Game of Chaos (Game of Gods S...

By cucchiaia

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Spin-off di Game of Gods & Game of Titans, #4 da leggere. Nove fratelli e sorelle, con nomi di Dèi greci, ch... More

Intro + Info 🍒
1 (A) - Forse non avrei dovuto dare fuoco alla bara di mio zio
2 (H) - Le parole
3 (A) - Un martedí sera esplosivo
4 (H) - Le virgole
5 (A) - Vengo costretto a parlare dei miei sentimenti anche se non li ho
6 (A&H) - Il viaggio di Odisseo
7 (A) - Alla fine di tutto si scopre che sono un mammone
8 (A) - Mio nonno è un assassino
10 (A&H) - Gli avverbi
11 (A) - Festeggio il mio non-compleanno
12 (A) - Quasi stermino metà famiglia durante i giochi di Achille
13 (A) - Purtroppo, adoro il drama
14 (H) - Dietro le quinte
15 (A&H) - I punti di domanda
16 (H&A) - Mostro il mio serpente a Hell (purtroppo non nel modo in cui pensate)
17 (A) - Faccio bagnare Hazel
18 (A&H) - Estoy condenado a no olvidarte nunca más
19 (H&A) - Visito la casa di Liam: il circo
20 (H) - Sotto le luci del palco
21 (A&H) - Il predicato verbale
22 (A&H) - Le parentesi
23 (H&A) - Rimorchio grazie alla matematica
24 (A) - Vengo costretto a una riunione di famiglia mai richiesta
24.5 - La mela rossa
25 (A&H) - Ho aspettato di vederti per 6 ore e 15 minuti
25.5 - La canzone di Iperione
26 (H) - Fine dello spettacolo
27 (A&H) - Il mondo visto dall'alto
28 (H&A) - Entro, spacco (un bicchiere), esco
29 (A) - Quasi perdo la testa per colpa di Medusa
30 (A&H) - Ho quasi ucciso i miei nonni
31 (A) - Nella mia storia non sei il cattivo
32 (A) - Panta Vrehi
33 (H) - Dio della discordia
34 - L'epilogo
Epilogo - Dove piove sempre

9 (H) - I punti di sospensione

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By cucchiaia







l'esprit de l'escalier (francese): (letteralmente, "il fantasma sulle scale"), la sensazione che si prova quando abbandoni una conversazione e solo dopo ti vengono in mente tutte le cose che avresti potuto dire.


— I just fuck things up, if you noticed
Have you noticed?
Tell me have you noticed?

🔥
H E L L ' S
P O V

Ho tre problemi, attualmente. Il primo si chiama Thanatos, l'idiota che continua a sventolare la mano per aria, invitandomi a sedere al suo tavolo, in cui c'è pure Circe. Il secondo è Ares, che mi ha incenerita con un'occhiata non appena sono entrata in caffetteria e poi se n'è andato non appena ho preso posto.

Possibile che mi detesti al punto da non poter neanche restare nella mia stessa stanza?

Il terzo è questo maledettissimo pollo che sto mangiando insieme all'insalata. Detesto la carne di pollo, mi sembra sempre di masticare un pezzo di polistirolo.

La sedia davanti alla mia striscia, producendo uno stridio che mi fa serrare i denti. Il viso di Thanatos compare nella mia visuale. «Non mi hai visto mentre sventolavo la mano?»

«Sì.»
«Allora non hai capito che ti stavo invitando a sederti con me.»
«No, l'ho capito.»
«Allora non avevi voglia di cambiare posto e suggerivi a me di raggiungere te.»
«No, volevo proprio stare qui, da sola.»

Thanatos si mordicchia il labbro, sovrappensiero. «Non trovo altro che possa giustificare il fatto che tu non mi voglia. Ti ho fatto qualcosa di male, Volpe?»

Storco il naso al sentire quel soprannome. Per sua sfortuna, non sono così inesperta nei confronti delle persone come lui. Se mi mostro infastidita dal suo comportamento, lui avrà un motivo in più per continuare. «Non so, Thanatos, vedi tu. Hai mentito e mi hai fatta passare per una stronza!»

Lui rimane interdetto. Poi allunga il braccio e mi ruba un pomodorino dall'insalata. Lo mastica con tutta la calma del mondo, e una volta ingoiato il boccone, dice: «Non mi sembra un buon motivo per non volermi più parlare.»

Prendo un'altra forchettata di insalata e pollo e mi decido a guardarlo negli occhi. «Non volevo avere nulla a che fare con te già da prima.»

Inarca le sopracciglia. «Okay, dimmi come posso farmi perdonare. Possiamo ancora essere amici, Hazel.»

«Per esempio, potresti dire ad Ares che non sono stata io a riferirti della sua paura dell'acqua.»

Ci tengo, sì. Mi importa che lui sappia la verità. Io non ho rivelato nulla. Anzi, ho detto a Thanatos che Ares era un bravo nuotatore e che i giochi in acqua lo avrebbero solamente avvantaggiato, al contrario delle altezze. Be', a questo punto spero che Ares non soffra anche di vertigini.

«Credi che sia così facile raggirarmi, Volpe?» mi incalza, facendosi più vicino, le braccia conserte sul ripiano. Fa un sorrisetto. «Quando mi hai detto che Ares sa nuotare bene e che l'acqua non lo avrebbe messo in difficoltà, ho capito subito che era l'esatto opposto. Complimenti per il tentativo, però. È carino che tu abbia voluto proteggerlo. Purtroppo, lui non lo saprà mai.»

Serro le labbra e mi impongo di non rispondergli. Forse, se smetto di parlargli finirà per andarsene.

«La tua è stata una mossa stupida. Oltre a rivelarmi una grande debolezza di Ares, mi hai fatto scoprire che tu ci tieni a lui, almeno un pochino. E ai miei altri amici che giocheranno con lui la cosa piacerà molto.»

La forchetta mi scivola di mano. Il mio corpo è in allerta. «Cosa intendi?»

Sospira. «Diciamo che se in futuro dovesse bussare alla tua porta uno sconosciuto che ti dice di chiamarsi Achille, o Eros o simili... be', le cose non si metteranno bene per te.»

Un gruppo di studenti si ferma accanto al nostro tavolo, troppo presi da qualcosa che stanno guardando sul telefono. Ma io non posso aspettare che se ne vadano per continuare la conversazione. «Stai dicendo che sono in pericolo?» sussurro.

«Sto dicendo che rischi di morire.»

Lo dice con un'indifferenza e tranquillità tali che resto a bocca spalancata. O ha un senso dell'umorismo particolare, o è serio e dovrei chiamare la polizia. «Non è divertente,» opto per la prima opzione.

Scuote il capo. «Infatti. Ti arrabbieresti se venissi al tuo funerale? Nel senso, non è che tu potresti cacciarmi, visto il tuo stato di morte, ma ci tengo a rispettare le tue volontà.»

L'ultima volta che ho sentito così tanto la necessità di dare uno schiaffo a qualcuno, è stato con Ares. «La vuoi smettere?» La voce mi esce più acuta del normale. «Io non voglio finire in mezzo ai vostri casini da squilibrati. L'ho detto anche ad Ares. Mi tengo lontana da quella famiglia e da lui, proprio perché non ho la minima curiosità di partecipare ai loro giochi e...»

«Be', mi duole informarti che è ormai troppo tardi. In parte, è colpa tua. E in parte, è colpa di Ares, quindi dovresti prendertela con lui.»

«Colpa di Ares?» ripeto.

Thanatos mi ruba un altro pomodorino. «Ti ronza sempre attorno. È evidente che abbia un legame con te.»

Questo mi fa ridere. «Vi sbagliate. Avete frainteso le sue intenzioni. Lui mi ronza attorno perché vuole che lo aiuti a conquistare la mia coinquilina, Hurricane. Non sono io l'oggetto del suo interesse.»

Thanatos sembra valutare l'informazione che, involontariamente, gli ho appena dato. Comincio a pentirmene. L'ultima cosa che voglio è far finire Hurri nei casini. Alla fine, fa un versetto di dissenso. «Hazel, Hazel, Hazel... Sei una volpe ingenua.»

D'un tratto, mi colpisce tutto in una botta sola. Sono davvero in pericolo? Sono finita in mezzo ai casini della famiglia Lively?

Senza riflettere, sposto il vassoio con il cibo di lato e mi protendo in avanti. Afferro i polsi di Thanatos, stringendo più forte che posso. Lui rimane a bocca aperta. «Tu li conosci, no? Puoi farli ragionare. Puoi parlargli e fargli cambiare idea, e magari mi lasceranno in pace.» Vorrei non apparire così debole e spaventata, ma lo sono.

Ho sentito tante cose sui Lively. Ed è impossibile che nemmeno una di queste fosse vera. Le voci girano, alcuni ci aggiungono bugie per divertimento, ma altre cose devono essere vere. Non è una casualità che molti degli studenti che hanno abbandonato la scuola avessero anche partecipato ai Giochi degli Dèi. Non è una casualità che siano tutti spariti, quasi un mese fa, insieme a Haven Cohen. E quando sono tornati, lei aveva una ferita in viso.

Thanatos, dopo lo stupore, mi mostra l'ultima emozione al mondo che avrei voluto vedere. Divertimento. «Perché dovrei aiutarti? Non mi interessa di te, Hazel.» Si libera della mia presa con una risatina.

Quando punta i suoi occhi nei miei, la risata si fa ancora più fragorosa. «Cosa cazzo hai da ridere? Stai parlando della mia morte! Non deve importarti di una persona per volerle salvare la vita, sai?»

Fa cenno di no con l'indice della mano. «Invece è proprio così. Perché dovrei disturbarmi? Sai che caratteraccio hanno gli altri? Achille, non parliamone. Eros? Un pazzo. E...»

«Ehi, Hazel,» lo interrompe Circe, prendendo posto accanto a lui. «Come va? Di cosa parlate?»

Perfetto. Ci mancava solo lei.

«La informo del fatto che è molto possibile che morirà durante le fatiche di Ares.»

Circe fa una smorfia e mi regala un sorrisetto dispiaciuto. «Oh. Già.» Si rivolge solo a lui, in tono più basso. «Come l'ha presa?»

Lui la asseconda, abbassando anche il suo tono di voce. «Non benissimo. Ci sto lavorando.»

Continuano a confabulare, ma io smetto di ascoltarli e mi estraneo dalle loro conversazioni. Devo far rallentare i battiti del mio cuore, ormai impazziti, e inspirare quanta più aria posso. Andrà tutto bene, no? Stanno scherzando. È impossibile che parlino della morte in modo così indelicato. È solo un tentativo di spaventarmi. Per divertirsi. Sì. È...

Il mio telefono comincia a squillare. Thanatos e Circe si ricordano della mia presenza, e mi fissano mentre lo estraggo dalla tasca e rispondo alla chiamata. «Che succede, Hurric...»

La mia amica neanche mi fa terminare la frase. «Devi raggiungermi. È successa una cosa. Subito!»

Il tono allarmato mi fa scattare in piedi, eppure non mi muovo in direzione delle porte. «Di cosa parli?»

«Stavo passando per l'ala ovest di Yale...» si mangia le parole, talmente parla veloce ed è in preda al panico. «Ho sentito delle urla. Così ho provato a cercare la fonte da cui provenivano.»

«E poi?»

«Ho trovato Ares Lively riverso a terra. E Athena e Hades che slegavano Apollo, impiccato al soffitto del Planetario.»

A primo impatto, penso che si sia messa d'accordo con Thanatos e Circe. Poi sento il suo respiro affannoso e mi ricordo che stiamo parlando dei Lively. Ogni cosa è possibile.

«Non so cosa fare. Ares ha perso i sensi e Apollo pure. Non capisco se è morto. Forse dovrei aiutarli, ma non so come. Tu, invece, hai fatto dei corsi, vero?»

Sì. Quando hai un padre laureato in medicina, ti iscrive a qualsiasi corso che possa darti le conoscenze adatte a soccorrere chi è in difficoltà. E a capire quando lo sei tu, per sapere quali interventi puoi fare mentre aspetti che arrivino persone più qualificate.

«Arrivo,» le dico, raccattando il mio zainetto e lasciando la mia cena mangiata a metà.

Thanatos mi richiama, ma non mi volto. Lo sento solo esclamare: «Neanche un saluto?»

«Hurricane, mi ascolti? Ci sei?» la richiamo, mentre sfreccio per i corridoi di Yale e prendo una svolta a sinistra che so che conduce all'ala ovest. Ci sono stata pochissime volte, e non per mia volontà, ma mi sembra di ricordare abbastanza bene come raggiungerla.

La sua risposta arriva dopo un po'. «Sì, ci sono, sì. Cosa devo fare?»

«Avvicinati ad Ares. Per prima cosa, fallo sdraiare sulla schiena e tienigli le gambe sollevate. Devono stare al di sopra del livello del torace; assicurarti che la testa sia la parte più in basso di tutto il corpo. Hai capito?»

Hurricane non mi dà alcun cenno di aver capito o quantomeno sentito cosa le ho detto. Dev'essere arrivato qualcuno, perché lei allontana il telefono e la sento parlare. Altre voci si aggiungono e io accelero il passo, approfittando del fatto di non dover sprecare fiato parlandole.

Quando arrivo nel corridoio del primo piano, mi accorgo che c'è più gente di quanta me ne aspettassi. Zeus Lively e Hera stanno sistemando il corpo di Ares nel corridoio. Hurricane, invece, è addossata al muro, a braccia conserte e con gli occhi spalancati. Non lo sono per Ares, però. Guarda dentro la stanza.

Una volta vicina, capisco il suo orrore. Un cappio pende dal soffitto. Apollo è a terra, circondato da Hades, Athena, Haven e Hermes. Chissà perché, una parte di me sperava che Hurricane avesse visto male e l'impiccagione non fosse vera.

«C'è battito?» domanda Haven. È l'unica che sta inginocchiata per terra, vicinissima al corpo di Apollo. Gli altri sono in piedi, incapaci di stare fermi sul posto.

«Impercettibile,» risponde Hades. «Provalo tu stessa. Metti due dita sul suo polso.»

«Io chiamo l'ambulanza,» esclama Hermes. Ha già il telefono in mano. Qualcuno mi passa accanto come un lampo e glielo fa cadere, per poi calciarlo via. Zeus.

«Si può sapere che cazzo fai?» sbraita Athena contro il cugino.

«Non possiamo chiamare l'ambulanza! Arriverebbe anche la polizia. Come spieghiamo questo casino?»

Athena si avvicina pericolosamente, e non mi sfuggono le mani strette in due pugni. Nemmeno a Zeus, date le occhiate che lancia verso il basso. «Spieghiamo che nostro nonno, invece che farsi le passeggiate al parco, prova a uccidere i suoi nipoti, per esempio. E, nel frattempo, mio fratello riceve delle cure mediche!»

Zeus scuote la testa ed emette un verso carico di esasperazione. «Secondo te, se la polizia venisse a indagare, troverebbe indizi che potrebbero ricondurre a Urano e non a uno di noi? Quel pazzo ci incastrerà in qualche modo.»

«Allora passerò la mia vita in galera, con la consapevolezza di aver fatto il possibile per salvare mio fratello.»

Zeus replica con qualcosa che non mi giunge, perché Athena copre la sua voce porgendo il suo cellulare a Hermes e ordinandogli di chiamare i soccorsi. Quando Zeus prova ad aggirarla, lei gli blocca la strada. «Fai un altro passo e ti pesto a sangue, Zeus, te lo giuro.»

Lui sovrasta su di lei, minaccioso. «Provaci, stronza.»

Il pugno di Athena arriva così veloce che sembra uno di quei film con gli effetti speciali, in cui i movimenti sono talmente rapidi che le parti del corpo interessate diventano quasi trasparenti. La forza impressa fa voltare il viso di Zeus verso sinistra.

Lui si massaggia la zona colpita e tenta di nuovo di raggiungere Hermes per prendergli il telefono. Athena riparte all'attacco. La sua gamba si solleva con uno slancio e pianta il piede sullo stomaco di Zeus, calciandolo all'indietro. Il corpo del ragazzo, sebbene imponente e massiccio, scivola di almeno due metri e finisce contro il muro. Sul suo viso si riflette la stessa espressione che credo di avere anche io.

«Posso continuare fino a farti sputare le costole,» minaccia Athena.

Hermes, dietro di lei, ha il telefono in mano e la bocca spalancata. Persino Haven e Hades sono stati distratti da questo incontro di lotta improvvisato.

Però, sebbene sia ancora scioccata dal fatto che Apollo Lively sia appena stato impiccato in un'aula di Yale, mi ritrovo a fare uno sforzo per usare il cervello. Nessuno, qui dentro, è abbastanza razionale, perché in balìa delle emozioni.

«Aspettate!» urlo. «Hermes, aspetta, non chiamare!»

D'improvviso, mi guardano tutti. «E tu da dove sei sbucata?» chiede Athena.

Arretro e metto le mani avanti. «Non picchiare anche me. Posso aiutarvi.»

Indico Apollo. «Hades ha detto che il battito c'è, sebbene appena percettibile, vero?»
Hades annuisce.

«Non è morto,» dico con fermezza. «E non morirà. Non chiamate l'ambulanza. Avete ragione entrambi.» Faccio riferimento sia ad Athena che a Zeus. Non conosco bene le loro dinamiche familiari, ma è chiaro che per questo tentato omicidio non ci siano le prove per incastrare il vero colpevole. Senza contare la portata mediatica che avrebbe l'accaduto. Una impiccagione a Yale?

«Cosa stai dicendo? Spiegati meglio,» mi incalza Athena.

Ignoro i suoi toni rudi, e dentro di me la giustifico per lo spavento che ha preso. «Il collo non è rotto, vero?» Haven scuote la testa, subito. «Di impiccagione si può morire in due modi diversi: se era in un punto alto, il salto ti spezza l'osso del collo e non c'è nulla da fare, oppure di asfissia, soffocamento. Che è il caso di Apollo, a quanto pare. Si perde quasi subito conoscenza, ma la morte arriva tra i due e i sei minuti, circa. Se ha battito, è già un buon punto di partenza.»

Athena boccheggia e si fa avanti Hermes. Leggo il 911 composto sullo schermo, pronto a essere chiamato. «D'accordo, ma non c'è il rischio che abbia riportato dei danni?»

«Sì,» gli do ragione. «A seconda dell'intensità della strozzatura e del flusso sanguigno dopo la contrazione, una persona impiega da dieci secondi a due minuti per svenire. Le cellule del cuore e di altri organi iniziano a suicidarsi per mancanza di ossigeno dopo cinque minuti, a seconda dello stato di salute dell'individuo.» Indico Apollo. «Avete il modo di sapere quanto tempo è rimasto sospeso?»

Hades guarda oltre me, credo in direzione di Ares, poi cerca aiuto in Athena. «Avevamo diciassette secondi. Siamo partiti dalla piscina. Dalla piscina a qui quanto tempo ci vorrà? Almeno due minuti, vista la velocità a cui andavamo.»

«Sicuramente non è rimasto appeso oltre i cinque,» concorda Athena. Sembra più rilassata, ma pur sempre vigile e tesa.

«Il suo cervello è comunque rimasto senza ossigeno per del tempo,» continuo. «Un medico dovrebbe visitarlo.»

Zeus ritorna sul piede di guerra e Athena è già in posizione di difesa. «Non possiamo!» protesta il primo.

Athena prova ad avvicinarsi di nuovo. È Hades ad afferrarla per il braccio e tenerla ferma. O almeno, fa un tentativo, visto quanto si divincola lei. «Servirà anche a te un medico, non appena mi libererò di mio fratello e potrò metterti le mani addosso. A differenza di Apollo, tu resterai senza ossigeno per molto più tempo.»

«Piantala con tutte queste minacce,» le inveisce contro Hera, che è accanto ad Ares, nel corridoio. Ha il viso paonazzo dalla rabbia e le guance bagnate di lacrime. «Stai perdendo più tempo a prendertela con lui che ad aiutare tuo fratello.»

Avrebbe dovuto aiutare Athena a farle riacquisire un po' di razionalità, invece sembra sortire l'effetto opposto. Con uno scossone si libera di Hades e cammina dritta, oltre Zeus. «Come ti permetti di...»

Zeus la afferra per la vita e la solleva da terra. «Non ho risposto ai tuoi colpi, Athena, perché sei in evidente sato di choc. Ma sfiora anche un solo capello di Hera e mando a fanculo il mio autocontrollo.»

Con una delicatezza – e lo dico ironicamente – invidiabile, Zeus lancia Athena verso Hades.

Non credevo che potesse essere così difficile avere una conversazione con i membri di questa famiglia. Si insultano fin troppo e si prendono pure a colpi. Se la smettessero e mi lasciassero finire di parlare, magari adesso Apollo starebbe già meglio.

Mi schiarisco la gola. Non sono abituata a parlare a voce alta. «Non chiameremo l'ambulanza!» grido, invece. «Chiamerò mio padre. È un medico all'ospedale di Chicago, ma è qui in città per un convengo. Può, prima di tutto, fargli una visita veloce e poi decidere se è il caso che vada in ospedale.»

«Se dovesse andare in ospedale...» riprova Zeus.

Lo blocco. «Ha degli amici, lì. E, comunque, non sarà lo stesso che far venire qui un'ambulanza. Lo porterà lui.»

«Lo faresti davvero?» sussurra Athena. D'improvviso, non è più la belva feroce pronta ad attaccare.

Annuisco. E non capisco perché Athena ne sia stupita. Non li conosco, certo, ma è necessario conoscere qualcuno per volergli salvare la vita? Per Thanatos sì, per me no.

Nel frattempo che chiamo mio padre per spiegargli la situazione, sperando che non mi prenda per pazza, arrivano anche Poseidon e Liam. Si trascinano dietro una coperta e un cuscino, e Haven e Athena provvedono a sistemarli sotto il corpo di Apollo, in modo che stia più comodo. Per fortuna, mio padre fa le domande indispensabili e mi assicura il suo arrivo entro un quarto d'ora. Prima di chiudere la chiamata, mi fa promettere che poi gli spiegherò nel dettaglio com'è successo che un mio conoscente di Yale sia finito impiccato al soffitto e che non possiamo chiamare l'ambulanza.

«Dovrete andare da mio padre, lo troverete fuori,» informo Hades e Haven. «Fra circa quindici minuti.»

Hades mi si avvicina e mi posa la mano sulla spalla. Il gesto, così amichevole e intimo, mi lascia di stucco. I suoi occhi, invece, sono una pozza scura e spenta dalla preoccupazione. «Grazie, Hazel, sul serio. Ti siamo debitori. Dico davvero: qualsiasi cosa ti serva, non esitare a farcelo sapere.»

Forse è troppo sfrontato chiedergli il costo della retta di tre anni, qui a Yale, per la facoltà di giornalismo e editoria?

Gli sorrido, pronta a replicare con un "grazie" e basta, perché salvare la vita di qualcuno non merita una ricompensa, è un dovere umano, ma la voce di Haven mi precede.

«Venite a guardare cos'ho trovato.» La nota di panico la sento persino io che non la conosco.

Hades le è subito a fianco. Non riesco a trattenere la curiosità e mi sporgo oltre le loro figure. Haven sta tenendo la caviglia di Apollo. Chiunque lo abbia appeso al soffitto, gli ha tagliato il tessuto dei jeans che indossa, ma solo dalla gamba destra. Sarebbe già strano, se solo non si aggiungesse il fatto che mentre il piede sinistro ha la scarpa, quello destro è scalzo.

«C'è una x sul tallone,» dice Hades, incredulo.

Dal modo in cui lui, Haven e Athena si guardano, intuisco che siano arrivati a una conclusione importante che a me è totalmente sconosciuta.

«Cosa significa?» domanda Liam.

È Athena a rispondergli. «Il tallone destro era l'unica parte vulnerabile nel corpo di Achille, l'unica che non era stata immersa nelle acque dello Stige per renderlo immortale.» Si passa una mano tra i lunghi capelli neri, spettinandoli. «Potrebbe essere un indizio.»

«E un avvertimento,» aggiunge Haven. «Che la prossima fatica e gioco di Ares sia organizzata da Achille?»

Più passo del tempo con questa famiglia, più mi sorgono dubbi e domande. E più mi rendo conto che quello che scopro, vorrei non averlo mai scoperto.

Hades intercetta il mio sguardo su di loro e apre bocca, forse intenzionato a dirmi di andarmene e farmi gli affari miei. 

So benissimo che è il momento in cui esco di scena e li lascio con i loro problemi. Ho fatto quello che potevo, e sinceramente non ho alcuna intenzione di restare qui ancora a lungo, col rischio di incontrare mio padre. Comincerà a farmi domande, e la stanchezza si sta già arrivando, dopo la presa ferrea sui nervi che ho mantenuto a fatica per aiutare i Lively.

«Hell, non è che puoi aiutarci qui, invece?» chiede Liam, picchiettando col dito sulla mia testa.

Hera si è spostata; ha raggiunto Zeus e gli sta sfiorando l'addome, dove Athena lo ha colpito con il calcio. Parlano a voce bassa, tra di loro, impegnati nel non farsi notare e sentire dagli altri.

Ares non ha ancora ripreso conoscenza, e il suo nuovo soccorritore non sembra un esperto nel campo. Poseidon gli sta dando degli schiaffetti sul viso, alternando la guancia sinistra e la destra. «Ares? Ehi?» lo chiama.

Mi precipito in corridoio e con un unico movimento scivolo a terra, in ginocchio, accanto al corpo di Ares. Afferro il polso di Poseidon e lo blocco. «Pos, no. Non serve a nulla e non lo aiuti, così. Stai fermo.»

Afferro la caviglia sinistra di Ares e faccio cenno a Poseidon di aiutarmi con la destra. Do anche a lui le indicazioni che Hurricane non ha seguito, prima al telefono, e gli teniamo le gambe sollevate per aria, in attesa.

Conto fino a venti prima che le palpebre di Ares comincino a muoversi e sbattere, restando comunque chiuse. Sulla sua fronte compaiono delle rughe di espressione, e il suo pomo d'Adamo si abbassa.

Quando Ares prova ad aprire gli occhi, emette un grido e li richiude subito. Succede tutto così all'improvviso, che il cuore mi balza dal petto per lo spavento. Riappoggio la gamba a terra, seguita a ruota da Poseidon, e lo raggiungiamo, inginocchiandoci ai lati.

«Ares? Che succede?» Poseidon, di nuovo, non mostra di conoscere delle maniere delicate. Lo scuote per le spalle, continuando a chiamarlo.

Ancora una volta, lo allontano, rimproverandolo. «Ares?» chiedo con più delicatezza. «Cosa succede?»

Ares volta il capo da una parte all'altra ed emette un sibilo raccapricciante. «I miei occhi. Bruciano. Non riesco ad aprirli. Bruciano. Tanto.» Riprova a sollevare le palpebre e, per il dolore, dà un pugno contro il pavimento, proprio vicino a dove sono io.

«Cosa hai fatto agli occhi? Cos'è successo mentre noi non c'eravamo?» prosegue Poseidon.

Adesso, anche Liam ci ha raggiunti. «Lui, Athena e Hades sono tornati nella piscina di Yale. Urano li aspettava lì e ha messo la testa di Ares sott'acqua.»

Trasalisco. Guardo Ares. Non oso immaginare come debba essersi sentito, ma almeno posso dare loro una risposta. «Il cloro. Non credo che abbia resistito molto a lungo, ma per essere uno non abituato, deve avergli provocato una piccola irritazione. Nemmeno noi nuotatori sopportiamo di stare sott'acqua, in piscina, senza gli occhialini.»

«Oh, Dio,» esclama teatralmente Liam, portandosi le mani davanti alla bocca. «Perderà la vista per sempre? Diventerà cieco?»

Ares si agita sul pavimento, spaventato da Liam. «Cieco? Diventerò cieco? Cosa sta dicendo?»

Liam gli accarezza il viso, nonostante lui provi a liberarsi e ad allontanarlo. «Non preoccuparti, ti staremo vicini. L'importante è vedere il mondo con il cuore e con l'anima, gli occhi non sono così importanti per...»

Una mano compare accanto all'orecchio di Liam e gli afferra il lobo, facendo leva per tirarlo su. Zeus. Lo trascina lontano dal corpo di Ares e lo mette a fianco a Hurricane, che sta assistendo alla scena. Lo noto lo sforzo con cui trattiene le risate, a causa di Liam.

«Smettila,» ordina Zeus. «Non spaventare mio fratello con le tue cazzate. Non perderà la vista.»
Liam annuisce con enfasi, fin troppo a lungo. «Scusi, signor Zeus.»

Perché gli dà del lei e del signore?

Con un sospiro, ritorno ad Ares. Sembra ancora spaventato dalle conclusioni affrettate a cui è arrivato Liam, perciò gli prendo la mano, stretta in un pugno. «Non perderai la vista. Dobbiamo solo medicarti. Stai tranquillo, okay?»

Non so cosa mi aspettassi, forse che mi urlasse contro di andarmene perché mi odia. Al contrario, il pugno si apre e le dita si rilassano. I tratti del suo volto si fanno più sereni. «D'accordo.» Magari non ha capito che sono io.

Poseidon gli cinge la vita e lo aiuta a mettersi seduto, per poi sollevarlo. «Dobbiamo andare in camera. Riesci a camminare? Ti serve aiuto?»

Ares si stacca da lui, ancora a occhi chiusi. «Certo che ce la faccio, idiota. Dovete solo guidarmi perché non vedo. Le mie gambe sono perfettamente in grado di...» Non fa nemmeno tre passi prima che le ginocchia gli cedano e lui rischi di finire a terra.

Poseidon e Zeus gli sono accanto in un millesimo di secondo e lo aiutano a stare in equilibrio. «Pos, portalo nella nostra stanza ai dormitori.» Lancia un'occhiata a me e poi a Hurricane. «Io accompagno loro due e torno.»

Hurricane lo sta già raggiungendo, io affianco Ares. «No, vado con loro. Può servire aiuto extra.»

Zeus resta immobile, soppesando la mia richiesta. Scrolla le spalle e si rivolge a Hurricane. «Allora accompagno solo lei.»

«Ci penso io,» si propone Liam con troppa enfasi. Porge il braccio a Hurricane, che questa volta non trattiene un sorriso e ci incastra il suo, divertita. «La scorto io fino alla sua camera.»

Zeus li osserva avviarsi lungo il corridoio. Non hanno nemmeno svoltato per raggiungere le scale, che corre loro dietro, chiamandoli a gran voce. «Vengo anche io. Aspettatemi. Vi faccio compagnia.»

Mossa strana. Deve pensarlo anche Poseidon, vista l'espressione che ha in viso. Sospira e mi fa cenno di incamminarci, mentre Ares borbotta parolacce e insulti, rivolti poi a chi, non lo sappiamo. Se ho imparato qualcosa su di lui, è che potrebbe anche star insultando se stesso.

Più ci avviciniamo ai dormitori, più i miei passi si fanno incerti e comincio a restare indietro rispetto a Poseidon e Ares. Forse non è stata un'ottima idea seguirli. Perché l'ho fatto? Ho detto che volevo essere d'aiuto. Sì, ma la persona che ha bisogno di aiuto è Ares. Ares mi odia. Ares non crede alle mie parole. Ares probabilmente preferirebbe ficcarsi di nuovo la testa sott'acqua piuttosto che avere il mio aiuto.

Ormai è tardi, però, perché la serratura della porta scatta e Poseidon le dà una spinta per spalancarla. Ares avanza deciso nella camera. «Aspetta, fammi accendere le luci,» esclama Poseidon.

Ares grugnisce come una belva. «Ho già gli occhi chiusi, Pos. A cosa cazzo mi serve la luce?» La sua frase viene interrotta da un botto.

Quando Poseidon trova l'interruttore e ogni angolo viene illuminato, capiamo. Ares ha appena sbattuto di faccia contro il muro. Ha mancato di pochi centimetri l'ingresso per il bagno. Si massaggia la fronte, sussurrando altre imprecazioni volgari.

«Ti aspetto in bagno,» dice al fratello. Va a tentoni fino a premere l'interruttore anche di quella stanza.

Mi volto verso Poseidon, perché so cosa sta per fare. Sta per dirgli che ci sono anche io. Senza riflettere sulle mie azioni, gli tappo la bocca con la mano e lui sgrana gli occhi, stupito. «Non dirgli di me,» lo supplico in un sussurro. «Ti prego.»

Non credo di poter sopportare un altro rifiuto. Immagino solamente le parole che mi rivolgerebbe Ares...

Posy annuisce e mi sposta la mano con delicatezza, rivelandomi le labbra piegate in un sorriso. «Perché non vai tu ad aiutarlo? Se è stato il cloro, servirà qualche risciacquo con acqua. Male che vada, un collirio. Dovresti trovarlo nel mobiletto del bagno.»

Lui si dirige all'angolo cucina e sistema delle tazze in fila, per poi sistemare sul tavolino dei filtri che sembrano essere di camomilla. Quando le mie gambe decido di muoversi, ha già messo le tazze dentro il microonde e sta impostando il timer.

Compio dei respiri profondi e mi fermo sulla soglia del bagno. Ares è seduto accanto al water, a gambe spalancate. Il braccio è poggiato sulla tavoletta abbassata, e la testa vi è abbandonata sopra, gli occhi ancora chiusi. Faccio rumore apposta, per avvisarlo che non è solo.

Lui prova a sollevare una palpebra, ma la riabbassa subito con un gemito strozzato.
«Dio, brucia più di Giovanna D'Arco al rogo,» borbotta.

Il paragone mi fa quasi scoppiare a ridere, per quanto è inappropriato e inadatto al momento tragico. Suo cugino è stato impiccato al soffitto del Planetario e suo nonno gli ha tenuto la testa sott'acqua. Il motivo di tutto ciò mi è estraneo, e non penso di volerlo sapere.

«Chi c'è qui? Pos?»

Non rispondo. Ho una paura matta che mi respinga. Sono sempre stata convinta che i rifiuti che fanno più male sono quelli in cui viene respinto il tuo aiuto. Voler fare un bel gesto per qualcuno e sentirsi non voluti è un altro tipo di dolore.

Resto in silenzio mentre mi lavo le mani accuratamente. Poi mi avvicino ad Ares e gli prendo i polsi, facendogli intuire che deve mettersi in piedi. «Chi sei? Vuoi darmi una maledetta risposta?» Riprova ad aprire gli occhi, invano.

All'improvviso, si libera della mia presa ed è lui ad avvolgermi i polsi, per poi scendere verso le mani e sfiorarmi le dita con cura. Aggrotta la fronte e io trattengo il respiro.

«Sei una donna. Anche se delle mani così morbide e setose potrebbero pure appartenere a uno come Hades,» conviene. «Chi sei?» tenta, ancora. «Cohen?»

Sbuffo rumorosamente, così che capisca che non ho più voglia di perdere tempo. Non deve interessargli chi si stia prendendo cura di lui, deve essere grato che ci sia qualcuno e tapparsi quella boccaccia.

Lo allontano e lo guido davanti al lavandino. Posiziono la mano sulla sua nuca, ancorata alla base del collo, e lo spingo verso il getto d'acqua del rubinetto. Ares si lascia guidare, eppure noto il modo in cui il suo pomo d'Adamo si abbassa. Vorrei davvero sapere cosa gli è successo di così traumatico da avere esitazione anche nell'avvicinarsi a occhi chiusi a un lavandino.

«Devo aprire gli occhi, vero?» domanda, retorico.

«Mmh-mh,» approvo. È più difficile di quanto pensassi non comunicare.

Are spalanca gli occhi e ne approfitto per buttargli dentro quanta acqua pulita riesco. Lui si lamenta del dolore, con la solita sequela di esclamazioni volgari che quasi mi fanno saltare la copertura. Non è divertente, sta soffrendo, eppure forse un minimo se lo merita.

Ripeto la procedura più volte, ma Ares non sembra stare meglio. O almeno, un minimo sì, ma non quanto mi sarei aspettata. Mi è capitato che qualche volta il cloro mi irritasse gli occhi, eppure degli sciacqui con acqua fresca mi hanno aiutata. Comincio a stranirmi.

Chiudo il getto d'acqua e spingo Ares fino a farlo sedere sul water. La sua mano scatta verso di me e mi avvolge la coscia, tenendomi ferma davanti a sé. «Cosa fai? Dove vai?»

Mi mordo il labbro. Magari non si arrabbierà se gli dico chi sono. Mettere fine a questa recita muta gli sarebbe d'aiuto. Apro bocca. Non esce alcun suono.

Le sue dita affondano di più nella mia carne, attraverso il tessuto sottile dei pantaloni che indosso. Sussulto e spero che non lo abbia percepito. Il cuore mi batte all'impazzata per il terrore.

A salvare la situazione è Poseidon. Bussa contro lo stipite della porta, e quando incrocio il suo sguardo, è parecchio confuso da quello a cui sta assistendo. «Io... ehm... non ha aiutato l'acqua?» Al mio dissenso, replica: «Prova con il collirio.» Indica il mobiletto alle mie spalle.

Mi stacco da Ares e apro lo sportellino. Non è difficile trovarlo, visto che è quasi vuoto il ripiano.

«Collirio?» ripete, Ares, dopo un po'.

Dio, quanto vorrei dirgli di stare zitto un attimo.

Gli afferro il mento tra le dita e gli faccio inclinare il capo all'indietro, in modo tale che capisca la posizione in cui deve restare. Una volta fermo, uso le dita della mano per tenere aperta una piccola fessura tra le palpebre e farci scivolare dentro cinque gocce di collirio. Ares richiude subito e sibila come un serpente.

«Cazzo, perché fa così male?»

Perché non sei abituato al cloro. E perché sei un idiota che, sott'acqua, tiene gli occhi aperti.

Invece, provo a rassicurarlo, spostandomi all'occhio destro. «Sssh,» gli intimo, gentilmente.

Lui si pietrifica al sentire di nuovo un accenno della mia voce. Per un attimo temo che mi abbia riconosciuta, ma come potrebbe? Se ne esce con l'ultima cosa al mondo che pensavo avrebbe detto. «È tutta colpa di Hell.»

Il risentimento nella sua voce mi fa venir voglia di scappare.

«A mio nonno non è piaciuto come abbiamo barato a quegli stupidi giochi di Circe,» continua. «Così ha appeso Jared al soffitto come un salame, e mi ha dato un ultimatum. I secondi che sarei resistito sott'acqua sarebbero stati anche il tempo che ci avrebbe concesso per trovare Apollo, prima che gli togliesse lo sgabello da sotto i piedi.»

Aggrotto la fronte. Quello che dicono sui Lively è anche più lusinghiero di come sono in realtà. Che razza di nonno farebbe una cosa simile ai suoi nipoti? Ci metto poco a collegare i punti. Possibile che il nonno ce l'abbia con lui perché ha davvero dato fuoco alla bara dello zio? Avrebbe senso. E sarebbe comunque una punizione esagerata.

«Se Hell non avesse rivelato a Thanatos della mia fobia per l'acqua... Tutto questo non sarebbe accaduto. I giochi, in primis. E poi la vendetta di quel vecchiaccio,» conclude. Le mani sono strette in due pugni, sulle sue cosce. «La odio, cazzo. La odio tantissimo.»

Calma. Va tutto bene. Non mostrare emozioni o ti scoprirà. Lo sapevi già che ti crede una voltafaccia.

Deglutisco a vuoto e gli somministro le ultime due gocce di collirio. Rimetto il tappo al flacone e lo ripongo nell'armadietto.

Ritorno ad Ares, in silenzio tombale, e poso delicatamente i polpastrelli dei pollici sulle sue palpebre chiuse. Comincio a massaggiare, compiendo movimenti circolari e delicati. Sotto il mio tocco, Ares sembra rilassarsi, inaspettatamente.

«Questo, però, è piacevole,» mormora, con voce roca. Emette un gemito. «Dio, che sollievo.»

Do un colpo di tosse per risvegliarlo dal suo stato di trance. Non sembra interessargli.

Mi avvolge di nuovo le gambe, con entrambe le mani, ma all'altezza dei polpacci. «Chi sei? Perché, se sei Cohen e ti sto toccando in questo modo, Hades mi risparmierà ulteriori sofferenze e mi strapperà direttamente i bulbi oculari.»

Mi mordo il labbro per non ridere.

«Se sei Athena...» Finge di rabbrividire. «Non voglio pensarci. Non puoi essere lei.»

Tamburella con le dita sul retro della mia coscia. Non mi ero accorta che fosse risalito dal polpaccio.

«E se sei mia sorella, Hera, avrei tante domande. Per esempio: da quando ti piacciono gli incesti?»

Sta diventando una situazione scomoda. Se il collirio farà effetto, potrà aprire gli occhi e vedermi. Non posso prevedere la sua reazione. Forse preferirebbe Athena a me.

«Dubito che tu sia Hell,» sussurra, e non capisco se ci sia una nota amara o felice. «Hurricane, per qualche caso fortunato? O una bella studentessa di medicina a cui i miei adorati fratelli hanno chiesto aiuto?»

Le sue mani riprendono a muoversi lungo le mie gambe. Arriva al punto più alto delle cosce, stando attento a non sfiorarmi i glutei, e poi ritornano ai polpacci, in una stretta sempre più forte. Forse, dettata dal nervosismo nel non conoscere la mia identità.

Arretro di botto, cogliendolo di sorpresa. Il mio, di nuovo, l'ho fatto. Posso andare nella mia camera, buttarmi nel letto e sotterrarmi con le coperte sperando di addormentarmi subito.

«Dove credi di andare?» bisbiglia, minaccioso.

Scatta in piedi e mi raggiunge proprio quando sono davanti alla porta. Mi è alle spalle, il suo torace che mi sfiora la schiena. Allunga il braccio fino a trovare la maniglia della porta e la chiude davanti a noi, intrappolandomi nel bagno con lui.

In un secondo, le posizioni sono ribaltate. Mi ritrovo contro la porta, il corpo caldo di Ares premuto sul mio. Nonostante ciò, non è un contatto fastidioso. Lo fa con delicatezza, con una premura di cui non lo avrei mai ritenuto capace.

La sua mano destra preme contro la parete, poco più in alto della mia testa. L'altra va a tentoni fino a trovare il mio braccio. Non mi ritraggo. Una parte di me è curiosa di scoprire la sua reazione nell'apprendere che ad averlo aiutato sono stata io.

«Perché non mi dici chi sei?» insiste, gentile. «Perché non posso sapere chi si è preso cura di me nell'ultimo quarto d'ora? A chi appartengono queste mani...» Incastra le sue dita con le mie. «Queste mani che mi hanno toccato con così tanta dolcezza?»

Quasi mi strozzo nel tentativo di deglutire la saliva.

Il profumo di Ares mi stuzzica le narici. Non è fresco. È dolce. Con note speziate. È un profumo ammaliante, di quelli che coprono tutto il resto.

Mi sposto sul suo viso. Qualche goccia di collirio gli sta colando lungo le guance e si tuffa oltre il mento. Mi ritrovo a seguire la loro corsa, pur di distrarmi dalla situazione in cui mi trovo.

D'improvviso, la sua mano lascia la mia e risale fino alla spalla. Devo trattenere un verso sorpreso quando le sue dita si avvolgono attorno al mio collo. «Dimmi chi sei. E soprattutto, dimmi che non sei Hell,» minaccia. E per quanta rabbia imprima nella voce, non suona per niente infuriato.

Con la presa sul mio collo, risale fino a sfiorarmi il mento con il pollice. Si sposta sul mio labbro inferiore e lo strofina piano, da sinistra verso destra, e dedica le stesse attenzioni a quello superiore.

«Non le conosco queste labbra,» ammette.

D'accordo, questa affermazione è strana. Perché dovrebbe conoscere le labbra di sua sorella? O di Haven e Athena?

Se ne accorge anche lui e china il capo verso il basso, liberando una risatina. Siamo così vicini, che nel compiere questo movimento mi strofina i capelli rasati contro la guancia, facendomi rabbrividire.

«Okay, inquietante. Non ho mai toccato così le labbra di mia sorella, lo giuro. Però le ho viste tante volte, e non sono così carnose. Vale lo stesso per Cohen e la Vipera.»

Deduco che la Vipera sia Athena.

Dischiudo le labbra. Ares solleva la testa di scatto, forse perché pensa che stia per parlare e rivelargli chi sono.

«Parla, mia eroina,» mi sbeffeggia, soffiando contro la mia pelle. La punta del suo naso è vicinissima alla mia guancia, e per un istante me la sfiora.

Approfittando della sua distrazione, piego il braccio all'indietro e inizio a tastare alla ricerca della maniglia della porta, per abbassarla e scappare via da qui.

Non dura molto. Ares fa schioccare la lingua contro il palato e, dopo un primo tentativo a vuoto, mi afferra la mano e mi solleva il braccio sopra la testa, bloccandomelo contro la porta. «Provi ad andartene approfittando di un ragazzo che non vede?» bisbiglia. «Non si fa così.»

Non riesco a muovermi. E non perché lui mi tenga con prepotenza, ma perché il mio corpo non risponde agli input del cervello. Non c'è più alcuna connessione tra di loro.

«Te lo chiederò un'ultima volta, dopodiché cercherò di tenere gli occhi aperti abbastanza a lungo da mettere a fuoco il tuo viso. Chi sei?»

Mi dispiace, Ares, anche se volessi dirtelo, il mio corpo non risponde più.

Lui attende comunque, e una volta passato il tempo che aveva deciso di concedermi, sospira scuotendo il capo. Nel farlo, i capelli rasati vanno di nuovo a strofinare contro la mia guancia, e la punta del suo naso fa lo stesso movimento ma contro l'incavo della mia spalla.

«D'accordo, allora...»

Tre puntini di sospensione.
Qualcuno bussa alla porta.
E la frase si interrompe.

Le conversazioni tra me e Ares sono sempre cariche di punti di sospensione. Non riusciamo mai a finirle. Non riusciamo mai a dirci tutto quello che dovremmo dire. E, forse, è meglio così.

Ares è il primo a fare un balzo all'indietro. Poi la maniglia, poco a sinistra del mio fianco, scatta verso il basso. Mi sposto, con il cuore a mille e i palmi sudati, ringraziando chiunque abbia interrotto questo momento.

Riccioli biondi e occhi azzurri, un maglioncino giallo crema e le sopracciglia corrugate. Hermes studia prima me e poi Ares. «Cosa succede qui? Tutto okay, Ares?»

Ares è poggiato al lavandino, la schiena appena ricurva. Dal riflesso nello specchio, vedo che sta provando ad aprire gli occhi. «Sì. Il cloro deve avermi irritato gli occhi, mi fanno un male cane. Qualcuno mi ha aiutato, ma non vedo chi è e questa persona non parla. Puoi dirmelo tu?»

Hermes è divertito dalla cosa, la malizia gli illumina gli occhietti azzurri, e la sua bocca è pronta a pronunciare il mio nome. Gli afferro la manica del maglione e do uno scossone, facendolo voltare.

Scuoto la testa. Hermes non capisce. La scuoto di nuovo, con più foga, e spalanco gli occhi.

«Perché?» chiede lui.

Continuo a muoverla da sinistra a destra.

Hermes mi si avvicina il tanto da parlarmi all'orecchio. «E cosa dovrei dirgli? Che è stato lo Spirito Santo a medicarlo?»

Non mi interessa quale scusa dovrà inventare. L'importante è che non faccia il mio nome. Ares non deve saperlo, punto.

«Allora, Hermy?» Ares tamburella con le dita sul ripiano, in un tic nervoso. È così agitato all'idea di scoprire la mia identità? O è innervosito per l'intera situazione?

Hermes non sa cosa dire. E temo che finirà per pronunciare il mio nome. Ma poi arriva un'altra persona a salvarmi, oggi. Forse il karma che mi ripaga per quello che ho fatto.

Hurricane. La vedo con la coda dell'occhio mentre si avvicina alla porta del bagno e resta fuori dalla stanza, incerta sul da farsi. Vorrei chiederle cosa ci fa qui, visto che Liam e Zeus dovrebbero averla accompagnata alla nostra camera. Invece, le sono grata per non esserci andata, a quanto pare.

La indico.
Hermes mi guarda, esasperato. «No, no...» protesta.

Gli prendo la mano e la stringo forte. Inclino il capo in direzione di Hurricane. Annuisco. «Ti prego,» dico con il solo labiale.

Hermes si passa la mano libera tra i riccioli disordinati ed emette un lungo sospiro. «È Hurricane. C'è Hurricane, qui con te.»

Non perdo tempo a controllare la reazione della mia amica e coinquilina. Mi concentro su Ares. Solleva piano il capo, che giaceva verso il basso, e studio la sua espressione riflessa sullo specchio. È stupito. E confuso. Gli sfugge un sorrisetto compiaciuto, che ricaccia subito indietro per lasciar posto a un'espressione impassibile.

Affinché ci creda, però, anche Hurricane deve partecipare. Le chiedo silenziosamente di parlargli. Dopo un attimo di esitazione, entra in bagno. «Esatto,» conferma.

Sul viso di Ares passano tante emozioni diverse e contrastanti, ma quella che torna sempre, tra una e l'altra, è la delusione. Possibile? Me lo sto immaginando io? Cosa succede?

«Grazie... Hurricane,» le dice. Ruota il corpo in direzione della porta, e capisco che è il momento in cui aprirà gli occhi per capire se il collirio lo sta aiutando.

Arretro in modo così repentino che inciampo sui miei piedi e perdo l'equilibrio. Hermes mi prende al volo, piazzando le mani sulle mie spalle e tenendomi ben salda. Mi sposta contro il muro del piccolo corridoio, lontana dalla porta del bagno.

«Ehi,» mi scuote appena. «Stai bene?»
«Certo.»

Inarca un sopracciglio. «L'altro giorno ho visto un ratto schiacciato da un'auto che stava sicuramente meglio di te.»

Non mi trattengo più dal ridere. Ora, posso. «Vorrei solo andare a dormire.»

Hermes mi scruta a lungo. Se c'è una cosa che notato da quando ho cominciato ad avere fin troppe interazioni con questa famiglia, è che Hermes guarda tutti in modo sfrontato. Non gli importa se ti metterà in soggezione. Lui guarda e non si limita mai solo al vedere.

«Prima, fermati qualche minuto qui. Bevi una delle venti camomille che ha preparato Poseidon, per chissà quale motivo e senza fare mente locale su quanti siamo. D'accordo?»

«Veramente, io preferirei...»

«Io preferirei che non contestassi,» mi zittisce. Indica il salotto. «Ora andrò a sedermi sul divano e libererò un posto anche per te. Ti aspetto lì, Hazel.»

Non mi dà alcuna occasione di replicare o provare a tirarmene fuori. Mi fa l'occhiolino e comincia ad andarsene. Una volta rimasta sola, mi ritrovo a combattere tra il desiderio di origliare qualsiasi conversazione stiano avendo Ares e Hurricane e raggiungere Hermes per quella maledetta camomilla.

Alla fine, cedo, e mi sporgo appena per inquadrare l'interno del bagno. Ares è di nuovo seduto sul water, e Hurricane è in piedi davanti a lui. Sono nella stessa posizione in cui eravamo io e lui mentre gli mettevo le gocce. La differenza sta nel fatto che lui non la sta sfiorando. Non ha le mani agganciate attorno alle gambe chilometriche di Hurricane, come faceva con le mie.

Lui, però, ha ancora gli occhi chiusi. La sua bocca si muove, ma non mi arrivano le parole. Così, decido di farmi da parte. Se non posso origliare, non c'è alcun motivo per cui restare qui a guardarli.

Il salotto si è riempito di Lively. Hermes è sul divano, come aveva promesso, e sta tenendo un posto per me. Zeus e Liam sono rispettivamente seduti sulla poltrona e per terra, ai piedi di essa. Poseidon beve la sua camomilla, poggiato al tavolino dell'angolo cucina. Mi fa un cenno di saluto e lo ricambio. Non capisco come faccia a essere sempre allegro e rilassato.

La porta della stanza è aperta il tanto che basta a farmi vedere chi è che sta discutendo nel corridoio. Hades e Athena. Parlottano tra di loro, in sussurri impercettibili ma concitati. Mio padre è già arrivato per visitare Apollo, allora? Quanto tempo sono rimasta chiusa in bagno con Ares?

Hermes picchietta sul posto accanto a sé e mi sorride. «Porta il culetto da sirenetta qui.»

Lo raggiungo. Immagino che se lo assecondo senza protestare, finirà presto e sarò nel mio letto entro mezz'ora, massimo. Prendo la tazza fumante dal tavolino basso, posto tra il divano e la tv, e bevo un sorso. Hermes mi fissa, soddisfatto.

«Come sta Apollo? Mio padre lo ha visitato?»

«Non lo sappiamo,» risponde Zeus. Fa un cenno in direzione di Athena e Hades. «Immagino che siano qui per aggiornarci.»

«Spero che sia ancora vivo,» commenta Liam, lo sguardo perso nel vuoto. «Non posso permettermi il biglietto aereo per andare in Grecia al funerale.»

Resto a bocca aperta per la sua indelicatezza, e la tazza quasi mi scivola di mano. Hermes la sorregge subito e fa una risatina nervosa. «Lascia stare, Hazel. Liam è così. Non è cattivo, solo un po' ingenuo. Nel suo mondo le cose funzionano diversamente, sai.»

Annuisco, incerta e bevo altra camomilla. Ho già deciso che arriverò a metà tazza e poi me ne andrò. E, a quel punto, spero di non restare più incastrata nei casini della famiglia Lively. Mi auguro solo che Hurricane non corra alcun rischio.

«Te lo pagherei io, comunque,» mormora Zeus dopo un po', mentre si massaggia le tempie a occhi chiusi.

Liam volta il capo con uno scatto repentino, ma ancora prima di emettere un fiato, Athena fa il suo ingresso in camera, seguita da Hades. Hanno entrambi la stessa espressione stanca e deformata dalla preoccupazione.

Hades si poggia al muro, a braccia conserte, e lascia che sia la sorella ad aggiornarci. «Il padre di Hazel ha visitato Apollo,» annuncia, e nel suo viso c'è riconoscenza. «Ha detto che, probabilmente, l'impiccagione è durata meno di due minuti. Mentre lo visitava, Apollo ha ripreso conoscenza, e ha potuto anche porgli delle domande semplici per capire se ci sono dei primi problemi.»

«Per adesso, sembrerebbe che vada tutto bene,» continua Hades. «Ma lo ha portato comunque in ospedale, perché deve accertarsi che la mancanza di ossigeno non abbia provocato danni. Haven e Hera sono andate con loro. Tra poco le raggiungiamo.»

«Quindi è fuori pericolo di morte?» chiedo.

Mi fissano tutti. Nemmeno io mi aspettavo di porre una domanda del genere. Non credevo che mi interessasse, in fondo. La verità è che, fra i Lively, Apollo è quello che mi ha sempre ispirato sentimenti più positivi. L'ho sempre visto molto simile a me, almeno all'apparenza.

«Sì,» conferma Athena.

Allora perché non sembrano sollevati? Sono ancora spaventati da quello che è successo per mostrare un minimo di serenità? No, impossibile. C'è qualcosa che manca e che non hanno ancora detto.

«Forza,» esclama Hermes. «Adesso diteci la notizia brutta. Cosa nascondete?»

Athena si gratta il braccio con foga, al punto da farlo apparire chiaramente come un tic nervoso. Si lascia sfuggire un indizio, perché guarda in direzione del bagno, da dove giunge la risata di Ares.

«Come va con gli occhi?» mormora, lei.

Di nuovo, le attenzioni sono concentrate su di me. «L'acqua non lo ha aiutato molto. Gli ho messo un collirio. Perché?»

Athena non fiata. Zeus è già sul piede di guerra. Si tira su dalla poltrona e raggiunge i cugini. «Allora? Vuoi parlare?»

«Ma tu perché non ti prendi un cazzo di tranquillante, ogni tanto?» sbotta Athena, e per un attimo temo che riprendano a picchiarsi.

Anche Hades deve averlo pensato, perché si mette in mezzo ai due e spinge Athena indietro. Tiene gli occhi fissi su quelli di Zeus, mentre parla: «Abbiamo trovato un bigliettino nella tasca dei pantaloni di Apollo. Tutto questo gioco era studiato per farci credere che Apollo fosse quello davvero in pericolo. In realtà, era Ares.»

«Cosa intendi? Se non sbaglio, è Apollo quello che è diventato un lampadario vivente per due minuti,» dice Zeus.

Le mie sopracciglia si sollevano di botto. Continuo a stupirmi di quanto siano indelicati i membri di questa famiglia.

«Nell'acqua della piscina non c'era cloro,» spiega Hades. «C'era una miscela disciolta di cemento e calce. Entrambi sono composti da alcali e responsabili dell'ustione agli occhi che sta avendo Ares in questo momento.»

Cosa? Com'è possibile?

«Come avrebbe fatto a mettere...» comincia Zeus. Rabbia e dolore si alternano sul suo viso, e la voce gli trema appena.

Poseidon poggia la tazza. «La piscina oggi era chiusa. Secondo voi perché non avete trovato me e Hell nuotare, come al solito? È da questa mattina che le porte sono state chiuse a chiave, con un foglio di avviso che oggi non sarebbe stata accessibile agli studenti, per dei lavori.»

Cercano conferma anche da me, e io annuisco, troppo sconvolta per proferire anche una sillaba. Sono andata in piscina prima di pranzo. Ricordo l'avviso. Ricordo di aver scritto un messaggio a Poseidon. Ma chi poteva immaginare che...

«Quindi, cosa facciamo?» rompe il silenzio Liam.

«Ares dovrebbe andare in ospedale, insieme ad Apollo,» dico io. Credo che solo Liam non avesse capito la prossima mossa. «Ustioni del genere possono abbassare la vista, se non fartela perdere completamente.» Mi tremano le mani mentre pronuncio l'ultima frase.

Zeus, ora, sta fissando me, incazzato. Come se fosse colpa mia. «Stai dicendo che mio fratello potrebbe diventare cieco?»

«Sì,» conferma Athena. «Vai a chiamarlo,» allude al bagno.

La risata di Hurricane mi fa sobbalzare.

Non serve che qualcuno di noi li raggiunga. La risata di Hurricane si fa più vicina, accompagnata dal rumore di suole sul pavimento. La mia coinquilina e Ares fanno il loro ingresso in salotto.

Ares ha un solo occhio aperto, a fatica. E la prima cosa su cui si sofferma è proprio Hades. «Come sta Apollo?»

«Starà bene. È vivo,» lo rassicura. Noto di come freme per chiedergli come stanno i suoi occhi, invece. Mi domando se riusciranno a convincerlo ad andare in ospedale.

L'espressione di Ares si fa scherzosa. «È sopravvissuto di nuovo? Dio, ma ha gli horcrux come Voldemort? Quali sono i suoi? La sacra sindone di Gesù? Il dvd di Rapunzel?»

Hurricane è l'unica che sorride della sua battuta.

Lo sguardo di Ares vaga per tutta la stanza, e quando si ferma su di me non ha alcuna reazione. Abbozza un sorrisetto e si gratta la nuca, prima di liberarmi dalla sua presa. L'occhio sinistro è chiuso, quello destro aperto. Che stia meglio? Forse abbiamo esagerato, siamo stati troppo pessimisti. O chiunque abbia scritto quel biglietto, mentiva.

Ares si inumidisce le labbra. «C'è solo un problema, adesso.» Indica l'occhio destro, aperto. «Da qui, vedo sfuocato. E da qui...» Passa al sinistro, chiuso. «Non vedo nulla.»

Ecco perché, poco fa, non ha detto nulla quando mi ha puntato lo sguardo addosso. Non mi ha vista. Non ha capito che sono io.

Nessuno sa cosa dire. E ringrazio che non possa vedere quante espressioni spaventate ci siano.

«Prova ad aprire l'occhio,» risponde Liam. «Secondo me è per quello che non vedi.»

Direi che Ares ne vedrà delle belle
Circa
VABBÈ black humor involontario io scappo

Ci vediamo (qui non posso usare altri verbi ok????) al prossimo capitolo 🧘🏻‍♀️

Grazie per leggere GoC 🫶🏻❤️ mi trovate anche in GoD, lo spin off per Aphry. Mi serve per staccare da questa storia e scrivere anche qualcosa di più leggero. Ares ha la priorità, certo, ma è una trama che mi risucchia tutte le energie 🥲

Ig: cucchiaia
Tiktok: cucchiaiaa

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