CAPITOLO 40

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KEIRA

Oggi...

Camminavo a passo deciso lungo il corridoio di quell'enorme e infinito palazzo formato da decine e decine di corridoi che in un paio di giornate di lavoro ormai avevo imparato a conoscere, lo aveva fatto costruire mio padre e la distribuzione degli ambienti non si allontanava poi molto da come erano distribuite le aree della nostra villa.

Aveva usato la stessa mentalità modernista ma anche centralizzata sulla comodità, quella era la sede centrale della sua Holding ciò voleva dire che quando arrivava a far visita per i suoi soliti controlli, doveva potersi muoversi agilmente. Ad esempio aveva distribuito gli uffici in ordine di grado ed importanza, al piano terra e ai tre piani sopra ad esso vi erano i dipendenti con i compiti meno importanti, salendo poi di piano in piano si raggiungeva la gente che contava veramente, fino ad arrivare ai due uffici più importanti.

Quello di mio padre e il mio che avevo sistemato alla perfezione.

L'avevo prima raso al suolo e poi riarredato a mio piacimento togliendo dalla porta il nome di mio marito per metterci il mio, ma per non farlo sentire escluso non avevo fatto incidere solo "Keira Martin", avevo fatto scrivere: "Keira Martin Wilson", lo avevo trovato un gesto romantico, o per lo meno per il mio cinismo era il massimo a cui si poteva ambire quando mi si chiedeva un minimo di dolcezza.

L'ufficio era enorme, proprio come quello di mio padre, ma con una goccia di gusto estetico in più, ero pur sempre una donna.

Al centro vi avevo posizionato la mia enorme scrivania in vetro, con sopra tutto l'essenziale. Un computer fisso di ultima generazione, un portapenne ricolmo di roba, la boccetta del mio profumo appoggiata proprio accanto e il mio rossetto preferito subito dopo. Insomma, il necessario per la mia sopravvivenza.

Il resto l'avevo infilato nei cassetti sottostanti. Una spazzola, qualche preservativo che non guastava mai, un paglio di assorbenti, uno specchio e altre cose perfettamente sistemate.

Ai muri avevo fatto appendere i quadri contenenti alcune delle più prestigiose copertine di moda per la quale avevo posato e con alcune, intendevo all'incirca una ventina, e qualche mensola su cui avevo fatto sistemare tutti i faldoni di documenti che nel giro di qualche ora avevo già sfogliato, studiando gli andamenti della borsa.

Le cose da quelle parti andavano davvero egregiamente, ma con me sarebbero andate ancora meglio, se solo non avessi scoperto degli scandali familiari che avrebbero attirato la mia attenzione, ad esempio ciò per la quale avevo già iniziato a indagare con disinvoltura. Senza destare perplessità.

Di fronte alla parete dirimpetto a quest'ultima, vi era la scrivania della mia assistente, Mya, decisamente più piccola della mia ma solo per questioni di spazi, non di gradi di importanza.

Mya era una ragazza dalle eccellenti doti che però doveva ancora fare piuttosto pratica nel mondo degli affari, l'avevo assunta subito dopo la mia stessa assunzione ed era il suo primo incarico come assistente del capo, un compito grosso, soprattutto perchè venirmi dietro voleva dire azzerare la propria esistenza per rendere ancor più impeccabile la mia. La mia vecchia assistente l'avevo licenziata invece, nuovo lavoro, nuova assistente, era matematico come ragionamento. Non ero crudele, semplicemente mi piaceva cambiare aria ogni tanto, e quello forse era anche il motivo delle tante case che avevo fatto costruire sparse per il mondo. Mi muovevo da Los Angeles di rado ma comunque, sapere di avere dove scappare era liberatorio.

In quella giornata avevo dovuto assistere ad un paio di riunioni decisamente fin troppo lunghe per i miei gusti, ma più tempo passavo tra quelle mura più avevo imparato a conoscere anche il metodo che utilizzavano per lavorare da quelle parti. Nessuno parlava mai, se non con me o con mio padre, tutti lavoravano e non staccavano la testa dai computer o dai documenti se prima non avevano concluso i propri incarichi, all'ora di pranzo si alzavano tutti e come tante formichine ordinate raggiungevano l'area di ristoro per la pausa pranzo. Durava un'ora precisa. Dall'una alle due ed erano così precisi, che alle quattordici in punto tutti erano già riseduti alle proprie postazioni. Sapevano bene che lavorare in quella Holding era un grande onore e mio padre li aveva addestrati bene.

Painful melody Where stories live. Discover now