Game of Chaos (Game of Gods S...

By cucchiaia

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Spin-off di Game of Gods & Game of Titans, #4 da leggere. Nove fratelli e sorelle, con nomi di Dèi greci, ch... More

Intro + Info 🍒
1 (A) - Forse non avrei dovuto dare fuoco alla bara di mio zio
2 (H) - Le parole
3 (A) - Un martedí sera esplosivo
4 (H) - Le virgole
6 (A&H) - Il viaggio di Odisseo
7 (A) - Alla fine di tutto si scopre che sono un mammone
8 (A) - Mio nonno è un assassino
9 (H) - I punti di sospensione
10 (A&H) - Gli avverbi
11 (A) - Festeggio il mio non-compleanno
12 (A) - Quasi stermino metà famiglia durante i giochi di Achille
13 (A) - Purtroppo, adoro il drama
14 (H) - Dietro le quinte
15 (A&H) - I punti di domanda
16 (H&A) - Mostro il mio serpente a Hell (purtroppo non nel modo in cui pensate)
17 (A) - Faccio bagnare Hazel
18 (A&H) - Estoy condenado a no olvidarte nunca más
19 (H&A) - Visito la casa di Liam: il circo
20 (H) - Sotto le luci del palco
21 (A&H) - Il predicato verbale
22 (A&H) - Le parentesi
23 (H&A) - Rimorchio grazie alla matematica
24 (A) - Vengo costretto a una riunione di famiglia mai richiesta
24.5 - La mela rossa
25 (A&H) - Ho aspettato di vederti per 6 ore e 15 minuti
25.5 - La canzone di Iperione
26 (H) - Fine dello spettacolo
27 (A&H) - Il mondo visto dall'alto
28 (H&A) - Entro, spacco (un bicchiere), esco
29 (A) - Quasi perdo la testa per colpa di Medusa
30 (A&H) - Ho quasi ucciso i miei nonni
31 (A) - Nella mia storia non sei il cattivo
32 (A) - Panta Vrehi
33 (H) - Dio della discordia
34 - L'epilogo
Epilogo - Dove piove sempre

5 (A) - Vengo costretto a parlare dei miei sentimenti anche se non li ho

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By cucchiaia




«pi grèco — Nome corrente della lettera greca π, Π ( pi). Numero che, introdotto inizialmente come rapporto tra la lunghezza di una qualunque circonferenza e il suo diametro, ha progressivamente assunto il ruolo di una delle costanti fondamentali della matematica, suscettibile di varie definizioni; si tratta di un numero reale irrazionale e trascendente; le sue prime 10 cifre sono 3.141 592 654. Viene chiamato anche la costante di Archimede.»


'Cause she was sunshine
I was midnight rain
She wanted it comfortable
I wanted that   p a i n


🍒
A R E S '
P O V

A volte penso di avere un deficit dell'attenzione. Poi, una vocina nella mia testa mi sussurra: «Farsi distrarre da ogni culo femminile che ti passa davanti non è segno di ADHD, coglione».

Litigo spesso con questa voce interiore, soprattutto perché prova in ogni modo a farmi essere una persona diversa. Non puoi lasciarla via mail, perché non sopporti il suono della sua voce.
Non vedi che c'è una signora anziana in piedi? Alzati e cedile il posto.

Liam ti sta parlando, perché non lo ascolti?

«Sei d'accordo anche tu con me, vero?» Liam mi riporta alla realtà.

Mi gratto la nuca, distogliendo lo sguardo dall'ennesimo sedere che mi sfila davanti. «Non ti ho ascoltato, in realtà. Ma ti rispondo comunque di no, perché trovo improbabile che qualche essere umano dotato di cervello abbia la tua stessa visione del mondo.»

Sia maledetta la sera in cui quel mostro di geco si è fatto vedere da Liam, facendogli credere di aver bisogno di un padrone. Se lo porta in giro per tutta Yale, dentro una cuccetta trasparente che Liam stesso ha fatto a mano. Anche ora, mentre camminiamo per il corridoio, la tiene stretta contro il petto, come se qualcuno potesse rapire il suo geco domestico.

«Be', posso sempre ripetere il discorso,» propone.
«No, grazie, non sforzare le corde vocali.»

Non sono cattivo. Solo stronzo, magari. E come biasimarmi? Liam ha il coraggio di dirti ogni cosa che gli passa per la testa. Senza filtri. Senza chiedersi, prima, se sia opportuno raccontarti di quando ha bevuto troppo sciroppo di menta e le sue feci erano verdi. Non ha un filtro tra la bocca e il cervello.

Merda. Ma è come me.

«Nessuno sforzo, tranquillo,» Liam mi circonda le spalle con il braccio e mi attira a sé, in un abbraccio amichevole. «Ti chiedevo se avessi intenzioni serie con Hurricane. Perché l'ho vista poche ore fa in caffetteria e mi piacerebbe provarci.»

Aggrotto la fronte. «Chi è Hurricane?»

Liam mi fissa come se fossi scemo. «La coinquilina di Hell. Lei ci ha detto che le vuoi chiedere consigli per conquistarla.»

Ah. Sì. Giusto. Mi dimentico sempre il suo nome, dannazione. L'ho fatto. Il patto che sono riuscito a estorcerle. Ripetizioni di matematica per ripetizioni d'amore.

«Comunque, dovresti proprio entrare in camera,» Liam se ne sta fermo davanti alla porta, con il braccio teso e un'espressione che non mi piace affatto.

Ora che decido di smettere di pensare solo a me stesso e di mettermi al centro dell'universo, mi accorgo di un nuovo dettaglio: manca Hermes. Non è la normalità, questa. E Liam sta nascondendo qualcosa.

Afferro la maniglia, ma non la abbasso. «Cosa mi aspetta lì dentro?»

Si stringe nelle spalle. «Magari non è cosa, ma chi

Assottiglio gli occhi. «D'accordo. Posso sapere...»

Liam sbuffa a gran voce e dà un colpetto alla porta, forse per far capire a chiunque mi stia aspettando che sono arrivato. «Stai diventando curioso come Haven, per caso? Non puoi sapere nulla da me. Entra, e scoprilo da solo.»

A primo impatto si potrebbe dire che, per una volta, Liam abbia mostrato un po' di carattere. Ormai credo di conoscerlo bene, però. «Nemmeno tu lo sai cosa stia succedendo lì dentro, vero?»

Esita per un secondo. Poi si abbandona a un lungo sospiro. «Nessuno si fida di me e Herm. Fammi sapere, poi, cosa è successo. Mi è stato richiesto di non entrare.»

Okay, a questo punto la curiosità mi sta mangiando vivo. Faccio cenno a Liam di andarsene, e una volta che la sua figura è sparita dietro l'angolo del corridoio, spalanco la porta.

La scena che mi si presenta davanti è tanto buffa quanto preoccupante. Haven e Hades se ne stanno seduti sul divano, vicini ma senza le loro smancerie tipiche. Entrambi a braccia conserte e con la stessa identica espressione in viso.

«Ciao, Cohenquilina,» saluto prima lei. «Makako.»

Si mettono in piedi in contemporanea, ogni loro movimento è quasi sincronizzato. Si posizionano all'entrata del piccolo corridoio che porta al bagno e alle camere da letto.

«Seguici in bagno,» ordina Hades.

Aggrotto la fronte e faccio un passo indietro. «Senti, sono molto lusingato. Ma quando sostenevo di voler andare a letto con Cohen, intendevo solo con lei. Tu non eri incluso nello scenario.»

Non sono interessato a fare duelli di spade. Mi piace inserire la mia nel fodero e basta.

Hades alza gli occhi al cielo e butta fuori un fiotto d'aria. «Puoi stare zitto per cinque secondi e fare come ti diciamo?»

Ci rifletto un attimo. «No, non credo.»

Haven mi viene incontro e mi prende la mano, e come d'incanto le mie gambe cominciano a muoversi e a seguirla. Il potere che ha su di me, è incredibile.

Avanziamo fino alla porta del bagno. Haven vi accede per prima, io per secondo e Hades subito dopo di me. Qui, sembra tutto già organizzato da tempo. C'è persino una sedia davanti allo specchio del lavandino, e sul ripiano prodotti per capelli che a malapena riesco a distinguere.

Due mani mi spingono verso il basso e il mio fondoschiena poggia con violenza sulla sedia. Ora, la coppia delle meraviglie si mette davanti a me. «Questo è un Divintervento,» annuncia Haven.

Hades sbuffa. «Pensavo fossimo d'accordo sul non chiamarlo così.»

«Solo tu lo eri,» mormora velocemente lei. Poi ritorna a me. «Domande prima di iniziare?»

«Sì,» esclamo, sempre più confuso dalla situazione. «Cosa diamine significa? Cosa volete da me? Avete finito tutti i chicchi di melagrana con cui imboccarvi?»

Haven abbozza un sorrisetto. «Il Divintervento è, come dice parte del nome, un intervento disciplinare nei tuoi confronti.»

Metto le mani avanti. «Se è per la studentessa che l'altra sera mi ha dato uno schiaffo perché...»

«Zitto, non vogliamo dettagli,» mi blocca Hades. «L'intervento è solo per aiutarti a essere una persona più decente con il popolo femminile.»

Libero una risatina sarcastica e lo squadro da capo a piedi. «E vorresti aiutarmi tu? Hai fatto incontri di boxe con Cohen e le hai infilato dei soldi nella camicetta. Non mi sembri il maestro adatto, sai.»

Sono stato cattivo, me ne rendo conto. Quando le ha messo i soldi nella camicetta, mesi fa, pagandola per essere stata con lui, era solo una tattica per tenerla lontana dalla famiglia e da Crono. Resta il fatto che avrebbe potuto usare dei modi diversi e meno offensivi, certo, ma chi sono io per giudicare?

Ora che mi concedo di guardarmi attorno, per sfuggire alle occhiate assassine di Hades, mi sorge spontanea un'altra domanda. «E poi, si può sapere perché deve accadere proprio in bagno?»

A Makako Lively torna il buon umore come se non fosse mai successo nulla. Andando alla cieca, allunga la mano all'indietro e afferra un oggetto metallico dal ripiano del lavandino. Un paio di forbici da parrucchiera. Haven, nel frattempo, sta distendendo un telo nero e mi si avvicina: è una mantellina che mi copre tutto il corpo, legata sul collo.

«I tuoi capelli sono in condizioni oscene. La decolorazione che hai fatto tempo fa, con me, ti ha bruciato le punte. Hai le radici nerissime e le lunghezze gialle. Ti serve un restauro fatto per bene.»

«E, nel mentre, parleremo un po',» conclude Haven.

Faccio per alzarmi. «Ve lo potete scordare, non ho alcuna intenzione di...»

Haven mi costringe a sedermi di nuovo. Poi si protende su di me e i nostri visi si ritrovano vicinissimi. Da qui, ogni dettaglio della sua cicatrice è ben visibile. E fa male il doppio. Vorrei essere come Hades, che riesce a comportarsi come se nulla fosse. Io, al contrario, alterno momenti in cui la fisso con insistenza ad altri in cui non riesco a guardarla. Sono un pessimo amico, me ne rendo conto, ma non posso farci molto.

Hades mi è subito accanto, con quattro flaconi diversi di tinta. «Vuoi riprendere il biondo o puntiamo a un altro colore? Ho comprato una tinta nera, in caso volessi tornare al tuo colore naturale. Poi una rossa, una rosa e una blu.»

Mi passo una mano tra i capelli. Non immaginavo fossero così orribili, in realtà. Non mi è mai importato molto di come sono pettinato o vestito, perché con il viso bellissimo che mi ritrovo, ogni dettaglio passa in secondo piano. Posso permettermi di avere... una ricrescita nera di cinque centimetri, le lunghezze giallo canarino e della stessa consistenza della paglia... D'accordo, forse comincio a capire.

Esalo un sospiro, mentre studio le boccette di tinta. «Voglio metà testa rosa e metà nera. Pensi di poterci riuscire, Diva?»

Fa una smorfia saccente. «Anche a occhi chiusi, deficiente.»

«E questo deficiente per cos'era, adesso? Non ho detto nulla di male.»
Scrolla le spalle. «Mi andava di insultarti.»

Haven capisce che sto per ribattere con qualcosa di ancora più cattivo, motivo per cui mi poggia una mano sulla spalla e mi sorride incoraggiante. «Allora, perché non partiamo dagli inizi? Raccontaci della tua prima relazione.»

Faccio una smorfia. «Jennifer Benson,» bofonchio. Gliela avevo già nominata. «Non la definirei vera e propria relazione. Insomma, a lei avevo detto così, ma per me non lo era.»

«Qualche dettaglio in più, coraggio,» mi sprona Hades, che mi sta dividendo i capelli a metà per separare i due colori che voglio.

Dettagli? Che dettagli possono volere e come possono essere rilevanti? «Non so, bel culo, molto tondo e pieno. Le tette non erano grandi, ma riempivano abbastanza le mie mani. Peccato per la voce odiosa che si ritrovava.»

Quando finisco, Giulietta e Romeo mi stanno fissando in modo strano. «Dettagli sulla relazione,» precisa lei. «Com'è iniziata, com'è andata, come vi siete lasciati, chi ha lasciato chi... Cose del genere, Ares.»

Ah. Be', adesso la loro domanda ha più senso. «Non ricordo molto, a essere onesto. Ci siamo lasciati perché l'ho tradita con sua cugina. Poi ho tradito sua cugina con la sorella. E, dopo, ci ho provato con la madre. Non è andata bene.»

Hades borbotta qualche imprecazione. Sta stendendo prima la tinta nera nella metà sinistra della mia testa. «Sei davvero un idiota.»

Haven fa schioccare la lingua contro il palato. Ora che la guardo meglio, mi accorgo che il maglione aderente che indossa avvolge alla perfezione il suo addome e il suo seno.

Non lo sto fissando da nemmeno cinque secondi, che Hades mi colpisce la nuca con il pennello imbevuto di tinta. «Piantala o la tinta te la faccio mangiare,» mi riprende. Sposto lo sguardo, divertito.

«Non hai mai incontrato una ragazza che ti piacesse, Ares? Qualcuna per la quale tu abbia smesso di fissare inopportunamente le altre?» domanda Cohen, il tono di voce gentile come una madre che parla con il figlio piccolo.

Finita la metà nera, Hades procede a decolorare la ricrescita nella parte destra, per rendere i capelli uniformi e poterci applicare il colore rosa. Osservo ogni suo movimento, e nella mia testa rifletto sulla domanda di Haven.

«Non saprei,» dico, dopo un po'. «Cosa si prova quando ti piace qualcuno? Insomma, quando mi piace una ragazza mi viene una erez...»

«L'attrazione fisica è diversa da quella mentale, Ares,» mi interrompe Hades, la voce incrinata dall'esasperazione. Adoro quando lo innervosisco. Non c'è soddisfazione più grande, sul serio.

Haven gli dà corda. «Ti batte forte il cuore, hai le mani sudate, anche un po' di ansia all'idea di incontrare quella persona. Inizi a tormentarti nel tentativo di scegliere con cura le parole che le rivolgerai, soppeserai ogni sua risposta e quando te ne piacerà una, la ripeterai nella tua testa fino alla volta successiva in cui riparlerete. Vorresti farle miliardi di domande e avere risposte lunghe e dettagliate, vorrai sapere ogni cosa di lei, dalla più banale alla più profonda, e vorrai persino raccontarle di te. Ogni minuto passerà come un battito di ciglia, ma quando non sarete insieme, ogni secondo passerà come un'ora.»

Mi mordicchio il labbro. «Diamine, non sembra per nulla divertente. Tutto questo fa schifo.»

Haven spalanca la bocca, e nell'intento di mostrarsi esasperata dalla mia reazione, si lascia scappare anche il divertimento che sta provando. «Insomma, non è uguale per tutti, d'accordo. Non sono come i sintomi di un'influenza...»

Le punto l'indice contro. «Ecco! Paragone perfetto. Provare sentimenti per qualcuno sembra al pari di avere una malattia. Che schifo.»

Hades mi afferra per il collo e mi tira la testa all'indietro. «Smettila di muoverti così tanto, ce la fai a stare fermo per cinque minuti? O devo legarti?»
Sorrido. «In genere quell'ultima domanda la faccio io alle ragazze.»

Nessuno dei due commenta. Hades riprende il suo lavoro da parrucchiera e Haven continua con i suoi discorsi sull'amore, aiutando il suo ragazzo di tanto in tanto. «Ares, devi capire che noi non vogliamo farci gli affari tuoi...»

La interrompo. «Invece, sì.»
«No,» controbatte lei.
«Sì,» non demordo.

«Sì, un po' sì, agapi, dobbiamo ammetterlo,» interviene Hades, che ha appena finito di stendere la tinta e la crema decolorante. Sta già preparando il secondo colore da applicare sulla parte bionda.

Haven sbuffa a gran voce, infastidita dall'esser stata tradita così dal suo grande amore. «Okay, la curiosità è umana. Ma il mio interesse nei tuoi confronti è sincero. Ti tieni tutto dentro, Ares. Non parli mai con nessuno di quello che provi. Se accumuli tutte le tue emozioni senza mai liberarle, finirai per impazzire.»

«In genere le libero dalle palle, con un po' di sesso.»

Due paia di occhi mi fissano, contrariati. D'accordo, sono abbastanza maturo da ammettere che forse questa frase avrei potuto tenerla per me.

Mi passo una mano sulla fronte, giusto per fare qualcosa e prendere del tempo. «Ragazzi, devo ammettere che un po' mi commuove che siate così interessati alla mia salute mentale, davvero. Soprattutto dopo il modo in cui mi sono messo in mezzo alla vostra relazione, provocando costantemente Hades e provandoci con la sua ragazza. Una mattina ho sbirciato pure in bagno mentre usciva dalla doccia,» lo informo.

Hades si blocca e l'occhiata che mi lancia mi fa desiderare di annullare la mia nascita e tornare a essere uno spermatozoo.

Abbozzo un sorriso. «Scherzavo. Haven si chiudeva sempre a chiave. Sempre. Lo so perché ogni mattina provavo ad abbassare la maniglia.»

Okay, forse non ho migliorato la situazione.

Vorrei poter spiegare loro che non lo faccio apposta. Se una persona chiude la conversazione perché le ho detto qualcosa di socialmente controverso o maleducato, è pur sempre meglio di farlo perché non le interessa ciò che le sto raccontando. Se mi aprissi davvero, e dicessi ciò che mi passa per la testa, sono certo che verrei ascoltato per pochi minuti.

La mia testa è un armadio a due ante, di piccole dimensioni, che non riesco ad aprire perché straripa di vestiti. Ammucchiati negli anni, comprati e gettati lì dentro senza mai indossarli, perché avevo troppa paura. E quando qualcuno mi chiedeva di mostrarglieli, io ci provavo. Aprivo una sola anta, estraevo la prima maglietta, ma non facevo in tempo a descriverla interamente. Forse arrivavo a dirne il colore. Dopodiché, le persone capivano che non c'erano affatto indumenti interessanti o per i quali valesse la pena di continuare la conversazione.

Rimetti dentro, Ares, e chiudi l'armadio a chiave. A nessuno interessa se quella maglietta rossa è a maniche lunghe o corte. A nessuno interessa di quel paio di pantaloni in jeans, con lo strappo all'altezza del ginocchio. Continua a tenerti tutto per te, perché sarai solo un peso per la gente.

Ritorno al presente. Haven mi fissa, con i suoi occhioni eterocromi, e aspetta che io dica qualcosa. Di lei dovrei potermi fidare, e in parte è così. Ma c'è sempre qualcosa che mi blocca. Se poi anche lei dovesse perdere interesse nei miei discorsi? Farebbe molto più male. Troppo, troppo, male. Perché le voglio bene. Dio, se voglio bene a questa ragazza.

Pensano tutti che io sia un coglione. Be', lo sono. Ma sono un coglione molto sensibile.

«Vi lascio soli. Forse sono io il motivo per cui non riesci a...» Hades si sta già incamminando in direzione della porta.

All'inizio esulto, felice che se ne vada, poi me ne pento. Mi mordo l'interno guancia per non parlare e lasciarlo fare, ma non funziona. Sbuffo. «No, non sei tu il problema. Non devi andartene.»

Non guardo in faccia nessuno dei due, mi fisso la gamba che si agita in preda a un tic nervoso e posso benissimo immaginare che espressione abbiano. Spero che non me lo rinfaccino per troppo tempo, almeno.

«Ho paura che alle persone non interessi ciò che ho da dire,» mormoro, a fatica. Mi sembra di avere un enorme groppo in gola che non riesco a mandare giù. «Non parlo di quello che provo, perché temo che la gente possa interrompermi. Giudicarlo noioso. Stupido. Banale. Privo di valore. Una perdita di tempo. Ciò che ero per la mia madre biologica.» Mi scappa una risatina triste. «Una perdita di tempo che andava affogata in mare.»

Mi ricordo troppo tardi di aver raccontato questo dettaglio solo a Cohen. Malakai è pietrificato sul posto, e il dolore nei suoi occhi mi fa illudere che forse un giorno potremmo essere amici.

Haven si inginocchia davanti a me, reggendosi con le mani sulle mie gambe. Quando le nostre dita si intrecciano, resto stupito perché sono stato io a cercare il contatto per primo, e non lei. Lei, al contrario, mi sorride e rafforza la stretta. Come se sapesse che me ne sto pentendo e voglio ritrarre la mano, fare un passo indietro, come mio solito.

«Se lo vorrai, ascolterò ogni parola che uscirà dalla tua bocca,» promette in un sussurro.

«E se lo vorrai,» segue Hades, «anche noi possiamo aiutarti in ambito amoroso.»

Mi sfugge una risatina sarcastica. Lui reagisce assottigliando gli occhi, per niente felice della mia ilarità. «C'è qualcosa che ti diverte nella mia proposta?»

«Mi insegni a fare fiorellini di carta? O qualche nomignolo carino in greco? Che te ne pare di glykopatáta mou

Hades sbuffa. Haven ha la fronte corrugata. «Cosa significa?»

«Mia dolce patatona,» traduco con un sorrisetto.

Invece che insultarmi come mi aspetto, Hades cinge la vita di Cohen con il braccio e la attira a sé, esibendola come un trofeo. Il modo in cui la guarda mi fa venire il voltastomaco. I suoi occhi quasi brillano. «Puoi pure fare lo stronzo sarcastico e dubitare delle mie capacità, ma intanto ho conquistato lei. Forse dovresti mettere da parte l'ironia e accettare che ogni tanto gli altri potrebbero aiutarti.»

Soppeso le sue parole e la scenetta che ho davanti. In effetti, se uno come lui è riuscito ad accaparrarsi una come Haven Cohen, qualcosa deve saperla su come si conquista una donna. Ma io non voglio il loro aiuto. Voglio quello di Hell. Perché... perché lei conosce Hurricane e può darmi consigli più mirati e precisi, sì.

«State per caso cercando di fare pratica con me, in vista di un futuro figlio? Sono il vostro bambino di prova?» Controllo l'orologio al polso. Sto cronometrando il tempo di posa della decolorazione. Lo indico a Hades e lui annuisce.

«Ares, un neonato che si caga e si vomita addosso sarebbe comunque meno impegnativo di te,» borbotta. «Tu sei l'allenamento all'Inferno, piuttosto.»

Mi piace questo paragone. Sì. Ma mentre mi tolgono la crema decolorante, mi torna in testa un discorso che abbiamo avuto solo pochi giorni fa. «Perché volete aiutarmi? Mi avevate detto di stare alla larga persino da Hell, per non coinvolgere nessuno nei giochi di Urano e Gea. Cosa è cambiato?»

I due si scambiano un'occhiata veloce, forse per decidere chi debba rispondermi. Tocca a Haven. «Pur standole lontano, è finita in mezzo ai casini della famiglia, per quella che crediamo essere la prima e ultima volta. La tua vita è complicata, al momento, e non sappiamo che giochi ti attendono. Ma ciò non deve impedirti di essere felice e impegnarti nelle relazioni umane.»

«Se dovessi trovare una persona capace di farti smettere di essere un degustatore di vagine privo di sentimenti e romanticismo, allora sarà parte della famiglia,» continua Hades. «E noi la proteggeremo.»

Sono quasi commosso. E lo dico senza alcuna traccia di ironia.

«Che sia Hell, o Hurricane, o qualsiasi altra povera sfortunata che speriamo non chiamerai davvero "mia dolce patatona",» conclude Hades.

Annuisco, e con la mano mi gratto la base del collo. Non voglio ammettere a voce alta che, a primo impatto, mi sono di nuovo scordato chi fosse Hurricane.

🍒🍒🍒

Mentre cammino per i corridoi di Yale, mi guardano tutti. Non c'è un singolo studente di questa università che non mi punti gli occhi addosso. In genere accade perché sono oggettivamente un bellissimo ragazzo, ma adesso credo che una buona percentuale sia dovuta anche alla mia nuova acconciatura.

Metà testa nera e metà rosa. Mi secca ammetterlo: Hades ha fatto un ottimo lavoro. Hermes e Liam erano su di giri per il mio nuovo look. Così su di giri che quando sono uscito dalla camera, discutevano anche loro della possibilità di tingersi i capelli.

L'ultima cosa che ho sentito è stata la frase di Liam: «Potrei farmi a chiazze come una mucca. Mi sono sempre piaciute le mucche. Cioè, non propriamente loro. È che adoro il latte. Infatti, sono pure intollerante al lattosio, ma lo bevo comunque.»

Sto imparando che quando Hermes e Liam sono in camera, seduti sul divano, e cominciano un discorso, è meglio andarsene.

Con il mio blocco sottobraccio e la matita HB dietro l'orecchio, avanzo fino all'esterno dell'edificio e prendo la scorciatoia che mi ha mostrato un ragazzo qualche sera fa. Deviando a sinistra, appena prima del campo da football, raggiungere la piscina è più veloce. E, soprattutto, consente l'accesso a un'entrata secondaria che mi permette di non dare nell'occhio.

Tiro fuori il telefono, apro instagram e cerco la chat con Hell. In realtà, seguo solo i miei cugini e i miei fratelli. E le uniche persone con cui parlo sono Apollo per mandargli i post di Jared Leto e Hell per darle fastidio.

Confermata l'ora delle ripetizioni? Oggi alle 21 in camera tua?

La risposta arriva dopo un minuto spaccato. Sì. Ora sono in piscina. Tra mezz'ora vado via. Il tempo di una doccia e ci sono.

La mia mente comincia a viaggiare e prova a immaginare Hell nuda. Una vocina mi urla di non fare il villano e uscire da instagram, ma non ha la meglio su di me. Serve aiuto per insaponarti in doccia?

Compaiono subito i puntini di sospensione, segno che sta scrivendo. No, però avrei bisogno di aiuto a sturare il water. Posso usare la tua testa?

Ridacchio tra me e me e le mando l'emoji di una banana, anche se non ha un minimo senso.

Ormai sono arrivato alla piscina di Yale. Mi guardo attorno e apro la porta segreta. Mi permette di entrare dalla parte opposta a quella a cui accedono tutti, ma oggi non ce n'è nemmeno bisogno. In acqua, a sguazzare come pesciolini, ci sono solo Hell e Poseidon. Le luci sono quasi tutte spente, fatta eccezione per quelle che illuminano il rettangolo che è la piscina.

Passo rasente al muro, nella totale oscurità, in punta di piedi, fino a trovare quello che ho inaugurato già tre giorni fa come il mio angolino personale. Mi siedo per terra, con la schiena poggiata alla parete e prendo una pagina bianca del blocco.

Aspetto, come sempre, che Hell e Poseidon finiscano le vasche e si fermino a bordo. Da questo punto, riesco a vederli bene anche in viso.

Se qualcuno scoprisse che mi piace disegnare, la mia vita sarebbe finita. Se qualcuno scoprisse che è da giorni che vengo qui, a spiare Hell, e le faccio ritratti, penso che sarei costretto io a porre fine alla sua di vita.

È nato tutto quando, da piccolo, scrivevo successioni di numeri per calmarmi e distrarmi dall'ira di mia madre ubriaca. All'inizio erano pagine a quadretti, con i numeri scritti uno di seguito all'altro. Col tempo, ho iniziato a creare disegni fatti di numeri. Sono partito con figure geometriche, come i cerchi, i triangoli, gli esagoni... E poi ho provato a fare veri e propri oggetti. Il primo è stato un fiorellino semplicissimo, composto dalle cifre del pi greco. Adesso riesco a creare anche i volti delle persone con i numeri.

Dio, sono più sfigato di Liam che compone poesie. Non so cosa sia peggio delle due. I disegni o le rime baciate?

Hell finisce per prima e io ghigno di soddisfazione. Battere mio fratello in acqua è impossibile, mi fa piacere che lei ci riesca e gli dia una bella botta di umiltà.

Si fermano uno di fronte all'altra. Posy dice qualcosa che non sento, Hell scoppia a ridere e si lancia in un discorso animato. Gesticola tanto con le mani e non smette un secondo di sorridere. Mi chiedo perché a Poseidon venga così facile farla parlare ed essere di buon umore, mentre io ricevo solo rifiuti e insulti. A me, lei non regala certi sorrisi.

Calco la mina della matita sul foglio e mi concentro totalmente su di lei. Quando la disegno, fingo che non abbia quell'orribile cuffia da piscina. La ritraggo sempre con i capelli sciolti. Oggi è più difficile delle volte precedenti. Quasi sbuffo nel momento in cui tratteggio le sue labbra incurvate in un sorriso enorme.

Come al solito, lascio fuori Poseidon dalla mia piccola opera d'arte. Non mi va di inserirlo. Nulla di personale.

Visto che io ho già cenato e so che Hell dovrà recuperare le sue cose e farsi una doccia, resto nel mio angolino anche quando escono dall'acqua e si dirigono agli spogliatoi. Delineo meglio i contorni del corpo di Hell, con un tratto di matita più deciso, e sorrido tra me e me quando ripasso le sue occhiaie. Ho sempre notato che le ha, e ho dedotto che sia, come me, una persona che dorme davvero poco.

Mi chiedo cosa la tenga sveglia la notte. Perché le cose che tengono sveglio me, sono orribili.

Dopo un quarto d'ora, decido di alzarmi e andarmene, usando sempre l'entrata nascosta. Non so se Hell la conosca, ma essendo una matricola è molto probabile di no. Sgattaiolo nel buio della notte e rientro nell'edificio illuminato. C'è il classico viavai di studenti che finiscono di studiare e si dirigono in caffetteria per cenare.

Proprio mentre sto camminando accanto alla caffetteria, noto in mezzo alla folla un puntino che si muove più velocemente degli altri, con la fretta che nessuno ha. Riconoscerei quei capelli lunghi e i movimenti aggraziati, più eleganti di quelli di una modella che sfila, a chilometri di distanza. Athena Lively, che mi viene incontro con un'espressione nervosa.

«Eccoti,» non saluta nemmeno. «Dobbiamo parlare.»

«Magari dopo, ho da fare al momento,» la liquido e provo a passare oltre.

Athena cerca di trattenermi. «No, Ares, adesso. Non hai capito che cosa è...»

Evito la sua mano pallida e dalle unghie nere e lucide. «Dopo, Vipera. Salutami gli altri e mi raccomando: il piano di rapire Michael Geckson a Liam è ancora in atto. Qualcuno deve riuscirci.»

Athena fa per ribattere. Agito la mano in segno di saluto e sfreccio via ancora prima che possa emettere un fiato. Imbocco il corridoio che porta al dormitorio, dove la densità di studenti diminuisce fino a diventare quasi nulla. Noto ancora qualche occhiata più insistente del normale, ma sono troppo concentrato sull'appuntamento che mi aspetta per soffermarmici e ragionarci su.

Busso una sola volta contro la porta della camera di Hell. Ad aprirmi, però, è una ragazza dai capelli biondi e due occhi azzurri come il mare. Non appena mi vede, le gote le si tingono di rosso e la bocca dalle labbra piene si distende in un sorriso. «Ciao.»

«Ciao...» Ah, sì, è lei. «Hurricane. Sono qui per aiutare la tua cohenquilina con la matematica.»

Lei annuisce e si sposta di lato per farmi passare. «Cohenquilina?»

«Coinquilina,» correggo, perché non mi va di spiegarle la storia dietro questo gioco di parole che ormai è diventato un'abitudine. E poi, solo io lo trovo divertente. Non riderebbe, anzi, mi riserverebbe la stessa occhiata perplessa che ho ricevuto da Zeus, Poseidon e Hera.

La loro camera non è tanto diversa dalla nostra. Più o meno, vengono tutte arredate allo stesso modo. Anche loro hanno un tavolino basso, davanti al divano. Lì, ci sono già poggiati i libri di matematica, una calcolatrice scientifica, delle penne e un piatto con del cibo che è probabilmente freddo. Contorno di patate al forno, due fettine di carne e della salsa al lato. La salsa non è stata sfiorata. Difficile dire che qualcosa, in quel piatto, sia stato mangiato. Sembra la porzione piena.

Hurricane è pronta per uscire, ma esita, dondolandosi sul posto. Come se volesse dirmi qualcosa. «Be',» esordisce, «buona fortuna con Hazel. Lei e la matematica sono come il Diavolo e l'acqua santa. Non capisce nulla.» Abbozza una risatina.

Le sorrido in modo cordiale. «Non credo che non capisca nulla. Al contrario, sono convinto che nessuno le abbia mai spiegato bene come capire la matematica e i numeri.»

Sono stato troppo severo, glielo leggo in faccia. Il sorriso le muore e deglutisce a vista. Lancia un'occhiata alla porta. «Oh, certo, certo, hai ragione. Intendo dire che lei è un'amante della letteratura. Hazel capisce bene le parole. I numeri le sono ostici.»

Interessante. Ma non voglio sapere dettagli in più su Hell dalla sua coinquilina. «Lo terrò a mente.» Coraggio, Ares, sii più affascinante. Devi conquistarla. «Vai in caffetteria a cenare?»

«Sì! Con i miei amici. E tu? Hai già cenato?»

«Sì, da solo, perché non ho amici visto che sono un coglione,» dico di getto.

Hurricane ammutolisce e sgrana appena gli occhi. Che ho detto di male?

Per fortuna, arriva Hell a salvare la situazione. Ha una tuta e una maglia a maniche lunghe, di un grigio sbiadito, e i capelli ancora bagnati dalla doccia. Li sta tamponando con l'asciugamano. «Ciao. Ci sono. Scusa il ritardo...» Si accorge dopo di Hurricane. «Ho interrotto qualcosa?»

«No, nulla,» rispondo io. Prendo posto al lato del tavolino e mi metto comodo, sfruttando un cuscino su cui appoggiare il mio divino fondoschiena.

Hurricane e Hell parlottano tra di loro e se fossi una persona decente, non tenderei l'orecchio per cercare di cogliere le parole. Lo faccio, anche con poca discrezione, forse. Riesco solo a sentire "più tardi...", "ricordati di indagare per me", "Hurri, ti prego".

Hell si siede davanti a me con uno sbuffo, il suo umore sembra peggiorato da quando è uscita dal bagno, solo pochi secondi fa. Quello di Hurricane, invece, è migliorato. Noto il momento in cui sta per dirigersi in direzione della porta, e l'istante in cui la sua attenzione viene catturata da altro.

«Non ne vuoi più di quello?» Hurricane indica il piatto con il cibo.

Hell lo guarda con la coda dell'occhio e apre un quaderno, a una pagina bianca. Dà un colpetto al libro di matematica per farlo scivolare verso di me. «No, erano due porzioni. Ho già mangiato la mia. Prendilo pure.»

Hurricane  allunga le braccia per appropriarsi del piatto. Il mio cervello lavora in fretta, alla velocità della luce. Ho già mangiato quello stesso pasto. È stato mesi fa, ma lo ricordo perché ero arrivato in ritardo in caffetteria ed era l'unica cosa rimasta. Non sono due porzioni. Le fettine di carne sono due, sì, ma sono piccole. E il contorno di patate è abbondante. Difficile che ce ne fosse di più.

Afferro il piatto senza pensarci troppo e lo allontano da Hurricane, facendole mancare la presa di poco. Lo spingo fino all'estremità opposta del tavolino. «No. Non sono due porzioni. Hell non ne ha mangiato nulla.»

Hell mi fissa con la bocca spalancata. Sembra ferita, quasi furiosa che abbia smascherato la sua bugia. Ma non protesta.

Hurricane si raddrizza. È ancora più in imbarazzo di prima. Dio, dovrei conquistarla e invece sento di star solo peggiorando il nostro rapporto inesistente. «Se lei non lo vuole, non vedo perché dovremmo buttarlo. Lo posso finire io. Ho lo stomaco grande.» Ridacchia, per smorzare la tensione evidente.

Ora mi concentro su Hell, che si è fatta piccola piccola contro il divano. I capelli corti, però, non le permettono di nascondere il viso. Deduco che si vergogni. E mi odia già abbastanza, non è necessario che aumenti il suo astio esponendola così alla sua amica.

«Hurricane, se hai lo stomaco grande puoi sempre prenderti una doppia porzione,» le suggerisco con il tono più pacato che mi riesce. «Le finisco io quelle, non ho cenato. Se non ti dispiace.»

Hurricane ci riflette un attimo. Hell le fa un cenno d'assenso. Alla fine, scrolla le spalle, si sistema la tracolla della borsetta e fa un verso di resa. «Certo, fai pure. Allora, buon lavoro. Ci si vede in giro.» L'ultima frase è solo per me.

Le dedico lo sguardo più ammaliante che mi riesce. «Lo spero. Buona cena.»

Mi sorride e quasi inciampa.

La porta sbatte alle nostre spalle che io le sto ancora guardando il culo.

Una matita mi piomba addosso, riportandomi alla realtà. «Cosa vuoi?» esclamo, offeso. Non c'è bisogno di lanciarmi oggetti contro. Ma ho l'età mentale di un bambino, perciò la raccolgo da terra e gliela rilancio. Hell l'afferra al volo e rinuncia alla lotta.

«Dunque, da dove cominciamo? Quale argomento?»

«Non so. Le addizioni le sai fare, prima di tutto?»

Alza gli occhi al cielo, ma gli angoli della bocca si incurvano appena all'insù. «Smettila o ti caccio.»

Hell picchietta sul libro ancora chiuso. Non mi muovo di un millimetro. Così, quando lo apre lei, le blocco la mano con la mia. Il contatto la fa sussultare e ritrarre. «Sai, per leggere un libro bisogna aprirlo,» scherza.

«Sai, per far funzionare il cervellino, il tuo corpo ha bisogno del cibo. Lo studio richiede tante energie, e se non hai...»

«Ho mangiato, Ares,» sbotta. L'ho fatta davvero infastidire, questa volta. Più del solito. Il che è tutto dire.

«Non lo metto in dubbio. Hai mangiato abbastanza, però?» Visto che la situazione si sta facendo fin troppo tesa, cerco di porre rimedio nell'unico modo che conosco. «Vuoi che ti imbocchi io?»

Ci riesco. Fa un'espressione buffissima. «Imboccarmi?»

«Sai che Hades, una volta, ha imboccato Haven con sei chicchi di melagrana?» Non lo sapranno mai che le ho raccontato dei loro giochini erotici con il cibo. «Possiamo fare lo stesso con quelle patate al forno.»

Hell ridacchia, scuotendo la testa. I capelli sono così corti che sono già asciugati per metà. «Non ce n'è bisogno, grazie.» Poi prende la forchetta dal piatto e infilza due patate. Mentre mastica, mette la mano davanti per parlare. «Ce n'erano tre di fettine, comunque. Le altre le ho lasciate perché non mi piace tanto la carne di maiale. E sì, le patate non le ho toccate, ma manca la parte con i broccoli, che ho finito.»

Merda. Ho esagerato. Ora mi sento in colpa. Almeno credo che ci si senta così quando si prova del rimorso. Non saprei, è un'emozione a me poco familiare.

«Okay.» Non ho nulla di più intelligente da dire. «Sono un idiota. Penso che tu possa carburare bene per almeno trenta minuti.»

Hell non ribatte. Indica di nuovo il libro e questa volta lo apro. Dovremmo partire dalle basi del corso. Se gliele spiego bene e lei le capisce, si arrenderà al fatto di aver bisogno di continuare con le ripetizioni e sarà già più vicina a comprendere ogni argomento dell'esame.

Apro anche il mio blocco. Forse sarei dovuto passare in camera a prendere un quaderno e non il mio album dei disegni, ma è troppo tardi. Soprattutto perché lo apro dal lato sbagliato e non faccio in tempo a nasconderne il contenuto.

Hell si allunga sul tavolo per guardare. Non lo richiudo, perché capirebbe che me ne vergogno e non voglio mostrare alcuna debolezza a nessuno. Fingerò che non mi importi. «Oh, sì,» borbotto. «Cazzate. Lasciami prendere un foglio pulito...»

Lei mi blocca. Accade la stessa scena di prima. La sua mano si posa sulla mia e nonostante sia una presa delicata, accennata, di cui potrei liberarmi con il minimo sforzo, la lascio fare.

Non è un suo disegno, per fortuna. È l'abbozzo di una quercia, composta da numeri. «Sono casuali?» sussurra.

«No. È la sequenza del pi greco,» spiego. «Mi piacciono i numeri. Mi piace il disegno. E ho scoperto che mi piace unire le due cose, creando figure con i numeri.»

Mi guarda. «Perché proprio il pi greco?»

Faccio spallucce. «Mi piace il 3, 14. Lo trovo esteticamente appagante. E mi piace che il numero intero sia irrazionale, quindi composto da cifre infinite. Non ha una fine, Hell. Ciò significa che con la sequenza del pi greco, posso creare disegni grandissimi.»

Rimane ad ascoltare ogni mia parola, in silenzio, mentre si mordicchia il labbro inferiore. Sembra arrivare in ritardo alla conclusione più importante di tutte. «Quante cifre del pi greco conosci a memoria?»

«Finora, la sequenza più lunga di cifre di pi greco imparate a memoria è di oltre sessantasette mila. Io ne ho memorizzate poco meno di mille.»

Aggrotta le sopracciglia. «Non ci credo. Dimmele.»

Rido. «Non credo ne abbiamo il tempo.»

Annuisce fra sé e sé. «Per una volta, hai ragione.» Fa scorrere i polpastrelli sul tronco dell'albero e prosegue lungo i rami composti di numeri. Sorride. Non capisco se le piaccia o se lo trovi ridicolo, divertente, qualcosa di cui ridere.

Il silenzio si fa opprimente. Aspetto che mi dia un giudizio, ma non arriva mai. «Sai che c'è anche una giornata dedicata al pi greco? Il quattordici marzo. Tre, quattordici.»

«Manca poco, allora. Domani, giusto?»

«Sì.» Ho la gola secca. Ho bisogno di acqua. Mi sudano le mani al pensiero che possa sfogliare il blocco e vedere gli altri disegni. «Perché diamine continui a sorridere? Ti diverte tutto questo?»

La durezza del mio tono la fa allontanare. Si raggomitola su se stessa, diventando una palla umana. «No. Cioè, sì. Mi diverte che tu ami così tanto i numeri e io le parole.»

La stessa cosa che mi ha anticipato Hurricane, prima. «Se ti piacciono le parole, e deduco anche la letteratura, perché studi matematica?»

Domanda sbagliata. Si irrigidisce e sposta i capelli di lato con un gesto secco. «Secondo i miei genitori è un percorso di studi inutile e da falliti.»

Non vuole parlarne. Ricaccio giù le altre domande che avrei voluto farle e, con molta attenzione, prendo una pagina vuota del mio album.

«Carino il nuovo look,» rompe il silenzio.

«Carino lo dici a un cane,» ironizzo. «Io sono una bomba sexy. La tua coinquilina può confermarlo.»

Hell sbuffa.

Mentre sfoglio il nostro libro di testo, uno dei tre per l'esame, ritorna la sensazione di avere la bocca asciutta e la gola secca.

«Posso avere dell'acqua?» chiedo. Quando sollevo la testa per stabilire un contatto visivo mentre glielo domando, la scopro a fissarmi.

Hell scatta in piedi, colta sul fatto, e si precipita all'angolo cucina. La osservo mentre versa dell'acqua a temperatura ambiente in un bicchiere di vetro, semplice. Me lo porge senza guardarmi e io mi ci fiondo, mandando giù sorsate generose.

Sono a metà bicchiere quando Hell scoppia in una risata fragorosa. «Ares, la tua parrucchiera ti ha dato una visione a trecentosessanta gradi dei tuoi capelli?»

Mi passo i palmi delle mani sulla nuca. Alla fine, abbiamo optato anche per rasarli di nuovo, sebbene siano molto meno corti rispetto a come li ho fatti io tempo prima. Ho un brutto presentimento. «Cos'ha combinato Hades?»

«Fermo. Ti faccio una foto.» Hell raccatta il cellulare e mi si mette alle spalle. Sento lo scatto della fotocamera, poi mi allunga il telefono.

Rimango a bocca aperta. Ora capisco perché tutti mi fissavano più del solito, oggi. Non era perché sono bellissimo, o almeno non totalmente. Era anche per i miei capelli.

I due colori sono divisi in una metà perfetta. In quella nera, però, Hades ha usato il rosa per scrivere le lettere "D" e "I". In quella rosa, ha fatto lo stesso con il nero e scritto "C" e "K". Mi ha scritto "DICK" sulla nuca. Ho la parola "cazzone" tinta sui capelli.

La parte peggiore di tutto ciò, è che sento di avere un po' più di rispetto nei suoi confronti, dopo questo scherzo.

🍒

Comunque la cosa di Liam che fa la cacca verde dopo aver bevuto troppo sciroppo di menta è successa a me quando ero piccola....... 😀🙌🏻

E con questa confessione posso pure andarmene 😚

Manca poco alla prima fatica (gioco) di Ares 💥💥💥💥 sarò cattiva e non me ne pentirò

Grazie per leggere GoC 💗 per qualsiasi cosa mi trovate qui:
Ig: cucchiaia
Tiktok: cucchiaiaa

Have a nice life🍒❤️

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