CAPITOLO 7

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KEIRA

Dodici anni prima.

Non ne conoscevo il motivo ma non riuscivo a togliermi dal viso il sorriso fiero che mi increspava le labbra da una decina di minuti, sapevo solo che mi piaceva da matti la sensazione che quest'ultimo mi infondeva in corpo facendomi sentire leggera, tranquilla, veramente felice per una volta. Non era uno di quei sorrisi finti che mi stampavo in volto per apparire perfetta davanti alle telecamere, non era imposto da mia madre per farmi vedere assolutamente spensierata ad ogni intervista di famiglia. Era così genuino che appunto, non riuscivo più a togliermelo dal viso. Ed era bello, dannatamente bello, non avevo mai sorriso così.
Quella sensazione di leggerezza mi prendeva ogni muscolo, mi rilassava i nervi permettendomi di godere dell'emozione immensa di viversi davvero un momento senza dover pensare al resto ed era strano perchè non ero ubriaca. Ero semplicemente felice.
Mio fratello al mio fianco ancora rideva per ciò che aveva visto sporgendosi dal finestrino, e probabilmente quel suo comportamento non faceva altro che sorreggere la mia allegrezza donandomi un sollievo che non avevo mai provato. Mi sentivo forte, sicura.
Non avevo mai parlato poi tanto con dei ragazzi che non fossero figli di imprenditori o futuri banchieri, quel genere di uomini erano praticamente fissati solo sul lavoro, sul guadagnare il più possibile e su un futuro ricco di bambini. Era ancora nuovo per me rapportarmi con gente diversa da ciò a cui ero abituata giornalmente, finalmente potevo sentirmi la ragazza di sedici anni che ero e non una donna cresciuta troppo in fretta a cui avrebbero presto occupato il dito con un anello che non volevo. Quella sera mi sentivo me stessa e volevo vivermi quella ragazza con ogni sua sfumatura, volevo comandare, farmi rispettare, divertirmi e gioire come facevano tutte a quell'età. Potevo? Probabilmente no, ma quella sera mi sentivo libera da ogni catena che mi ancorava al mio personaggio perfetto di celebrità, volevo sentirmi imperfetta cavolo, anche sbagliata sì, volevo sbagliare.
E paradossalmente quel pallone gonfiato di Kovacs mi stava permettendo di esserlo a pieno, con lui mi sembrava così facile mostrarmi per come ero che quasi mi sconvolgevo da sola, era insopportabile con quel fare da spaccone ma era dannatamente bello fronteggiare ogni sua sfida. Mi stava mettendo alla prova, mi era chiaro ma non ne capivo il motivo. Mi aveva fatto dare la sua felpa pensando che non mi accorgessi del piccolo particolare che invece era sua e non del fratello. Non sapevo se prendermela perchè mi credeva così stupida o riderci sopra perchè in fondo mi divertiva smontare ogni sua convinzione. Ma nulla avrebbe rovinato quella sensazione che mi stava facendo volare a due metri da terra.
All'inizio volevo far finta di niente, non volevo vederci un secondo significato in quel suo gesto, ma poi mi sono detta che, cavolo se lui si divertiva così a tentare di mettermi in difficoltà perchè io non potevo fare lo stesso? Così non salii nemmeno in macchina che subito raggiunsi ilsuo finestrino per restituirgliela, poi ciò che gli dissi mi sfumò dalle labbra con una naturalezza che aveva lasciato senza parole persino me oltre a lui. Non credevo di essere così sciolta nel parlare ad un uomo di cose che non fossero piani futuri o il numero di zeri del conto in banca, eppure più mi guardava sorpreso più mi spingevo a essere sempre più arrogante. Lo avevo afferrato per la maglia cazzo, avevo tirato il suo viso ad un soffio dal mio viso e non sapevo come avevo fatto a mettere in fila tutte quelle parole senza distrarmi. Era bello, dire il contrario sarebbe stato mentire, aveva quell'aria più virile con i capelli sciolti e bagnati che ancora profumavano del suo shampoo, la leggera barbetta che avevo accarezzato sentendone la ruvidità con le dita. Mi intrigava e poi il fatto che avesse pensato a darmi la sua felpa per non farmi gelare mi aveva addolcita un po', mi piacevano i gesti carini, quelle piccolezze che in pochi coglievano.
Forse era la convinzione che tra noi due non ci sarebbe mai potuto essere niente a spingermi ad esagerare e allontanarmi dalla mia zona di comfort, dovevo sposarmi e non ci sarebbe stato spazio per una relazione, che tanto prima o poi sarebbe dovuta finire, nella mia vita. Mi stavo solo divertendo a stuzzicarlo un po' e poi volevo vedere dove voleva andare a parare con quel suo giochino nascosto.
Voleva mettermi alla prova? Non mi tiravo mai indietro davanti ad una sfida, gli avrei dimostrato di non saper perdere, avrei superato ogni sua prova cambiando l'idea che si era fatto di me e poi sarebbe finita lì, volevo solo giocare. Era infantile forse, ma non avevo mai saputo cosa voleva dire divertirsi davvero e mi piaceva ciò che si celava dietro a quella sola parola.
Prima di scendere dalla macchina, quando Henry la fermò fuori da quello che credetti essere il loro bar abituale, dal fatto che senza neppure mettersi d'accordo sulla destinazione entrambe le macchine avevano raggiunto la stessa meta, mi infilai il giaccone di mio fratello e combattei il freddo vento che tirava quella sera avvolta nel suo calore.
Henry si distaccò per raggiungere gli altri due uomini che si stavano già avviando verso l'entrata del bar, mentre Stef mi corse in contro, traballando un po' su quei tacchi a spillo che portava per avvolgermi un braccio intorno alle spalle strillando felice, avevo sorpreso anche lei ed era esilarante vederla così pimpante in quel momento mentre seguivamo gli altri tre verso la porta del locale.
<<Tesoro tu sei un portento.>> Scandì fiera aprendomi per gioco la porta come a voler assomigliare a uno dei portieri in quei ristoranti di classe dove ero solita cenare. <<Penso di non aver mai riso così tanto in tutta la mia vita, dovevi vederlo, sembrava un pesce lesso dopo che te ne sei andata.>> Il locale dentro era molto minimale e semplice, c'era qualche tavolo in legno dove alcuni uomini giocavano a poker, un tavolo da biliardo e il bancone del bar contornato da qualche sgabello alto dove un ragazzo sui venticinque anni stava già prendendo l'ordine dei tre ragazzi. Birra per tutti, era quello il piano e a me non dispiaceva per niente riassaporare quella bontà commerciale.
Prese le birre ci sedemmo ad uno dei tavoli tondi di quel locale, si respirava un'aria a me sconosciuta, era tutto così rude e scombinato che mi sembrava di star sedendo in un altro pianeta così lontano dal mio, e mi piaceva proprio per quello. <<Dai su brindiamo.>> Propose Henry alzando in aria il suo boccale schiumoso portandoci a fare lo stesso attendendo che fosse lui stesso a dare un nome alla serata. <<Un brindisi alla nostra star e ad altre mille serate così!>> Scontrammo il vetro dei cinque boccali ripetendo le parole di mio fratello con la quale concordavo pienamente, non ero pronta a dire addio a serate del genere, avrei voluto vivere altre cento serate estasiata da quella sensazione di libertà. Mi portai l'enorme bicchiere alla bocca e presi un sorso di quel liquido ambrato che mi fece venire i brividi, era anche più buona di quella che avevo bevuto poco prima al concerto. Ma quando lo riappoggiai sul tavolo sentii i loro occhi addosso seguiti dalle loro risate divertite. <<Che c'è?>> Domandai sentendo di non capirne il motivo, mi guardai intorno cercando di trovare il motivo delle loro risate ma non notai nulla di strano, che stessero ridendo di me? Che avevo fatto? <<Kei hai i baffi della birra.>> Mi informò la mia amica seduta di fronte a me mentre stringeva la mano di Alexei poggiata sul tavolo, confusa però presi il telefono per specchiarmi sul display spento notando che la schiuma della birra mi contornava il labbro superiore. Inconsciamente mi portai una mano alla bocca prendendo un tovagliolo per ripulirmi, ma Mihai mi bloccò la mano prima di farmi prendere il fazzoletto. <<Non siamo nel tuo regno di perfettini ragazzina, i baffi della birra si leccano, non si puliscono, della birra non si spreca niente.>> Alexei prese un lungo sorso di birra sporcandosi come me per mostrarmi come si faceva provocandomi un risatina, difatti come aveva detto il fratello, si passò la lingua sul labbro superiore ed io feci lo stesso imparando che persino in qualcosa di tanto semplice si nascondevano delle tradizioni. <<Certo che comunque dev'essere stressante però dover sempre seguire le regole che vi impongono i vostri genitori, io non sopporterei di dover pensare continuamente ad essere elegante e composta.>> Stef aveva ragione, era stancante dover sottostare a quelle regole di buona educazione persino tra le mura di casa ma per me era ormai naturale comportarmi così, ero stata cresciuta in quel modo quindi contrariamente a loro io non conoscevo altra maniera. <<Infatti io non le ho mai sopportate.>> Le confermò mio fratello ed era così, non mentiva, lui era sempre riuscito a sfuggire alle rigide regole di nostra madre e lo invidiavo per questo, io non ero mai riuscita a dirle di no o a farmi rispettare andando contro al suo volere. <<Non è poi così stressante alla fine, ci si fa l'abitudine.>> Rimanere sempre composti, con la schiena dritta e le gambe mai accavallate perchè simboleggiavano una sfacciataggine maleducata secondo Odette, usare un bicchiere di verso a seconda di ciò che si beveva o a forchetta diversa ad ogni portata del pranzo o della cena. Erano tutte piccolezze a cui lei teneva molto però. <<Una sola volta sono venuta a cenare da te e tua madre mi stava per uccidere quando avevo per sbaglio usato la forchetta del primo anche per il secondo.>> Quel ricordo mi fece sorridere, ricordavo bene quella sera, vede Stefany così spaesata davanti alla moltitudine di posate che le cameriere le avevano posto davanti mi fece ridere a crepapelle, sembrava nel panico ma alla fine se ne era bellamente fregata. <<Cioè è seriamente come nei film? Avete una forchetta diversa per tutto?>> Annuii alla domanda esterrefatta di Alexei che mi guardava come se fossi una specie di alieno appena atterrato sulla terra, era tanto da ricordare all'inizio ma persino quando a volte cenavo da sola a casa, mi veniva naturale prendere la posata giusta per ogni cosa. <<Dev'essere disumano allora per te bere una birra in un bar sudicio.>> Commentò divertito il biondo seduto al mio fianco cercando di mettermi in difficoltà in ogni modo possibile, mi credeva la ragazza perfettina che mostravo di essere al mondo intero e non lo biasimavo, probabilmente tutti lo credevano di me ma la verità era tutt'altra, si sbagliavano. <<Ti sbagli, sono una persona che ama le novità.>> Mi sfilai la giacca di mio fratello appendendola allo schienale della sedia sentendo di non averne più bisogno, si stava bene lì dentro, c'era un bel tepore nell'aria ed io iniziavo persino a sentire caldo. <<E sentiamo qual è lo strappo alla regola più grande che hai mai fatto?>> Voleva in tutti i modi farmi passare per ciò che non ero ma fra le cose che possedevo vi era anche la parlantina sempre pronta anche se mi presi un attimo per pensarci, la verità era che non avevo mai fatto nulla che andasse contro alle regole dei miei. Eccezion fatta per una volta. <<Stasera, non potrei essere qui.>> Alexei rise sorpreso mentre mio fratello e Stef ne erano già ben coscienti, mi conoscevano bene, non ero una santarellina ma non mi piaceva far arrabbiare i miei genitori, così semplicemente rispettavo il loro volere. Tranne quella sera. <<Ti stiamo portando sulla cattiva strada allora Keira.>> Non la vedevo così ma in un certo senso Alex non mentiva, loro erano lo strappo alla regola a cui avevo acconsentito di partecipare ma non me ne pentivo affatto, se non fossi voluta stare lì con loro avrei chiesto a mio fratello di portarmi a casa molto tempo prima. Ma mi piaceva la loro compagnia.
Il braccio di Henry mi avvolse le spalle nude ed io mi appoggiai contro il suo petto con il mio bicchiere di birra tra le mani, fin quando avevo lui accanto, del resto non mi interessava. <<La mia sorellina è solo troppo buona, farebbe di tutto per la nostra famiglia.>> Ed era vero, in casa non si respirava l'affetto che solitamente si ispirava nelle altre, io volevo soltanto che la nostra rimanesse una famiglia unita, se anch'io mi fossi schierata contro ai nostri genitori, quel sottilissimo legame che ancora ci teneva uniti si sarebbe spezzato. <<Oh, siete così carini voi due, anch'io vorrei avere un fratello.>> Asserì sognante la mia migliore amica guardando me e mio fratello, era figlia unica e spesso avevo notato nei suoi occhi il rammarico di non aver mai potuto vivere un rapporto del genere. Io non avrei mai potuto vivere senza Henry, e non lo nascondevo, era una parte di me quel ragazzo. <<Hai me moretta, di che ti lamenti?>> Mihai le tirò un pizzicotto sul fianco facendola sussultare dal dolore, avevo notato la loro affinità, si conoscevano già da un po' visto che Stef frequentava Alex da diversi mesi e facevano morire. Si stuzzicavano proprio come facevamo io e mio fratello, ed era bello vedere che la mia amica potesse contare su persone così. <<Ti taglio le mani se lo rifai.>> Lo fulminò tirandogli una sberla sulla mano che ci fece ridere tutti, bisticciavano come due bambini, lui la infastidiva e lei rispondeva di conseguenza. <<Prima le palle, ora le mani, se continuiamo così non ne rimarrà poi molto di me.>> Con il sottofondo del loro litigio, iniziai a guardarmi intorno mentre sorseggiavo la mia birra con tranquillità tra le braccia di mio fratello esaminando come tutto ciò fosse effettivamente diverso dalla mia comune normalità. Era tutto più rustico e casereccio ma mi piaceva, ognuno si faceva gli affari propri e a nessuno importava di ciò che faceva l'altro, ero cresciuta in un mondo dove i pregiudizi altrui erano all'ordine del giorno, mentre lì potevi fare e dire tutto ciò che ti andava tanto non sarebbe importato a nessuno. Posai il boccale di birra per tastare le tasche della giacca di mio fratello dove avevo infilato un pacchetto di winston blu, non avevo mai potuto fumarmi una sigaretta in giro per non rischiare di essere fotografata da qualcuno ma lì nessuno mi avrebbe vista, anche se fossi uscita a prendere una boccata d'aria e a farmi qualche tiro non sarebbe stato un problema per nessuno cavolo!
<<Vado a fumarmi una sigaretta.>> Mi infilai di nuovo la giacca di Henry e mi alzai dal tavolo per avviarmi verso l'uscita, spinsi la maniglia in metallo e aprii la porta, il mio viso venne investito immediatamente dal frescore dell'aria così istintivamente mi strinsi il giaccone addosso per rimanere al caldo. Intorno al locale vi era poco e niente, oltre al parcheggio vi era la strada dove ogni tanto passava qualche auto, e quella sorta di pace mi calmava. Poggiai la schiena contro al muro del bar per sfilare dal pacchetto una sigaretta e l'accendino che avevo incastrato dentro per portarmela alle labbra e accenderla, coprii la fiamma con la mano per proteggerla dall'aria percependone il calore sul palmo, la sua fiammella dalla scarsa intensità mi illuminò il viso per qualche istante fino a quando non la spensi infilando nuovamente l'accendino e il pacchetto in tasca per stringere la sigaretta tra due dita. Un tiro e quella pace si rivelò un vero e proprio paradiso. Neppure quando presi il cellulare e lo accesi notando la moltitudine di chiamate di mia madre riuscii a innervosirmi, non mi importava di ciò che sarebbe potuto succedere una volta arrivata a casa, in quel momento io non ero la figlia di Odette Allen Martin e Christian Martin, ero semplicemente Keira. Non sarebbe riuscita a strapparmi da quella quiete. <<Problemi in vista reginetta?>> Non mi serviva alzare lo sguardo dal cellulare per riconoscere la sua voce, era l'unico a risultare alle mie orecchie tanto spavaldo, e quando spensi il telefono per riporlo di nuovo in tasca non ebbi altro che conferme trovandolo seduto sulla panchina arrugginita ad un passo da me. Se ne stava stravaccato con le gambe divaricate e lo sguardo fisso su di me, mi sorrideva e per una volta mi sembrava soltanto tranquillo, rilassato. Così decisi di ammorbidirmi un po', non mi andava di passare per quella scostante e burbera. <<E' solo mia madre che non vede l'ora di farmi una bella strigliata.>> Era la prima volta che andavo contro al suo coprifuoco tardando fino a quell'ora fuori casa, non ero mai stata fuori la sera e visto che tanto ormai era fatta e non si poteva più tornare indietro, non sarei corsa a casa per farmi punire, volevo rimandare di secondo in secondo. Presi una boccata di fumo soffiandola nell'aria, la nuvoletta grigiastra disegnò onde armoniose nel cielo, espandendosi lentamente fino a scomparire, ogni volta ne rimanevo ammaliata. Come poteva nascondersi qualcosa di tanto morbido e armonioso in qualcosa di così sbagliato come fumare? Mi piaceva quel continuo dubbio.
<<Dovresti tornare a casa magari, si starà preoccupando.>> Sembrava sincero eppure non riuscivo a prenderlo seriamente, era così strano sentirgli dire una cosa simile che mi sfuggì una sottile risata che mi increspò le labbra per svariati istanti. Quella donna non si preoccupava mai se non di sè stessa e della sua immagine, non avrebbe di certo rovinato quel suo viso perfetto con delle rughe scavate dall'ansia, la conoscevo bene, sapevo che era probabilmente solo arrabbiata. Non sopportava di essere contraddetta.
<<Io non sono mai stata una sua preoccupazione, quando tornerò a casa mi rinchiuderà in camera mia per giorni non avendo poi molto da togliermi e io sinceramente ora come ora non ci voglio pensare.>> Non possiedevo nulla di così importante che lei potesse sottrarmi così semplicemente sarebbe passata alle maniere forti, era già successo qualche volta che per qualche mio errore anche stupido e banale lei mi punisse così. Mi rinchiudeva in camera mia senza darmi da mangiare, per lei quello mi sarebbe solo servito a rimanere magra e in forma mentre riflettevo su cosa avevo sbagliato, ma io avevo il nonno. Colin le andava contro su tutto quando si parlava di me, difatti trovava sempre un modo per portarmi il pranzo o la cena senza farsi vedere da nessuno. <<Addirittura? Sembra più un campo di concentramento che una casa la tua Martin.>> Presi un altro tiro scostando la schiena dal muro per avvicinarmi e prendere posto al suo fianco, la mia pelle rabbrividì quando mi sedetti su quella panchina gelida così mi tirai la giacca un po' più giù per non congelarmi le natiche. <<Ti stupirebbe sapere che persino nel mio paradiso vi sono le carceri Kovacs.>> Era tutto tranne che perfetta la mia vita, e per quanto scontato e stupido potesse sembrare, avrei fatto volentieri a cambio con chiunque pur di potervi scappare. Lasciai cadere a terra la cenere della sigaretta dandole un piccolo colpetto con l'indice ma quando feci per riportarla alle labbra lui me la tolse di mano per buttarla sul cemento e schiacciarla con la suola della scarpa. <<Ehy, non l'avevo ancora finita.>> Mi lamentai contrariata inizialmente fissando la mia povera winston blu ancora a metà ormai rovinata, e secondariamente lui per trucidarlo con lo sguardo che però non fece altro che divertirlo. <<Non fa bene fumare, è da stupidi.>> Non mi stupì per niente il fatto che ancora una volta mi trovavo in disaccordo con lui sul finale di quella affermazione, che non facesse bene era ovvio ma non era da idioti farlo, io lo vedevo quel concetto sotto tutt'altra prospettiva. Sapevo che mi avrebbe ucciso, ma alla fine tutti saremmo andati incontro alla morte quindi, se proprio dovevo morire, avrei deciso io stessa come farlo. <<Se sei venuto per farmi la ramanzina puoi tornare dentro, non ho bisogno di un'altra persona che mi dica cosa fare o non fare.>> Ne avevo già abbastanza di persone nella mia vita che perdevano tempo a ripetermi cosa fosse giusto fare e cosa invece non lo era affatto, di certo non avevo bisogno che anche lui me lo ribadisse. Eppure la mia rabbia non faceva altro che divertirlo. Non smetteva un secondo di guardarmi e per quanto mi innervosissero le due gesta, i suoi occhi erano così puliti che mi portavano a sorridere. Mi guardava e basta, con il sorriso stampato il viso che mi fece ridere dimenticando il fastidio celato dal suo gesto maleducato.
Lo guardai e risi, risi di cuore tanto che il suo sorriso si ingrandì sempre più anche se non conosceva il motivo delle mie risa. <<Perchè ridi?>> Sogghignò confuso rapito dal mio ridere, ma il vero motivo neppure io lo conoscevo, ero così felice che anche solo quel suo gesto stupido o quei suoi occhi giocosi mi facevano sorridere. <<Dev'esserci un motivo per ridere? È così bello quando è spontaneo e insensato.>> Non potevo dire verità più sincera, era tutto più bello quando si affrontava con leggerezza qualcosa, con quel brio di scherzosità che riappacifica tutti i sensi. <<Când râziești și mai frumoasă.>> Gradualmente smisi di ridere ma il sorriso non mi abbandonò più, poggiai la schiena contro allo schienale della panchina voltando il viso verso di lui trovandolo già a guardarmi. Non smetteva mai, sembrava avere il bisogno di instaurare un contatto visivo. <<Posso sapere cosa hai detto o è un segreto?>> Sembrava voler celare le sue parole dietro alla sua lingua madre, come se il peso fosse stato tanto importante da non avere il coraggio di dirlo in maniera comprensibilebile ma alla fine era divertente cercare di capirlo dalla sua espressione. Era un mistero continuo, ogni sua azione, ogni sua parola. <<Mai avuti segreti reginetta, adoro solo vederti così confusa quando non mi riesci a capire.>> Mi strinsi la giacca intorno al corpo coprendo per bene le cosce nude, faceva freddo e per quanto le sue parole mi distraessero da quel fattore, i brividi che mi accarezzavano la pelle erano difficili da non sentire. Si era infilato di nuovo la felpa che mi aveva dato poco fa ma d'un tratto se la tolse di nuovo concedendomi qualche istante per osservare meglio il suo fisico. Sotto portava una semplice maglia bianca, le maniche corte però delineavano alla perfezione i bicipiti gonfi mentre la stoffa si piegava su quei pettorali marmorei impossibili da non notare. Era ben allenato ma contrariamente allo stereotipo che avevo dei ragazzi come lui, aveva le braccia interamente segnate da colonne di tatuaggi il cui significato era a me ancora sconosciuto. Linee sottili e altre invece più spesse, erano un intreccio di disegni e segni che non capivo ma nessuno di loro era colorato, non vi era colore in quel male di corvino così in contrasto con il celeste dei suoi occhi e il biondo dei suoi capelli lunghi ormai asciutti e ben legati. <<Poggia le gambe sulle mie cosce.>> A quella richiesta ben imposta con gentilezza rimasi stordita, non riuscivo mai a capire cosa gli passasse per la testa, sapevo solo che per quanto poco ci conoscessimo era dannatamente facile parlare o essere semplicemente me stessa con lui. <<Hai uno strano modo di rimorchiare le donne Kovacs.>> Stringendo quel pezzo di stoffa appallottolato tra quelle sue mani grandi da chitarrista, rise scuotendo il capo, non vi era malizia nei suoi gesti e questo mi tranquillizzava. <<Dai scema, non mordo mica.>> Curiosa di capire cosa volesse fare, alzai i piedi da terra per sdraiare le gambe sulle sue cosce toniche avvolte da dei semplici jeans neri voltandomi interamente verso di lui. Stese per bene nell'aria il suo indumento e poi me lo avvolse intorno alle gambe con cura annullando il gelo da cui ero sottomessa lasciandomi senza parole. Pensava sempre a tutto ed era così attento a stupirmi. Persino nel toccarmi non vi era un secondo fine, mi coprì soltanto poggiando poi le mani sulle mie cosce una volta fatto. <<Sai, sei imprevedibile.>> Commentai mentre mi avvicinavo un po' di più sentendomi ben accolta dal suo calore, la sua felpa era calda intorno alle mie gambe gelate e i suoi modi più gentili di qualche istante prima mi spingevano a essere di rimando più buona con lui. Era proprio vero, i pregiudizi erano una brutta bestia. <<Non so se prenderlo come un complimento.>> Ironizzò sminuendo il suo gesto, persino nel mio mondo di perfettini vi erano pochi a cogliere dettagli così futili e microscopici, aveva capito che avevo freddo senza che io glielo dicessi nemmeno, all'apparenza rude e scorbutico mentre poi in realtà era un gentiluomo. <<E invece lo è, riesci a stupirmi.>> Non mentivo, era riuscito a sorprendermi con poco, amavo i gesti come quello mentre per lui sembravano così semplici e ovvi che non sembrò capire a pieno il mio complimento. <<Mi piace solo trattare le donne come vanno trattate.>> E ancora, minimizzò il suo gesto mentre probabilmente inconsapevolmente mentre mi guardava, accarezzava con i pollici le mie gambe nascoste sotto il suo indumento, nelle sue carezze vi era solo gentilezza, mi toccava con bontà e questo lo autorizzava a continuare. Soprattutto perchè mi rilassava sentirlo.
<<Quindi sei un tipo da coccole e fiori?>> Lo punzecchiai facendolo ridere di nuovo. <<Ora non esageriamo, non sono così smielato, credo solo che una donna necessiti di attenzioni e a me piace donar loro ciò che vogliono.>> Era così genuino mentre rideva che non riuscivo a non guardarlo, attirava con quel suo sorriso solare tanto che mi sembrava di non vedere neppure più il ragazzo arrogante di poco fa, sembrava aver abbandonato l'ascia di guerra per potersi aprire a me. <<Allora perchè hai voluto mettermi alla prova?>> Non trovavo un senso a quel comportamento, potevamo benissimo essere amici mentre lui cercava sempre di sfidarmi senza un buon motivo, e per quanto questo mi intrigava, mi sarebbe bastato capire dove volesse andare a parare. <<Sembra più un interrogatorio reginetta.>> Quei suoi occhi oceano incontrarono di nuovo i miei ma quelle sue parole le trovai semplicemente come una scusa per temporeggiare, aveva due iridi oceano, cristalline con striature più scure come quelle di un mare in tempesta, rapivano e attiravano a sè, tanto che non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo neppure per un secondo solo. <<Dai rispondimi.>> Era vero che forse lo stavo riempiendo di domande ma ero così curiosa di conoscere cosa si celasse dietro a quella sua maschera da arrogante e spavaldo per provare a capirlo almeno un po'. <<Beh non faccio sempre così, ma stavolta volevo capire se potevi interessarmi.>> E di nuovo, rimasi sorpresa dalla sua astuta sincerità, si esponeva senza alcun timore ammettendo ogni cosa senza inibizioni come se fosse tanto sicuro da non dare importanza a possibili conseguenza e invidiavo quel suo lato così estroverso. Eppure a quelle parole ridacchiai, doveva capire se potevo entrare nei suoi standard e a quanto pare li avevo superati tutti o non sarebbe stato lì con me a parlare, ma a me non interessava poi molto soddisfare le sue aspettative, non ero in cerca di un uomo. <<E a che conclusione sei arrivato?>> Assottigliai lo sguardo mettendolo stavolta io in sfida tentando di afferrare qualche sua reazione, volevo vedere dove la sua sincerità era capace di spingersi, ma era così deciso e diretto che neppure una domanda spinta come la mia fu capace di destabilizzarlo. Mi guardò fissa negli occhi lasciando arricciare un angolo delle sue labbra, non so quanto avrei dato pur di capire cosa gli passasse per la testa, ma fu lui stesso a lasciarmi entrare senza problemi. Non aveva nulla da nascondere. <<Ti voglio rivedere.>> Mormorò appoggiando i gomiti sulle mie gambe per sporgersi meglio verso di me, la sua voce fu come una carezza di piacevoli brividi lungo tutto la schena. Ci conoscevamo da pochissimo, eppure era così semplice potergli parlare, soprattutto perchè non aveva paura di dire le cose come le pensava. <<Mi spiace deluderti Mihai, ma ho paura che questa sarà la prima e l'ultima volta.>> Lui era un personaggio alquanto conosciuto ed io probabilmente lo battevo persino su quel fronte, farci vedere in giro insieme avrebbe solo alzato un polverone inutile che io non avevo voglia di attraversare. Un uomo al mio fianco avrebbe fatto dubitare la gente, sapevano tutti che ero già promessa ad un altro uomo e a me non andava di far imbizzarrire gli animi. <<Forse non hai capito ragazzina che se io voglio qualcosa me la prendo.>> Sussurrò portando il viso ad un palmo dal mio, quella sua insolenza mi fece ridere e i suoi occhi caddero proprio sul mio sorriso che irrimediabilmente fece increspare anche gli angoli delle sue labbra carnose. Non ero abituata a quella sfacciataggine, ma in lui mi divertiva alquanto. <<Anche se non è tua?>> Stetti al suo gioco lasciando che mi accarezzasse quando alzò una mano per incastrarmi una ciocca di capelli dietro all'orecchio, il suo tocco era dolce, cauto e accompagnato da una gentilezza che ormai avevo riconosciuto in ogni suo gesto. <<Soprattutto, trovo sia più intrigante sottrarre ciò che voglio agli altri per farlo solo mio.>> La sua mano non abbandonò più il mio viso e dove il suo tocco era ancora vivo la mia pelle bruciava, quei suoi occhi cerulei mi accarezzavano le labbra come faceva il suo pollice mentre mi sfiorava quasi timidamente il labbro inferiore. Sentii la pelle d'oca attraversarmi fin sotto alla pelle, ogni suo sguardo o tocco filtrava fino alle ossa intorpidendo ogni mio muscolo o movimento. Ero affascinata dal suo calore, e dal ondeggiare furioso di quei suoi oceani innervositi dal desiderio.
<<Nici nu știi cât de mult vreau să te sărut.>> Le sue labbra erano come onde morbide che sfioravano le mie ad ogni parola a me sconosciuta, le sentivo potenti contro la mia bocca eppure erano ridotte ad un misero sussurro che ci distanziava con un solo sospiro dal toccarci. Allora mi spinsi ad alzare una mano per sfiorargli la barba ispida, era pungente sotto le punte delle mie dita, un campo di spine che mi impediva di sentire la sua pelle liscia. I nostri sospiri concitati si avvolgevano l'uno all'altro in un richiamo continuo, non avevo mai baciato un uomo prima d'ora ma in quel momento lo desideravo così ardentemente da essere disposta a cedere a quella voglia incontrollata. Eppure lui per qualche motivo stava temporeggiando, sentivo quanto mi volesse, poggiò la fronte contro la mia mentre la mia mano scendeva lungo il suo collo fino a raggiungere i pettorali di ferro che alzavano abbassavano al suono di ogni suo ansimo. Sapeva che era sbagliato ma forse la sua indecisione era scaturita da qualcos'altro. <<Ragazzi è ora di andare.>> La voce di Alexei mi risvegliò da quella trance portandomi a capire quanto stessi per sbagliare, non potevo permettermi di aprirmi così tanto soprattutto ad un sconosciuto. Baciarlo sarebbe stato un grande errore, persino essermi lasciata toccare in quel momento mi fece sentire di aver ceduto fin troppo.
Di scatto mi scostai togliendomi la sua felpa dalle gambe per alzarmi e lasciarlo lì, in sospeso ad attendere qualcosa che non sarebbe mai accaduto, poteva adorare quanto voleva la sensazione di prendersi ciò che non gli apparteneva, ma io non ero disposta a dargli quella possibilità. Mio fratello e gli altri due ci guardarono confusi cercando di intendere cosa fosse successo, sentivo lo sguardo di Mihai addosso, percepivo il peso della sua delusione in merito a quel rifiuto ma io non lo guardai più neppure per un secondo. Non l'avrei più visto quindi non avrebbe avuto alcuna importanza. <<E' successo qualcosa?>> Domandò la mia migliore amica alternando lo sguardo da me al ragazzo che solo in quel momento si era deciso ad alzarsi dalla panchina tenendo la sua felpa appoggiata sul braccio. Ma prima che potesse dire qualcosa lo precedetti, non potevo permettermi che la sua sincerità si facesse ancora viva. <<No niente.>>

Painful melody Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang