Election [I libro, Rose Evolu...

By Esterk21

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Primo libro della Rose Evolution Saga 2# nel contest Miglior Libri 2016 Sponsor Links & WIAIta "L... More

Diritti d'autore - Election
Revisione Conclusa!
Capitolo I (R)
Capitolo II (R)
Capitolo III (R)
Capitolo V (R)
Capitolo VI (R)
Capitolo VII (R)
Capitolo VIII (R)
Capitolo IX (R)
Capitolo X (R)
Capitolo XI (R)
Capitolo XII (R)
Capitolo XIII (R)
Capitolo XIV (R)
Capitolo XV (R)
Capitolo XVI (R)
Capitolo XVII (R)
Capitolo XVIII (R)
Capitolo XIX (R)
Capitolo XX (R)
Capitolo XXI (R)
Capitolo XXII (R)
Capitolo XXIII (R)
Capitolo XXIV (R)
Capitolo XXV (R)
Capitolo - XXVI (R)
Capitolo XXVII (R)
Capitolo XXVIII (R)
Capitolo XXIX (R)
Capitolo XXX (R)
Capitolo XXXI (R)
Capitolo XXXII (R)
Epilogo | Capitolo XXXIII (R)
Isola di Phērœs
Base Militare Alpha
Special!
LinkS
Genuine Goals

Capitolo IV (R)

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By Esterk21

Il respiro mi si mozzò in gola. La mente andò in stallo, incapace di credere a ciò che gli occhi mettevano a fuoco: mucchi informi di corpi accatastati si ergevano davanti a me.

Concentrandomi, potevo percepire i respiri regolari dei ragazzi circostanti. Fu un enorme sollievo, ma la sensazione liberatoria durò meno del previsto. Dopo svariati e maldestri tentativi di sollevarmi sulle ginocchia, il massimo che riuscii a ottenere fu scivolare in avanti di qualche centimetro, avvicinandomi di più a William. Le tempie pulsavano per il dolore, i muscoli non sembravano rispondere a nessuno dei miei comandi, ma la parte che aveva riportato danni maggiori era la zona cervicale: rigida come una lastra di ferro, mi impediva di muovere il capo se non al prezzo di fitte lancinanti.

«Riprenditi dannazione!» mugugnai a denti stretti. Imprecare mi aiutò a squarciare l'ultimo velo di spossatezza. Con la mascella serrata per il dolore, provai più energicamente a sollevarmi. Fu allora che mi accorsi di avere qualcosa incastrato tra i capelli: una mano, avvinghiatasi chissà come. Me ne liberai con qualche scossone e, con un'ultima dolorosa spinta, riuscii a tirar su completamente il capo.

Ormai vigile, cercai di scoprire in quale luogo fossi stata rinchiusa. Soffitto e pareti erano in metallo, nell'aria riecheggiava ancora quell'odioso frastuono di eliche. Non c'erano finestre, una luce artificiale filtrava da diversi faretti posti alle estremità del soffitto; cosa ancor peggiore, non sembravano esserci uscite. In più, non avevo la forza di alzarmi. Ciò mi faceva infuriare.

Mi allungai verso William, tirandogli un primo colpo sul braccio; lo avrei fatto sul viso, ma in quelle condizioni non ero in grado di raggiungerlo. Mi impegnai seriamente a strattonarlo, spaventata all'idea di rimanere l'unica persona cosciente. Nonostante sembrasse inutile e il dolore mi stesse facendo venire le lacrime agli occhi, non demorsi, almeno non prima di sentire un rumore stridulo provenire dal muro di fronte a me. Nell'immediato, un pannello scorrevole creò un varco nella parete di metallo e da dietro di esso sbucarono due figure, entrambe maschili. Non riuscivo a distinguere bene i volti da quella distanza, ma uno di loro, a giudicare dall'abbigliamento, doveva essere un militare. Entrambi non reagirono in alcun modo alla vista dei corpi. Ne dedussi che quella strage avesse qualcosa a che fare con l'Elezione.

Dei due, fu il civile a indicarmi. «Ecco un altro candidato già sveglio! Con lei siamo a sette. Attendiamo altre tre ore e potremo stilare la prima classifica dei candidati». Parve insolitamente elettrizzato.
Prima classifica, candidati... Quelle parole non fecero che ravvivare la mia rabbia.

«Certamente» rispose il militare con voce atona, in netto contrasto con quella del suo interlocutore. «Il suo nome Signorina» gridò improvvisamente, rivolgendosi a me.

«Dove mi trovo? Perché sono tutti incoscienti?» gracchiai, colta dal panico. Avevo la gola in fiamme e parlare non fece che intensificare il dolore alla schiena.

«Risponderò dopo alle sue domande, ora mi dica il suo nome» insisté lui, sempre impassibile.

«E-Ehvena, Ehvena Johns...» mormorai, era quasi un rantolo. Il militare si sporse in avanti, evidentemente non mi aveva sentita. «Ehvena Johns» ripetei, sforzandomi di alzare la voce.

Annuì, per poi affacciarsi all'esterno della sala gridando parole a me incomprensibili. Poco dopo venni circondata da uomini in camice che mi sollevarono da terra, l'ennesima fitta di dolore mi lasciò senza fiato.

L'ultima cosa che sentii fu il pannello richiudersi rumorosamente. Il resto fu un susseguirsi di blackout, durante i quali mi venne iniettato qualcosa che attenuò — seppur di poco — il dolore ai muscoli. Quando iniziai a riacquistare lucidità, mi trovavo già all'interno di ciò che doveva essere un'infermeria.

«Signorina Johns, un'ora al massimo e potrà alzarsi» disse cordialmente una delle infermiere. «Fino ad allora non si muova. Per nessuna ragione».

Aggrottai la fronte. L'illuminazione della stanza era troppo intensa, mi infastidiva. Ero stata adagiata su un lettino, la mia visuale era limitata al soffitto e ai volti dei medici, oscurati della luce che si riversava alle loro spalle. Ciò che distinguevo perfettamente, invece, erano i suoni. Troppi e irritanti.

«Avete terminato?» esclamò una voce, che ricollegai a quella del militare.

«Quasi, Signore» rispose la stessa infermiera. O per lo meno credetti che fosse la stessa.

«Signorina Johns può sentirmi?» Si avvicinò al mio letto, mentre gli infermieri facevano ancora avanti e indietro per visitarmi.

«S-Sì» balbettai. Tentai anche di ruotare il capo ma venni prontamente bloccata dalle mani gelide di un medico.

«Non si muova» mi ammonì, con tono tutt'altro che cordiale.

Nel frattempo il militare prese a parlare. «Sono qui per spiegarle la situazione. La prego di non farsi prendere dal panico, perché le assicuro che non vi è alcun motivo.» Si sporse verso di me, lasciando che intravedessi il suo volto. Riuscii a mettere a fuoco solo la carnagione scura e gli occhi quasi neri.

«Inizio col comunicarle che in questo momento si trova a bordo di una delle Piattaforme di Osservazione Aeree dell'isola, diretta alla Base Militare Alpha per il proseguimento dell'Elezione.» Si schiarì la voce. «Ieri notte abbiamo indotto tutti i candidati in un sonno monitorato servendoci dei trasmettitori impianti dopo i test preliminari, dopodiché siete stati prelevati e portati nella sala in cui si è svegliata pochi minuti fa. Sicuramente si starà chiedendo il perché, e la risposta è molto semplice: questa era una delle prove previste dall'Elezione. La prima per essere precisi.»
La spiegazione del militare mi lasciò attonita.

«Cosa? Come fa questa ad essere una prova?» bofonchiai confusa.

«Abbiamo utilizzato le scariche elettriche per testare la vostra resistenza. Ci serviremo della vostra capacità di reazione per stilare una prima classifica, pertanto i primi quindici candidati che si riprenderanno faranno parte della classifica dei Positivi. Le seguenti quindici persone formeranno il gruppo dei Effettivi e le successive quindici quello dei Qualificati. In fine un Quarto gruppo comprenderà i restanti candidati.»

Il militare fece sembrare tutto estremamente normale, ma scosse emanate da trasmettitori, intense abbastanza da poter stendere un mucchio di adolescenti, non avevano assolutamente niente di normale. Tanto meno lo era scaraventarli subito dopo in una sala come fossero carne da macello.

«Quindi ci state eliminando?» chiesi inorridita. Era logico che lo facessero, eravamo tantissimi e lo scopo delle prove era esattamente quello di lasciare in gara solo i più meritevoli. Era tutto il resto a essere sbagliato.

«Si, Signorina Johns. Siete esattamente 3.000 candidati, è necessario che almeno 2.800 siano eliminati alla Prima Prova per garantire l'efficiente avanzamento dell'Elezione.» Rispose con una tranquillità disarmante. «Non mi resta che farle le mie congratulazioni, lei è la settima nella classifica dei Positivi. Si rilassi e si goda il resto del viaggio fino alla Base Alpha.» Sentii i rumori dei suoi passi allontanarsi, mentre i medici continuavano a lavorare.

Trovai tutto assurdo: la scossa, la prova, il trasporto nel sonno. Avrebbero potuto avvertirci, tanto il responso non sarebbe cambiato. Mi aspettavo qualcosa di diverso. Qualcosa di meno... disumano.

Chiusi gli occhi, frastornata come non mai. Passai gli ultimi istanti di lucidità a chiedermi come avessi fatto, senza neanche accorgermene, a vincere la Prima Prova e finire nella classifica dei Positivi. Poi piombai in un profondo sonno, questa volta cosciente.

• • • • • •

Quando aprii nuovamente gli occhi, fui allontanata all'istante dall'infermeria e mi venne ordinato di assistere all'elencazione delle graduatorie. Dovevo aver dormito parecchio se le classifiche erano già state stilate...

Dopo aver chiesto informazioni a diversi militari che pattugliavano i corridoi, trovai la sala e mi misi in fila, sul fondo, senza provare neanche ad avanzare; la folla era fittissima. L'aspetto dei candidati era pietoso: alcuni barcollavano, altri emettevano gemiti sommessi, notai anche alcuni lividi. Nessuno parve essersi ripreso del tutto. Io stavo piuttosto bene, così come un'altra manciata di ragazzi. Era presto per dirlo però, forse qualche effetto collaterale si sarebbe presentato più avanti.

Non facevo che pensare ai metodi raccapriccianti adottati nella Prima Prova, e rimasi allibita quando realizzai che, durante l'elencazione delle classifiche, la priorità di ogni partecipante restava unicamente quella di trovarsi in cima alla lista.

Il militare con cui avevo parlato era oggetto dell'interesse comune. Stava elencando i nomi dei primi classificati, era arrivato giusto al numero cinque. Dovetti trovare la forza di interessarmi alla faccenda, magari cercando di ricordare anche qualche nome. Mi misi sulle punte, con difficoltà riuscii a intravedere una ragazzina apparentemente più grande di me, con piccoli boccoli bruni che le ricadevano ai lati del volto. Era lei la numero cinque, si chiamava Alexa Dhuter. Si mise subito accanto a un gruppo di altri ragazzi, posizionati dietro il militare.

«Numero 6: Karter Collins.» Questa volta fu un ragazzo ad avvicinarsi. Alto, muscoloso, decisamente più grande di me e, probabilmente, anche della ragazza. Questo si posizionò accanto a lei senza fiatare, dando modo al militare di proseguire con i nomi sulla lista.

«Numero 7: Ehvena Johns». La voce del militare risuonò incontrastata all'interno della stanza. Il suo sguardo mi puntò come se avessi una specie di freccia lampeggiante sopra la testa. Non credevo potesse riconoscermi, soprattutto da quella distanza. Nel sentirmi nominare mi pietrificai. I piedi diventarono pensati come macigni, sembravano essersi fusi al suolo.

Mi ero completamente dimenticata di essere la numero sette...

Pian piano la folla si allargò nel brusio generale, lasciando un varco nel mezzo per me. Tutti mi fissavano e io ero paralizzata, il cuore che mi martellava in gola, sul punto di crearsi un varco per fuoriuscire. Avanzai fissando il volto del militare, cercando di non pensare troppo alle persone che mi scrutavano con ira e disappunto. Passo dopo passo, con una lentezza che riuscì a rendere il tutto ancora più orribile, raggiunsi il punto dove si stavano accumulando i Positivi. Mi piantai in un angolo nascosto, tenendo lo sguardo incollato al pavimento. Ogni tentativo di riacquistare la calma andò in fumo all'annuncio del candidato successivo.

«Numero 8: Shawn O'belion

Quel nome fu una lama lanciata dritta al mio cuore. Dalla folla si fece avanti un ragazzo con un'inconfondibile chioma fulva. Questo si mise accanto a Karter, rivolgendomi un sorriso malizioso che andava da orecchio a orecchio. D'un tratto i pezzi del puzzle si ricomposero: tutte quelle occhiate, le sue parole, quel soprannome... Non mi presi più la briga di ascoltare i nomi successivi. La mia mente era assorbita da ben altro: negare con ogni fibra del mio essere che quel ragazzo e il mio vecchio amico d'infanzia fossero la stessa persona. O anche solo il fatto che avessero qualcosa in comune.

Nonostante il caos formatosi nella mia testa, riuscii miracolosamente a sentire l'ultimo annuncio del militare.

«Tutti i candidati del Quarto Gruppo al di sotto del numero 75 verranno rispediti immediatamente nelle loro abitazioni. Questo metodo varrà anche per le prossime quattro prove. Tenetelo bene a mente.» La sua ultima affermazione non mi distrasse abbastanza, ma riuscì a portami un po' di sollievo. Se l'Elezione avesse seguito il corso della Prima Prova, per andarmene mi sarebbe bastato rimanere al di sotto di quel numero.

Quando fummo liberi di andare, mi precipitai subito verso l'uscita, ma a pochi passi dal portellone mi voltai, cercando con lo sguardo quel ragazzo. Era fermo esattamente dove lo ricordavo. Sembrava attendere qualcosa, attendere me.

Mi avvicinai a lui con estrema cautela, vedendo sorgere sul suo volto un altro spiacevole sorrisetto.

«Tu non puoi essere Shawn O'belion. Non quel Shawn O'belion. Lui era...» dissi quasi borbottando tra me e me. Osservandolo meglio mi accorsi dei tratti somatici leggermente simili, cosa che prima non avevo voluto notare. Erano lineamenti da uomo, nulla a che vedere con quelli del ragazzino che frequentavo. La statura era indubbiamente differente, così come gli occhi, freddi e inespressivi. E poi c'era l'aspetto fisico così contrastante... Non aveva niente in comune con la persona che conoscevo io. Niente.

«Lui era cosa? Un povero invalido, malato terminale, sul punto di morire? Certo, ma come vedi quel ragazzo è guarito e cresciuto, a discapito di tutto ciò che dicevano i medici.» Mi sputò addosso le parole come fossero veleno.

Trasudava odio e rancore. Era arrabbiato, ma non solo con me, lo era col mondo intero da quello che vedevo.

«Vèna, tu te ne sei andata. Non offenderti se nessuno ti ha messo al corrente della situazione» aggiunse, superandomi. Uscì velocemente dalla sala, quasi intimorito all'idea di essere rincorso. Probabilmente lo avrei fatto, se solo non lo avessi sentito sospirare poco prima di dileguarsi. Credevo di aver dimenticato il suono di quei sospiri.

Neppure dopo quell'ennesima conferma riuscii a convincermi che fosse davvero lui.
Shawn O'belion era morto.
E i morti non resuscitano.

• • • • • •

Mi rinchiusi nella stanza assegnatami senza rivolgere una sola parola a William, che più volte era passato a chiedere di me. Volevo stare sola e rinchiudermi in me stessa, tuffandomi nel mare dei ricordi per sostituire la fragile figura che associavo al nome Shawn O'belion con quella del ragazzo dagli occhi colmi di astio.

Ricordavo come fosse ancora davanti ai miei occhi il vecchio Shawn, che all'epoca doveva avere sì e no sette anni. Era gracile, con una muscolatura così sottile da sembrare inesistente, non che potesse permettersi altro essendo segregato su una sedia a rotelle. I capelli erano di un arancione spento e portava come segno distintivo un cappellino di lana color turchese; gli occhi erano molto più chiari e opachi, mentre la carnagione era sempre cerea.

Era nato con una rara malattia, che gli impediva il corretto sviluppo delle ossa e della muscolatura, per poi comportare una lenta regressione di entrambi. Fortunatamente colpiva solo alcune parti del corpo, nel suo caso maggiormente gli arti inferiori. La malattia era stata denominata Sindrome del Mollusco, perché rendeva la costituzione dell'individuo simile a quella dei molluschi: pelle lattiginosa, elasticità dei tessuti sopra la norma, incapacità di svolgere i più semplici movimenti.

Non c'era cura o protesi che funzionasse, era un caso più unico che raro, un soggetto che capitava ai luminari del settore ogni cinquant'anni. I medici gli avevano dato dodici anni di vita, ma al compimento dei suoi undici anni erano pericolosamente diminuiti.

Era timido e poco loquace con gli estranei, ma sempre propenso alle conversazioni con chi aveva confidenza. Odiava essere fissato, toccato o ricevere attenzioni particolari. Troppo intelligente per la sua età, tanto da poter essere definito un genio.
Dopo essermene andata non ebbi più sue notizie e ci vollero anni per superare la cosa. Anni in cui lo immaginai morto.

Come potevo credere che quel ragazzo fosse il mio Shawn, guarito improvvisamente da una malattia incurabile? Ma soprattutto, perché aveva deciso di mostrarsi a me solo allora?

Assorta nei miei pensieri, sentii appena il rumore dei battiti sulla porta. Non reagii, preferendo crogiolarmi in quel vortice di sensazioni, stretta in un abbraccio di coperte e lenzuola.

«Ehvena» la voce di William arrivò poco dopo. «Te lo spiego da qui così non ti disturbo. Sono venuto ad avvisarti che ci sarà una riunione nella sessa sala in cui ci sono state lette le classifiche. Devi venire, ci comunicheranno il tema della Seconda Prova.» Le sue parole furono subito seguite da un lunghissimo silenzio.

«Ehvena hai sentito? Devo entrare? Non voglio invadere la privacy di una ragazza» aggiunse ritrovando un po' di quel suo particolare senso dell'umorismo, così distante dal tono apprensivo che aveva usato prima.

«S-si. Ti raggiungerò lì» dcercai di mascherare il tono di voce smorzato.

«Va bene, ma se non arrivi entro dieci minuti ti vengo a cercare e ti ci strascino di peso!» mi minacciò. Immaginai una delle sue buffe espressioni. Mi conosceva solo da qualche ora e già si preoccupava per me. Io però, non ero il genere di persona che legava facilmente, anzi, avevo avuto un unico vero amico in passato, e lo avevo creduto morto fino a quel giorno.

Per un attimo presi in considerazione l'idea che non avermi avuta più tra i piedi fosse stata una liberazione per lui, e ciò dava un senso anche al fatto che nessuno mi avesse mai contattata dopo la sua guarigione.

La tristezza e i sensi di colpa d'un tratto mutarono in rabbia.

Decisi di darmi un contegno. Piagnucolare non mi avrebbe portata alle risposte che cercavo, quelle dovevo procurarmele da sola. Iniziai a prepararmi, e quando fui presentabile uscii alla ricerca della strada che portava alla sala. Avevo perso la cognizione del tempo, e non avevo modo di capire che ore fossero. L'Omicron non aveva alcun tipo di decorazione, orologi inclusi, sia lungo i corridoi che nelle camere. Era una specie di labirinto in metallo: i corridoi erano esattamente identici, e questo mi confondeva.

Quando finalmente arrivai a destinazione, adocchiai subito William. Mi aveva riservato un posto a sedere accanto a lui, e un immenso sorriso.

«Ti ho spaventata quindi! Sei addirittura in anticipo» esclamò mentre mi accomodavo accanto a lui.

«Che sbruffone» dissi sbuffando. «Non mi metteresti paura neanche se mi minacciassi con un'arma.»

«Ti senti bene?» chiese ignorando la mia affermazione.

«Si.»

«A me sembra il contrario. Non hai un bell'aspetto.

«Sto bene, quindi smettila.»

«Voi donne, credete sempre che gli esseri di sesso opposto al vostro non comprendano i sentimenti umani. Guarda che so essere serio a volte, rare volte... Quindi se vuoi par—» Lo fermai a metà frase.

«Vuoi offrirmi una spalla su cui versare le mie lacrime oppure è solo un goffo tentativo di rimorchiare?» mi feci beffe di lui.

«Con qualche anno in più...» ammiccò, alzando più volte le sopracciglia.

«Non sei il mio tipo» ribattei subito, con il solito tono distaccato e rude che emergeva solo durante le conversazioni di quel genere. In realtà, esteticamente, William poteva essere il mio tipo, il problema era il carattere. Era sempre il carattere.

Lui si girò verso di me, chiaramente dubbioso. Probabilmente era abituato ad avere sempre al suo seguito ragazze invaghite di lui, e la mia piccola quanto sgarbata rivelazione lo aveva turbato. Si accigliò, elaborando chissà quale risposta, che però tenne inspiegabilmente per sé e, proprio quando stavo per spronarlo a continuare il discorso, sgranò improvvisamente gli occhi.

«Dannazione, mi sta già puntando! Ti prego avvisami se viene qui.» Tutto a un tratto entrò nel panico, tant'è che scivolò lungo la sedia cercando invano di nascondersi.

«Chi?» chiesi io spaesata, ma non rispose. «Non sta arrivando nessuno, tranquillo» lo rassicurai dopo un'attenta osservazione. Immaginai che si stesse riferendo alla sua vecchia fiamma, ma tranne le facce indignate dei candidati e un gruppo di ragazze che spettegolavano non notai nulla di anomalo.

«Sei ridicolo, così non fai altro che dargli importanza.» Gli diedi una spinta, cercando di smuoverlo da quella patetica posizione.

«Vorrei vedere te al mio posto» mi ammonì, rimettendosi dritto. Io sogghignai, compiaciuta all'idea di averci visto giusto: stava parlando proprio della sua ex.

«Il militare è arrivato.» Sviò l'argomento. Io d'altra parte lasciai cadere la conversazione, concentrandomi sul militare — lo stesso che mi aveva ragguagliata sulle classifiche dell'Elezione — il quale si posizionò sul fondo della sala, accompagnato da una schiera di ben quattro militari per lato.

«Buonasera a tutti, come avrete già notato il peso di questa piattaforma si è alleggerito» esordì, lasciandoci subito allibiti. Mi accorsi solo allora che eravamo diminuiti in modo allarmante. In quel momento dovevamo essere circa duecento partecipanti, come aveva previsto il militare durante la nostra prima conversazione.

«I candidati eliminati attualmente sono in viaggio verso le città a bordo di un'altra piattaforma. Voi invece verrete portati nella Base Militare Alpha per proseguire l'Elezione. Ma non siete stati chiamati qui solo per le comunicazioni di servizio: sotto richiesta dei Rappresentanti, vi annunceremo fin da subito il tema della Seconda Prova, in modo da risparmiare tempo per le attività che dovrete svolgere una volta atterrati.» Prese a camminare avanti e indietro, scrutandoci con aria severa. «La prova sarà di tipo individuale. Vi verrà consegnata una busta contenete le istruzioni per affrontarla. Sfruttate al meglio il tempo che avete a disposizione per escogitare una strategia d'azione»

«Sembrano andare di fretta» bisbigliai tra me e me. Non mi aspettavo una vacanza ristoratrice, ma almeno un giorno libero per ambientarci e riprenderci quelle assurde scosse, sì.

«E non hanno paura di mostrarlo» notò William. Mi voltai a osservarlo, sorpresa che avesse colto le mie parole. Forse non ero l'unica a far caso a quei dettagli e a non essere ossessionata solo dal posto in classifica.

«Quando farò il vostro nome venite a prendere la busta e uscite dalla sala» ci mostrò l'oggetto in questione. Era un piccolo involucro giallastro, su cui si intravedeva lo stemma reale.

Il militare non attese oltre, iniziando subito l'appello. Uno a uno i ragazzi si avvicinavano per ricevere le istruzioni. Nessuna delle loro espressioni, però, dopo aver letto il biglietto, era anche solo lontanamente rassicurante.

«William Born.» Appena il militare lo chiamò, il biondino scatto sull'attenti, pronto a ricevere la sua busta. La lesse mentre si avviava fuori dalla sala, bloccandosi poco prima di attraversare la porta di uscita. Non so cosa ci fosse scritto, ma sbiancò come un lenzuolo.

«Shawn O'belion» continuò il militare, spostando la mia attenzione dal volto sconcertato di William, a quello indifferente del nuovo Shawn, che si avviava senza timore verso il militare, puntando malignamente la busta.

Lo osservai attentamente mentre ne leggeva il contenuto: rimase totalmente impassibile. Prima di varcare la soglia della sala si voltò verso di me, sorridendo compiaciuto. Non sapevo cosa pensare. La sua prova era così semplice da farlo ridere o mi riguardava? Forse voleva semplicemente farsi beffe di me. Non mi sarei mai abituata alla sua presenza. Mai.

Non ebbi il tempo di formulare altre teorie, perché il mio nome fu chiamato poco dopo.

«Ehvena Johns.» Il militare mi puntò ancora una volta come se fossi una specie di lampeggiante. Mi diressi verso di lui, esitante, ma non quanto la prima volta. Presi la busta e uscii subito dalla sala. Non avrei letto ciò che conteneva davanti a tutti quegli sconosciuti.

Mi avviai verso i corridoi che portavano alla mia stanza e aprii delicatamente il sigillo per leggere il contenuto del biglietto. La prima cosa che attirò la mia attenzione fu una parola in stampatello, marcata pesantemente di nero: MEDICINA.

Subito dopo trovai una piccola descrizione:

"Secoli fa la medicina era qualcosa di estremamente rudimentale e anestetici in provetta erano inesistenti. Il suo compito è quello di anestetizzare le cavie della sala III, senza l'utilizzo di medicinali moderni. Sono consentiti solo rimedi naturali che rechino i seguenti sintomi: spossatezza, rilassamento muscolare e, in fine, perdita dei sensi."

«Ma cosa diamine...» farfugliai esterrefatta.

Che razza di prova era?

Passai il resto della serata a interrogarmi sulla misteriosa sala III e sulle prove capitate agli altri, soprattutto su quelle di William e Shawn. Il primo dei due sembrava sconvolto, l'altro addirittura divertito. Solo a me era capitato un test così stravagante?

Il pasto mi venne portato in stanza — una massa informe, razionata e insipida — insieme alle valigie, dandomi modo di provare a ideare qualche tipo di strategia per la prova. Presto però lo stress accumulato iniziò a farsi sentire. Mi infilai sotto le coperte per cercare di prendere sonno, ma appena chiusi le palpebre i corpi privi di sensi dei candidati mi tornarono alla mente. Inoltre, tra lo stridio metallico dell'Omicron e un gruppo di ragazzi appostato fuori dalla mia stanza che preferiva fare baccano anziché dormire, riuscii solo ad agitarmi ulteriormente.

Scesi dal letto come una furia, correndo a piedi scalzi verso la porta per chiedergli di tacere. Sul punto di impugnare la maniglia, udii una serie di tonfi. Allarmata, aprii la porta di scatto, trovando quello stesso gruppo di ragazzi a terra, privo di sensi. Poco dopo avvertii un formicolio nel punto in cui era impiantato il trasmettitore, ancora indolenzito. Feci subito dietro front, puntando il letto, ma non vi arrivai in tempo. Fui colpita da un'altra scossa e caddi al suolo.

Non fu affatto come la prima volta. La mia mente non si spense con il corpo: nonostante fossi inghiottita dal nulla più assoluto, percepivo ancora sotto di me il pavimento gelido, e tutto intorno il silenzio.
Ero rimasta inspiegabilmente cosciente.

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