Xenous

By Kieran_Lee

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Inizia tutto con la storia di un gruppo di cadetti dell'Autokrator, un organizzazione militare che si occupa... More

Prologo
CAPITOLO 1 Concilium
CAPITOLO 2 Le conseguenze
CAPITOLO 3 Il risveglio
CAPITOLO 4 Dall'altra parte
CAPITOLO 5 Prigionieri
CAPITOLO 6 Assalto
CAPITOLO 7 Legàmi
CAPITOLO 8 Sabotaggio
CAPITOLO 9 La parte più oscura
CAPITOLO 10 Vecchie storie
CAPITOLO 12 Viaggio a Riiwen

CAPITOLO 11 Gea sotto attacco

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By Kieran_Lee



La settimana successiva si rivelò tranquilla per tutte le fazioni. Solomon aveva appena terminato i preparativi per la fase finale. Una volta avviata niente sarebbe stato più come prima. Aveva deciso di affrontare la notte in pieno relax. Al momento era disteso nella vasca della sua villa. L'acqua era ormai fredda, non sapeva dire da quanto fosse lì. Alzò lo sguardo verso le bottiglie di vodka poggiate sopra un mobiletto. "Sono qua da un due bottiglie e mezzo", pensò portando il braccio destro verso di sé e buttando giù un bicchiere dell'ultima vodka versata. Decise di alzarsi e senza asciugarsi o coprirsi uscì dal bagno portando l'ultima bottiglia non ancora aperta. Nel percorso verso la terrazza esterna passò per il vasto soggiorno, con uno specchio che ricopriva metà parete. Non poté fare a meno di guardarsi. Aveva un fisico asciutto e i suoi muscoli erano ben delineati nonostante fosse molto magro. Il suo corpo avrebbe fatto invidia a molti, non fosse per le infinite cicatrici che lo ricoprivano quasi completamente, alcune di esse mai completamente guarite. A lui non davano nessun fastidio, anzi ne andava fiero. Erano il frutto dei suoi sacrifici, per prepararlo all'uomo che sarebbe diventato. Le donne invece parevano disgustate nel vederle. Ma non Nesse. Da quando era stata portata lì insieme agli altri era stata l'unica a interessarsi realmente alla causa, ancora prima della transizione. Non era stato necessario sedarla nemmeno per un momento, e probabilmente anche l'unica a non aver perso il senno. Solomon non permetteva a nessuno di avvicinarsi troppo ma con Nesse era successo in automatico senza nemmeno rendersene conto. Aveva tenuto la cosa segreta a suo padre perché sapeva non avrebbe approvato. Ma non c'era niente da approvare. Nesse Rosen era solo una pedina e per questo sacrificabile, e anche lei ne era consapevole. Al momento l'aspettava fuori, sdraiata sul divano a guardare il mare. Stava con la faccia al sole e gli occhi chiusi. <<Ce ne hai messo di tempo, eh?>> <<Il giusto.>> rispose Solomon sdraiandosi sul divano vicino e poggiando la bottiglia a terra. Lei aprì gli occhi, che ormai erano diventati di uno strano colore violaceo. <<Copriti.>> <<Sono a casa mia e non vedo il perché. E poi non è niente che tu non abbia già visto.>> Nesse non rispose, si alzò, prese la bottiglia e buttò giù un sorso. Solomon la guardò intensamente. Non era più umana, ma non era disturbante. La sua pelle era diventata di un manto nero opaco, i canini si erano allungati, le orecchie all'insù. Portava un costume da bagno e da dietro sbucava una lunga coda. Gertrude questa volta si era superata aggiungendo il suo tocco. Tutti gli esperimenti venivano fuori come scherzi della natura ma in Nesse c'era una certa eleganza. Era probabilmente stato un regalo verso di lui. Una donna dal carattere forte e curioso mischiata alla forza e agilità di una pantera di Gea. Non sarebbe stata fondamentale in guerra, al contrario degli altri tre ma sarebbe stata utile in altre occasioni. Solomon guardò il tavolino di cristallo che stava fra i due divani, con sopra dei file. <<Hai letto i rapporti?>> le chiese. Nesse prese i fogli e fece cenno di no. <<Dovresti, mancano meno di dodici ore all'inizio della missione>> Nesse fece spallucce. <<Cosa vuoi che ci sia di diverso? Uccidi qualche umano, fine>>, rispose lei. Solomon sorrise. <<Credo che la cosa potrebbe sorprenderti questa volta>>. La guardò mentre leggeva. Era coi Figli di Caino ormai da tre settimana e aveva dimostrato di condividerne gli obiettivi. Ma adesso era il momento di dimostrare lealtà. Sapeva benissimo che un lavoro del genere sarebbe stato meglio per Shadow. Ma era annoiato. E voleva giocare. Nesse lesse. E la bottiglia di vodka cadde a terra, frantumandosi. Solomon guardò, eccitato, Nesse tremare. Lei si girò verso di lui lentamente. <<No, non posso fare una cosa del genere. E' troppo per me.>> disse. Solomon non si mosse. <<E' la missione più grande, ciò che farà smuovere l'opinione pubblica, ho estrema fiducia in te.>> Nesse sorrise debolmente. Non sorrideva mai. Andò a sedersi vicino a Solomon cingendogli il fianco con la e coda e le spalle con un braccio. <<E non potresti fare nulla per are la mia missione a qualcun altro? Posso fare qualsiasi cosa tu voglia, solo...non questo.>> <<Qual è il tuo nuovo nome Nesse?>> <<Ugh. Panther.>> <<E per quale cazzo di motivo ti stai comportando come un gattino?>> chiese Solomon scostandosi dalla presa e alzando la voce. Nesse si ritirò indietro. <<Questo cazzo di gattino ha appena distrutto una bottiglia a mani nude.>> <<Oooh mi sarà un sacco utile.>> <<Vuoi Panther?>> chiese lei alzandosi agilmente. <<Si>>, rispose Solomon alzandosi anche lui. <<Fammi vedere che ho fatto bene a scegliere te. Mostrami la forza e lo spirito che ti abbiamo donato>> continuò avvicinandosi e sfiorandole le labbra. Tutto avvenne in un attimo. Nesse saltò all'indietro, spalancò la mano da cui uscirono cinque artigli lunghissimi e affilati. E in meno di un secondo, Nesse, Panther, tagliò la gola a Solomon squarciando completamente la giugulare. La ragazza fu inondata dal sangue di Solomon. Chiuse gli occhi e spalancò le braccia assaporando il momento. <<Eccoti Panther.>>, disse. Solomon si portò le mani al collo cercando di fermare l'emorragia. Fece un passo verso Nesse, che in risposta lo colpì a una gamba con un calcio laterale. Cadde a terra gorgogliando e rimase lì con gli occhi spalancati, finché non smise di respirare. Nesse non seppe per quanto rimase lì a guardare il corpo. Restò come in trance. Poi si risvegliò tutto d'un colpo. <<Merda, merda, merda! Cos'ho fatto?>>, corse in bagno a ripulirsi dal sangue. Cercò di pulire gli artigli ma si tagliò peggiorando la situazione. Si guardò allo specchio affrontando per la prima volta la mostruosità che era diventata. Fertrude l'aveva definita la sua creatura più bella. Dopo aver visto cos'era successo ai suoi compagni aveva capito il perché. Ma lei rimaneva comunque un mostro. E il suo piano era appena fallito. Sapeva di non avere grandi possibilità ma si era adattata al rapimento per cercare di sopravvivere. Aveva ascoltato tutte le assurdità di quella setta cercando di mostrarsi il più interessata possibile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di salvare se stessa e i suoi amici. Qualsiasi tranne ciò che le era stato appena chiesto. Ora doveva trovare un modo per fuggire. Magari cercare l'Autokrator, loro l'avrebbero aiutata. Killian era in debito con lei dopotutto. Si diresse nella camera da letto di Solomon. Aprì l'armadio e trovò quasi subito quello che cercava. Prese una veste scura dei Figli di Caino e si coprì. Sperava di riuscire a fuggire senza farsi notare anche se l'unico modo sarebbe stato quello di saltare dalla terrazza. Sapeva di poterlo fare e non avere alternativa, ma le dispiaceva lasciare i suoi vecchi amici. Non sapeva minimamente come trovare Killian, ma se ne sarebbe preoccupata dopo. Ora doveva uscire da lì, una cosa per volta, si disse. Uscì fuori e le si gelò il sangue. Solomon non c'era più, solo una pozza di sangue al suo posto. Non ebbe il tempo di reagire. Una coda, scura come la notte, con una lama affilata al termine, le perforò il petto trapassandola da parte a parte e sollevandola da terra. Le uscì un solo gemito, ma il dolore fu immenso. Dopo la transizione la sua resistenza era migliorata in modo tale che quello non fosse un colpo fatale, ma nemmeno abbastanza per farla svenire, cosa che a quel punto desiderava immensamente. Le lacrime iniziarono a scendere ininterrottamente, offuscandole la vista. Solomon, nella sua versione di bestia, le si parò davanti. Parlò lentamente, con voce affannata, per trattenere la rabbia. <<devo ammettere che mi hai sorpreso. Un attacco nei miei confronti. In pochi sono sopravvissuti per poterlo raccontare. Ma ahimè, Panther non sarai così fortunata. Però mi sarai ancora utile, per un'ultima volta. Te ne andrai col botto, te lo garantisco. Mi renderai molto fiero>>, disse e nel mentre aprì la mano. La portò lentamente verso la faccia di Nesse coprendole poi la bocca con il palmo. Nesse, ancora bloccata dalla coda di Solomon, sentì il palmo aprirsi e qualcosa strisciare dentro la sua bocca, come fossero piccoli vermi. Quando quelle cose iniziarono a scendere per la sua gola sentì un bruciore tremendo e arrivò al limite della sua sopportazione, svenendo finalmente. 


Due ore dopo. Gea, Washington. Eleanor aveva appena iniziato il turno di notte all'ospedale. La giornata non era stata delle migliori ma le piaceva il suo lavoro. Nonostante vedesse tutta quella sofferenza, di tanto in tanto c'era un piccolo bagliore di luce che le cambiava il corso della giornata. Uscita dallo spogliatoio si recò nella hall per prendere un caffè. E vide alcune sue colleghe col medico di turno, il dottor Zain, correre verso l'ingresso del pronto soccorso. <<Corri Eleanor avremo bisogno anche di te>> le dissero. Lasciò sul bancone il caffè ancora bollente e si unì a loro. Prima ancora di uscire sentì le urla. Urla strazianti di qualcuno che stava provando un dolore immenso. Per essere un solo paziente vi erano fin troppe persone intorno. Quando vi si avvicinò capì il perché. <<Sindrome di Abras?>> chiese al medico. <<Immagino di si anche se non ne ho mai visto uno dal vivo prima d'ora.>> Si avvicinò il paramedico. <<In realtà si tratta di una donna sui venti, venticinque anni. Present una ferita da arma da taglio al petto e una strana ustione fra il mento e la parte superiore del naso. Abbiamo usato di tutto ma non riusciamo a calmarla.>> Eleanor diede una mano a portare la barella fino alla prima sala chirurgica disponibile. Il dottor Zain era visibilmente preoccupato. <<Non siamo attrezzati a un'emergenza del genere, questo è un ospedale pediatrico. Com'è arrivata qui?>> chiese. Il paramedico rispose subito. <<Alcuni testimoni hanno visto una donna con una macchina sopra la collina qui di fronte. Pare abbia tolto la ragazza dal cofano di un SUV e l'abbia fatta rotolare giù. La polizia ha già iniziato le ricerche.>> <<Dio mio.>> disse qualcuno. La ragazza aveva ormai smesso di urlare ma mugolava. Eleanor le si avvicinò con gli occhi lucidi. <<Hey piccola cara. Va tutto bene, ora sei in buone mani. Come ti chiami?>> <<...Nesse>> disse la ragazza biascicando le parole. <<Nesse Rosen>> <<Ok Nesse c'è qualcuno che possiamo avvisare?>> La ragazza le strinse forte la mano. Eleanor la guardò concentrandosi su quegli occhi così strani. <<Non...non posso stare qui>>, disse disperata. <<E' pericoloso, portatemi via.>> Eleanor venne colpita da un'ondata di compassione. <<Nesse, devi stare tranquilla, nessuno può farti del male qua...AHI>> tirò via la mano violentemente. Se la guardò, massaggiandosela. Era rossa e faceva male. Si voltò verso il medico. <<Mi ha bruciato. Sta scottando!>> Prima che il dottor Zain potesse rispondere Nesse riprese a urlare. Si inarcò sulla schiena e gli occhi andarono all'indietro lasciando visibile solo il bianco. Il suo corpo iniziò a produrre sudore che evaporò nell'immediato. Mentre il suono della sua voce diventava sempre più roco, la peluria iniziò a bruciare e nella pelle sottostante si formarono delle bolle. Il medico fece allontanare tutti lasciando Nesse a contorcersi sul lettino. Il suo corpo iniziò a gonfiarsi deformandosi completamente. Tutti urlarono. Eleanor vide in pochi secondi quello che un tempo era il corpo di Nesse esplodere e ne fu investita. Quel giorno l'ospedale pediatrico St.Claire venne raso completamente al suolo da ciò che fu definito un atto terroristico. Tra pazienti e dipendenti vi furono circa 6000 vittime. La maggior parte bambini. Nessun ferito. Nessun sopravvissuto. 


Due settimane dopo.Gea, Foresta di Dvinsko-Pinezhsky, Russia. Oleg era ormai da due giorni "prigioniero" della gita aziendale nella foresta. Aveva trovato il modo di allontanarsi dal suo capo e ne aveva approfittato per incontrarsi con Vitalia, una sua collega con cui ci provava da mesi. Si era dimostrata disponibile ma non avevano mai trovato l'occasione giusta perché Oleg era sposato e doveva prestare molta attenzione. Si incontrarono in una radura vicino al grande campeggio allestito per più di quaranta dipendenti. Lei lo aspettava lì. Era bionda, riccia e molto prosperosa. Non era bella ma Oleg pensava comunque fosse il massimo che si potesse permettere. Aveva con sé una valigetta con dentro una bottiglia di vino e dei bicchieri mentre lei aveva pensato al cibo, rubato dalle scorte aziendali. Riuscirono a passare insieme quel po' di tempo a cui i due aspiravano. Una volta terminato stettero distesi sull'erba con la sola coperta a coprirli, il resto dei vestiti sparsi nella foga del momento. Rimasero in silenzio a guardare il cielo stellato. Nessuno dei due sapeva cosa dire e Oleg iniziava a sentire nascere un senso di colpa. Poco dopo sentì il respiro sempre più lento di Vitalia e si addormentò anche lui. Non capì il perché, il sonno arrivò dal nulla, profondo. Si risvegliò all'alba. Istintivamente cercò Vitalia col braccio ma non la trovò. Aprì gli occhi e si ritrovò in mezzo a una colonia di funghi. Non riuscì a capire. Era sicuro di essere nella stessa radura della notte prima ma era anche sicuro che quei funghi non ci fossero. Erano alti circa dieci centimetri e avevano uno strano colore porpora. Notò anche che i vestiti di Vitalia erano ancora lì. Fu qui che si allarmò. Pensò subito di essere stato scoperto da qualche collega e che lei fosse fuggita vergognandosi. Ma tutto era troppo strano. Si rivestì velocemente e si spostò dalla radura per ritornare all'accampamento. Aveva deciso di affrontare la cosa. Durante tutto il percorso il suo cuore iniziò ad agitarsi. A ogni passo sentiva qualcosa muoversi in mezzo agli alberi. In lontananza vide quella che sembrava una sagoma in mezzo alla foresta. Avvicinandosi lentamente iniziò a prendere forma finchè Oleg non riuscì a distinguerla per bene. Rimase fermo per pochi secondi e poi si buttò a terra per vomitare. Le lacrime iniziarono a scendergli dagli occhi, quasi urlò. Di fronte a lui c'era Vitalia, ancora nuda e letteralmente impalata. Un tronco d'albero nasceva dalla terra, passava per la parte inferiore della donna, trafiggendola, per poi fuoriuscire tramite la sua bocca. Oleg non lo notò ma l'albero aveva degli splendidi frutti rosso sangue alla sommità. E non notò nemmeno di non essere più solo. <<La cosa che più ho odiato è stata vedere la fede al tuo dito>>, disse una voce bassa e calda. Oleg alzò lo sguardo, rimanendo a terra. Iniziò a tremare nel rivedere Vitalia in quelle condizioni, e aumentò nel vedere la creatura che aveva parlato. Era chiaramente un essere femminile. La pelle sembrava legno levigato. Aveva dei lunghi capelli che le arrivavano ai fianchi, di un castano scuro, le ciocche erano come delle piccole liane. Indossava una tuta attillata di pelle verde smeraldo. Nella parte visibile delle braccia e anche intorno agli occhi aveva delle venature verdi che si muovevano lungo il resto del corpo come arterie. Oleg cercò di parlare ma non riuscì. Lei lo interruppe. <<Odio le persone infedeli. Avrei dovuto solo imprigionarvi ma ho deciso di prendermi una piccola libertà con voi due.>> La donna si avvicinò a un Oleg sempre più fuori di se. Si inginocchiò, alzò la mano di fronte al viso di lui e soffiò. Delle piccole spore bianche volarono verso Oleg e passarono per le sue vie aeree. Oleg si riprese improvvisamente, si alzò, e prese a correre verso l'accampamento cercando di seminare l'essere. Arrivò a destinazione pieno di tagli e graffi. Il percorso era impervio e sembrava quasi che i rami si muovessero da soli per colpirlo. All'accampamento c'era un silenzio tombale. Oleg si recò in una delle tende e vide alcuni suoi colleghi ancora vivi ma completamente intrappolati da radici che sbucavano dal terreno. Riusciva a vedere solo gli occhi di terrore dei suoi compagni. Cominciò a colpirsi in testa con la mano e iniziò a urlare. Dal terreno sbucarono fuori radici che presero a inseguirlo. Cercò di scappare ma non riusciva più a respirare. Le spore, pensò. Gli alberi lo raggiunsero bloccandogli le gambe. Cercò di urlare ma non uscì un suono. Le spore avevano formato dei veri e propri funghi che fuoriuscirono dalla sua bocca e dal naso. Gli occhi diventarono bianchi. Il suo cuore continuò a battere ma il resto del corpo smise di funzionare. Gertrude Bauer arrivò con un elicottero e corse verso la donna misteriosa. La abbracciò e quasi si commosse nel vedere il risultato. <<Piccola mia, hai superato le mie aspettative.>> Sabrina, o quel che ne era rimasto fece un ghigno che sembrò un sorriso. <<Hai scelto il tuo nome, cara?>> Sabrina annuì. <<Roots!>> Quel giorno 136 persone, secondo i media, sparirono misteriosamente, e si parlò tanto dell'omicidio brutale di Vitalia. Un mese dopo. Igenia, luogo imprecisato. Silver Jericho era ormai un uomo molto anziano. Ogni  giorno, al suo risveglio, sapeva che non mancava poi molto alla fine. Ne era certo perché Gertrude Bauer se ne era assicurata. E Silver sapeva di avere con sé la migliore. E sapeva anche che lei gli doveva la vita, quindi non aveva nessun motivo per dubitare di lei. Era seduto su una poltrona modificata appositamente per lui. L'uomo superava i due metri di altezza, portava lunghi capelli bianchissimi e i muscoli erano ancora ben definiti e visibili. Le braccia erano appoggiate, rivolte verso l'alto, e vi erano varie flebo collegate. Trasfusioni del sangue di altri Xenous come lui, appartenenti alle grandi casate. Un grande schermo era accesso nella sua stanza buia. Guardava la replica di una gara di psycho raiders, veicoli guidati a distanza da telepati sportivi. La porta si spalancò e Silver grugnì in disapprovazione. Entrò Solomon che corse alla tv cambiando canale.  <<Padre>>, disse rivolgendosi all'uomo << ci siamo, sta per avvenire>>, e andò a sedersi di fianco a lui. Silver notòche lo guardava con occhi pieni di gioia. Capiva il perché. <<Solomon, hai già dimostrato le tue capacità, non serve altro per convincermi. Tu e Gertrude avete fatto molto per la nostra causa.>> Solomon si rabbuiò. <<Gertrude? Gertrude è servita solo a darmi delle pedine sacrificabili. Questo piano è mio!>> Silver si voltò lentamente, gli occhi fini rivolti verso il figlio. <<Il piano, è mio.>> Solomon si inchinò immediatamente. <<Certo padre, certo. Intendevo quello attuale, non mi sarei mai permesso.>> <<Dovresti avere più rispetto per quella donna. Ha fatto miracoli.>> <<Crede di essere mia madre.>> <<In un certo senso lo è.>> Se non fossero stati al chiuso, Solomon avrebbe sputato a terra. Intanto alla tv inglese iniziò il telegiornale. <<Sai, visto ciò che hanno smosso in questi mesi Shadow e Roots, inizio a essere curioso.>> <<Credimi, questa sarà la svolta!>> La porta si spalancò ancora e Zender Crane si presentò. Era ancora malconcio con alcune bende sulla testa. A quanto pare il potere di clonarsi aveva peggiorato la rigenerazione delle sue cellule e si rifiutava di farsi controllare dai guaritori, nonostante le proteste della dottoressa Bauer. Zender si buttò ai piedi di Silver. <<Fondatore, Sommo Maestro . Sono pronto alla prossima missione qualunque cosa tu voglia. La mia vita è come sempre nelle tue mani.>> Silver Jericho, in uno scatto d'ira diede un calcio a Zender, facendolo rotolare all'indietro. <<NON USARE MAI PIU' QUELL'EPITETO. IO NON SONO PIU' PARTE DELL'AUTOKRATOR. FUORI DI QUI!>> urlò. Solomon tremò. Era la voce del comando. Zender sussultò in preda a spasmi, della schiuma fuoriuscì dalla bocca e gli occhi divennero bianchi. Poi andò via, come fosse una marionetta, completamente assente. Solomon, ancora scosso, si rivolse al padre. <<Pensavo non la sapessi più usare>>, disse. <<E' così, non volevo usarla. Ormai capita sempre più raramente.>> In tv il giornalista passò alla notizia successiva. Solomon e Silver ascoltarono silenziosi il reporter. <<Ci troviamo qui di fronte a Buckingam Palace per fornirvi aggiornamenti sulla decisione della Regina in merito alle nuove dichiarazioni e rivelazioni sconcertanti dei Duchi di Sussex.>> Silver si voltò verso il figlio. <<Sai, mi è sempre stata simpatica, mi dispiace che stia affrontando tutto questo.>> <<Se tutto va come previsto sarà morta entro qualche mese.>> <<Si ma avrei preferito lo facesse in serenità. Tocca ancora a Shadow oggi?>>, chiese. Solomon annuì. <<Si, e c'è una sorpresa.>> Il cronista riprese. <<Fra pochi minuti la Regina, contrariamente al solito, farà una comunicazione dal vivo e sembra che tutta Londra si sia mossa qua di fronte...>> e continuò a parlare mentre l'inquadratura si spostò in una visuale dall'alto che mostrava l'immensa folla che si era formata. E lì Solomon intravide ciò che aspettava. <<Showtime!>> Silver non lo notò subito ma pian piano vide crescere del fumo in mezzo alla gente. Parve partire da una persona per poi espandersi sempre più. Il panico dilagò in un attimo. La gente pensò a un incendio , il fumo coprì anche le immagini delle telecamere rendendo tutto indistinguibile. Tutti iniziarono a fuggire creando una ressa pericolosa. Chi venne spinto contro i cancelli, chi fu calpestato tra ansia e terrore. Anche il giornalista fu vittima della calca mentre il cameraman fuggì lasciando la telecamera a terra. Ormai l'unico modo per vedere cosa stesse succedendo era tramite droni e elicotteri. Arrivarono le forze dell'ordine, vigili del fuoco e ambulanze. Si parlava ovviamente anche della sicurezza della famiglia reale. Il fumo continuava a espandersi, sempre più nero, dal suo interno si sentivano urla, tosse, richieste di aiuto e una risata agghiacciante. E in mezzo a quel fumo, dalla zona più centrale, un ragazzo camminava tranquillamente, sembrava non venisse intaccato dai problemi respiratori che stavano affrontando tutti gli altri. <<Albert?>> chiese Silver. <<Pensavo non avesse superato la transizione.>> <<Oh ne rimarrai sorpreso padre, è fresco fresco di modifica.>> Albert si recò ai cancelli di Buckingam Palace. Le guardie si raggrupparono muovendosi solo in quel momento. Gli intimarono di allontanarsi, puntando i fucili. Non una mossa normale, e Silver pensò che in mezzo al fumo creato da Shadow ci fosse anche un po' della sua "euforia". E poi infine Albert decise di mostrare al mondo il motivo della sua presenza. Alzò le braccia al cielo e dalle sue spalle, nella schiena e sulla fronte sbucarono delle corna. Cominciò a allargarsi e allugarsi, stracciando i jeans e la polo verde che portava. Diventò in un attimo una creatura alta sei metri. <<Per fortuna ha sotto la tuta Syntech, non credo avrei retto anche questo>> commentò Silver. <<Conosciuta  dai leader come uniforme dell'Autokrator, bravo figliolo.>> Albert era ora un gigante grigiastro, dai grossi muscoli, con un corno frontale, due sulle spalle, due sui gomiti e quattro sulla schiena. Gli occhi erano diventati completamente neri. <<Sangue Gargantuano, ci scommetto.>> <<Si, padre.>> Le guardie prese dal panico iniziarono a sparargli contro, e il suo corpo assorbì i proiettili diventando quasi gelatinoso e in un battito di ciglia rimandò i proiettili al mittente, spazzando via le guardie e colpendo anche qualche civile. Si inginocchiò e poi si lanciò contro il palazzo, sgretolandolo completamente. Il fumo nero si raggruppò di fronte alla telecamera. Vorticò per un po' e Shadow apparve in forma fisica. L'essere sghignazzante dagli occhi gialli pieni di pazzia. Prese il microfono lasciato lì, mise a posto l'inquadratura e con la sua voce acuta iniziò a parlare al mondo mentre in sottofondo continuavano i rumori di distruzione di Albert. E Shadow disse a tutti la realtà. Spiegò dell'esistenza di Ienigia. Del collegamento fra i due mondi tramite i portali sparsi per tutto il globo. Degli accordi intrapresi coi grandi Leader di Gea. Rivelò di essere parte di un gruppo responsabile degli incidenti degli ultimi mesi. Mentì dicendo di essere uno Xeno, e in quel momento andò a buon fine l'obiettivo dei Figli di Caino. In tutta Gea si sviluppò in un attimo il familiare terrore per un'altra razza.

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