avevo voluto, perchè in quel momento, condividere con lei un ballo, mi era sembrata la possibilità per tornare a respirare di nuovo per un secondo, l'occasione per riaverla tutta per me per qualche istante. <<Nel mio mondo tutto si fa desiderando qualcosa in cambio.>> La sua realtà era talmente fredda e contorta da mettere i brividi.

<<Il tuo mondo è sbagliato.>> Mi avvicinai per scostarle la sedia e permetterle di sedersi, un gesto che non facevo da tempo e che eppure in quel momento feci con una naturalezza che sorprese persino me medesimo.

<<Il mio mondo è ciò che sono.>> Come potevo darle torto, ogni cosa di lei era sbagliata eppure terribilmente attraente. Raggiunsi la mia sedia e mi accomodai di fronte a lei, diviso dal mio peggior sogno da un tavolo che in quel momento mi permise di tornare a respirare, più le stavo lontano meglio era.

Le porte dell'ascensore a quel punto si aprirono e un cameriere ne uscì, con in mano due piatti che, con passo svelto, si apprestò a servirci.

Il primo lo posò di fronte alla signorina di fronte a me, su cui il suo sguardo indugiò anche fin troppo. Lei gli sorrise seducente e lui ricambiò con quella brama nello sguardo che conoscevo bene, il solo sapere che anche altri uomini la desiderassero era irritante ma non volere quella donna era impossibile.

Poi posò il mio piatto di fronte a me e ci stappò una bottiglia di un vino rosso pregiato, che avrebbe accompagnato il filetto di carne ben tagliato e impattato sotto i nostri occhi. Aveva un odore squisito.

Prima di andarsene si abbassò leggermente per sussurrare qualcosa all'orecchio della donna di fronte a me, che lo ascoltò lasciandosi andare ad una sussurrata risatina che mi infastidì. Come mi innervosì non sapere cosa le stesse dicendo. Poi finalmente il cameriere se ne andò e la sua attenzione tornò su di me.

<<Ci sei andata a letto?>> Non conoscevo la maniera per girare intorno ad un concetto, quando volevo sapere qualcosa parlavo in maniera concisa e diretta.

<<Sì, oggi pomeriggio per essere precisi.>> Mentre parlava con una totale tranquillità, afferrò la forchetta e il coltello per iniziare a tagliare un pezzetto di carne. <<Ero venuta dare le mie direttive all'hotel su ciò che desideravo per questa sera e l'ho incrociato.>> L'ennesimo passatempo delle sue giornate, per lei ogni uomo sulla faccia della Terra era un gioco con cui trastullarsi nei momenti di svago, non dava più la giusta importanza a nulla, era totalmente svuotata. La ragazza che aveva dato il suo primo bacio a me come segno della sua totale devozione era completamente scomparsa, non ve ne era traccia, l'aveva completamente annientata.

<<Sei un caso perso.>> Mi infilai in bocca un boccone di carne trattenendomi dal dire altro, le avrei semplicemente dato un punto in più, facendole dedurre il vero, ossia che il solo pensarci mi causava un pizzicore fastidioso al petto. <<Suvvia, sai che non mento e poi sei stato tu a volerlo sapere.>> Ancora una volta ciò che diceva non era contestabile, mi ero scavato la fossa da solo, le avevo servito quel colpo su un piatto d'argento, dovevo tornare in carreggiata. <<Hai ragione, non ti farò più domande su questo argomento.>> Sogghignò infilandosi un pezzetto di carne tra le labbra, quelle labbra che non persero la loro tinta accesa.

<<Posso almeno sapere il motivo di questa cena?>> Ero lì per un motivo ben preciso e lei ancora non me ne aveva parlato, quel suo temporeggiare mi irritava, non volevo perdere tempo prezioso che ci avrebbe potuti avvicinare sempre di più alla verità. Deglutì la carne e prese il bicchiere di vino per assaggiarne un sorso.

<<Hai fretta Kovacs? Hai paura che più rimani qui con me, meno te ne vorrai andare?>> Era completamente priva di imbarazzo. <<Sono qui per parlare non per i tuoi giochi.>> Le mie parole sembrarono divertirla, tanto che rise mentre prendeva il tovagliolo per pulirsi con giusto una picchiettata le labbra, che rimasero colorate di rossetto. <<Per quanto sono certa che i miei giochi divertirebbero anche te...>> Posò il tovagliolo per appoggiare i gomiti sul tavolo e intrecciare le mani. <<Possiamo passare anche subito alle questioni più importanti.>> Smisi anch'io di mangiare ponendo su di lei la mia totale attenzione.

<<Voglio che mi racconti la tua versione per quanto riguarda la morte di mio fratello, ogni dettaglio di ciò che successe fino a quella sera.>> Rimasi paralizzato dalla sua serietà e impietrito dalla sua sincerità, voleva troppo, voleva più di quanto sarebbe riuscita a gestire ma lei era così, pretendeva senza pensare alle conseguenze. Sapere le avrebbe solo fatto male e poi non potevo.

<<Dirti ciò che fece tuo fratello porterebbe anche te a sbagliare allo stesso modo, ti conosco.>> Lo stava facendo anche in quei giorni, entrare nella Holding di suo padre era stato il primo passo che aveva portato suo fratello ad una morte certa. <<Ti sbagli, se mi dici dove lui sbagliò no farò gli stessi errori.>> A quel punto capii che probabilmente era lei che non riusciva più a comprendermi.

<<Tuo fratello entrò nella Holding con l'intento di scoprire cosa nascondeva vostro padre, si è immischiato in affari che lo hanno portato a morire e tu hai appena fatto la stessa cosa.>> Ribattei furente. <<Tu non impari dagli errori degli altri Keira, sei talmente fuori di testa che credi che se facendo così una persona ha perso tu saresti capace di fare la stessa riuscendo a vincere.>> Non riusciva a capire il mio punto di vista ed era snervante.

<<Si chiama autostima, convinzione, coraggio.>> Rispose.

<<No, si chiama pazzia, è diverso.>> Conclusi.

<<Ebbene, se vuoi aiutarmi ti conviene parlare Mihai, perchè senza prima aver ascoltato il tuo punto di vista, alla fine di tutta questa storia non saprò se mi hai detto seriamente la verità o se hai mentito.>> Riprese a mangiare con tutta la tranquillità di questo mondo, anche se riuscivo a sentire il suo nervoso iniziare a fare capolino in mezzo alla sua indifferenza. <<Ancora non mi credi.>> Affermai con stizza e delusione, non aveva avanzato di un passo verso di me. <<Non ti crederò mai fino in fondo.>> Ma era già qualcosa che una parte di lei si stesse sforzando di farlo, così mi aggrappai a quel briciolo che mi concesse e me lo feci andar bene, per quel momento era anche già tanto. <<Perfetto se è ciò che vuoi, ritieniti accontentata.>> Dopo dodici anni stavo per fare ciò che avevo desiderato fin dal primo momento, poterle dire ogni cosa sperando ancora dopo tutto quel tempo, che lei si lasciasse andare alla consapevolezza che si era sbagliata, che l'unico a non averle mai mentito ero io e non la sua famiglia.

<<Poco dopo che ci mettemmo insieme tuo fratello entrò nella C. M. Economy...>> Si era rivelato più complicato del previsto, quel suo improvviso interesse per gli affari di famiglia aveva destato non poca confusione, ma dopo il nostro ritorno dal tour a cui partecipò anche Keira, l'attenzione del grande Martin era focalizzata sulla nuova coppia che stava per nascere così di fronte alla richiesta del figlio di una riappacificazione non si tirò indietro. Gli occorreva quiete per poter pensare a come non perdere il suo guadagno futuro, a come non far volar via sua figlia, la sua fonte di denaro. <<Di ciò che successe durante il periodo che passò in quella Holding so informazioni sparse e forse fin troppo scarne, tuo fratello mi aveva promesso prima di attuare il piano che mi avrebbe reso partecipe di ogni suo spostamento e azione, ma solo troppo tardi capii che lui non stava cercando di proteggere solo te ma anche me.>> Aveva sempre avuto un gran cuore quel ragazzo, forse fin troppo grande per questo mondo, pensai. <<Dal suo punto di vista, ogni informazione pesava troppo, più cose avrei saputo più sarei stato in pericolo, così mi diceva qualcosa ogni tanto illudendomi di poter prendere parte a quel piano suicida, quando la verità era che semplicemente lui stava facendo tutto quello solo per poterci garantire un futuro insieme, a discapito del suo.>> Vidi come il pezzetto di carne che stava masticando fece più fatica dei precedenti a scendere, le mie parole iniziavano a soffocarla ma era stata lei a richiedere tali informazioni e fin quando non mi avrebbe chiesto di fermarmi, io avrei continuato a parlare. Conoscendola, anche se sapere quelle cose l'avrebbe fatta soffrire, non mi avrebbe mai chiesto di smettere.

<<Un giorno mi disse di aver scoperto che vostro padre aveva dei collaboratori che lavoravano per lui anche al di fuori della Holding, un altro che la C.M. non era la sua unica fonte di denaro ma che vi era ben altro al di sotto che gli conferiva tutto il suo potere, un altro ancora invece mi disse semplicemente che stava scoprendo cose che si stavano rivelando più grosse di quanto si aspettasse ma che aveva tutto sotto controllo.>> Il solo pensare che gli avevo concessodi prendere in mano quell'idea di poter fare giustizia, di fronte ad un mostro tanto grande, mi fece sentire più colpevole di quanto non mi fossi sentito in carcere sotto l'accusa di omicidio.

<<Con il tempo diventava sempre più restio nel dirmi ulteriori novità, non per crudeltà o per cambi di atteggiamento dovuti al lavorare al fianco di suo padre, semplicemente stava capendo che era meglio tacere perchè più tempo passava, più aveva gli occhi puntati addosso.>> La novità della nuova coppia amata da tutti stava facendo sì scalpore tra la gente, ma uno come Christian Martin alla fine aveva cose più importanti a cui pensare, affari da mandare avanti, così dopo un po' perse interesse o meglio per un momento ci illuse di non aver più interesse nel volerci dividere. E fu a quel punto che arrivò la fine di ogni cosa.

<<Poi una sera mi chiamò.>> Quella chiamata me la ricordavo bene.

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Le accarezzavo i capelli districandoli dolcemente mentre dormiva rilassata con il viso appoggiato al mio cuscino, coperta solo in parte dal misero lenzuolo appoggiato sul mio letto, il suo corpo era come un diamante, brillava senza aver bisogno di una luce perchè era lei stessa la luce di ogni sua bellezza.

Guardarla dormire era un onore che non mi meritavo, non ero degno di giacere insieme ad una tale reliquia, ma la vita mi aveva concesso quella fortuna ed io ne avevo assaporato ogni sfumatura, rendendomi conto che il destino mi aveva reso l'uomo più fortunato di questo mondo. Che ogni secondo passato senza di lei era stato semplicemente un'attesa di lei, ogni passo che avevo compiuto mi aveva condotto a lei, che ogni mio battito stava semplicemente aspettando di cambiare ritmo alla sua vicinanza.

Mi ero innamorato ed era così dannatamente bello che sentivo la necessità di toccarla per non smettere di credere che fosse tutto reale.

Poi d'un tratto il mio cellulare squillò, posato il comodino accanto al mio letto, obbligandomi ad alzarmi per prenderlo e rispondere lontano da lei per non rischiare di svegliarla. Entrai in bagno e mi chiusi la porta alle spalle per rispondere assicurandomi a colui che mi resi conto essere Henry.

Erano le tre e quarantacinque quando cliccai su quel tasto rispondendo alla sua chiamata.

<<Pronto?>> Risposi poggiandomi al lavandino.

<<Mihai.>> La sua voce era un sussurro, sembrava quasi che si stesse nascondendo, non voleva che qualcuno origliasse quella chiamata, ma bastò sentirlo bisbigliare il mio nome per mettermi sull'attenti.

<<Henry, va tutto bene?>> Sentivo il suo respiro ansante e il rumore di passi frenetici, ma non riuscivo a capire cosa stesse succedendo.

<<Devi raggiungere il mio jet tra un'ora con mia sorella, vi porterà lontano dalla città per un po', dovete fare in fretta.>> Sentii i brividi percorrermi la schiena e nervi tendersi, eravamo arrivati ad un punto di non ritorno. Partire con il mio aereo avrebbe solo destato ulteriori dubbi, voleva che sparissimo ma per cosa? Mi domandai.

<<Henry cosa sta succedendo?>> Un tonfo sordo come quello di un pugno contro la porta mi raggiunse come uno schiaffo.

<<Devi salvarla Mihai, scappate.>> La sua voce si fece più frenetica.

<<Dove sei Henry?>>

La chiamata terminò e a quella domanda non ebbi mai una risposta.

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<<Non mi disse cosa stava succedendo e neanche dove fosse, così feci di testa mia e corsi a casa vostra senza la minima esitazione, ma quando arrivai mi resi conto che era troppo tardi.>> Uno dei miei più grandi sensi di colpa era proprio quello, non essere riuscito ad arrivare in tempo per lui, per salvare il mio migliore amico, mio fratello. <<In casa non vi era nessuno, neanche le guardie fuori dai cancelli o intorno alla casa, in quella villa sopravviveva un silenzio agghiacciante che metteva i brividi.>> Avevo iniziato a cercarlo dappertutto fino a quando, prima di passare su per le scale, non sentii dei gemiti di dolore in una delle tante stanze di quella casa.

<<Quando lo trovai era già a terra morente con il coltello con cui era stato accoltellato, poggiato per terra e lasciato lì senza alcun timore.>> Colui che lo aveva ucciso era stato troppo spavaldo da preoccuparsene o troppo impaurito e agitato per pensare di eliminare le prove. Il fatto che non vi fosse stato nessuno poi l'avevo capito solo qualche giorno dopo in tribunale. Suo padre e tutti coloro che gli stavano dietro avevano bisogno di un alibi per poter nascondere le prove di quell'omicidio, il copevole di quell'insano gesto era stato coperto da lui e dal movente che non fosse lì quella notte, arrivando solo dopo l'accaduto con la polizia, fingendosi sorpreso.

Il loro piano era ancora più intricato di quello di Henry che non aveva pensato a tutte le possibilità che vi erano dietro a quella sua pensata, che si era rivelata letale.

<<Se è la verità perchè in tribunale ti sei dichiarato colpevole?>> La sua voce risultò atona, completamente priva di sentimenti.

<<Te l'ho già detto, se solo mi avessi guardato avrei dichiarato il vero, così ho contato dieci secondi sperando che lo facessi ma quando ho capito che non sarebbe successo ho lasciato che le cose andassero come volevano tutti.>> I suoi occhi incontrarono i miei proprio come avrei voluto che accadesse quel giorno, con la piccola differenza che in quell'istante mi trucidò, mi fulminò senza alcuno scrupolo.

<<Perchè?>> Si accanì.

<<Perchè non mi importava della libertà se poi non ti avrei avuta con me a viverla.>> A quel tempo non mi credeva e da quel momento iniziai a non crederci neppure io alla mia innocenza, poi però mi resi conto che non meritavo quell'eterna distruzione, pagando per qualcosa che non avevo fatto.

Prese il calice e se lo portò nuovamente alle labbra per abbeverarsi.

Quella mia dichiarazione non sembrò colpirla o forse era talmente brava da riuscire a nasconderlo veramente bene.

<<Chi pensi che l'abbia ucciso?>> Le sue domande piovevano una dietro l'altra senza alcuna esitazione, parlava con un'indifferenza fastidiosa, come se si stesse estraniando dai suoi stessi pensieri in quel momento.

<<No Keira, non te lo dirò.>> Fui categorico.

<<Dici di volermi aiutare ma io credo soltanto che tu voglia sabotarmi, senza dirmelo non saprò da chi difendermi.>> Non sapeva quanto si stesse sbagliando.

<<Non te lo dico perchè non voglio che tu basi le tue azioni su incertezze e supposizioni, per questo ti voglio aiutare, per darti certezze.>> Un risata le vibrò sulle labbra inumidite da quel vino costoso.

<<Io non mi baso mai su incertezze altrui ma su mie sicurezze, qualunque cosa tu mi dica farò comunque di testa mia.>> Lo sapevo bene, la sua testardaggine era senza eguali, nessuno poteva smuoverla dalla sua posizione quando si impuntava su qualcosa, ma le cose sarebbero cambiate.

<<Dunque è inutile che io parli.>> Il fatto che le tenessi testa la intrigava tanto che sul suo volto nacque un sorrisetto che mi attrasse, avrei desiderato che mi sorridesse di continuo per quanto in quel momento, quel sorriso voleva dire guai. Una valanga di guai.

<<Se te lo ordino tu lo fai.>> Mi credeva uno dei suoi sottomessi.

<<Così sarebbe tutto troppo facile, mia Regina.>> Le continue sfide tra di noi erano sempre state all'ordine del giorno.

Posò il calice e si alzò dalla sedia per raggiungere, con passi quieti e con un'andatura dolente, il tavolino su cui era poggiato lo Champagne e la busta nera che avevo adocchiato dal primo momento che avevo messo piede lì, la prese e poi si avvicinò alla ringhiera della terrazza dove la raggiunsi alzandomi dal tavolo.

<<Prima di accettare il tuo aiuto ci sono regole ben precise che dobbiamo fissare.>> Mi passò la busta che presi aprendola senza il minimo indugio per estrarre quello che scoprii essere un contratto, aveva stipulato addirittura un contratto prima di accettare il mio aiuto, rimasi incredulo.

<<Spero tu stia scherzando.>> Il mio era un gesto senza secondi fini, volevo soltanto aiutarla eppure lei ci vedeva sempre qualcosa di sbagliato dietro ad ogni mia azione, crescere in quel mondo l'aveva completamente cambiata, credeva di doversi proteggere costantemente da chiunque.

<<Oh sulle cose serie non scherzo mai tesoro.>> I miei occhi scorsero su tutta la lunghezza di quel foglio pieno di clausole e regole, mi sarebbero dovute servire ore per apprenderle tutte, ma se era così che voleva giocare allora dovevo riuscire a fare in modo che quelle regole soddisfassero anche me.

<<Ti do un giorno per leggerlo tutto, se lo firmerai sarò ben disposta ad accettare anche una sola tua clausola da aggiungere.>> Me lo sfilò dalle mani per poggiarlo di nuovo sul tavolino, poi si avvicinò così tanto che percepii i muscoli tendersi sotto la giacca di pelle che indossavo. Sapeva come manipolare un uomo, come portarlo a fare ciò che voleva lei, illudendolo di aver modo di controllare la situazione quando invece aveva in mano ogni cosa.

Ma io non ero come gli altri uomini che aveva avuto.

<<Se non firmi...>> Le sue mani accarezzarono il mio petto salendo su fino a cingermi il collo, quel contatto mi portò a stringere i pugni per non affondare le unghie nella sua carne.

<<Ti dovrai accontentare di questa sola notte.>> Mosse quelle labbra così lentamente che sentii il bisogno di ricordarmi della morbidezza di quegli spicci scuri, di assaggiarne l'aroma e intrecciarlo al mio fino a farla mia per una notte, un'intera nottata. <<Non fare finta che per te sia solo una notte Kei, lo so che guardandomi anche tu rivedi per un secondo il passato.>> Per non venir sottomesso dal suo controllo bisognava lasciare che ti dominasse mentre sottomettevi i suoi pensieri, a quel punto sarebbe stato il totale caos e lei avrebbe perso la testa. <<Non troverai mai due volte la stessa persona Mihai, neanche nella stessa persona.>> Le mie mani cinsero i suoi fianchi stretti arrivano a sfiorare la sua pelle lasciata nuda dalla scollatura sulla schiena, così liscia e calda da invogliarmi a toccare di più, sempre di più.

<<Allora cosa vedi quando mi guardi?>> Intrufolai due dita sotto al tessuto del suo vestito spingendo il suo bacino contro il mio, metterla in difficoltà era impossibile, aveva sempre la risposta pronta ad ogni domanda, eppure in quel momento si prese un secondo per guardarmi meglio come se mi avesse appena visto.

Poi per la prima volta semplicemente non rispose.

Si allontanò dal me per raggiungere la ringhiera di quella terrazza in totale silenzio, appoggiandovi le mani e rivolgendo lo sguardo al cielo, lasciandomi senza una risposta, con un punto di domanda impresso nella mente.
Avevo tolto le parole alla voce stessa.

Quella partita non era facile per nessuno dei due.

Dunque mi avvicinai anch'io al bordo della terrazza restandole dietro, divisi da pochi centimetri che bastarono a non farmi impazzire, il solo toccarla mi spegneva la mente.

<<Un'antica leggenda cinese narra che quando il Sole e la Luna di incontrarono per la prima volta, si innamorarono perdutamente.>> La sua voce mi parve distratta, pensierosa, dispersa lontano insieme alla sua mente anche se lei era ferma lì. <<A quel tempo il mondo non esisteva ancora, e quando Dio finì di crearlo volle abbellirlo con la sua luce, decise quindi che il Sole avrebbe illuminato il giorno e la Luna la notte, obbligandolo involontariamente a vivere per sempre divisi.>> Rivolsi anch'io lo sguardo in alto ammirando quel gigante lucente che ai nostri occhi pareva così piccolo, quando in verità eravamo noi piccoli al suo cospetto.

<<La luna ne rimase talmente addolorata, che disperata per quel terribile destino, iniziò a piangere a dirotto fino a diventare spenta e cerulea.>> Poggiai le mani sulla ringhiera imprigionandola tra le mie braccia, ma senza neanche sfiorarla per un secondo. <<Davanti a tanto strazio, Dio decise di dare una possibilità ai due innamorati e di lasciarli incontrare di tanto in tanto, fu così che nacque l'eclissi.>> La sua voce era una suave melodia che incorniciava quella storia. <<Oggi, Sole e Luna vivono nell'attesa di questo istante, l'unico momento che hanno per amarsi che è stato loro concesso.>> Un sospiro le vibrò sulle labbra. <<Lo splendore del loro abbraccio è così intenso che gli occhi non possono guardare perchè rimarrebbero accecati nel vedere tanto amore.>> Che un essere tanto spregevole come lei si lasciasse andare al racconto di una storia di due innamorati, mi lasciò sbigottito ma sentii che in fondo, ancora in lei vi fosse qualcosa di salvabile, proprio come ciò che avevo visto in me. Non eravamo completamente persi. <<Perchè me lo stai dicendo?>> Le scostai i capelli avvicinando il viso al suo collo per inalarne il profumo, sentire la fragranza della sua pelle che percepii rilassarsi sotto al mio respiro caldo. <<Perchè loro si sono dovuti accontentare, proprio come dovrai fare tu se firmerai quel contratto.>> Per un secondo capii che in qualche modo mi stava mettendo davanti ad un bivio, accettare e al tempo stesso accettarne le conseguenze o rifiutare e fare lo stesso ma con diversi fini.

<<Mi avrai ma mai per davvero, mi amerai dovendoti accontentare del poco tempo che ti concederò.>> Si voltò e quelle pietre blu tornarono nelle mie, cariche di una serietà così sincera che mi colpì, stava facendo sul serio, mi stava mettendo davanti alla realtà dei fatti se solo avessi posto la mia firma su quel contratto.

<<E se mi bastasse?>> Poggiai la fronte contro la sua accettando la sua mano che si posò sulla mia guancia per accarezzarmi, un gesto così in contrasto con la donna che fingeva di essere costantemente, in quel momento aveva indosso l'ennesima maschera.

<<Non ti basterà essere il mio amante, cercherai costantemente in me sentimenti che non esistono.>> Il suo respiro accarezzava la mia bocca iniettando in me in bisogno di assaporarla, lambiva le mie labbra di sospiri restando lontana di così poco che mi sarebbe bastato spingermi in avanti per averla.

<<Fai male Keira.>> Ringhiai sofferente a denti stretti sentendo l'ardore con cui anche lei desiderava quel contatto che stava temporeggiando ad arrivare.

<<Lo so, per questo stavolta sei tu a dover scegliere amore...>> Il mio respiro si fece più difficile, le sue parole mi arrivarono dritte nel petto come una fucilata.

<<Amami e muori o vattene e vivi.>>

Morire o vivere, con lei era sempre stato così.

Non vi era mai esistita una via di mezzo, in entrambi i casi il dolore era una conseguenza che andava accettata.

Quella donna era una coltellata al cuore che faceva bene come una carezza, quando poi ti rendevi conto di star sanguinando era già troppo tardi, ma in quegli istanti tra la vita e la morte eri stato così bene che neanche te ne importava.

E infatti a me non importava.

<<Probabilmente ti amo più di quanto penso per fare una cosa del genere.>> Sibilai furioso.

E quando le mie labbra si scontrarono con le sue, firmai la mia condanna a morte con il sangue.

Quel mare venne travolto da una tempesta che ne scandagliò le acque senza dargli tregua.

Ciò che credevo fosse ormai distrutto da tempo tornò a bruciare e ogni parte di me si lasciò sottomettere da quelle emozioni tanto contrastanti da far male, terribilmente male, ma per uno come me il dolore non era che vita.

Le mie mani cinsero il suo volto e le mie labbra si cucirono alle sue reclamando di più, sempre di più, ogni minima parte di lei che sarebbe arrivata a darmi senza neanche accorgersene, le occorreva soltanto del tempo e poi avrei vinto.

Quelle labbra morbide si schiusero dandomi libero accesso, e così, la mia lingua si intrecciò alla sua in un connubio che mi lasciò senza fiato, ma respirare con lei era inutile, non occorreva, come aveva detto: Amarla equivaleva a morire e io ero disposto a perderci la vita se sarebbe stata quella la mia condanna.

Le sue braccia cinsero il mio collo e le mie mani corsero ad impadronirsi di quel corpo impossibile che toccai fotografandone con la mente ogni curva, ogni linea, ogni tratto della sua perfezione.

I nostri movimenti si rivelarono frenetici e bisognosi, più tempo passavamo vestiti più l'agonia stava divenendo troppa da sopportare per entrambi, desideravo di divorare ogni centimetro di lei facendola mia senza alcun ritegno e ricordandole che ero l'unico ad averne la possibilità, ma all'improvviso mi ritrassi abbandonando quelle labbra gonfie. Entrambi avevamo il respiro corto.

<<Toglili.>> Le ordinai osservando come quelle sopracciglia ben curate si avvicinarono creando un solco tra di esse, ma non dissi altro lasciando che capisse, permettendole di arrivare dove la mia mente era già arrivata. E non ci volle molto, fu questione di secondi. <<Per questa notte ti accontento Kovacs.>> Su quel viso apparve un ghigno divertito che mi irritò a tal punto da invogliarmi a divorarle ancora quella bocca, ma prima attesi che lo facesse. Allontanò le mani da me per un istante, il tempo che le occorse per sfilarsi la fede e l'anello di fidanzamento. Le uniche due cose che la legavano ad un uomo che non ero io, oltre a quelli ero certo che non vi fosse altro che la accomunasse a lui.

Li poggiò sul tavolino dove vi era anche la busta e poi tornò da me, libera dal peso di un matrimonio che non doveva esserci mai stato ma che non avevo potuto fermare, uno dei miei più grandi rammarichi.

<<Soddisfatto?>> Mi stuzzicò sfiorandomi le labbra sporche del suo rossetto con l'indice, ma ancora mi serviva ben altro per poter anche solo pensare di esserlo, mi occorreva lei e ogni centimetro della sua anima per ambire a quello stato di idilliaca pace interiore.

<<Ancora no.>> Neanche un po'.

Le afferrai il polso e la strattonai facendola cadere sul divano lì accanto, un gesto rude e forse fin troppo crudele ma non avevo più pazienza, desideravo di toccare ogni parte di lei dimenticandomi chi eravamo, cosa avevamo fatto e perchè eravamo arrivati ad odiarci così tanto se la amavo più di me stesso.

<<Prima mi sposti la sedia per farmi sedere e poi mi getti sul divano come un animale, questi tuoi cambiamenti improvvisi mi eccitano.>> Lo leggevo nei suoi occhi che fosse veramente così. Lentamente si sistemò su quei cuscini muovendosi come un angelo sulle nuvole, peccato che lei era un angelo degli inferi, un demone del peccato. Ogni suo movimento era così dannatamente sensuale da farmi impazzire.

Si sedette poggiando i gomiti dietro di sé e poi aprì le gambe, quelle lunghe e toniche gambe da modella mostrandomi ciò che quell'abito mi aveva celato da quando ero arrivato.

Non sarebbe stato l'amore che provavo per lei ad uccidermi, ma lei stessa e il fatto che non me ne importasse era più spaventoso di quanto si potesse pensare.

<<Non sono più il galantuomo di un tempo mia Regina.>> Con lei le buone maniere non erano mai servite, voleva un uomo che la trattasse male a differenza di tutti i principini che le giravano intorno, qualcuno che non la trattasse come una piuma. <<Non ne sarei così sicura.>> Si passò la mano sul petto accarezzandosi la clavicola per raggiungere lentamente la spallina dell'abito e farla cadere, quest'ultima le scivolò lungo la spalla spogliando uno dei suoi seni a goccia. Quel corpo era una visione, lei era una visione.

Mi sfilai la giacca buttandola a terra con noncuranza e la raggiunsi, sovrastandola con il mio corpo che la costrinse ad appiccicare la schiena contro i cuscini. Poggiai l'avambraccio accanto al suo viso per non schiacciarla, mentre le sue gambe invece mi facevano spazio, lasciandomi sistemare lì, dove vi era il mio posto.

<<Non tocco una donna da dodici anni.>> Con la mano destra arrivai ad accarezzarle la coscia nuda stringendole la carne morbida e liscia, era dannatamente calda e mi stavo costringendo a non pensare quanto l'avrei trovata fradicia se solo fossi salito ancora un po' con le dita.

<<L'ultima che hai toccato sono stata io e la prima che ricomincerai a toccare sarò sempre io, è dannatamente allettante come idea.>> Non si sbagliava, aveva totalmente ragione e il solo pensarci era destabilizzante. Mi possedeva completamente, le appartenevo in tutto e per tutto e quella ne era l'ennesima conferma, non avevo mai desiderato nessun'altra al di fuori di lei, era assurdo.

<<Tu invece sei stata con altri e io non voglio essere uno dei tanti Kei.>> Le sue mani approdarono sulle mie spalle scendendo ad accarezzarmi i bicipiti, con movimenti lenti e delicati, mentre quelle unghie mi graffiavano la pelle di desiderio.

<<Come puoi essere uno dei tanti se sei stato il primo?>>


SPAZIO AUTRICE:

So che ultimamente non sto mantenendo la parola data, questo capitolo è in ritardo di due giorni ma gli impegni ultimamente iniziano a farsi più frequenti e non riesco a gestire il tutto, ma spero che questo capitolo riesca a farmi perdonare. Anche se come al solito vi sto lasciando in bilico, visto che nel prossimo capitolo vi attende il seguito di questa intensa nottata. ;)

Cosa ne pensate?

In ogni caso se la storia vi è piaciuta, se vi va potete lasciare una stellina e scrivermi un bel commento, vi ringrazio per la lettura e al prossimo capitolo.

Ciauuuu <3

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