Election [I libro, Rose Evolu...

By Esterk21

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Primo libro della Rose Evolution Saga 2# nel contest Miglior Libri 2016 Sponsor Links & WIAIta "L... More

Diritti d'autore - Election
Revisione Conclusa!
Capitolo I (R)
Capitolo II (R)
Capitolo III (R)
Capitolo IV (R)
Capitolo V (R)
Capitolo VI (R)
Capitolo VII (R)
Capitolo VIII (R)
Capitolo IX (R)
Capitolo X (R)
Capitolo XI (R)
Capitolo XII (R)
Capitolo XIII (R)
Capitolo XV (R)
Capitolo XVI (R)
Capitolo XVII (R)
Capitolo XVIII (R)
Capitolo XIX (R)
Capitolo XX (R)
Capitolo XXI (R)
Capitolo XXII (R)
Capitolo XXIII (R)
Capitolo XXIV (R)
Capitolo XXV (R)
Capitolo - XXVI (R)
Capitolo XXVII (R)
Capitolo XXVIII (R)
Capitolo XXIX (R)
Capitolo XXX (R)
Capitolo XXXI (R)
Capitolo XXXII (R)
Epilogo | Capitolo XXXIII (R)
Isola di Phērœs
Base Militare Alpha
Special!
LinkS
Genuine Goals

Capitolo XIV (R)

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By Esterk21

All'ora stabilita i militari ci divisero in gruppi e iniziarono le visite in successione. Una catena snervante che conduceva i candidati oltre la bocca dell'ascensore, fauci fameliche dalla quale nessuno riemergeva. Era lo stesso ascensore che avevo preso per arrivare dai Rappresentanti, in quella stanza un tempo deserta. Ci avevano chiesto di portare l'enigma della prova, in base alla quale avremmo trovato le relative stanze. Eravamo uniti in uno sciame compatto, attendendo il nostro turno in ordine sparso. William era accanto a me, forse ancora un po' arrabbiato per la mia totale mancanza di fiducia in lui. Oppure era solo intimorito dalla situazione, non sapevo dirlo con sicurezza. Persino una persona schietta come lui alle volte era difficile da capire. Per mia fortuna Paterson era nell'ultimo gruppo della coda, quella composta da soli membri della Quarta Classifica. La sua sola presenza era soffocante.

Il soldato Oscar Bauwens era davvero in servizio, per la precisione come addetto al pulsante dell'ascensore. Una posizione che mi rendeva difficile ignorarlo. Ero sopravvissuta all'imbarazzo una volta, ma da allora il carico si era raddoppiato grazie al biondino che avevo accanto.

Non era il giorno migliore per una visita: mi sentivo a pezzi, fisicamente e mentalmente. La voce era tornata ai suoi limitati sussurri, meno rassicuranti dopo l'ultima frase pronunciata e più sporadici. A causa degli allenamenti ravvicinati sentivo i dolori non mancavano, i polpacci indolenziti poi, avevano solo bisogno di stendersi in stanza. Lì, l'ultima coppia di libri erboristici attendeva di essere setacciata. Prima dell'adunata avevo catalogato un listino di piante che se combinate potevano risolvere il mio problema. Asia aveva fatto partire subito l'ordine, a sentirla il pacco con priorità Elezione doveva arrivare quello stesso pomeriggio, senza problemi. Avevo già avuto una brutta sorpresa con la Prima Prova e sentivo che sarebbe accaduto altrettanto con la seconda. Volevo riuscire a terminare quella faccende dell'enigma entro l'indomani. Durante l'attesa mi venne in mente che, forse, la visita alla struttura poteva essere una montatura e aldilà dell'ascensore avrei dovuto affrontare la vera prova. Il primo gruppo non tornò indietro, così come il secondo, e lo trovavo allarmante. Persino gl'intervalli, di cica quindi, venti minuti a gruppo, non facevano sperare bene. Quanto poteva volerci per una prova? La prima era durata il tempo di una scossa, le altre non dovevano essere da meno.

Quando toccò al mio gruppo, scoprii perché la fila si muoveva così lentamente: l'ascensore non conteneva più di cinque candidati alla volta. Il massimo era di sette persone, ma due posti erano occupati da una coppia di Latori che costeggiavano le pareti del trabiccolo. Li vidi far su e giù diverse volte, finché poi non tornarono anche per me.

«I prossimi cinque» sentenziò uno dei Latori, mentre i loro colleghi all'esterno spingevano me e William verso l'ascensore.

Oscar ci fece un velato segnale di incoraggiamento, un sorrisetto ben nascoso e un pollice in su che usò per premere il pulsante di chiusura delle porte. Dei tre ero l'unica a sentirmi a disagio per ciò che era successo.

Avevo messo piede nel piano sotterraneo una sola volta e tutto ciò che avevo visto erano intricati dedali di uffici e una piccola stanza degli interrogatori. Scesa per la seconda volta, sembrava che tutto fosse scomparso. Al loro posto trovai un'unica sala circolare, con cinque porte numerate: I, II, III, IV, V.

«Entrate nelle stanze relative al vostro enigma» disse uno dei Latori.

Ci muovemmo tutti verso le porte, chi più impaziente di altri. L'ascensore ripartì alle nostre spalle, lasciandoci in quel freddo contenitore senza uscite. O meglio, davanti a cinque possibilità. La mia era nascosta dietro la porta numero tre; a William era toccata la quattro, insieme ad un altro concorrente. I due restati imboccarono la prima e la seconda stanza. Non sapevo bene cosa aspettarmi, ma una stanza di laboratorio riadattata mi parve una delle scelte meno spaventose. Il locale in penombra era illimitato da quelle fredde luci artificiali che alimentavano l'intera base, armadi e tavoli con provette e bizzarri marchingegni erano stati spostati sul fondo, lasciando uno spazio centrale occupato da uomini in camice e candidati arrivati prima di me. Tutti volgevano lo sguardo alla limpida vetrata dalla quale si poteva sbirciare l'interno di una seconda stanza.

«Candidata Ehvena Johns, giusto?» mi domandò quello che supposi fosse uno scienziato. Ne aveva l'aria, con i piccoli e tondi occhiali adagiati sul naso, capelli brizzolati e impomatati tirati all'indietro, il camice bianco con tanto di stemma e targhetta con il nome. Lessi Roger Chamber, poi un sottotitolo che mi lasciò sbigottita: Responsabile Elezione.

«Prego, attenda con i suoi compagni. Inizieremo tra poco».

Feci come da richiesta, unendomi al gruppo di cinque candidati che fissavano imbambolati la lunga vetrata. Sporgendomi cercai di capire cosa ci fosse di così interessante dall'altra parte. Dalla visuale si capiva perfettamente che fosse una semplice stanza vuota, se non per un tavolo con circa quattro sedie. Era una copia in miniatura della stanza in cui avevo incontrato i Rappresentanti, senza finestre o via di uscite secondarie. La porta, unica via d'accesso, era posizionata sulla destra, accanto al limite del vetro. Una porta con chiusura blindata e una serratura a codici elettronica.

Un brivido mi corse lungo la schiena. Quella brutta sensazione di essere finita in trappola che la Prima Prova mi aveva lasciato, si consolidò alla vista di quella scatola arredata. Quattro posti soltanto, per le cavie di cui parlava l'enigma. Del persone dovevano sedersi e restare lì mentre io svolgevo le indicazioni di un foglietto. Trattenni il respiro, d'un tratto terrorizzata. Lanciai uno sguardo alla ragazza accanto a me, la determinazione nei suoi occhi era come veleno. Diceva "non avrete scampo".

Delle dita mi sfiorarono la spalla, facendomi intirizzire. Voltandomi vidi gli occhi verdi e luminosi di Shawn fissare la vetrata come fosse un puzzle. Cercava di ricomporre i tasselli, di anticipare la prova. Per me il provare a vedere quelle sedie occupate era impossibile.

«Spero tu abbia capito, ora» sussurrò, senza mai staccare gli occhi da quell'immagine. Capivo fin troppo bene cosa ci aspettava dall'altra parte, e più lo realizzavo meno sembrava avere senso. Aveva l'aria di un brutto sogno, un incubo raccapricciante. «Fai in modo di non proseguire, così ne uscirai illesa».

«Illesa...» riflettei. «Non penso di esserlo più, almeno non dopo lo scontro con Paterson».

«Questo è differente. Tu sei stata una vittima, qui ci chiedono di essere dei carnefici» chiarì, lo sguardo che andava rimpicciolendosi attorno a quelle sedie.

«Non dirmi che anche tu...?»

«Tutte le prove di questa stanza hanno la stessa finalità, lo ha confermato, a suo modo, il Responsabile prima che arrivassi». Lanciai uno sguardo a Roger Chamber, stava complottando con altri suoi colleghi in un angolo lontano da noi. Come potevano contribuire alla realizzazione di una prova del genere, e dormire sogni tranquilli?

«Quante possibilità c'erano che io e te finissimo nella stessa stanza?» domandò Shawn, questa volta incrociando il mio sguardo.

«Le stesse che avevo io di incontrarti all'Elezione» replicai.

Incrociò le braccia al petto, sorridendo. Questa cosa lo divertiva parecchio. «Probabilmente le stesse che avevo io di guarire. È questo che mi incuriosisce. Mi chiedo cosa accadrà se resterai in gara, quante altre coincidenze capiteranno se continuerai fino alla fine.»

«Tu non credi alle coincidenze. Non ci hai mai creduto.»

«Mi conosci Vèna, credo nelle decisioni che uno prende. Decisioni che straordinariamente sembrano sempre portarmi da te, in un modo o nell'altro. Anche se cerco di evitarlo».
C'era dell'amarezza nella sua voce.

«Ma non riesci a cogliere queste mille occasioni per raccontarmi la verità...»

«No» asserì subito. «Però la colgo adesso per ripagare quel debito, chiedendoti ancora di andartene il più lontano possibile dall'Elezione».

Ingenuamente pensavo che quella voglia di buttarmi fuori dalla competizione fosse solo uno dei suoi contorti modi di dimostrarmi la sua apprensione. Forse era preoccupato per me e stava solo cercando di risparmiarmi altri incubi. Speravo che, in cuor suo, non pensasse a quegli anni solo come un debito, e che l'aria distrutta del giorno prima fosse dovuta un po' alla sua preoccupazione per ciò che mi era successo. Ahimè, quelle parole suonavano sempre così convincenti, trasformando le mie speranze in semplici e patiche illusioni. La verità era che gli ricordavo troppo quel bambino debole e moribondo, ero un fastidio tale da spingerlo a chiedermi di andarmene. E dopo quanto avevo visto, volevo davvero poterlo fare.

«Anche volendo, qui le cose non sembrano funzionare nel modo giusto. Potrebbero non eliminarmi, ma semplicemente declassarmi. Guarda il mio aggressore, se ne va a spasso impunito. Anche tu, che hai saltato un intero allenamento, te la sei cavata con qualche esercizio extra» dissi. Lui non fece una piega, sapeva che come ragionamento era più che esatto. Forse se n'era già accorto. «No, se sarò eliminata sarà solo per via delle mie scarse abilità. A meno che qualche coincidenza non mi rassegni sul tuo cammino».

L'idea lo fece ridacchiare, solo per un breve istante. «O la sua coscienza».

«Parli come se non ne avessi una. Tu riusciresti a fare quello c'è scritto su questi foglietti» dissi sventolandogli il mio davanti, «senza batter ciglio?»

«Chissà» rispose senza esitazione.

Non so dire quanto questo mi deluse. Fu come veder morire a poco a poco delle parti del mio vecchio e unico amico. Era molto peggio di saperlo morto in solitudine.

Arrivarono altri tre candidati e quando raggiungemmo un totale di nove, la vera visita incominciò. Shawn mi voltò di nuovo le spalle, fu come se quella conversazione non fosse mai iniziata. Roger Chamber ci radunò, alle spalle la schiera di scienziati malefici a supportarlo.

«Siamo solo noi? E gli altri?» domandò uno dei candidati.

«Le prime tre classifiche sono state disposte. Il gruppo più numeroso seguirà il turno successivo» lo rassicurò Chamber.

Il Responsabile indicò fieramente i suoi colleghi, due donne e un uomo paffuto, piuttosto bassino, con un paio di ridicoli baffi arrotolati con cui si divertiva a giocarci. La penombra della stanza mi aveva ingannata, ma quando riuscii a vederlo più chiaramente capii che si trattava proprio del medico che era passato a visitarmi. Avevo seriamente pensato di essere paranoica e di aver visto un sorriso divertito quel giorno, ma quando quello stesso ghigno risbucò nell'accorgersi di me, capii di non esserlo affatto. Mandare un Osservatore nelle vesti di medico a controllarmi era stata la più infima delle azioni.

«Vi presento l'equipe di Osservatori che vi seguirà durante la prova. La Signora Wilmina Déshabill, Elisia Chazan e Augusto Bogaert» ce li introdusse uno ad uno. «Io sono il Responsabile della sala III, Roger Chamber, e condurrò questa breve visita. Innanzitutto, come avrete potuto osservare, aldilà del vetro c'è una stanza. Indipendentemente da qual è il vostro enigma, avrà tutto luogo lì dentro. I Rappresentanti hanno voluto darvi la possibilità di osservare il luogo di svolgimento prima della prova, quindi dovrete memorizzare quanto più possibile in circa 20 secondi. Vi chiamerò uno alla volta, quando la porta si chiuderà partirà un conto alla rovescia come nella prova reale. In quella però, avrete più tempo a disposizione» spiegò frettolosamente. Per lo meno si trattava veramente di una visita e non della prova reale. «Dovrete svolgere il vostro compito nel tempo delineato senza rimanerne coinvolti voi stessi, e se ci riuscirete anche a premere un pulsante all'interno. Per superare la prova basta riuscire ad attuare la vostra strategia nei limiti imposti, ma se vorrete scalare la classifica dovrete essere più abili di così. Non che riuscire a resistere lì dentro sarà facile».

Detestavo sentirlo parlare, era come ascoltare una propaganda sulla violenza gratuita e contribuire alla sua proliferazione.

«Potrete portare con voi solo un oggetto esterno e uno scelto direttamente nel laboratorio. Qualunque altra cosa verrà confiscata e se tenterete di fare i furbi, annulleremo subito la prova» terminò, abbassando di un tono la sua voce già rauca.

Senza troppi convenevoli mandò il primo all'interno, e così via finché non toccò a me. Nel corso delle altre visite mi resi conto che la visione esterna della stanza era molto limitata, focalizzata sul tavolo più che sulle pareti laterali. Quando il portellone si chiuse alle mie spalle con dei tonfi raccapriccianti, il timer affisso sullo stipite interno iniziò il conto alla rovescia, lasciando che finalmente vedessi la stanza per intero. Avevo una memoria fotografica, in cucina aiutava moltissimo, anche se quel posto lo avrei volentieri cancellato dai miei ricordi. La prima cosa su cui posai lo sguardo fu quel tavolo, inchiodato con delle viti al pavimento; le sedia al contrario erano libere. Mi chinai per vedere cosa c'era sotto: un canale di scolo, come quello delle docce. Poco prima del tavolo una strana fessura divideva la stanza da parte a parte, sembrava esserci incastrato qualcosa. Alzai lo sguardo dal pavimento alle pareti, scovando due condotti di ventilazione collegati a dei tubi che scendevano fino a delle manopole, erano ad altezza d'uomo. Inizialmente credetti che entrambe conducevano ai condotti, invece una delle due si estendeva fino al soffitto collegandosi ad un sistema antincendio. Volsi le spalle al tavolo e finalmente mi accorsi della cosa più importante: il vetro, da fuori limpidissimo, dentro era completamente oscurato. Di fianco, una minuscolo pannello di controllo con sopra un pulsante rosso. Guardai il contatore, mancavano ancora due secondi. Senza pensare troppo premetti il pulsante, azionando un meccanismo che sollevò una lastra separatoria da quella strana fessura. Scorreva lenta e non toccò mai il soffitto. Si assestò a metà, alta abbastanza da impedire a qualcuno di oltrepassarla. Così la stanza era perfettamente chiusa a metà, ma non sicura da cose come il sistema antincendio o le bocchette di ventilazione.

Quando il timer segnò la fine del mio tempo, mi illuminai: non si trattava di cavie, ma di altri concorrenti. Ci stavano spingendo verso una carneficina. Chi fortunato, fosse riuscito a completare la sua prova e a premere quel pulsante prima di venire aggredito, avrebbe vinto un posto in classifica. Ma al prezzo della propria coscienza.

• • • • •

Non so cosa ci fosse nelle altre stanze, ma ciò che avevo visto io era terrificante.

Avevo detto a Shawn che provare ad autoeliminarmi sarebbe stato inutile, perché le regole dell'Elezione erano fasulle e, nel peggiore dei casi, avrei rischiato una pena per mancato adempimento dei doveri di cittadino. Ma se il dovere di un buon civile era quello di prendere parte a qualcosa di così spaventoso, allora non volevo affatto esserlo.

Visto l'impegno del secondo turno di malaugurati visitatori, ci avevano lasciato il pomeriggio libero per lavorare alle nostre strategie. Per quanto volessi tirarmi indietro – pur non potendo realmente farlo – l'istinto di trovare una soluzione che mi mettesse al sicuro in quella stanza riusciva a scavalcare tutto il resto. Non volevo che niente di simile a ciò che era accaduto con Paterson si ripetesse così, quando Asia mi recapitò il pacco di piante, trovare un modo per sopravvivere divenne il mio chiodo fisso.

Il sistema antincendio e le bocchette di ventilazione sembravano le soluzioni più ovvie, tuttavia entrambe assicuravano una profonda dormita non solo alle cavie ma a chiunque si trovasse lì dentro. Non mi importava minimamente del punteggio o la classifica, volevo solo tenermi al sicuro, per quanto al sicuro potessi essere in una prova del genere. Oltre che di soluzioni, ero sprovvista anche del materiale per distillare, mescolate, qualunque modo per rendere utilizzabili quelle piante.

Asia rimase sempre in stanza con me, immobile e silenziosa. Mi osservava arrovellarmi con lo sguardo di chi desiderava ardentemente darmi una mano, anche se non poteva. Almeno non direttamente.

«Mi serve un posto dove lavorare su queste piante» dissi alla fine, disperata.

«Devi pensare a qualcosa nella Base Alpha, non puoi mettere piede fuori dalla struttura» mi ricordò. «Se me lo avessi detto prima mi sarei fatta portare anche delle attrezzature».

Sorvolai sull'ultima frase, un chiaro tentativo di voler sottolineare il mio ridurmi all'ultimo istante. Il fatto che non me lo avesse ancora rinfacciato ma si limitasse a osservarmi impazzire per una risposta, era rincuorante in un certo senso. Se avessi avuto qualcuno ad alitarmi sul collo o a rimproverarmi, non penso che avrei combinato nulla di buono. Mi sarei aspettata una reazione così da parte sua, visto che in gioco non c'era solo la mia permanenza ma anche la sua.

«Non so...» mi lagnai. «Mi basta anche un fornelletto e un pentolino!»

«Una cucina basterebbe?» chiese lei.

Nel sentire quella parola scattai sull'attenti. «Andrebbe benissimo.»

Ad Asia bastarono quattro click con il suo palmare e dieci minuti faccia a faccia con il Comandante Benedikt per ricevere il consenso a scortarmi nella cucina della base. Non sapevo nemmeno ne avessero una, probabilmente perché si trova proprio sotto la mensa, inabissata nel primo piano sotterraneo. Le modalità con cui trasportavano il cibo mi erano sconosciute, come ogni altro mezzo di spostamento tra il piano superiore e quelli sotterranei. Potrei definirli del tutto irrilevanti, ciò che importava era che, dopo una lunga attesa, grazie a quell'orribile prova, potevo finalmente mettere piede in una cucina.

Lì, a contatto con gli utensili – un'estensione dei miei stessi arti – il calore dei fornelli e l'odore delle pietanza che aleggiava con insistenza tra le mura, potevo pensare tranquillamente, creare ciò che mi serviva. Ogni incubo, cattiva sensazione, persino il malumore, rimasero aldilà di quella porta. Diedi spazio all'inventiva, elaborando non solo un piano per uscirne illesa, ma recuperando anche passione e competitività, il carburante che da sempre mi mandava avanti.
Stavo di nuovo cucinando, mossa però dall'incentivo della prova così vicina. Perché ero certa che presto, troppo presto, avrei rimesso piede in quella stanza. E al posto di una manciata di sedie vuote, avrei dovuto vedermela con persone in carne ed ossa.

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