Game of Chaos (Game of Gods S...

By cucchiaia

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Spin-off di Game of Gods & Game of Titans, #4 da leggere. Nove fratelli e sorelle, con nomi di Dèi greci, ch... More

Intro + Info 🍒
1 (A) - Forse non avrei dovuto dare fuoco alla bara di mio zio
3 (A) - Un martedí sera esplosivo
4 (H) - Le virgole
5 (A) - Vengo costretto a parlare dei miei sentimenti anche se non li ho
6 (A&H) - Il viaggio di Odisseo
7 (A) - Alla fine di tutto si scopre che sono un mammone
8 (A) - Mio nonno è un assassino
9 (H) - I punti di sospensione
10 (A&H) - Gli avverbi
11 (A) - Festeggio il mio non-compleanno
12 (A) - Quasi stermino metà famiglia durante i giochi di Achille
13 (A) - Purtroppo, adoro il drama
14 (H) - Dietro le quinte
15 (A&H) - I punti di domanda
16 (H&A) - Mostro il mio serpente a Hell (purtroppo non nel modo in cui pensate)
17 (A) - Faccio bagnare Hazel
18 (A&H) - Estoy condenado a no olvidarte nunca más
19 (H&A) - Visito la casa di Liam: il circo
20 (H) - Sotto le luci del palco
21 (A&H) - Il predicato verbale
22 (A&H) - Le parentesi
23 (H&A) - Rimorchio grazie alla matematica
24 (A) - Vengo costretto a una riunione di famiglia mai richiesta
24.5 - La mela rossa
25 (A&H) - Ho aspettato di vederti per 6 ore e 15 minuti
25.5 - La canzone di Iperione
26 (H) - Fine dello spettacolo
27 (A&H) - Il mondo visto dall'alto
28 (H&A) - Entro, spacco (un bicchiere), esco
29 (A) - Quasi perdo la testa per colpa di Medusa
30 (A&H) - Ho quasi ucciso i miei nonni
31 (A) - Nella mia storia non sei il cattivo
32 (A) - Panta Vrehi
33 (H) - Dio della discordia
34 - L'epilogo
Epilogo - Dove piove sempre

2 (H) - Le parole

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By cucchiaia




Verschlimmbessern [tedesco]: tentare di migliorare qualcosa, ma fallire nel tentativo e renderla anche peggiore di prima.


— When you see my face,
hope it gives you   h e l l
When you walk my way,
hope it gives you   h e l l

🦊
H E L L ' S
P O V

Amo le parole da quando sono piccola. Mi ha sempre affascinato il modo in cui una combinazione di ventisei lettere possa dare vita a un numero infinito di parole diverse. Ancor di più, come lettere uguali possano essere cambiate d'ordine in modo da formare parole di diverso significato.

Scrivo da quando ero piccola e la giusta coniugazione dei verbi era ancora un mistero per me. Mi sono abituata così tanto a mettere per iscritto i miei pensieri e sentimenti, che la mia arte oratoria è pressoché nulla. Esprimermi a voce è complicato per la maggior parte delle volte.

Le cose si sono evolute quando avevo quattordici anni; ho scoperto la parola Yaghan "Mamihlapinatapai", che è considerata la più difficile da tradurre. Questa significa: "uno sguardo tra due persone che desiderano che l'altro inizi qualcosa che entrambi vogliono, ma che nessuno ha il coraggio di iniziare". Da qui, ho cominciato a cercare parole in altre lingue che esprimono concetti più ampi per poi trascriverle in un quadernino.

Per esempio, in filippino, la parola kutitap indica uno scintillante fascio di numerose luci.

In svedese, resfeber, descrive la sensazione di nervosismo provata prima di intraprendere un viaggio. Il momento in cui l'ansia e l'eccitazione si intrecciano.

Se c'è un lato malvagiamente ironico di questo amore per le parole, è che sono anche la cosa che più mi ha ferita negli anni. Combinazioni di lettere, usate per formare parole che mi hanno demolita.

Sei sicura di voler mangiare un'altra porzione? Non mi sembra il caso.

Studiare letteratura inglese e giornalismo non ti porterà da nessuna parte. Scegli un indirizzo più serio.

Vuoi sprecare i nostri soldi con una laurea del genere? E poi cosa farai, da laureata? Dipenderai ancora da noi?

Hazel, ogni volta che ti vedo sei sempre più larga.

Hel, mi sono innamorato della tua migliore amica. Mi dispiace, è successo.
Hel, mi sono innamorata del tuo ragazzo. Mi dispiace, non era previsto.

È sabato sera, perché sei chiusa qui in camera a leggere? Non hai amici?

E, per ultime, le parole di Ares Lively.

Il suo invito a cenare insieme in caffetteria non l'ho di certo interpretato come un appuntamento, ma ha fatto male comunque. Pensavo volesse conoscermi, come minimo. Ed ero curiosa anche io di conoscere lui. Invece, mi ha umiliata davanti all'intera caffetteria. Non ne capisco il motivo.

Forse è davvero lo stronzo di cui parlano tutti, qui a Yale. Non ho mai sentito parole carine sui fratelli Lively, e nemmeno sui cugini. D'altra parte, non ho mai nemmeno creduto alle opinioni degli studenti di questa università. Prima di giudicare qualcosa, vorrei conoscerla.

Ora che ho conosciuto un po' di più Ares, forse posso permettermi di dire che è davvero uno stronzo? Qualcosa, nella mia testa, cerca di sviarmi e trovare una qualche giustificazione. Continuo a pensare alla notte al luna park, a come mi ha fatto mangiare quella porzione di patatine, al modo in cui è stato gentile con me e premuroso. Era finzione? O quella di ieri sera lo era?

«Sei silenziosa,» mi risveglia la mia coinquilina, Hurricane.

Camminiamo fianco a fianco, per i corridoi di Yale. Lei è diretta in biblioteca, io nell'aula M-01, dove mi aspettano i risultati dell'esame di matematica.

«Sono stanca,» correggo. È vero. Ho due occhiaie enormi, i capelli spettinati e non ricordo se mi sono tolta il pigiama prima di uscire dalla mia camera.

Qualche studente si volta al nostro passaggio. Le attenzioni si riversano su Hurricane, bella come il sole e sempre col sorriso. Lei le ignora, nonostante l'arrossamento delle sue gote sia piuttosto evidente.

«È il caso che ti rifaccia la domanda che non hai sentito o per oggi è meglio lasciar stare?»

Hurricane è carina e gentile. Ma tra di noi non è mai scoccata quella scintilla che fa partire un'amicizia profonda e indimenticabile. Almeno, non da parte mia. La cosa mi mette a disagio, perché so che lei mi ritiene una vera amica. Però io... non mi ci vedo tanto con lei. Non si è mai accorta che il nostro rapporto va in una sola direzione: lei parla, parla, parla dei suoi problemi e delle sue cose, ma non chiede mai cosa succede nella mia vita. La cosa che più mi ferisce è che lo fa perché è convinta che io non abbia nulla da raccontare. D'altronde, esco poco e non ho ancora legato con nessuno.

Vorrei davvero non sembrare il cliché ambulante della ragazza riservata, che sta da sola e preferisce i libri alle interazioni sociali. Perché non lo sono. O, almeno, a me piace stare sola. Non soffro la solitudine. Sono solo incapace ad aprirmi con gli altri. Ho la convinzione di non avere nulla di interessante da dire, niente che possa far desiderare a una persona di voler continuare una conversazione con me.

Sono capace di restare in silenzio, muta come un pesce, in un gruppo di coetanei, per paura che quello che dico venga interrotto da una figura più estroversa. È come se la mia voce fosse molto più bassa di quella degli altri, e io non trovassi mai persone disposte ad avvicinare l'orecchio per ascoltare cosa ho da dire. O persone che mi invoglino a sollevare il tono per farmi sentire.

«Certo, ripeti.»

«Ti chiedevo se avessi qualche informazione da darmi su Ares Lively, il nostro vicino di stanza.»

A sentire quel nome, per poco non inciampo sui miei stessi piedi. Fingo di sistemarmi i capelli. «Ares? Che tipo di informazioni? Come mai? Cosa ti interessa sapere?»

Hurricane si stringe nelle spalle, ma capisco che è solo un modo per nascondere quanto le importi. «È davvero carino. E quando ci hai presentati, sembrava pensare lo stesso di me.»

Oh, lo pensava eccome. Glielo si leggeva in faccia. E la pozza di bava ai suoi piedi era inequivocabile. «Mh.»

«Avete parlato qualche volta, vero? Sai qual è il suo tipo? Se potrei piacergli?» insiste.

Le poso una mano sulla spalla e ci fermiamo. Le nostre strade stanno per separarsi. Lei deve andare a destra, verso la rampa di scale e io devo proseguire dritta. «Hurri, potrà pure essere carino, ma non mi sembra adatto a te.»

Ed è vero. Per il poco che conosco di Ares, Hurricane è il suo opposto. Lei è delicata, sempre composta e gentile. Ed è vergine, perché aspetta di farlo con un ragazzo che ama davvero e che la tratti come merita. Considerando che la sua famiglia è estremamente cattolica, non escluderei la possibilità che abbia fatto voto di castità fino al matrimonio. Ares pare più il tipo che lo farebbe anche dentro una chiesa.

La sua espressione si scioglie. Gli occhi azzurri si fanno carichi di emozione e le sue mani piccole e lisce afferrano le mie, screpolate dal freddo e arrossate sulle nocche. «Hel, ti prego. Sei l'unica persona, al di fuori dei fratelli e cugini, che ho visto parlare con lui.»

Ora non capisco. «Hurricane, cosa vuoi che faccia? Che vi organizzi un appuntamento al buio? Che vada a chiedergli se gli piaci?» scherzo.

Hurricane è davvero ingenua su alcune cose. Anche a me piacciono le storie d'amore dei libri e dei film, ma sono consapevole che non esistono nella realtà. Lei crede di poterne trovare una. Non è nella sua natura valutare i rischi e gli aspetti negativi delle cose. Eterna sognatrice, ignara che gli incubi sono dietro l'angolo.

Ares è uno di quelli.

«Be', tu studi matematica, lui pure. Avete tante lezioni in comune, no? Potresti approfittarne per parlargli di me e sondare il terreno.»

Oh, no. Non esiste che io rivolga la parola ad Ares. Non dopo quello che mi ha fatto ieri, in caffetteria. Hurricane era fuori in città, e temo il momento in cui qualcuno dei suoi amici glielo racconterà. Di certo non sarò io la prima a farlo. Immagino già la sua reazione. Oh, povera Hazel, per una volta che qualcuno si accorge di lei, è solo una presa per il culo.

«Hurricane...» mi libero dalla sua stretta. «Non siete andati a fare colazione insieme, poche settimane fa? Mi hai raccontato di quando te lo ha chiesto.»

Lei fa una smorfia. «Ha annullato all'ultimo. Aveva un viaggio importante da fare e abbiamo rimandato. Per questo non sono sicura se gli piaccio o no. Mi ha chiesto una sorta di appuntamento, e poi ha disdetto. Cosa devo pensare? Era una scusa?»

Ieri mi ha detto che è stato in Grecia per "problemi di famiglia", riguardanti una bara che va a fuoco. Forse non era una scusa e lui voleva davvero vederla. O magari era un'altra scommessa molto simpatica fatta con gli amici.

«Hurricane...» riprovo. «Io non...»

Neanche mi lascia finire. Si fionda su di me e mi abbraccia. «So che troverai un modo. Grazie, Hel! Ti devo un favore.»

«Ma io non ho mai detto...» Ancora una volta, non mi dà l'occasione di terminare la maledetta frase che le sto rivolgendo.

Mi dà le spalle e scappa su per le scale, un esserino di un metro e cinquantacinque tutto vestito di bianco, con i capelli biondi legati in una coda di cavallo fluente.

Un favore a un'amica lo farei. Un favore a un'amica che comprende il rivolgere la parola ad Ares Lively, neanche con una pistola puntata contro.

Potrò pure essere un'introversa asociale e timida, con le capacità di socializzazione di una panchina, ma sono vendicativa e orgogliosa. Se mi ferisci una volta, nella mia testa sei morto.

Sistemo la spallina dello zainetto e mi affretto a procedere per la mia strada. Tengo il capo basso fino a quando non intravedo l'insegna blu e bianca dell'aula. M-01.

Quando sposto lo sguardo accanto alla porta, le mie gambe rallentano d'istinto e per poco non mi blocco. Lì, una accanto all'altra, ci sono tre ragazze che penso proprio stiano aspettando me.

Haven Cohen, Athena e Hera Lively.

All'ultimo istante, fra Athena e Haven sbuca la faccia di Liam Baker. Solleva il braccio per aria e mi richiama, con un enorme sorriso.

Incutono quasi timore, se non soggezione. Intendo le ragazze, non Liam. Tutte e tre bellissime, tutte e tre membri della cerchia privata ed esclusiva dei Lively. Non ho mai assistito a uno dei loro giochi e non ho mai chiesto alcuna informazione a riguardo. So solo che invitano con le figure degli scacchi.

È da giorni che sento mormorii sulla medicatura che ha Haven in viso, sul lato destro. I Lively sono spariti da Yale per qualche giorno, due settimane fa, e quando sono tornati lei aveva una ferita misteriosa sul volto. Alcuni trovano poetico che sia diventata la fotocopia di Hades, altri lo hanno usato come ulteriore prova che a stare con Lively ci si fa male e basta.

È proprio Haven a sorridermi, ancora prima che sia abbastanza vicina, e mi saluta pure. «Ciao, Hazel!»

Abbozzo un sorriso incerto. Haven mi è sempre piaciuta. La vedevo in giro per la scuola, ogni tanto. Ha fatto parlare di sé dalla primissima settimana in cui è arrivata. Prima, con i giochi di apertura dei Lively. E dopo, con l'articolo sull'UnGodly News della mattina in cui si è spogliata a teatro, davanti a Hades.

Articolo scritto da Athena. Che, d'altro canto, non mi è mai sembrata la tipa alla quale avvicinarsi per fare amicizia. Non so se se ne renda conto, ma ha perennemente l'espressione di una incazzata col mondo intero. Se stessi soffocando e lei fosse l'unica con una bottiglia d'acqua, credo che preferirei morire piuttosto che chiederle un sorso.

Il fatto che io sia bisessuale e la trovi attraente come poche ragazze al mondo, è un altro conto ancora.

«Scusaci per questa comparsa improvvisa,» prende la parola Hera. «Ci tenevamo a dirti due parole, tra di noi.»

Le fisso senza battere ciglio, in attesa. Le tre si scambiano qualche occhiata veloce.

«Volevamo scusarci per Ares,» continua Haven. «È stato... eccessivamente sgarbato.»

«Avrei usato il termine: eccessivamente testa di cazzo,» corregge Athena, impassibile.

«Anche io,» concorda Hera. Lei non l'ho mai inquadrata.

Sono un po' a disagio, a essere sincera. Soprattutto perché Liam continua a sorridermi a trentadue denti, senza dire nulla. «D'accordo.»

«La realtà è un'altra,» Haven si fa più vicina, solo per tirarmi a qualche passo dall'entrata e permettere agli altri studenti di accedere all'aula. «Ares è particolare. Quando va nel panico, dice cose che non pensa. Diventa una versione di se stesso molto più stronza di quella che è già. Ma non lo fa apposta. Sul serio, non prenderla sul personale.»

Inarco un sopracciglio. Athena e Hera annuiscono. «Quindi mi state dicendo che Ares è davvero uno stronzo? Ma non lo stronzo che è stato ieri sera.»

«Sì,» rispondono all'unisono Haven e Hera.

A questo punto, Liam prende la parola. «Io non lo sono, però. Sono romantico, rispettoso e gentile. Scrivo poesie. E adoro le coccole dopo il sesso, sono la cosa migliore del mondo.» Esita e si gratta il mento. «Be', almeno credo. Non ho mai fatto sesso, quindi non...»

«Hazel,» mi richiama Athena, e si inumidisce le labbra con la lingua. «Non vogliamo che tu ci rimanga male. Se non ti abbiamo difesa, ieri, è perché eravamo sconvolti anche noi dal modo in cui si stava comportando. Non ce lo aspettavamo.»

Non so cosa dire. Questa situazione è surreale, se non al limite dell'assurdo. Apprezzo il pensiero, ma mi sento anche in soggezione. Come una bambina che viene consolata dalla maestra perché nessuno dei compagni di classe vuole giocare con lei.

Però si aspettano una mia risposta, così scrollo le spalle e sorrido. «Non fa nulla. Di certo non passerò le notti a piangere perché Ares Lively è un idiota.»

Non sembrano convinte della mia finta indifferenza, e va bene così, perché probabilmente questa sarà la mia ultima interazione con qualche membro del gruppo Lively.

«Ti va di berci un caffè questo pomeriggio?» propone Liam.

Athena si volta e lo afferra per il colletto della camicia a scacchi. «La vuoi piantare?»

Lui fa un sorrisetto malizioso. «Sei gelosa?»

Prima che possano aggiungere altro e mortificarmi ancora di più, approfitto della distrazione offerta da Liam: faccio un cenno di saluto con la mano e scappo dentro l'aula.

Non guardo nessuno degli studenti già seduti ai banchi, solo i miei piedi che salgono le scale laterali, con l'ansia di inciampare e attirare l'attenzione su di me.

Trovo una bancata libera e mi sistemo nel posto più esterno, poi poggio i gomiti sul banco e mi concedo di guardarmi attorno. Ci sono gruppetti ovunque. Sono l'unica da sola. Non so quante volte io abbia provato, nella mia testa, piccole frasi amichevoli per attaccare bottone. In bagno, mentre mi preparavo prima di una lezione, facevo pratica e mi ripetevo: «Oggi proverai a fare amicizia con qualcuno. Basta un ciao, o una finta domanda su una parte del programma. Non è difficile, Hazel, cazzo».
Non ci sono mai riuscita.

È una vita che preparo copioni per socializzare con gli altri, li memorizzo e poi non mi esce neanche un fiato di bocca.

Ancora persa a studiare l'ambiente che mi sta attorno, incappo in un paio di occhi neri come la pece, che catturano subito i miei. I battiti del mio cuore subiscono una brusca accelerazione e un impeto di rabbia mi mozza il respiro.

Ares. È seduto nella bancata accanto, due file sotto la mia. Mi fissa con insistenza, come se stesse tentando di attirare la mia attenzione da tanto tempo.

Poi fa una cosa inaspettata. Batte la mano sulla sedia vuota, accanto a sé. Mi sta invitando a raggiungerlo? Sul serio?

Per tutta risposta, sollevo la mano e gli mostro il dito medio, sperando che sia sufficiente a farlo desistere.

Ho un cimitero personale, nella mia testa, in cui sotterro tutte le persone che mi hanno fatto del male. Il mio ex e la mia ex migliore amica, posto d'onore. Una buca è scavata, ma vuota, e spetta alla donna che sposerà Chris Evans. E poi c'è la fossa dedicata ad Ares. Mi secca ammetterlo, ma per il momento non è ancora chiusa. Spero ancora che faccia qualcosa per rimediare.

Riabbasso il capo e mi concentro sul mio cellulare, anche se non ho messaggi da leggere o notifiche da qualsiasi altra applicazione. Scorro le home dei social, senza nemmeno guardare cosa mi capita sott'occhio.

«...passalo a lei.»
«Ehi, Jer, passalo a Marcus.»
«Marcus, passalo a Charlie.»

I sussurri sempre più insistenti e rumorosi mi fanno sollevare il capo. Davanti a me, alcuni studenti si stanno passando un bigliettino, che scivola di mano in mano, sempre più vicino a me.

Guardo Ares, allarmata. Ha una penna in bocca e giocherella con il tappo. Qualcosa mi dice che l'ha scritto lui.

Una ragazza dai capelli biondi sventola il pezzo di carta davanti al mio viso. Lo prendo in silenzio e lo apro. Riconosco la grafia di Ares, dopo tutti i messaggi che ci siamo scambiati.

Se non vieni tu a sederti vicino a me, vengo io da te. Scegli. Sotto c'è disegnato un omino con l'espressione triste, che indossa una t-shirt sulla quale c'è scritto: "il + bello di Yale".

Dio, ma è lunatico? O solo stronzo? Ieri ha fatto intendere di non voler avere a che fare con me, e oggi mi tormenta per sederci vicini a lezione? Se è un altro modo per umiliarmi, non ci sto.

Strappo in tre pezzi il biglietto e poi lo butto dentro lo zaino.

Distendo le braccia lungo il banco e cerco di calmare il turbine di emozioni che mi sta rendendo la bocca asciutta. Pochi minuti e arriverà il docente, pochi minuti e potrò dimenticare tutto questo, avrò qualcosa che mi distrarrà.

«Scusa, sei in mezzo al cazzo, non vedi che sto cercando di passare?»

Mi irrigidisco.

«No, sono stato anche troppo educato.»

Con la coda dell'occhio guardo alla mia destra.

«Ecco un'altra che deve stare proprio in mezzo ai co...»

Rumore di passi. Mormorii e sussurri. Poi un tonfo sordo accanto a me, che mi fa sussultare. Ares si sistema al mio fianco, borbottando insulti e imprecazioni, mentre si passa le mani fra i capelli e alliscia il maglione che indossa.

«Ciao,» saluta, agitando la mano.
«Ciao.»

Sento i suoi occhi fissi su di me, mi stanno chiedendo di voltarmi e guardarlo in faccia. «Questo è il momento della conversazione in cui ci si chiede "come stai?", in genere.»

«Vaffanculo, Ares,» sibilo.
«Anche io tutto bene,» risponde con nonchalance. «Come pensi che sia andato l'esame?»

Lo ignoro. Riprendo il telefono in mano e continuo a scorrere fra tutte le app che ho, alla ricerca di qualcosa di nuovo, nella speranza che Ares rinunci a parlarmi e capisca che deve tapparsi la bocca.

Sono passati solo pochi minuti di tranquillità quando mi arriva una notifica su instagram. Qualcuno ha iniziato a seguirmi. Un account che si chiama: @Arestupendo. Due secondi dopo, c'è anche una richiesta di messaggio dallo stesso profilo.

Ciao, non è che puoi rivolgermi la parola?

Per sua fortuna, non mi coglie impreparata. Amare i libri e la scrittura mi ha portata a un punto in cui esprimermi a voce è molto difficile. Alcune cose riesco solo a scriverle. Mi hai umiliata davanti a tutti ieri. Hai reso ben chiaro che non ti interessa avere a che fare con me. Perché sei qui, oggi? Vattene e fai pace col cervello.

Mi manda una emoji che piange in chat. Poi comincia a scrivere. Era solo uno scherzo innocente. Possiamo comunque parlare, se siamo nella stessa stanza.

La prossima volta che mi trovo nella stessa stanza con te, ti tiro una sberla. Non ho nulla di cui parlarti.

Non che ne sarei capace, in ogni caso, ma forse risulto abbastanza minacciosa da farglielo credere e impaurirlo.

Arriva un'altra emoji. Questa volta è una faccina con gli occhi a cuoricino. Perché solo una? Ne ho due di guance.

Aggrotto la fronte. Sto per bloccare lo schermo, quando ricompaiono i punti di sospensione. È in arrivo un altro messaggio.

Andiamo, Hell, non puoi chiudere così il nostro rapporto. Mi avevi promesso che mi avresti aiutato a conquistare la tua cohenquilina. La bionda dal culo disegnato col compasso.

Ci sono così tante cose in questo messaggio, che sollevo lo sguardo e punto gli occhi su di lui. Mi sta già guardando, un sorrisetto innocente gli incurva le labbra. «Cohenquilina?» ripeto.

Agita la mano per aria. «Una cosa mia e della mia migliore amica.»

Che c'entri Haven Cohen? Possibile. Quasi sorrido nel sentire che adesso la ritiene la sua migliore amica. Ricordo quando mi parlò di lei, del fatto che gli piaceva e che lei non ricambiava i sentimenti.

«Quindi ti interessa davvero Hurricane?»
Ares esita. «Chi?»

Trattengo un grugnito. «La bionda dal culo disegnato col compasso,» cito.
Si risveglia subito. «Sì! Lei! Certo. Sì, mi interessa.»

Sorrido e blocco lo schermo del cellulare. «Allora cavatela da solo. Non avrai alcun aiuto da parte mia. A maggior ragione se sei venuto qui solo per avere un favore.»

Ares sbuffa. «Hazel, dai, non è come pensi. Io...»

Lo fulmino con un'occhiata. Lui arretra appena. «D'accordo, vuoi la verità? Anche a lei piaci. Contento? Chiedile di uscire e basta. Non servono grandi aiuti. È già tutto fatto. Vi auguro il meglio.»

Il professore del corso, il signor Anderson, ha appena fatto il suo ingresso in aula. Le voci si fanno più basse, mentre lui sistema la cartella sulla cattedra e collega il computer portatile.

Ares mi chiama con un "Psss".
«Cosa vuoi?»
«Che gusto preferisce: fragola, panna e fragola o anguria?»

Aggrotto la fronte. «Di gelato? In realtà non le piacciono quelli fruttati...»
«No, no, parlo di preservativi.»

Non so se sia il tono così serio o la sua totale incapacità a relazionarsi, ma sono costretta a tapparmi la bocca con la mano per soffocare la risata che minaccia di esplodere nell'aula quasi avvolta dal silenzio. Ares mi chiede cosa ha detto di divertente, io mi mordo il labbro per non riprendere a ridere.

«Buongiorno, ragazzi,» saluta il signor Anderson. «Di seguito, vi proietto l'elenco con i voti. Ho messo il vostro numero di matricola invece che nome e cognome.»

Lo schermo alle sue spalle riproduce lo sfondo del suo pc. Clicca su una cartella e apre un file PDF. Ottanta sequenze di numeri, ottanta votazioni. Solo due numeri matricola sono evidenziati: uno in verde e uno in rosso.

«Complimenti al signor...» Anderson controlla sull'agenda. «Ares Lively. L'unico ad aver preso il massimo e ad aver consegnato un compito impeccabile.»

Quasi tutti si voltano verso di noi, per fissare Ares. Lui si appoggia allo schienale della sedia e allunga le gambe, con un sorrisetto strafottente. «Questa è la parte in cui mi fingo sorpreso? Perché non sono bravo con la modestia,» dice a voce alta.

Se Anderson lo ha sentito, ha anche deciso di ignorarlo. «C'è stato un solo bocciato. La riga evidenziata in rosso. Lo studente in questione è pregato di trattenersi dopo l'incontro.»

Ares ridacchia. «Vorrei proprio sapere chi è.»
Deglutisco a fatica. «Io.»

Non mi è mai piaciuta la matematica. Ancor meno i numeri. Al liceo me la cavavo con qualche B, ma passavo le sere a studiare e fare ripetizioni. Le materie scientifiche non facevano e non fanno tutt'ora per me. Peccato che i miei genitori la pensino diversamente. Motivo per cui mi hanno messa davanti a una scelta: se avessi voluto gli studi del college pagati, sarei dovuta entrare in una facoltà scientifica. "Niente cazzate umanistiche, Hazel, altrimenti ti metti a lavorare e paghi di tasca tua".

Perciò, eccomi qui. Studentessa di matematica. Unica bocciata all'esame. Nemica giurata dei numeri e dei calcoli.

«Complimenti a tutti. Ora, vediamo la soluzione di ogni quesito.»

Nel momento in cui Anderson comincia a mostrare i procedimenti per ogni esercizio dell'esame, la mia testa si disconnette. Non penso a nulla, se non a regolarizzare il respiro e ripetermi che può succedere, che la prossima volta andrà meglio, che non è un fallimento ma solo un incidente di percorso.

Strizzo gli occhi e stringo le mani in due pugni.

«Ti scappa la pipì?» sussurra Ares. Indica la mia gamba che si muove su e giù, sotto il banco, a velocità disumana.

«Stai zitto, per favore,» lo supplico.

Lui arriccia il naso e non insiste, ma per tutta la durata della correzione continua a fissarmi, studiarmi come se fossi una specie rara in via d'estinzione. Io lo ignoro e preparo le parole adatte a comunicare la notizia ai miei genitori.

Finito l'ultimo esercizio, veniamo congedati. Tranne me. Rimango seduta e aspetto che siano usciti tutti prima di alzarmi e raggiungere la cattedra di Anderson.

Ares se ne sta sulla soglia della porta, a braccia conserte. E quando due studenti provano a sbirciare di nuovo dentro, si mette davanti e gli blocca la visuale. «Non c'è niente da vedere, fatevi i cazzi vostri.» Sbatte la porta chiudendosela alle spalle, e ci si riappoggia come se nulla fosse.

Anderson ne rimane un attimo perplesso, dopodiché si concentra su di me. «Signorina... Fox,» controlla il mio cognome nell'elenco. «Il suo compito è stato mediocre. Confido nel fatto che la prossima volta otterrà dei risultati più consoni all'ambiente in cui si ritrova a studiare.»

Ho la lingua bloccata. Non riesco a parlare. Riesco solo a fissarlo come una stupida.

«Forse potrebbe fare delle ripetizioni, la aiuterebbero.» Il suo capo si gira in direzione di Ares e mi sento sprofondare. «Magari il signor Lively...»

«No,» lo interrompo, il tono acuto e una mano premuta sulla superficie liscia del banco. «No. Il signor Lively, no

Ares fa una faccia offesa e si incammina verso di noi, accorciando le distanze. «Sei stata l'unica bocciata, Hell. E ti posso assicurare che quell'esame avrebbe potuto passarlo anche un bambino delle elementari. Non mi sembra il caso di fare la schizzinosa.» Alla mia occhiataccia, si morde il labbro. «Scusa, non doveva uscirmi in questo modo.»

Anderson sta sistemando il suo pc e l'agenda dentro la borsa. «Il mio era solo un suggerimento. È libera di scegliere quello che ritiene sia più giusto per lei. In ogni caso, anche altri studenti hanno fatto dei buoni compiti. Ha ampia scelta, in caso volesse aiuto.»

Ares ha il braccio sollevato per aria e sta puntando l'indice sopra la sua testa. «Ma sappiamo qual è la scelta migliore. Io sono bello, prima di tutto.»

Anderson gli passa accanto, e non mi perdo il bagliore di divertimento che gli illumina lo sguardo. Ci saluta entrambi ed esce dall'aula, dopo aver sganciato una bomba che non riuscirò a disinnescare.

Provo a superare Ares, ma lui mi blocca la strada e mi afferra per le spalle. «Pensaci, Hell. Io ti aiuto per questo esame, tu mi aiuti con Hurricane. È l'accordo perfetto. Io ti aiuto a entrare in sintonia con i numeri, tu mi aiuti a entrare nella tua coinquilina.»

Faccio una smorfia e lo allontano da me. «Non ho bisogno del tuo aiuto. E Hurricane non ha bisogno di un idiota che parla in questo modo. Non permetterò che le spezzi il cuore.»

Aggrotta la fronte e mi segue mentre esco dalla stanza. «Cos'ho detto di male?» Ci riflette un attimo. «Ah! Giusto. Tu mi aiuti a fare l'amore con la tua coinquilina. Meglio?»

Trattengo un sorriso. Possibile che lo trovi tanto irritante quanto buffo? Cosa c'è che non va in me? «Ares, devi lasciarmi in pace, sul serio.»

«Senti...» Traffica con il cellulare, e uno studente quasi gli va addosso. «Perché non hai ricambiato il mio follow su instagram?»

«E questo cosa c'entra, ora?»

«Aspetta, adesso cerco Apollo,» riprende, ignorando la mia domanda. «E gli mando foto di Gesù.»

Sbuffo e velocizzo il passo. Le gambe di Ares sono il doppio delle mie, e sebbene abbia un attimo di esitazione recupera le distanze senza problemi. Inizio a temere che non mi libererò mai di lui.

«Cazzo, gliene ho mandata solo una e mi ha già bloccato,» si lamenta. Fa schioccare la lingua contro il palato. «Pazienza, passo a Hades.»

«Ciao, Ares, io vado,» lo saluto solo per educazione, pronta a imboccare il corridoio che porta al dormitorio.

Una mano mi afferra per il cappuccio della felpa e mi riporta davanti alla figura di Ares, che mi fissa contrariato. «Dove vai?»

«Nella mia camera. Mi serve il tuo permesso?»
«Non in caffetteria? È ora di pranzo.»

Incrocio le braccia al petto. Oltre a essere infastidita di dovergli parlare, comincio a innervosirmi per la quantità di studenti che ci sfila accanto osservandoci. «Andrò dopo. Ora c'è troppa gente.»

Mi guarda in modo strano, soppesa le mie parole come se stesse decidendo se credermi o meno, e io non ne capisco il motivo. «Vieni con me. Sono bravo a saltare la fila. Certo, mi becco un bel po' di insulti, ma ne vale la pena.»

È serissimo, mi sta già tirando per la manica della felpa. Cos'è questa ossessione nell'afferrarmi i vestiti? «No, no, no,» mi divincolo. «Smettila. Dio, non ti capisco proprio. Quando saremo arrivati in caffetteria rifarai la scenetta di ieri sera? O me la riserverai per domani? Basta, Ares, sul serio. Non voglio avere niente a che fare con te.»

«Sto provando a sistemare le cose, Hazel!» esclama, frustrato. «Mi sono pentito del modo in cui ti ho parlato, ieri. Non te lo meritavi. Sei sempre stata gentile con me, pur conoscendomi poco. Minacce di infilarmi vari oggetti fantasiosi su per il culo se non avessi abbassato la musica, a parte...»

«No che non lo meritavo,» gli do ragione, almeno una volta. «E tu non meriti il mio aiuto. O che perda tempo a parlarti.»

Ares si tormenta il labbro inferiore con i denti, quasi posso sentire gli ingranaggi arrugginiti del suo cervello sferragliare alla rinfusa mentre prova a elaborare un pensiero intelligente e educato.

«Una sola occasione per chiederti scusa, ecco quello che ti chiedo. Non devi per forza perdonarmi e diventare la mia migliore amica, okay? Solo un'occasione per farmi pronunciare delle scuse.»

Sono tentata. Una parte di me non vuole altre delusioni. L'altra mi ripete che se non concedo un'occasione alle persone resterò sempre sola e non cambierà mai nulla nella mia vita.

Scrollo le spalle in segno di via libera.

Ares stringe il bordo della mia felpa e mi tira in direzione opposta ai dormitori. Gli ripeto più volte che può smetterla di afferrarmi in quel modo, che lo seguirò comunque, ma lui non mi ascolta. O forse finge di non farlo.

Comincio a insospettirmi quando spalanca le porte della caffetteria. Come previsto, è affollatissima. Mezzogiorno è l'orario di punta, qui a Yale. Le due, invece, il momento migliore, anche se rimane poca scelta di cibo. Lo preferisco anche perché i cibi più calorici vanno subito a ruba, e rimangono solo verdure e frutta. Almeno non ho alcuna tentazione a cui cedere.

Continuo a dimenticarmi dell'effetto che hanno i Lively su questa università. Ci fissano tutti, mentre Ares mi traina come un cagnolino per tutta la sala e si ferma proprio al tavolo dove sono già seduti i suoi fratelli e cugini. Più Liam.

Non appena Hades mi vede, dà una gomitata a Haven, che punta gli occhi su di me. Non mi perdo lo scambio complice che hanno quei due.

«Ehi, Hazel!» mi saluta Poseidon con un enorme sorriso.

Ares mi si para davanti. «Sì, sì, Posy, non ce ne frega nulla. Stai zitto.»

Ares sposta il piatto di roast beef e la bottiglietta d'acqua dal vassoio di Liam. Poi impugna il vassoio e lo sbatte ripetutamente contro il bordo del tavolo, provocando un rumore al quale reagisce pian piano l'intera sala, piombando nel silenzio.

Una volta attirata l'attenzione di tutti, sale su una sedia, che gli fa da scalino per raggiungere il tavolo. Non appena la prima suola fa irruzione, tutti i Lively spostano i vassoi in contemporanea, per salvare il loro cibo. Le espressioni sono pressoché identiche: confusione ed esasperazione. Credo siano anche abbastanza comuni, con lui.

«Ares, si può sapere cosa...» comincia Zeus.

Ma Ares è focalizzato su di me. Mi guarda dall'alto, l'espressione incerta di chi sta cercando disperatamente le parole da dire. Si schiarisce la gola. «Ieri sera, qui, sono stato meschino con Hazel Fox,» urla, affinché tutti sentano. «Sono stato un idiota.»

«Un cazzone,» suggerisco in un sussurro.
Sorride per un istante. «Sono stato un cazzone,» corregge a voce alta.

«Un vero coglione, aggiungerei,» commenta Athena.
Ares la indica. «Non ti mettere in mezzo, tu, Vipera.»

Athena mi regala un sorriso complice. Sono così stupita dal vederla sorridere, che non riesco a ricambiarlo.

«Ho fatto il cazzone,» riprende da dove era stato interrotto. «Per nessun motivo valido. E voglio che tutti, qui dentro, lo sappiano. Non sarà mai brutto come ti sei sentita tu ieri, ma è qualcosa. E posso restare qui in piedi a ripeterlo finché non è abbastanza.»

«Ares...» ma non trovo il modo di continuare. Non so cosa dirgli.

Liam e Hermes, a destra di Ares, seguono la scena come se fosse il film più atteso dell'anno.

Lui mi porge la mano. «Sbaglio senza rendermene conto. Sono fatto così. Se mi lasci un vaso di cristallo in mano, prima o poi lo faccio cadere e frantumare in mille pezzi. Nessuno mi dà mai l'occasione di incollare i pezzi e provare ad aggiustarlo. E tu, Hazel?»

🍒🎲

Non ho ancora deciso cosa farò con Ares. Gli ho detto che ci avrei pensato, e lui non ne è sembrato contento. Be', a me della sua contentezza non importa.

Dall'ora di pranzo ad adesso, Ares mi ha riempita di reel su instagram. Tutti di cani e gatti che fanno cose stupide. Mi ha anche inviato un video in cui Hermes beve il caffè dalla caffettiera, nudo sul divano.

Continua a insistere sul darmi ripetizioni di matematica. E continua a insistere sul volere dritte per conquistare Hurricane. È carino che voglia aiutarmi con l'esame, ma qualcosa mi dice che sta cercando di farsi perdonare solo per la mia coinquilina. E, soprattutto, che abbia solo voglia di scopare.

Ho bisogno di andare nell'unico posto capace di schiarirmi le idee e farmi stare meglio. La piscina. Alle dieci di sera non c'è mai nessuno, e in genere trovo già Poseidon a sguazzare in acqua. Non so come sia nata questa piccola tradizione tra noi due. So solo che, dopo averlo conosciuto, un giorno me lo sono ritrovata in piscina e da lì abbiamo cominciato a nuotare in compagnia.

Quando entro nella sala, solo la metà delle luci è accesa. L'odore di cloro mi pizzica le narici e io lo respiro a pieni polmoni, beandomene. Lancio un'occhiata alla piscina, alla ricerca di Poseidon, prima di incamminarmi negli spogliatoi.

Un sorriso comincia a farsi spazio sul mio viso, quando lo vedo galleggiare sulla superficie. Muore all'istante. O ha cambiato colore di capelli o quello non è Poseidon.

Il corpo sconosciuto si muove con pigrizia, sdraiato sulla superficie dell'acqua a pancia in su. È un ragazzo vestito in modo elegante; giacca, cravatta, camicia e pantaloni abbinati, tutti zuppi. I capelli sono una macchia d'olio nera. La mano emerge dall'acqua, e tiene fra due dita il mozzicone di una sigaretta che brucia. Se lo porta alle labbra e fa un tiro generoso, per poi lanciarla con agilità lontano da sé.

«Ehi, stai bene?» gli chiedo. Mi ha già sentita entrare, è inutile fare finta di nulla. Tanto vale rivolergli la parola. «Quella sigaretta devi raccoglierla! Non puoi buttarla lì.»

Il suo corpo si muove, nuota nella mia direzione. È sempre più vicino al bordo piscina dal quale lo sto osservando. La testa avanti, puntata verso di me. Apre gli occhi con uno scatto che mi fa sobbalzare il cuore nel petto. Sono di un verde foglia intensissimo. Tanto belli quanto terrificanti.

«Una meraviglia.»

Attendo che aggiunga altro, ma non lo fa. Mi fissa, in silenzio, e di tanto in tanto muove le braccia in acqua.

Sono confusa. «Dovresti togliere i vestiti, se vuoi nuotare in piscina.»

Inarca un sopracciglio e si mette in posizione verticale. Visto da questa prospettiva, la sua bellezza è innegabile, ma il colore dei suoi occhi mi fa ancora più paura. C'è qualcosa di sinistro nel suo viso, e non capisco bene cosa sia. Il naso non è dritto, tende a sinistra, e la mascella affilata come una lama dà un tratto d'austerità alla faccia, che appartiene sicuramente a un ventenne.

Si muove fino a poggiare entrambe le mani sul bordo piscina, per poi farle seguire agli avambracci. È a poco meno di un metro dai miei piedi. Inclina il capo verso l'alto, e un fascio di luce lo colpisce in volto. Gli occhi a mandorla brillano come due piccoli diamanti, e il sorrisetto accennato fa sbucare due canini affilati.

Applicando una lieve pressione, si tira su. Io arretro di svariati passi per lasciargli spazio, e soprattutto perché non ho idea di chi sia e di cosa voglia.

Lo sconosciuto si ferma su una panca e comincia a spogliarsi. Sono così perplessa dal gesto, che lo guardo con sfrontatezza. Si leva i calzini grigi, dopodiché sfila la cravatta, esce con un po' di fatica dalle maniche della giacca, e poi comincia a sbottonare la camicia bianca. Rimane a torso nudo. Ma non si vede un centimetro di pelle, perché è ricoperta di tatuaggi. Non c'è abbastanza luce da poterli esaminare e riconoscere qualche forma. E, anche se fosse, la zip dei pantaloni che si abbassa mi distrae all'istante.

«Oh, Dio!» esclamo.

Si è sfilato anche i boxer. E io continuo a guardarlo, senza vergogna, con la bocca aperta.

Il ragazzo ghigna. Mi dedica un'occhiata fulminea e poi si tuffa di nuovo in piscina, completamente nudo. Le braccia muscolose si muovono veloci, permettendogli di fare due vasche intere nel giro di pochissimo tempo. Va e viene, fermandosi di nuovo a bordo piscina.

«C'è una via di mezzo tra vestito e nudo,» gli faccio presente.

Sorride. Goccioline d'acqua gli imperlano il viso; alcune, raggruppate sulle sopracciglia nere, si tuffano sulle guance e percorrono la sua pelle come lacrime. «Come ti chiami?»

«Hazel,» rispondo in automatico.

«Than...» si blocca, scuote il capo. «Atos. Piacere.»

Non ricordo di averlo mai visto, qui a Yale. È vero che non socializzo con nessuno ed evito qualsiasi evento come la peste, ma un grande pregio di noi introversi è che siamo così preoccupati delle interazioni sociali, che finiamo per osservare più di chiunque altro. Conosco i volti di questo college. E sono certa che il suo è nuovo.

«Non ti ho mai visto. Chi sei?»

«Oh, io non studio qui. Mi sono infiltrato stanotte,» spiega con tranquillità.

«E allora cosa ci fai?»

L'espressione amichevole che aveva fino ad ora, si tramuta in qualcosa di cupo. Un brivido mi risale lungo la schiena, e faccio un passo indietro.

«Sono venuto qui per uccidere una persona. Poi me ne vado.»

Rimango a fissarlo. Seguirà un "sto scherzando", o una risata, o un "ci hai creduto?", di sicuro. Non è così. Atos se ne sta fermo, in acqua, i gomiti sul bordo piscina e le sopracciglia aggrottate.

«Mi fai paura,» gli dico con sincerità.

Lui sembra risvegliarsi da uno stato di trance. Scoppia a ridere. «Oh, no, no, tranquilla! Non sei tu che devo uccidere.»

«Questo... non è rassicurante.»

Atos esce dalla piscina, ma questa volta sto attenta a voltare il capo per non guardare. Il mio cervello mi grida di andarmene, le mie gambe tremano e non riescono a muoversi. La sala è immersa nel silenzio, interrotto solo dal rumore dei suoi piedi nudi che battono sul pavimento e mi raggiungono.

La sua figura sovrasta su di me, mi ritrovo a deglutire a vuoto mentre lo fronteggio. «Tranquilla, è una persona che merita di morire. Il mondo sarà un posto migliore senza quel ragazzo. Non c'è bisogno di provare compassione, Hazel.»

Indietreggio. Lui segue il mio movimento come una calamita. «Chiamo la polizia,» lo minaccio. Ho il telefono stretto fra le mani, il problema è che iniziano a sudarmi e tremare.

Atos abbassa lo sguardo. Sorride. Non ho il tempo di opporre resistenza; mi prende il cellulare e lo lancia all'indietro. L'oggetto nero fa un tuffo nell'acqua e mi lascia a bocca aperta.

Lui ne è divertito. «Stai attenta,» mi ammonisce. «Perché se ti metti in mezzo, i funerali saranno due.»

«Mi stai minacciando?»

«Ti sto avvertendo,» corregge. «E ora, per caso conosci Ares Lively? Sai dirmi dove trovarlo?»


Thanatos - Alex Schlab



Chi mi segue su tiktok sapeva già di lui 👀 e soprattutto sa su quale mito verterà la parte mystery di GoC
Ma nel prossimo capitolo lo scopriremo nel dettaglio, perciò ancora un pochino di pazienza e vedremo cosa deve affrontare Ares 💃🏻 sarà una cosa in grande stile 🙌🏻

Io comunque sono devastata, mi mancano i POV di Haven e Hades. Ero così contenta di finire GoT e ora sono tipo tristissima. Vabbè aspettatevi qualche capitolo extra, qui in mezzo a GoC, dedicato alle Dive 🫶🏻

Come ultima cosa, vi chiedo di trattare bene la mia piccola Hell Fox 🥹 ci sto mettendo il cuore in lei, e sto azzardando anche a metterci qualcosina di mio. So che può sembrare la classica protagonista wattpad timida che si fa mettere i piedi in testa da tutti, ma in realtà è solo una persona introversa. Haven le è completamente opposta e va bene così. I personaggi non devono essere tutti uguali. E la timidezza non è sinonimo di debolezza 🫶🏻💖

Vi ringrazio come sempre per essere qui a leggere e sopportare le mie cazzate💓🫶🏻  per qualsiasi cosa mi trovate su ig e tiktok

Tiktok: cucchiaiaa
Ig: cucchiaia

Have a nice life.🍒💖

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